III capitolo

 

CONFRONTO E VALUTAZIONE DEI CRITERI ETICI

DELLE DIVERSE POSIZIONI

 

 

Sin qui abbiamo presentato le due diverse posizioni a proposito dell’eutanasia: la legge olandese, una sorta di compromesso che la condanna ma nello stesso tempo la giustifica se si seguono determinate condizioni; la legge della Chiesa che servendosi della Sacra Scrittura, degli scritti dei Padri, dei pronunciamenti del Magistero la condanna come omicidio, come grave disobbedienza al quinto comandamento divino: non uccidere.

Diverse opinioni discordanti e opposte, la prima rivendica il “diritto” di ogni uomo di poter disporre a suo piacimento della sua morte o di quella dei suoi cari ormai “inutili” alla società perché improduttivi, la seconda tutela il diritto alla vita considerata sacra e inviolabile perché creata a immagine del Padre, il dovere di ogni uomo di conservarla e difenderla.

La legge civile e quella morale a questo punto non possono più essere considerate come binari che corrono assieme quasi in un unico filo, si dividono, ognuna prende la sua direzione rischiando di non arrivare mai alla meta.

 

3.1.           La legge civile e la legge morale

 

Un confronto necessario a questo punto è quello tra la legge civile e quella morale, due linee che dovrebbero conciliarsi e integrarsi, che invece nella nostra cultura hanno sempre meno punti in comune. Nell’Enciclica Evangelium vitae il papa fa un’analisi dettagliata del problema che voglio riportare all’inizio di questo terzo capitolo.

Capita oggi che l’uomo tende a far giustificare dalle Leggi dello Stato, i suoi desideri, i suoi vizi, le sue assurde opinioni sulla gestione della vita, è capitato già anche nel nostro Paese con il divorzio, con l’aborto, succede come abbiamo visto, per fortuna non nella nostra Italia, anche con l’eutanasia.

L’uomo troppo spesso si mette al posto di Dio e si ritiene l’unico in grado di decidere se  i suoi atti sono o no moralmente leciti e chiede allo Stato che gli sia garantito di poter scegliere, arrivando così a considerare normalità omicidi come l’aborto e l’eutanasia.

Molte volte si prendono, nella legge civile, decisioni per maggioranza su questioni morali, solo per giustificare l’impossibilità di vivere secondo un grado di moralità più elevato di quello che gli uomini stesso riconoscono e condividono, arrivando così a non colpevolizzare aborto e eutanasia.

In molti chiedono che la legge civile prenda decisioni per evitare che certi atti avvengano nella piena illegalità e quindi senza controllo e senza garanzia di un controllo medico adeguato.

Si arriva agli estremi quando c’è chi si arroga il diritto di poter decidere sulla propria e l’altrui vita chiedendo che sulle decisioni morali non ci sia nessun intervento della legge civile, ma piena libertà di ciascun individuo. Nella nostra cultura ormai il parere della maggioranza è reputato verità, la moralità dei più, quindi, dovrebbe risultare la moralità di tutti, ragionamento falso che inganna il nostro tempo. Due posizioni quasi contrapposte vano per la maggiore, da una parte, come dicevamo, c’è chi ritiene lo Stato esterno alle decisioni morali dei singoli chiedendo che esso possa garantire questo diritto di scelta; dall’altra si vuole che tutti i cittadini si adeguino alle decisioni dello Stato anche se le sue posizioni in proposito fossero totalmente contrarie. E’ questo un delegare la responsabilità della persona alla legge civile.

La nostra cultura è intrisa di relativismo etico, fonte di tutti questi ragionamenti moralmente improponibili. La legge morale di conseguenza viene considerata un imposizione intollerante che porta all’autoritarismo, il relativismo invece “garantirebbe tolleranza, rispetto reciproco tra le persone e adesione alle decisioni della maggioranza”.[1]

Nel nostro secolo ci sono stati molti crimini contro l’umanità, intere etnie sono state decimate, la pulizia etnica è tornata a far inorridire il mondo anche nei nostri anni novanta, la società moderna ha condannato questi atti malefici dell’uomo sui suoi simili, troppo spesso però non si è considerata tirannia la soppressione di tanti uomini indifesi e deboli proprio perché una maggioranza parlamentare o sociale ne decreta la legittimità. Se i crimini contro l’umanità, del nostro secolo, fossero legittimati dal consenso popolare sicuramente resterebbero tali, perché quindi rendere legali soppressioni di vite come l’aborto e l’eutanasia?

In tanti non hanno ancora capito, quale valore abbia la democrazia, essa non può essere considerata un fine ma piuttosto uno strumento, essa non è un “surrogato della moralità o un toccasana dell’immoralità”[2].


La democrazia deve sottostare alla legge morale, deve conformarsi ad essa, perché solo dalla legge morale può attingere la verità.

Il valore della democrazia è dato dai valori che essa promuove come la dignità della persona, l’assunzione del bene comune, il rispetto dei diritti dell’uomo tutte cose di un importanza enorme che non possono essere barattate con interventi e posizioni di maggioranze, ma devono essere regolate da una “legge morale obiettiva che, in quanto <<legge naturale>> inscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento normativo della stessa legge civile”.[3]

La democrazia subirebbe uno scossone se lo scetticismo della società ponesse in dubbio  i principi fondamentali della legge morale, creando così una situazione di confusione e di libertinaggio e annullando qualsiasi punto di riferimento.

Ci stiamo dirigendo verso un baratro, è tempo di fermarci a riflettere per recuperare i veri valori umani e morali, così da rinvigorire il vero ruolo delle democrazie, valori grandi e essenziali maturati nel tempo che nessuna maggioranza e nessuno Stato ha il diritto di calpestare.

Bisogna esaminare a fondo gli elementi che sono alla base della visione dei rapporti tra legge civile e legge morale, partendo dalla posizione della Chiesa che è anche quella di molte grandi tradizioni giuridiche.

Legge morale e legge civile hanno certamente diversa impostazione e la seconda agisce in un ambito più limitato della prima. E’ imprescindibile comunque che la legge civile davanti a certi diritti come quelli alla vita, non può rubare il posto alla coscienza, non può fare scelte contrarie al bene comune, alla difesa dei diritti fondamentali di ogni uomo. Essa deve, invece, “garantire un’ordinata convivenza sociale nella vera giustizia, perché tutti <<possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità>> (1 Tm 2,2 ).”[4]

Ci sono diritti fondamentali di cui la legge civile si deve fare garante e protettrice per tutti gli uomini. Il più importante di questi diritti è proprio quello alla vita dell’uomo innocente, nessuna legge può rendere lecita un’offesa recata ad altri che hanno il diritto di essere rispettati come persone, anche se talvolta non considerate tali e quindi soppresse.

Scriveva, Giovanni XXIII, nell’Enciclica Pacem in terris che il potere pubblico dev’essere la prima istituzione a riconoscere, rispettare, tutelare, promuovere i diritti e i doveri delle persone. Se non facesse tutto ciò e andasse contro questi diritti contrasterebbe con la sua stessa ragion d’essere perdendo così potere giuridico in ogni sua decisione in proposito.

San Tommaso d’Aquino reputava una legge umana in quanto tale solo quando essa fosse conforme alla retta ragione e quindi derivante dalla legge eterna, quella divina. Considerazione questa che impedisce di essere legge a qualunque pronunciamento che non prende il suo spunto dalla legge morale.

Il nostro discorso ci porta a delle affermazioni forti che forse potrebbero ferire la “civilissima” cultura del secondo millennio: uno Stato che legalizzasse l’aborto e l’eutanasia andrebbe contro ogni legge, rendendo leciti casi di omicidio - suicidio che porterebbero sicuramente al poco rispetto della vita e aprendo la strada a comportamenti sociali distruttivi. Aborto e eutanasia legalizzati sono crimini che calpestano non solo i diritti dei singoli, ma di tutta la comunità umana andando contro il bene comune, uscendo in questo modo dai canoni della stessa legge civile.

E’ solitamente moralmente giusto obbedire alle leggi che uno Stato propone, quando esse, però, vanno contro  i fondamentali diritti di ogni persona umana, è giusto, anzi obbligatorio opporsi mediante l’obiezione di coscienza.

 

3.2.           Critiche alla legge olandese dal punto di vista etico e giuridico

 

Nel corso del nostro studio inevitabilmente, anche senza volerlo, abbiamo avuto modo sottolineare quanto la legge olandese dal punto di vista etico risulti sballata, nonostante si fregi di una caratteristica di pietà dietro la quale, però, si nasconde una cultura di morte improntata al benessere personale. Con l’esaminare i documenti della Chiesa sul problema eutanasia sono stati evidenti i passi di condanna per questo atto di omicidio – suicidio. In questo paragrafo cercheremo di mettere in primo piano i contrasti di questa legge con la morale comune, esaminando anche i contrastanti pareri e perplessità sorti nel Paese all’indomani della sua emanazione.

 

3.2.1       Perplessità

 

Abbiamo visto che il pronunciamento del  Parlamento olandese a proposito dell’eutanasia non è altro che un compromesso, difficile da interpretare per la sua ambiguità. Un’ambiguità che fa sorgere inevitabilmente delle perplessità che classifichiamo almeno di tre tipi: 1) perplessità sull’ambivalenza delle motivazioni; 2) perplessità sui criteri; 3) perplessità sull’identità della professione medica.

Per quanto riguarda il primo ordine di perplessità dobbiamo precisare che si hanno due giustificazioni che aprono la strada alla pratica dell’eutanasia, esse sono il principio di autodeterminazione, ossia il diritto di poter decidere l’andamento della propria vita e il dovere del prossimo di rispettare tale decisione; e il perdere valore di tante vite umane segnate da una bassa qualità di vita, in tanti pensano che l’azione migliore verso le persone che si trovano in quest’ultima situazione sia quella di eliminarne le sofferenze, la morte arriverebbe quindi come una liberazione, come un opera buona verso chi soffre e non ce la fa più.

Nascono problemi per il principio di autodeterminazione in quanto non si può stabilire il suo confine, se ognuno può decidere la fine della sua vita in caso di malattia grave perché non potrebbe decidere la sua sorte anche in caso di malattie leggere o sentendosi in una situazione di inutilità e delusione. Una volta che cade la legge morale che suggerisce il dovere di ogni uomo di conservare la propria vita e di riconquistarla in caso di malattia anche grave, cade ogni limite di autodeterminazione, tutti a questo punto e in qualsiasi situazione avrebbero il diritto di togliersi la vita, si arriverebbe a legalizzare il suicidio sempre e comunque. Si cerca di ovviare a queste considerazioni e problemi associando all’autodeterminazione al principio della minimizzazione del dolore, ma il risultato non giustifica e rimane una certa ambiguità. Per poter scegliere di morire “legalmente” occorrerebbero in contemporanea volontarietà e sofferenza due “principi che però non sono omogenei  e quindi la loro integrazione, somma e combinazione è piuttosto disagevole”.[5]

Anche per il secondo principio, la svalutazione della vita in base alla sua qualità, non si riesce a stabilire un limite, non si riesce a stabilire quali siano le condizioni precise che dichiarino una vita degna di essere vissuta. Chi dovrebbe decidere la dignità delle vite degli uomini?

L’ambivalenza della motivazioni crea grossi problemi interpretativi che portano a conseguenze molto serie, si apre la strada al suicidio, in nome dell’autodeterminazione, alla soppressione del sofferente incapace in base alla bassa qualità del suo vivere.

Anche chi è favorevole alla pratica dell’eutanasia capisce la pericolosità del legalizzarne la pratica attiva di essa, la legge dovrebbe con chiarezza mantenere una chiara differenza tra interrompere attivamente e lasciar finire la vita.

Per quanto riguarda i criteri affinché sia “lecita” la pratica dell’eutanasia, criteri indicati nell’esposizione della legge nel primo capitolo di questo lavoro, nascono problemi per la loro indeterminatezza, per la mancata precisione di essi, per l’affidabilità delle procedure. Se prendiamo ad esempio la caratteristica essenziale della volontarietà del paziente, dobbiamo dire che il medico dovrebbe solamente esporre la possibilità di un simile intervento non potendo però proporlo o consigliarlo, capita spesso che il medico sia  proprio il promotore.


 Il malato può inoltre essere influenzato da terze persone, che riescono a sconvolgere la sua psicologia e portarlo alla decisione di porre fine alle sue sofferenze. Come interpretare poi le richieste di eutanasia, potrebbero essere fatte in un momento di sconforto, di tristezza, di alta sofferenza che impediscono l’uso completo della ragione condizionando in modo drastico la volontarietà, in questi casi è lecito soddisfare subito la “volontà” del paziente, o non è piuttosto necessario dare tempo per un ripensamento cosciente e senza condizionamenti? Il medico deve accettare anche le richieste di chi ha paura di finire in certe situazioni di sofferenza o solamente di coloro che sono immersi in queste situazioni?

Interrogativi che restano irrisolti a cui si aggiunge anche la valutazione di sofferenza sia fisica che mentale, quando essa  è da considerare intollerabile, chi può decidere la sua intollerabilità, forse un uomo?

Non si capisce neanche il bisogno di consultare un collega per la liceità dell’intervento, “non è chiaro in che cosa dovrebbe consistere la consulenza e come dovrebbe avvenire, se egli cioè debba solo verificare la presenza di tutti i criteri e interpretare correttamente quelli dubbi o se debba ricontattare personalmente il malato , che in effetti potrebbe dischiudere ad una nuova figura di curante timori o speranze fino ad allora inespressi”. [6]

L’identità della professione medica è la terza perplessità che prendiamo in esame. Ci si chiede se per il medico sia meglio lasciare soffrire pesantemente un paziente o se sia suo dovere far cessare i suoi dolori anche con la morte. Secondo molti è giusto che un medico soddisfi le richieste di un paziente che ha accompagnato per tutta la sua vita, il suo compito si ridurrebbe a fare da filtro, verificare cioè che ci siano tutti i criteri per poi dare il consenso alla “dolce morte”. Tutto ciò è dettato dal principio che recita: La vita del paziente appartiene al paziente stesso, niente di più assurdo poteva essere portato come giustificazione, la vita appartiene solo ed esclusivamente a Dio che ce l’ha donata, è in suo potere, solo in suo potere il toglierla. L’uomo non può mettersi al posto di Dio neanche se esercita la professione di medico, persona che avrebbe un motivo in più per conservare la vita.

La medicina perde il suo significato a queste condizioni, essa infatti non è un soddisfare le richieste del paziente, non ha come primo obbiettivo la funzione analgesica. Ogni anno 1000 morti per eutanasia non richiesta, ossia decise da medici, non fanno certo onore alla medicina, non possono essere giustificate da quella pseudo-pietà  a cui si affidano. Sono ormai tanti i medici che con le loro parole convincono i loro pazienti che sia meglio morire che sopportare certe sofferenze che condurrebbero comunque alla morte. Il ruolo del medico risulta stravolto da tutte queste considerazioni, non combacia più con i canoni dei tanti  codici deontologici anche da poco riformulati.

 La camera medica Slovacca nel Codice Etico (1994) all’articolo 1 dice: “ Il medico ha il dovere professionale di rispettare la vita umana dal suo inizio alla sua fine”.[7] I medici Finlandesi sottoliniano in un pronunciamento del 1988: “E’ dovere del medico proteggere la vita umana e alleviare il soffrire, avendo come finalità principale la promozione e il recupero della salute”[8]. Il Codice di etica medica del Brasile (1988) del Consiglio Federale per la medicina conservando un articolo emanato nel 1965 afferma: “Il medico deve avere rispetto assoluto per la vita umana, attuando sempre in beneficio del paziente. Mai utilizzerà le sue conoscenze per generare sofferenza fisica e morale, per sterminare l’essere umano, o per permettere o nascondere gli attacchi alla sua dignità e integrità”.[9]

Il Codice di Deontologia (1995) della Federazione Nazionale dell’ordine dei medici italiani a somiglianza di quello tedesco e francese, riporta un giuramento, eco della dichiarazione di Ginevra, che include le seguenti parole: “Cosciente dell’importanza e della solennità dell’atto che sto realizzando … giuro di non commettere mai azioni che possano provocare deliberatamente la morte di un paziente ; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali nel rispetto della vita e della persona, mai utilizzerò le mie conoscenze.”  [10]

Questi canoni fanno ben sperare per il futuro, ma la cultura della morte continua la sua influenza sponsorizzando una falsa pietà che maschera e cerca di convincere che l’eutanasia sia un normale intervento medico.

 

3.2.2.     Pericoli derivanti da una legge a favore dell’eutanasia

 

Una legge sull’eutanasia porterebbe a conseguenze non indifferenti nell’apparato  sociale, in quanto stravolgerebbe la logica di vita fin ora in atto,

 

non bisogna poi nascondere le  difficoltà  strutturali  per l’attuazione  di  una  tale decisione parlamentare.

1)   Sarebbe difficile garantire la validità del consenso espresso, e questo più sul piano giuridico che su quello morale, un malato terminale, infatti, prostrato dal dolore, difficilmente sarebbe in grado di esprimere una volontà senza incorrere in forti condizionamenti, sarebbe molto difficile capire quanto è solo un “bisogno” passeggero e quale una ferma volontà che sceglie. Sorgono problemi giuridici e morali anche nel caso in cui il paziente non possa decidere sul da farsi, e non abbia dato disposizioni in proposito quando era cosciente, nella maggior parte di queste situazioni si chiede quindi il parere a una persona a lui vicina che possa interpretare adeguatamente il volere del malato. E’ questo un procedimento che illecitamente pretende di sostituire e interpretare la volontà di chi non ha mai espresso niente sulla pratica eutanasica.

2)  Gli abusi e le manipolazioni  sui pazienti morenti sarebbero un rischio continuo. Le pressioni che parenti e medici potrebbero esercitare sui malati anche se fossero indirette e implicite potrebbero influenzare la loro volontà. Il malato terminale spesso si sente di peso per chi lo assiste (familiari), essendoci la possibilità di liberarli da questo “onere” il paziente potrebbe essere spinto a richiedere la morte per venire incontro a chi è gravato dalla sua situazione.

3)  Bisogna tener presente che la scienza medica è sempre in ricerca di nuove cure, che potrebbero risolvere anche malattie oggi giudicate incurabili, chi scegliesse l’eutanasia rinuncerebbe a queste nuove possibilità.

4) Il quarto problema si identifica nel fatto che la legge sull’eutanasia volontaria sminuirebbe il livello di tutela nei confronti delle persone malate e morenti. “Una volta che si introduca il principio per cui si può decidere, almeno in prima persona, che una vita non merita di essere vissuta ulteriormente , si da l’avvio ad un processo di erosione psicologica della tutela nei confronti della vita umana indebolita e sofferente, per cui, in seguito, non si riuscirà a vedere i motivi che vietano la soppressione di una vita umana “indegna”, anche a prescindere dal consenso dell’interessato”[11]. Riconoscendo per legge l’uccisione per pietà, si aprirebbe la strada all’eutanasia non volontaria, si passerebbe dall’intervento su malati terminali all’intervento su malati con malattie curabili ma sgradevoli. Conseguenze gravi che a un certo punto potrebbero risultare incontrollabili.

 

3.2.3.     Limiti giuridici della legge sull’eutanasia

 

Dal punto di vista giuridico, la legge sull’eutanasia incontra le sue difficoltà, che non si possono risolvere con semplicità in quanto una tale legge risulta di carattere profondamente antigiuridico. La scienza giuridica ha nelle sue basi il principio di difesa del più debole nei confronti del più forte, proprio il contrario si verifica nella pratica eutanasica. E’ dovere di ogni Stato proteggere la vita umana, quindi nessun intervento che mira ad eliminare la vita può rientrare nella giuridicità. Depenalizzando l’eutanasia si correrebbe il rischio di compiere certi interventi non solo spinti da una certa pietà, ma anche con altre cause di fondo, si legalizzerebbe un omicidio, eseguito con dolcezza, che non farebbe più di tanto rumore, ma che calpesterebbe i canoni della stessa legge civile.

In effetti anche la legislazione olandese riconosce l’antigiuridicità dell’eutanasia, il suo parlamento infatti, non ha mai abrogato la legge che la considera reato, ha solo dato le condizioni che la rendono non punibile. La sua ambiguità ci lascia insoddisfatti sia dal punto di vista etico che di principio. Il “diritto di morire” risulta contraddittorio e insostenibile,  non lo si può affermare in quanto contrasta drasticamente con gli stessi scopi del diritto positivo.

Diritto di morire, potrebbe tradursi facilmente in diritto ad essere uccisi, coinvolgerebbe in questo caso un’altra persona, lo Stato a questo punto dovrebbe scegliere il “boia”. Discorso assurdo che non può rientrare nei canoni della giuridicità.

 

3.3.   Principi morali che fondano la posizione della Chiesa

 

I principi morali su cui la Chiesa fonda la sua posizione a proposito di eutanasia nascono dalla stessa rivelazione, è infatti attingendo dalla Scrittura che si è elaborato un progetto di vita da proporre al mondo. Quelle della Chiesa non possono quindi essere solo filosofie create da uomini, ma attualizzazione e attuazione della volontà di Dio che opera per il bene dell’uomo.

 Compito della Chiesa è continuare a annunciare il Regno di Dio, anche quando questo non è gradito agli uomini perché intralcia i suoi progetti, la parola di Dio rimane in eterno, l’uomo non ha nessun diritto di cambiarla, la Chiesa ha il supremo dovere di proclamarla sempre e comunque.

 

3.3.1.     Alcune basi scritturistiche

 

In Genesi 4,9-11 si legge: “Allora il Signore disse a Caino:<< Dov’è tuo fratello, Abele?>>. Egli rispose: <<Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?>>. Riprese: <<Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello”. Dio rimprovera l’uomo per il primo omicidio e al versetto 15 dello stesso capitolo aggiunge: “Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!”, la condanna sarà quindi sempre più grande, sin dai primi capitoli del Genesi la morte procurata risulta quindi un abominio per il Signore.

Nei seguenti libri sempre all’interno del Pentateuco si sancisce la condanna dell’omicidio riportandolo nelle tavole della legge donate da Dio a Mosè sul Sinai: “Non uccidere”, parole secche senza ulteriori delucidazioni, senza se né ma né perché, scritte sia in Esodo 20,13 che in Deuteronomio 5,17.

La sacralità della vita diventa qualcosa di tangibile sin dalle primissime pagine della Bibbia con una giustificazione che stupisce e lascia senza parole: “E Dio disse: <<Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza… Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò;” (Gn 1,26.27). Il Signore Dio conferisce all’essere umano una dignità altissima in quanto lo crea a somiglianza della sua Vita divina, promette alla sua più alta creatura protezione e aiuto con parole ricche di grandissima tenerezza: “Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva di Israele; io vengo in tuo aiuto” (Is 41,14). Una protezione che dall’altro lato assume toni forti verso chi oserà oltraggiare il popolo di Dio, come possiamo leggere in Geremia 50,34: “Ma il loro vendicatore è forte, Signore degli eserciti è il suo nome. Egli sosterrà efficacemente la loro causa, per rendere tranquilla la terra e sconvolgere gli abitanti di Babilonia”. Babilonia città di disordini morali e di soprusi a cui la nostra civiltà assomiglia sempre più con le sue pretese orgogliose di estromettere Dio per occuparne il trono e poter decidere sulla vita e sulla morte.

Anche il libro della Sapienza ammonisce gli uomini con i suoi saggi consigli: “Non provocate la morte con gli errori della vostra vita, non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani , perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi.” (Sap 1,13), e continua nel secondo capitolo al versetto 24: “Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono”. La cultura della morte è quindi una cultura demoniaca che si infiltra sempre più nei meandri della vita umana, quasi di nascosto, sicuramente con la menzogna che caratterizza tutte le opere di Satana come risulta evidente dalle parole di Cristo stesso in Giovanni 8,43-44: “Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole, voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna”.

Il comandamento dell’amore dato da Gesù agli uomini non offre vie di scampo a una legge omicida che cerca di nascondersi dietro una ipotetica pietà che si rivela falsa. In Matteo 22,36-40 leggiamo: “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”. Gli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”. Amare Dio autore della Vita; amare se stessi, la propria vita e quindi conservarla, esclusione più completa del suicidio; amare il prossimo, dare amore non dare morte. La chiarezza della Scrittura non lascia spazio ad interpretazioni varie come abbaiamo potuto vedere e anche San Paolo vuole sottolineare tutto ciò scrivendo ai Romani: “Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore.” (Rom 13,9).

Chiudiamo questa carrellata di passi biblici con le parole della prima lettera di San Giovanni: “Chiunque odia il proprio fratello è omicida e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna”. (1 Gv 3,15).

 

                   3.3.2.    Sacralità e inviolabilità della vita

 

Per un credente, il problema dell’eutanasia ha una soluzione irrinunciabile: essendo Dio solo il datore ed il padrone della vita, ogni gesto che attenti all’integrità della vita è necessariamente considerato sacrilego. Da questa convinzione deriva, appunto, la secolare opposizione della Chiesa ad ogni forma di manipolazione della vita umana, compresa l’eutanasia, in tutte le sue forme.

Per ogni credente, ancor più per il cristiano la vita è un valore supremo, la cui origine ed il cui destino trascende il tempo, collocandola in vetta ad ogni realtà. Non esiste un valore più alto, in nome del quale possa essere chiesta la sua soppressione. Anche i casi in cui sembrerebbe esistere l’eccezione (vedi legittima difesa), in definitiva, non sono che espressione dello stesso principio , in quanto azione protettiva del medesimo valore della vita.

Abbiamo potuto notare come nella Scrittura la vita sia considerata sacra, perché appartenete a Dio stesso che la dona all’uomo rendendolo partecipe della sua stessa immagine. La vita umana diventa sacra e inviolabile perché contiene in se stessa la presenza di Dio, ciò si capisce nettamente già nell’Antico Testamento, ma è ricalcato nel Nuovo in modo particolarmente chiaro da San Paolo nella prima Lettera ai Corinti 3,16: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio che siete voi. “La vita quindi è dono di Dio e compito affidato all’uomo, il quale di conseguenza non può disporre a proprio piacimento neppure della propria vita”.[12] Dio consegna questo grande dono d’amore agli uomini e chiede di gestirla secondo i suoi comandi, secondo quello che è il suo valore supremo, valore che non cambia nonostante la malattia, la fortezza, “l’inutilità”, ogni vita ha sempre e comunque lo stesso valore.

Nessuna vita può essere soppressa nonostante la sua qualità biologica non sia più la migliore, la vita è vita in quanto vissuta dalla persona, è vita in quanto contiene in se stessa la presenza di Dio. Ogni vita va vissuta “come bene personale  e come bene del prossimo”[13], la sua sacralità esige un buon vivere non solo per se stessi, ma anche per la vita di chi ci sta vicino.

Ciascuno di noi è portatore di diritti inalienabili come la dignità e la libertà, non può volontariamente decidere di privarsene se non rompendo l’ordine del vivere associato, a maggior ragione non può togliersi la vita, “Che è a nostra disposizione ancor meno della libertà. La  vita ci si presenta come qualcosa che ci precede e che ci avvolge, qualcosa di superiore a noi stessi”.[14] L’uomo non può mai intervenire per modificare la sacralità delle cose in quanto questo è un ambito da cui è tagliato fuori, tante volte risulta un mistero grande che la sua “piccola” intelligenza non può capire. Se l’uomo capisse quale grande valore la vita contiene in se stessa non agirebbe contro di essa in nessuna forma, né alla sua origine, né durante il suo corso, né al suo termine.

La vita per la sua sacralità è inviolabile, come si può ben capire dal quinto comandamento, l’eutanasia calpesta tutto ciò nel nome di un individualismo esasperato ed egocentrico che permea la nostra società occidentale, che impedisce di capire quale sia il vero significato di libertà, essa non può ridursi a vedere bene tutto ciò che all’occhio umano sembra necessario e conveniente.

Ricorda Giovanni Paolo II: “Il comandamento del <<non uccidere>>, anche nei suoi contenuti più positivi di rispetto, amore e promozione della vita umana, vincola ogni uomo. Esso, infatti, risuona nella coscienza morale di ciascuno come un’eco insopprimibile dell’alleanza originaria di Dio creatore con l’uomo; da tutti può essere conosciuto alla luce della ragione e può essere osservato grazie all’azione dello Spirito che, soffiando dove vuole, raggiunge e coinvolge ogni uomo che vive in questo mondo”.[15]

 Per salvaguardare la vita sacra e inviolabile dobbiamo svolgere un servizio d’amore verso noi stessi e verso il nostro prossimo facendo in modo che ogni vita sia sempre difesa e promossa soprattutto quando essa risultasse debole e minacciata.

Concludiamo questo paragrafo richiamando le parole dell’istruzione Donum vitae riportate anche al numero 2258 del Catechismo della Chiesa Cattolica che riassumono con chiarezza i canoni della sacralità della vita umana: “La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a se il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente”.[16]

 

3.3.3.      Valore della sofferenza

 

Il nostro Dio “ha misteriosamente  scelto per suo Figlio e proposto a tutti gli uomini la sofferenza come mezzo di riscatto dalla condizione umana. Proprio quella sofferenza che terrorizza gli uomini di oggi e che genera forme estreme di rifiuto e di fuga davanti al dolore e ad ogni tipo di menomazione”.[17]

La Chiesa quindi proponendo come esempio lo stesso Gesù Cristo ha sempre visto nella sofferenza un dono di Dio da vivere e offrire per il riscatto dei propri peccati.

Sul piano umano il dolore può essere l’occasione per far crescere la propria umanità, per fortificare il proprio animo, può incentivare una riflessione sui veri valori della vita, con la piena partecipazione ad esso si può “dare prova di un amore autentico, per acquisire o purificare l’amore e le virtù”.[18]

Non possiamo certo negare quanto sia difficile questo discorso per l’uomo della nostra società che troppo spesso non riesce ad entrare in questa ottica e vede nella sofferenza sempre un male, mai un dono ma piuttosto un castigo divino.

Il soffrire in modo atroce come abbiamo visto nel corso del nostro studio, commuove tantissimi che vorrebbero intervenire per far cessare tanto dolore, interpretando come pietoso l’intervento che porta alla morte del sofferente.

Abbiamo già analizzato l’inautenticità di questa pietà, anche se non possiamo negare che in casi estremi la mente umana possa ragionare in buona fede anche nel compiere questo “atto liberatorio”, che pone fine alle sofferenze di chi si vuole bene.

Per il vero cristiano la via della sofferenza si trasforma in via di redenzione, sofferenza quindi che non può finire con la morte ma che apre la porta alla Vita, quella vera, quella eterna al cospetto di Dio; come ricorda  San Pietro nella sua prima Lettera: “Carissimi, nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare.” (1 Pt 4, 13-14).

Giovanni Paolo II visitando a Vienna il 21 giugno 1998, un ospizio della Caritas socialis , ha esortato tutti a rispettare la dignità degli anziani, malati e moribondi, aiutandoli a comprendere la propria sofferenza come un processo di maturazione e di perfezionamento della propria vita.




[1] Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995), 70

[2] idem 70

[3] idem 70

[4] idem 71

[5] P. CATTORINI, La morte offesa, Espropriazione del morire ed etica della resistenza al male, EDB,Bologna 1996,82

[6] Idem 86

[7] G. HERRANZ, Deontologia medica y vida terminal, Eutanasia y medicina paliativa en los Codigos de Etica y Deontologia medica de Europa y America, in Medicina e morale 1998/1, 96

[8]  idem

[9]  idem 97

[10] idem 108

[11] idem 93

[12] BURRONI U., Corso di Bioetica ad uso degli studenti, 42

[13] Dichiarazione ufficiale della Conferenza Episcopale Spagnola, 1998

[14] idem

[15] Evangelium vitae 77

[16] Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, Intr. 5 AAS 80 (1988), 70-102

[17] A. BORGHI, Eutanasia ragioni contro, in Settimana 21/98

[18] U. BURRONI, Corso di Bioetica ad uso degli studenti, 57