GLI ECCIDI OPERAI
E CONTADINI DEL DOPOGUERRA
1947-1954
di Gianni Viola
Leggendo il servizio “L’uomo delle ore difficili” di Francesco Parisi (dedicato al centenario della nascita di Mario Scelba), pubblicato su “La Provincia di Catania” (1), sono ritornato con la memoria ad oltre venti anni fa, quando, nel 1976, poco più che ventenne, pubblicai la prima edizione del mio lavoro intitolato “Polizia”, opera che all’epoca colmava la profonda lacuna dell’informazione relativa ai numerosi episodi di scontri di piazza tra la forza pubblica e i dimostranti nell’ambito della nostra storia recente e passata.
Le parole di elogio del Parisi nei confronti di Scelba, se confrontate con
l’operato effettivo di quest’ultimo, svolto negli anni in cui lo stesso fu
ininterrottamente ministro degli interni fra il 1947 e il 1953, e dopo una
brevissima interruzione, anche nel 1954, appaiono irrisorie della verità
storica, a tal punto, che nel momento in cui il Parisi
- come egli stesso sottolinea - tenta di recuperarne la memoria,
in realtà lo affossa del tutto.
Mi pare inoltre ci sia poco da gloriarsi facendosi scudo di ciò che lo Scelba fece all’ombra di uno Stato repressore, tuttavia il Parisi lamenta che l’azione repressiva dello Scelba abbia ricacciato lo stesso in una condizione di emarginato politico, mentre è sicuro che “quando di questi fatti si comincerà a fare vera storia, cioè ricostruzione spassionata basata su documenti, la figura di Scelba apparirà in tutta la sua grandezza”. In effetti non esiste alcuna ricostruzione storica da fare, posto che, nel momento stesso in cui lo Scelba operava per “difendere lo Stato”, c’era chi, come il sen. Lelio Basso, (uno dei cinquecento parlamentari che misero mano alla nostra Costituzione) alla Camera dei Deputati rispondeva colpo su colpo alle azioni del ministro dell’interno documentando già all’epoca i fatti con estremo coraggio, scrupolosità ed onestà politica. Basterebbe dunque andare a rileggere gli Atti Parlamentari relativi alle sedute dell’epoca, per ricavarne una chiara visione.
Nella seduta del Senato del 28 ottobre 1948, Pietro
Secchia tracciava un quadro della situazione: “Migliaia di cittadini, di
partigiani, benemeriti della Patria, vengono arrestati, bastonati, colpiti nel
loro onore e seviziati, portati a scavare le fosse e fatti oggetto degli scherni
e del ludibrio dei traditori risparmiati dalla generosità del nostro popolo”.
Così dal 1948 al 1954 si ebbero 148.269 arrestati o fermati (per motivi politici) di cui l’80 per cento comunisti, 61.243 condannati per complessivi 20.426 anni di galera (con 18 ergastoli) di cui il 90 per cento a comunisti. Nello stesso periodo in sole 38 province italiane vengono arrestati 1697 partigiani, dei 484 condannati a complessivi 5806 anni di carcere. Ma l’azione repressiva andava ben oltre: dal 1947 al 1954 in scontri di piazza tra forze di polizia e dimostranti, si contano almeno 5.104 feriti di cui 350 da armi da fuoco, un numero imprecisato di contusi e 145 morti (quasi quanti gli uccisi dalla “Strategia della tensione”) (3) questi ultimi compresi in ottantuno episodi distribuiti su tutto il territorio nazionale. I morti fra le forze repressive sono nello stesso periodo, 19. Tutte queste sono cifre agghiaccianti, cha parlano da sole.
Sebbene il ministro degli interni parlasse di scontri, in realtà la dinamica
dei fatti configurava solo aggressioni ed esecuzioni pianificate, e all’epoca
giustificate con motivi più tardi candidamente smentiti dallo stesso Scelba,
quando nel 1971 (intervista concessa a “Il Resto del Carlino” - 24/2/71)
ammetterà pubblicamente la falsità delle sue stesse dichiarazioni fatte
all’epoca delle feroci repressioni poliziesche, circa il possesso di armi da
parte dei dimostranti.
La polizia e i carabinieri comandati da Scelba
impiegavano non solo manganelli, pistole, bombe lacrimogene e moschetti, nel
contempo utilizzando queste armi anche come corpi di offesa diretta, con i calci
dei moschetti e le cariche alla baionetta, ma nondimeno mettevano in campo
camionette, mezzi corazzati, dunque carri armati e autoblindo, nonché
mitragliatrici e bombe a mano!
Le
operazioni repressive vedevano i carabinieri andare all’assalto al grido di
“Savoia!” (Messina,7/3/47, 2 operai uccisi), questi ultimi da soli o in
combutta con la polizia in azioni di pestaggio di deputati di sinistra,
destituzione di sindaci comunisti, arresto di organizzatori sindacali, attacco a
comizi popolari, arresto di dirigenti sindacali senza mandato di cattura,
assalto e devastazione di sedi dell’ANPI (partigiani), rastrellamenti e
perquisizioni di tipo nazista, assalti a manifestazioni contro le tasse, arresto
di attivisti di sinistra, manifestanti colpiti da armi da fuoco o bombe
lacrimogene, poi finiti a colpi di calcio di moschetto, azioni a protezione
degli agrari, cacciata di contadini intenti a lavorare abusivamente i campi,
attacco di manifestanti anti-americani, schiaffeggiamento di donne in pubblico,
uccisione di partigiani, persone morte di spavento, spedizioni punitive,
aggressioni a manifestazioni antifasciste e di contro azioni in difesa dei
neofascisti, città in stato d’assedio.
Fu lo stesso Scelba a ricordare a tutti quale fosse
stata la sua funzione quando era stato ministro dell’interno. Così nel 1973,
in una intervista concessa alla Tv svedese (2) ebbe a dichiarare che “I
reparti celeri sono una specie di cavalleria motorizzata della polizia ed
operano come opera la cavalleria” (…) “Un reparto a cavallo lanciato al
galoppo contro una folla, se il reparto è deciso a passare senza preoccuparsi
che qualcuno vada a finire fra le gambe dei cavalli, certamente passa. E così
erano i reparti celeri, così sono i reparti celeri: delle jeep, pochi
poliziotti su delle jeep che venivano lanciate alla massima velocità e che
potevano muoversi agilmente anche salendo sui marciapiedi o entrando sotto le
gallerie e persino dentro ai portoni”.
Il periodo scelbiano fu caratterizzato anche da
numerosi casi accertati di torture condotte nel chiuso di caserme e
commissariati, da carabinieri e poliziotti. Il 22 marzo 1954 il guardasigilli
Zoli consegna la relazione in merito all’inchiesta sui casi di tortura, al
guardasigilli De Pietro. Nonostante le forze di polizia e i carabinieri avessero
pesantemente sabotato lo svolgimento dei lavori, i casi accertati furono
centinaia e i fatti configurarono sempre sevizie e maltrattamenti inauditi.
Fra i fatti accertati: l’uso del bastone di nerbo
di bue, l’immissione di sale e pietre nella bocca, abluzioni continuate di
acqua fredda, percosse a sangue, legature di mani e piedi, il cospargere benzina
sui piedi, carta bruciata sotto il
naso e vicino le guance, denudazione di uomini e donne, percosse ai fianchi con
pugni, getto di acqua salata sulla schiena, sigarette accese sulla faccia, sul
ventre, sull’avambraccio, pugni, schiaffi, colpi di regolo, calci agli
stinchi. Innumerevoli i casi di suicidio in soggetti che presentavano tracce di
sevizie e maltrattamenti e a tal proposito si chiedeva retoricamente Lelio
Basso: “Da chi sono uccisi i molti detenuti che vengono trovati morti nelle
guardine e di cui solitamente i certificati medici dichiarano che sono morti per
‘sincope cardiaca’ “(L. Basso - La tortura oggi in Italia - ed. Civiltà
1953 - p. 30).
E’ lecito a questo punto domandarsi se è in relazione a tutti questi fatti, che, secondo il Parisi, dovrebbe emergere “la grandezza umana di Scelba”? e in relazione ai quali lo stesso “non pretese né tantomeno sollecitò o pietì, prebende o onori”? Da parte nostra, com’è naturale, non sorge nessuna meraviglia. Il Gen. Bava Beccaris massacratore del popolo (oltre un migliaio di dimostranti uccisi) venne ringraziato nel 1898 con la nomina a Senatore del Regno e ricevette gli elogi del Presidente del Consiglio e dell’Arcivescovo di Milano. A Scelba invece nulla di tutto questo, ma in compenso nell’anniversario della nascita c’è chi, come il sen. Parisi, ospitato nella rivista ufficiale della Provincia Regionale di Catania (La Provincia di Catania), sfidando ogni logica storica, supplisce a tanta mancanza, nel contempo contribuendo, immagino, a salvare la Patria.
(1) - Organo ufficiale della Provincia Regionale di Catania - nuova serie anno XIX N. 9 - ottobre 2001. Sito internet: www.provincia.ct.it
(2) - Film Bianco e nero di Paolo Pietrangeli, proiettato a Milano nei giorni in cui un carabiniere schiacciò Giannino Zibecchi sotto un camion (17 aprile 1975).
(3) – 147 uccisi e 690 feriti in 8 stragi compiute dal 1969 al 1984.
NOTA GENERALE: Sul sito www.provincia.ct.it è possibile leggere la lettera spedita dall’A. alla rivista “La Provincia di Catania” e la relativa non-risposta da parte della Direzione.