RECENSIONE

La Giudecca di S. Lucia

ANGELO A. MANCUSO, Judaiche di casa nostra. Siti e caratteri costruttivi dell’antica giudecca in Santa Lucia del Mela, Edizioni Istituto Internazionale di Cultura Ebraica “SLM”, Alcamo 2002.

Domenica 30 giugno, nel cortile interno del Seminario di Santa Lucia del Mela, il prof. Titta Lo Iacono, Presidente dell’Istituto Internazionale di Cultura Ebraica “SLM”, ha presentato al pubblico un volume fresco di stampa dedicato alla presenza ebraica in territorio luciese. Ne è autore un giovanissimo ingegnere, Angelo Mancuso, il quale ha avuto la pazienza e la costanza (alla fine premiate) di compulsare i circa 50 mila regesti di antichi atti notarili (dal 1477 al 1686) contenuti negli undici preziosissimi volumi della cosiddetta Giuliana Parisi, gelosamente custoditi nell’Archivio Comunale di Santa Lucia del Mela. La minuziosa ricerca ha consentito all’autore di trovare conferma ed ampliamento attraverso la documentazione locale (atti di compravendita, testamenti e simili) alle poche notizie sugli ebrei luciesi già riportate dal canonico taorminese Giovanni Di Giovanni sulla scorta della documentazione esistente negli archivi pubblici (Regia Cancelleria e Protonotaro del Regno). Egli ha potuto così trovare traccia di una antica toponomastica (oggi scomparsa) indubbiamente originata dalla presenza ebraica: la contrada Giudaica o Giudecca (corrispondente al quartiere abitato dagli ebrei) e la contrada Moschita o Mischita (dove sorgeva la sinagoga). Minor fortuna il Mancuso ha avuto nelle sue ricerche sui luoghi, perché degli ebrei luciesi non ci rimane purtroppo nessun elemento fisico o architettonico: né un reperto, né un rudere, né un segno grafico. Assolutamente nulla di nulla. Né appaiono convincenti gli sforzi che l’autore fa per individuare ad ogni costo una mano ebraica negli “archi atipici” e nelle “strade coperte”, di cui fornisce la documentazione fotografica. Alla fine viene quindi fortemente delusa l’aspettativa ingenerata dal titolo del libro che lascia trasparire la volontà di descrivere i caratteri architettonici ed urbanistici dell’area (la “Giudecca”, per l’appunto) e delle costruzioni utilizzate per alcuni secoli dalla componente ebraica della popolazione luciese. Dal punto di vista urbanistico, l’unica cosa che alla fine Mancuso riesce a dimostrare (e non è piccolo merito, sia chiaro!) è l’ubicazione topografica del quartiere ebraico. E lo può fare non già sulla scorta di un reperto, ma semplicemente basandosi sulla testimonianza di un atto notarile del 1569, dal quale apprendiamo che la chiesa di Santa Maria della Candelora (di cui ancora rimangono i ruderi) si trovava a quell’epoca “nella Giudecca”. Il lavoro di Angelo Mancuso acquista poi una ulteriore meritoria valenza, in quanto fa da supporto scientifico ad un’operazione internazionale che vede il Comune di Santa Lucia del Mela inserito nel contesto della “Charta delle Judeche” (l’unione dei comuni siciliani che hanno ospitato comunità ebraiche) e mira alla creazione di particolari “aree dello spirito” dove studiosi delle tre grandi religioni monoteistiche possano pacificamente convivere in un’atmosfera di fraterna collaborazione. E, come ben si addice al carattere imprenditoriale e commerciale ebraico, l’operazione prevede anche risvolti economici, quale, per esempio, una linea di gioielli appositamente disegnati con richiami alla giudecca luciese. Per la verità, questo lancio di Santa Lucia del Mela in un ambito internazionale, al di fuori degli schemi di un deleterio provincialismo del passato anche più recente, avrebbe richiesto allo studio condotto da Mancuso un maggiore rigore scientifico e l’abbandono di posizioni storiografiche ormai insostenibili. Per quanto possa dispiacere ad una cultura locale a carattere campanilistico, non è possibile, infatti, sostenere che gli Ebrei sarebbero arrivati a Santa Lucia nel IX secolo assieme ai conquistatori arabi, per il semplice motivo che quella presunta conquista araba di Santa Lucia fa parte di una cronaca (il codice arabo-siculo dell’abate Vella) sulla cui falsità nessuno storico avanza più dubbi. D’altro canto non si può ignorare che il 20 luglio 1249 venne redatto un dettagliato verbale giurato sulla consistenza della popolazione e dei cespiti del casale di Santa Lucia, dal quale non traspare alcuna traccia della presenza di una componente ebraica. Né si comprende perché gli ebrei avrebbero dovuto insediarsi in un “casale” di circa 600 abitanti (per l’esattezza, 118 nuclei familiari), ubicato all’epoca nelle immediate vicinanze di Milazzo. Solo a cominciare dal 1322, anno della costruzione (non ricostruzione!!) del castello sul cocuzzolo della “motta” di Mangarrone e della nascita della “terra” autonoma di Santa Lucia, come aggregazione di diversi casali sparsi, può giustificarsi la presenza di artigiani e di mercanti ebrei, attirati dalle privilegiate condizioni giuridiche della nuova unità amministrativa voluta da Federico III d’Aragona. Al giovane Angelo Mancuso, che dichiara di avere in progetto ulteriori pubblicazioni sulla storia di Santa Lucia del Mela, mentre auguriamo di trovare adeguato avallo alle sue numerose e suggestive ipotesi, ci permettiamo di dare un piccolo consiglio: le frasi prese da lavori altrui, fossero anche soltanto dattiloscritti, vanno messe scrupolosamente fra virgolette e corredate sempre col nome dell’autore.