Viaggio tra i documenti, le
testimonianze, i ricordi.

L’ultimo Barone
di Camastrà

di Franco Biviano

"ANDREA GORDONE, BARONE DI CAMASTRA’, 1875-1962".

Sotto una piccola lapide con questo semplice epitaffio è tumulato in un loculo a terra nel Cimitero Monumentale di Messina (tumulo 54 bis, fila 4, N.20) il barone Andrea Gordone, ultimo rappresentante di una nobile famiglia borgognona. Non c’è una foto, nè lo stemma della famiglia. Si era cercato di seppellirlo nella cappella "S. Basilio degli Azzurri", dove riposa una sua cugina, la baronessa Angela Marchese Granatelli in Gordone, ma non c’erano posti disponibili. La scheda a lui intestata lo definisce genericamente "possidente", senza alcun accenno al suo titolo nobiliare, e ci informa che il decesso avvenne a Messina alle ore 8 del 31 maggio 1962 nell’abitazione di Via S. Maria La Porta, n.9. Aveva 86 anni ben portati, come riferisce il nipote Pietro Impò che gli era molto vicino. Il certificato di morte attribuisce il decesso a "marasma senile", ma probabilmente la causa immediata fu un blocco intestinale.  

Figlio di Pietro Gordone e di Vittoria Migliorino, Andrea Gordone subentrò nel feudo di Camastrà nell’anno 1900, alla morte del cugino Pietro, che non aveva figli. Subito dopo il terremoto del 1908 fece costruire la palazzina dove oggi ha sede la trattoria "Villa Sicilia Antica" e la adibì a nuova residenza baronale, abbandonando il vecchio palazzo che era stato restaurato nel 1708 dal suo predecessore Nicolò Gordone e del quale oggi non rimangono che i ruderi. Sulla facciata della palazzina fece collocare un breve motto in latino, oggi asportato: "AGERE SINE LOQUI".

Fu assessore effettivo del Comune di Messina dal 1° agosto 1914 al 27 settembre 1919, mentre era sindaco Antonino Martino. Fu anche Consigliere Comunale di S. Lucia del Mela e Delegato per la Borgata Pace del Mela. Nell’immediato dopoguerra don Gigi Lo Sciotto, nominato sindaco di Pace del Mela dalle autorità militari alleate, lo scelse come assessore.

Ebbe una personalità contraddittoria. Per un certo periodo aderì alla Massoneria, ma nel 1958 donò alla Prelatura di S. Lucia del Mela, retta allora da mons. Ricceri, un terreno a Cattafi perché vi sorgesse "una chiesa con opere annesse" (infatti vi fu costruita l’attuale chiesa parrocchiale). Anche se non era un tipo molto religioso, dotò la chiesetta dedicata alla Madonna dell’Abbondanza, esistente nella baronia sin dal 1720 (la data è riportata sulla campana), di un dipinto e di un altare in marmo portati da Messina subito dopo il terremoto.

"Desidero modesti funerali e che la mia morte sia comunicata a tumulazione avvenuta" scrisse nel testamento.  Alcuni anziani pacesi ricordano, però, che i suoi 60 coloni furono obbligati dall’amministratore, Peppino Amorosia, a recarsi a Messina per seguire il suo funerale e che quel giorno ci fu un vento impetuoso, "come se ci fossero i diavoli nell’aria". In realtà il barone non lasciò nei pacesi un ottimo ricordo. Di corporatura robusta, grande fumatore di pipa e di toscani, doppio mento, voce rauca, ebbe fama di essere un dongiovanni. Non amava molto la lettura, preferiva piuttosto viaggiare. Soggiornò in paesi esotici come l’Egitto e l’India.

I registri anagrafici del Comune di Pace del Mela lo annoverano fra i residenti in due periodi: dal 26 agosto 1937 al 16 novembre 1947 e dal 4 ottobre 1951 al 7 aprile 1959. Nel 1956, quando la coalizione di sinistra della lista "Bilancia" vinse le elezioni amministrative a Pace del Mela con un solo voto di scarto, si rammaricò molto di non essere andato a votare insieme con la baronessa e di avere quindi tolto all’altra lista quei due voti che avrebbero rovesciato la situazione. Normalmente, comunque, viveva a Messina. Quando si trovava a Pace del Mela, quasi ogni pomeriggio si recava nei locali della "Pia Unione" oppure si faceva accompagnare a S. Filippo del Mela per recarsi al "Circolo dei Nobili" a giocare a poker fino alle undici, ma (a quanto si dice) non era un bravo giocatore. Il suo passatempo preferito era la caccia (possedeva cinque fucili). Negli ultimi anni si spostava con una Fiat 1100 nera guidata dall’autista Giacobbe.

Pare che non sia mai andato d’accordo con la moglie, la baronessa Rosina Impò Sisilli, che aveva sposato a S. Filippo del Mela il 30.6.1904. La baronessa morì a Messina il 16 dicembre del 1966. Per sua precisa volontà venne seppellita nel cimitero di S. Filippo del Mela. Di lei, donna di rara bellezza e dall’animo gentile, si racconta che quando, a Natale, le mogli dei coloni venivano a portarle due capponi, dovuti per antica consuetudine feudale, lei ricambiava la "regalia" con camicette, foulards, grembiuli o altri capi di abbigliamento.    

Il barone Andrea non ebbe discendenti (una figlioletta, Vittoria, gli morì all’età di cinque mesi), per cui il feudo di Camastrà, ricadente nel territorio dei due Comuni di Pace del Mela e di S. Filippo del Mela, alla morte della moglie, sua erede universale, passò in proprietà dei nipoti di lei.

Risalente verosimilmente ai primi tempi della conquista normanna, il feudo era appartenuto in precedenza ai Crisafi, ai Balsamo, ai Basilicò, ai Pollicino. I Gordone ne entrarono in possesso nel 1636. Nel 1962, alla morte del barone Andrea, esso si estendeva per poco più di 36 ettari, consistenti per la maggior parte in vigneti ed uliveti, nelle contrade Sputazza, Scracco, S.Agata, Mode, Fossone, Santo Leo, Gebbia, Portella, Anversa, Paolo, Sala, Cafarella. Il barone era anche comproprietario di una flotta di pescherecci.

Probabilmente la qualifica di "possidente" apposta dall’ignoto compilatore della sua scheda mortuaria costituisce il migliore riassunto di una vita trascorsa nella banalità, con l’unica preoccupazione di raccogliere i frutti dei possedimenti baronali capitatigli in dote per un semplice caso.

Anche i suoi avi non sembrano essersi distinti per grandi imprese. A cominciare da quel nobile cavaliere Jean Gordon, venuto in Sicilia dalla natia Salins, nella contea di Borgogna, al seguito del principe don Giovanni Giuseppe d’Austria, figlio illegittimo di Filippo IV  e vicerè di Sicilia dal 1648 al 1651. Il primo Gordone investito della baronia di Camastrà fu Nicolò I (barone dal 1636 al 1655). Gli succedettero, nell’ordine, Domenico I (1656-1702), Nicolò II (1702-1717), Domenico II (1718-1726), Giovanni I (1726-1762), Giuseppe I (1763-1778), Pietro I (1778-1785), Giovanni II (1785-1797), Pietro II (1802-1830), Giuseppe II, Pietro III.

Nessuno di essi ha dato particolare lustro al proprio casato, se non per avere ricoperto qualche carica pubblica.

Da "Il Nicodemo", n. 39 del 29 ottobre 1995