IL PRIVILEGIO DI GAVARRETTA

Analisi e traduzione del più antico documento relativo al feudo di Sicaminò

di Franco Biviano

Questo articolo, che conclude il breve ciclo dedicato a Sicaminò, si propone  di rendere accessibile agli appassionati di storia locale, attraverso la traduzione italiana e con un apparato tecnico ridotto al minimo, un documento finora riservato agli specialisti, cioè il diploma col quale Ruggero II d'Altavilla donò il feudo di Sicaminò al milite Gualtiero Gavarretta come segno di riconoscenza per l'aiuto prestatogli nelle sue campagne militari. Purtroppo non possediamo più il diploma originale, che era scritto in greco. Abbiamo soltanto la trascrizione nei registri della Real Cancelleria del privilegio di conferma, rilasciato a Messina nel 1417 dai due Vicerè, Domenico Ram (che si firmava Ilerdensis) e Antonio Cardona. Questa trascrizione contiene il testo della traduzione del diploma greco in lingua latina, eseguita a Messina il 20 aprile 1271 dal notaio Nicolò Saporito. Gli editori del diploma, Barberi e Garufi, si sono limitati a pubblicare il solo testo della donazione di Ruggero II, estrapolandolo dalla conferma viceregia e bisogna dire che le loro trascrizioni non costituiscono, purtroppo, il massimo della perfezione. Ho ritenuto preferibile quindi, per completezza e per maggiore fedeltà, basare la mia traduzione direttamente sull'unica fonte esistente, cioè sul manoscritto integrale contenuto nel registro n. 52 della Real Cancelleria. Il diploma che prendo in esame è preziosissimo per la storia locale perché si tratta di uno dei più antichi documenti pervenutici relativi a un feudo non ecclesiastico e perché contiene la descrizione dettagliata dei confini della concessione feudale. Volendo rendere un servizio a chi in futuro volesse occuparsi del feudo di Sicaminò, ho eseguito una ricognizione diretta dei luoghi citati nel diploma. E' incredibile come la toponomastica medievale corrisponda in molti casi con quella odierna, anche se la trascrizione della Cancelleria Reale è chiaramente piena di toponimi errati, come nel caso di "Paraspona" per "Parasporo", di "Zefirum" per "Zàfari" e di "aliquo Surchj" per "a li Cafurci". Per avere una visione più chiara dei confini indicati nel diploma di Ruggero II, propongo di seguirne la descrizione basandoci sulla toponomastica attuale (indico in carattere corsivo le località, il cui nome è rimasto identico). Si parte dal fiume di Gualtieri, in località Maloto, dove all'epoca evidentemente esisteva una naseta (cioè un piccolo appezzamento coltivato lungo il fiume). Da lì si sale fino alla contrada Parasporo, detta anche Finata; si scende quindi dalla parte opposta, attraverso il vallone di Nocellì (il diploma lo chiama Dafni),  fino al torrente Divale (del quale il documento non riporta il nome) e, salendo lungo il fiume, si toccano le località Cuccumatà, Silipà, Lancinu, Grottone, Cardile, Mandùcina e si giunge fino alla congiunzione col torrente Firrània o Ferràgina; si procede lungo il corso di quest'ultimo torrente fino alle località Mancusa e Zàfari, quindi si supera la strada che attualmente porta da S. Pier Niceto a Lipantana, si segue il Serro Vìscolo, e si arriva in località Cunnò; qui si gira verso sud e si segue il torrente Cafurci, le località Zullarino, Pietra Romiti, Urtidditi, Serro Castagnara,  Pizzo Salìce e Ula Salìce; da qui si scende fino al torrente Girasìi, poi si sale fino a Lipantana, dove si uniscono i confini dei tre Comuni di Gualtieri Sicaminò,  S. Pier Niceto e  S. Lucia del Mela (il posto si chiama appunto "Tre Finate"); da lì si sale seguendo lo spartiacque del Serro Faraci e si toccano, in successione, la Ula Funna, il Serro Girasera e il Pizzo Ciàula; da qui si scende, passando per Salvo, alle cascate del Catàvolo (ma il diploma non le nomina) e poi, seguendo il fiume di Gualtieri, si toccano le località Camali, Castiddaci e Pumaredda, e si ritorna a Maloto, da dove si era partiti. All'interno di questo circuito sono contenute le località Tavestra, Castagnara, Santa Nicola, Bafìa, Grotticelli, Munaceri, Petrazze, Fontana, Oliveto, Ravanuso, Piani, Melìa, Serra Tetri, Ula Ferri,  Manuserà, Ula Maggiotta, Mondello, Cùllari, Ula Tàiu, Serro Lìmustru, Ula Latru, Ciappazza, Campotto, Forno, Cicirata, Paulotta, Caminò, Serra Ampèlia, Larderia, Piràino ed altre.

Del milite Gualtiero Gavarretta non abbiamo altre notizie. Salvatore Tramontana lo include fra i primi gruppi normanni insediatisi in Sicilia. Probabilmente egli apparteneva a quella nobiltà messinese che possedeva vaste proprietà nella fertile piana di Milazzo. I suoi discendenti, come risulta dal privilegio di conferma, portavano il cognome "Sicaminò" (ma forse si trattava del loro titolo nobiliare). Un Giovanni Gavarretta compare a Messina nel 1340 quale titolare della concessione di un macello in contrada S. Giovanni. E forse apparteneva alla stessa famiglia il notaio Sigismondo Avarretta che nel 1492 rogò un atto pubblico di donazione. La qualifica di "milite", come ha ampiamente dimostrato Federico Martino,  indica la sicura appartenenza al ceto feudale. A tale ceto apparteneva, dunque, il Gavarretta, anche prima della concessione del feudo.

La data cronica della concessione di Ruggero II è un vero rebus. L'anno 6623 della cronologia bizantina corrisponde al 1115 dell'era cristiana, ma in quell'anno correva l'indizione VIII e non la III. Erich Caspar ha suggerito di spostare la data del documento al 1125, che corrisponde con l'indizione III, ma in questo caso bisogna pensare che l'originale greco portasse l'anno 6633. L'ipotesi del Caspar è plausibile, perché Rocco Pirri afferma che Ruggero II iniziò a fregiarsi del titolo di "conte d'Italia" (cioé di Puglia) a cominciare dall'anno 1122. D'altro canto è spiegabile che il copista della Real Cancelleria, nel trascrivere la data secondo lo stile bizantino,  abbia letto "vicesimo tertio" (ventitre) dove c'era scritto "tricesimo tertio" (trentatre).

La conferma viceregia deve essere necessariamente collocata al 17 marzo 1417, cioè dopo il 2 aprile 1416 (data della successione al trono di Alfonso il Magnanimo) e dopo il 1° agosto 1416 (data della nomina dei vicerè Ram e Cardona). La spiegazione della discordanza col privilegio di conferma, che riporta l'anno 1416,  sta nel fatto che a quel tempo l'anno veniva calcolato dal 1° settembre al 31 agosto successivo.

Se, come pare, i primi sovrani normanni si servirono del catasto arabo, i confini indicati nel privilegio di Gavarretta potrebbero corrispondere con "gli antichi confini dei Saraceni", secondo l'espressione contenuta in un diploma rilasciato dal Gran Conte Ruggero nel luglio del 1087. Essi, in ogni caso, sono rimasti inalterati fino ai giorni nostri. Dal 1812, in seguito alla soppressione dei  feudi in Sicilia, quei confini hanno delimitato il territorio prima della "università" autonoma e poi del Comune di Sicaminò, che all'epoca contava 205 abitanti (nello stesso periodo gli abitanti di Pace erano 265). Dal 1° gennaio 1846, con R.D. del 17.2.1845,  gli venne aggregato il villaggio di Soccorso, risultante dall'unificazione dei due villaggi di Soccorso Cròpani e Soccorso Gaedera. Nel 1860, tuttavia, il Comune di Sicaminò e la frazione di Soccorso risultano già uniti al Comune limitrofo di Gualtieri, col quale costituiscono da allora il Comune unificato di Gualtieri Sicaminò.

Non mi è stato possibile individuare con assoluta certezza la chiesa di S. Biagio, né il mulino e la terra di Psilosmore. Probabilmente essi sono da ubicare nell'attuale contrada S. Biagio o Ponte Muto, in territorio di S. Pier Niceto, considerato che la "fiumara della terra di Monforte" va identificata quasi certamente con il torrente Niceto e che una chiesa di S. Biagio, da cui probabilmente la contrada prese il nome, sorgeva fino al secolo scorso sulla soprastante collinetta, nel fondo che appartiene oggi agli eredi della signora Rosetta Ilacqua. Gli anziani del posto ricordano di aver sentito dire ai loro avi che la chiesetta fu abbattuta da una cannonata. All'interno del feudo di Sicaminò era sicuramente presente un'altra chiesa, intitolata a S. Nicola ed officiata da clero greco. Dal Pirri apprendiamo, infatti,  che nel 1145, a distanza di 20 anni dal privilegio rilasciato al Gavarretta, lo stesso Ruggero II (che frattanto aveva assunto il titolo di re di Sicilia) assegnò la "grangia" di S. Nicola di Sicaminò e le sue proprietà terriere all'abbazia basiliana di S. Maria di Mandanici (le due località distano, in linea d'aria, appena 16 chilometri). La stessa chiesa ricompare nelle collettorie delle decime degli anni 1308-1310, dove è registrato il pagamento effettuato dal prete "greco" Domenico, cappellano della chiesa di S. Nicola del casale di Sicaminò.

Il privilegio in esame non fa alcun cenno all'obbligo del servizio militare, al quale ogni feudatario andava soggetto, salvo esplicita esenzione. Come osserva Diego Orlando, nel periodo normanno il servizio militare era implicito nella stessa donazione, essendo "naturale il credere che nei primi tempi della feudalità tutto sia stato regolato dalla prudenza e dalla giustizia del signore diretto". E' certo, comunque, che i successori del Gavarretta erano soggetti alla normale prestazione di un cavallo armato per ogni venti onze di reddito, come risulta dal privilegio di conferma. Non pare, invece, che i signori di Sicaminò abbiano mai avuto il potere di amministrare la giustizia civile e criminale (il cosiddetto "mero e misto impero"). Tale potere venne sempre esercitato, infatti, dai giurati di S. Lucia, come risulta da una vasta documentazione esistente presso l'archivio storico di quel Comune.

Ecco la traduzione.

(sul margine sinistro) A favore di Gerardo Sicamino

Alfonso eccetera.

I Vicerè eccetera. Col presente privilegio intendiamo rendere noto a tutti, presenti e futuri, che Gerardo Sicamino di Messina, venuto alla nostra presenza, ci esibì e presentò un privilegio del fu conte Ruggero, conte d'Italia, Calabria e Sicilia, scritto in lingua greca tradotta dal greco in latino in forma pubblica; tale traduzione, redatta con tutte le dovute formalità da Nicolò Maniscalco di Messina, pubblico notaio, sottoscritta da Nicolosio Saporito, giudice della nobile città di Messina, e da testimoni in numero legale, è del seguente tenore:

Nel nome del Signore, amen. Nell'anno 1271 della sua Incarnazione, il giorno venti del mese di aprile, XIV Indizione, regnando il nostro signore Carlo, per grazia di Dio re eccellentissimo del regno di Sicilia, duca di Puglia, principe di Capua e illustre conte della provincia di Angiò e di Forcalquier, nell'anno sesto del suo regno, felicemente, amen. Noi, Nicolosio Saporito, giudice di Messina, Nicolò Maniscalco, regio pubblico notaio della stessa città e i sottoscritti testimoni istruiti, appositamente chiamati e rogati. Venendo alla nostra presenza Giovanni Sicamino, cittadino di Messina, ci esibì un privilegio greco del conte Ruggero di venerata memoria, munito del noto sigillo dello stesso conte e con la bolla pendente, del seguente tenore. Egli, avendo bisogno per sua salvaguardia di un sunto pubblico del suddetto privilegio, chiese il nostro ufficio facendo istanza che lo stesso venisse tradotto dalla lingua greca in quella latina e che la presente traduzione, con l'intervento della nostra autorità giudiziale, avesse la stessa forza ed autorità, sia in tribunale che fuori, che viene riconosciuta al privilegio greco originale. Pertanto  noi, giudice predetto, dopo avere visto ed esaminato accuratamente il predetto privilegio greco, che in nessuna parte era viziato, abraso o corroso, lo abbiamo fatto trascrivere parola per parola e redigere in forma pubblica latina per mano del nostro suddetto notaio Nicolò, perito nelle due lingue, greca e latina, decretando con l'autorità del nostro ufficio che il sunto stesso abbia in futuro la stessa forza ed autorità dell'originale a garanzia e prova di tutto quello che vi è contenuto. Il tenore del predetto privilegio greco, tradotto dalla lingua greca in quella latina, è integralmente il seguente.

Privilegio fatto da me, Ruggero, conte d'Italia, di Calabria e di Sicilia, e dato a te, milite Gualtiero, detto Gavarretta, nel mese di maggio dell'indizione terza. Verso coloro che ci hanno servito onestamente e senza inganno e sino alla fine hanno mostrato di avere abbracciato il nostro servizio è giusto fare del bene e acquistare grazia per essere ben accetti al Signore,  come pure innalzarli perché col mandato e col servizio siano completamente rimunerati dalla nostra signoria. Per questo, quindi, avendo trovato te, predetto milite Gualtiero Gavarretta,  senza posa impegnato al nostro servizio, per adeguata ricompensa doniamo a te e ai tuoi figli ed eredi nella Valle di Milazzo il feudo del casale detto di Sicamino con i suoi tenimenti, così delimitato: dalla naseta denominata Apsicha si sale a Parasporo, quindi si arriva al vallone di Dafni, poi si scende alla fiumara e, salendo lungo il fiume, si arriva alla Ferràgina e ,salendo ancora, si arriva alla Mancusa; il vallone sale e si arriva ad Amfuci (?), quindi si sale a Zàfare e, salendo per il Serro di Villa (= Vìscolo?), si giunge a li Cafurci; si sale quindi alla Piscarina (?) e poi alla Plata (= Pietra?); si sale ancora lungo il serro fino a Salìce, quindi si scende al vallone di Girasìi e poi si sale, seguendo il vallone, fino a Melonison (?); salendo ancora si arriva a Perrocuchon (?) e si sale per la cresta di Trichana (?); quindi si scende al saliceto di Zignia (?), si scende ancora a Mesochecuria (?), poi si scende al fiume e, seguendo il corso del fiume, si arriva alla naseta di Apsicha e si conclude. Similmente ti diamo il bosco situato all'interno dei suddetti confini. Ti diamo inoltre presso la fiumara della terra di Monforte anche la chiesa di S. Biagio, con le terre della chiesa stessa, e ivi stesso un mulino e la terra detta di Psilosmore e un villano saraceno con i suoi figli, Teoma e i suoi possedimenti. Il suddetto feudo, coi confini che abbiamo detto, lo abbiamo dato a te, predetto Gualtiero Gavarretta, e ai tuoi eredi perché lo abbiate e possediate in perpetuo. Nessuno dei nostri eredi abbia la potestà di osare di togliervi alcunché delle suddette concessioni feudali. A tal fine è stato scritto il presente privilegio e, corroborato e sigillato con la mia consueta bolla di piombo, è stato dato a te, predetto Gualtiero  Gavarretta, nel mese e nell'indizione predetti, nell'anno seimilaseicentoventitre. Ruggero, conte d'Italia, di Calabria e di Sicilia e aiuto dei cristiani.

Per cui a futura memoria e a salvaguardia del suddetto Giovanni è stato preparato il presente sunto tradotto dalla lingua greca in quella latina per mano del nostro predetto notaio Nicolò, munito delle nostre firme, redatto a Messina nell'anno, mese, giorno e indizione predetti. Io, Nicolosio Saporito, giudice di Messina. Io, Vito Baucheri, teste. Io, Giacomo Rosso, teste. Io, Gioacchino Porco, teste. Io, Riccardo Candiloro, teste. Io, Nicolò Maniscalco, regio pubblico notaio di Messina, ho scritto ed attesto.

E il suddetto Gerardo, essendo discendente e della progenie del fu milite Gualtiero, detto Gavarretta, citato nel preinserito transunto, ed avendo, tanto il predetto istante che i suoi predecessori, tenuto e posseduto il predetto feudo di Sicamino con tutti i suoi diritti in qualità di feudatari e di idonei signori, e tenendolo e possedendolo egli al presente, con riverenza ci fece istanza di volere confermare allo stesso Geraldo Sicamino e ai suoi figli ed eredi il suddetto feudo di Sicamino con i suoi diritti e pertinenze. Accondiscendendo benignamente alle sue richieste, poiché ci risulta che tanto il fu Ambrosiano Sicamino, padre dello stesso Gerardo, durante la sua vita terrena, che, dopo la sua morte, il suddetto Gerardo, suo figlio legittimo e naturale, tennero e possedettero il predetto feudo e quest'ultimo lo tiene e possiede al presente,  tenuto conto dei servizi abbastanza graditi resi dallo stesso Gerardo e dai suoi predecessori ai passati Principi di venerata memoria e al predetto gloriosissimo nostro signore, re Alfonso, servizi che egli ancora oggi rende e possa in seguito, Dio permettendo, fare di meglio, allo stesso Gerardo e ai suoi figli ed eredi confermiamo in perpetuo il suddetto feudo Sicamino con i suoi diritti e pertinenze in cambio del servizio militare dovuto per lo stesso feudo, cioè un cavallo armato per ogni venti onze, secondo i redditi annui di esso feudo. Il suddetto Geraldo, venuto alla nostra presenza, spontaneamente dichiarò che tale servizio militare sarà offerto da lui e dai suoi eredi alla Regia Curia del Regno di Sicilia, prestando quindi il debito giuramento di fedeltà e facendo l'omaggio con le mani e con la bocca secondo il contenuto e il tenore delle sacre costituzioni imperiali del suddetto Regno di Sicilia, se e in quanto egli da questo momento si servirà del suddetto feudo secondo le clausole  meglio specificate nel preinserito transunto. Lo confermiamo sulla fedeltà del suddetto gloriosissimo signore nostro re Alfonso e dei suoi successori nello stesso Regno di Sicilia, come pure sulle Costituzioni e sui Capitoli dell'illustrissimo signore Giacomo, un tempo re di Aragona e di Sicilia, editi nel periodo in cui egli governò lo stesso Regno di Sicilia, e degli altri passati re di rinomata memoria, salvi sempre i diritti del predetto gloriosissimo signore nostro re, della Curia e di chiunque altro. A sostegno di tale nostra conferma abbiamo quindi ordinato che fosse approntato il presente privilegio, destinato a valere in perpetuo, e che fosse convalidato e munito col grande sigillo pendente e con le nostre formalità.

Ilerdense         Antonio Cardona

Dato a Messina dal nobile Salimbene de Marchisio, milite, dottore in legge, Protonotaro del Regno di Sicilia e regio Logoteta, nonché nostro Consigliere, familiare e fedele diletto, nell'anno 1416 (= 1417) dell'Incarnazione del Signore, il giorno 17 del mese di marzo, X Indizione, anno primo di regno del detto re Alfonso.

Il Conservatore

I signori Vicerè hanno dato mandato a me, maestro Bono Marescalco, luogotenente nell'ufficio di protonotaro.

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La ricerca è stata integrata con sopralluoghi e con interviste ad anziani conoscitori del territorio, tra i quali ringrazio particolarmente Ferdinando Caruso (n. 1914), Pietro Minuti (n.1912) e Santo Pulito (n. 1921).

Da "Il Nicodemo" n. 62 del 25 gennaio 1998