IL FEUDO DRISINO NEL 1321

La pergamena n. 280 del Tabulario del Monastero di S. Maria Maddalena di Valle Giosafat e di S. Placido Calonerò di Messina
riguarda la divisione del nostro casale

di Franco Biviano

Da alcuni giorni la Biblioteca Comunale di Pace del Mela è entrata in possesso delle copie da microfilm delle prime 800 pergamene del Tabulario del Monastero di S. Maria Maddalena di Valle Giosafat e di S. Placido Calonerò di Messina, conservate presso l'Archivio di Stato di Palermo. Ad operazione ultimata la biblioteca disporrà delle copie e del microfilm di tutte le pergamene del Tabulario. Si tratta di una encomiabile iniziativa, avviata qualche anno fa dall'assessore Franco De Gaetano, che consentirà agli studiosi di consultare agevolmente in loco la riproduzione fedele di importanti documenti che riguardano il passato del territorio messinese. Alcune pergamene, circa una quarantina, riguardano in particolare il casale Drìsino, antica denominazione del feudo della Pace. Mi auguro che l'amministrazione comunale trovi il modo per incentivare lo studio e la trascrizione diplomatica di tutti i documenti che riguardano direttamente il nostro territorio.

Volendo dare ai lettori del Nicodemo un assaggio di quello che contiene questo importante Tabulario, con l'aiuto della prof. Caterina Malta, docente di Filologia medievale e umanistica alla Facoltà di Lettere dell'Università di Messina, ho esaminato la pergamena n. 280 che riguarda la divisione del nostro casale fra i componenti della famiglia di Giacomo Bonifacio che ne erano possessori in comune.

Padre Giovanni Parisi nella sua Storia di Pace del Mela cita questo documento, essendone venuto a conoscenza attraverso un sunto contenuto nei registri del Monastero di S. Placido Calonerò conservati nell'Archivio di Stato di Messina (vol. 119), ma non ha avuto la possibilità di esaminare direttamente la relativa pergamena.

Il 7 ottobre 1321, dunque, si presentarono al giudice di Messina, Francesco Marino, il milite Giacomo Bonifacio, la sua seconda moglie Salvagia, il loro figlio Nicoloso e Pietro Bonifacio, figlio di Giacomo e della prima moglie Costanza. Questi nobili signori chiedevano al giudice di procedere alla divisione del casale Drìssino, da loro posseduto in comune proprietà nella piana di Milazzo, fra i casali di Camastrà (anzi, per la precisione, Crimasta), Cattafi, Gualtieri e Condrò. Secondo le leggi dell'epoca, al figlio di primo letto, Pietro, spettava un terzo dell'intero feudo, mentre i rimanenti due terzi dovevano essere assegnati agli altri membri della famiglia. Preventivamente, quindi, i Bonifacio avevano diviso il possedimento in tre parti più o meno equivalenti. Davanti al giudice Marino essi procedettero al sorteggio delle tre porzioni, in maniera che da quel momento in poi ognuno sapesse con esattezza qual era la sua proprietà e potesse disporne a suo piacimento. Ovviamente un notaio (Bonavita Perfecto) curò la stesura, in doppio originale, dell'atto ufficiale di divisione, dopo che i quattro proprietari interessati, toccando materiamente i Vangeli ("tacto corporaliter libro"), ebbero giurato solennemente che quanto da loro affermato corrispondeva alla realtà dei fatti. La lettura di questo interessantissimo documento ci consente di ricostruire, a distanza di 677 anni, la situazione mappale del nostro territorio comunale nel XIV secolo, ovviamente molto diversa (anche nella toponomastica) da quella odierna.

La prima delle tre porzioni era denominata "pezza di S. Pietro" e comprendeva una vecchia chiesa ormai in disuso, dedicata appunto a S. Pietro. I suoi confini partivano dal pozzo di Drissino, scendevano in direzione nord lungo un vallone e piegando verso est giungevano al vallone della Bruca (oggi vallone Oliveri) che segnava il confine con Gualtieri, poi risalendo il vallone verso sud arrivavano alla strada di Drò e da qui salivano sulla cima del monte di Lombardo (oggi Serro Finata) dove toccavano il confine col casale di Camastrà, a quel tempo appartenente a Leonardo Mostaccio, e andavano a finire al punto di partenza, cioè al pozzo di Drìssino. Il pascolo destinato a questa prima parte iniziava nella parte più bassa della terra di S. Pietro, scendeva fino alla Massaria (sotto l'attuale cimitero) e seguendo la strada di Tagliatore verso est arrivava al fiume, risaliva il fiume seguendo il confine con Condrò fino all'attuale stabilimento Caminiti, quindi saliva verso ovest lungo la strada oggi detta della Mendolara fino al vallone della Bruca.

La seconda porzione era chiamata di S. Maria (dal titolo di una chiesa in essa esistente a quel tempo) e, partendo da una chiesa di S. Nicola, comprendeva una serie di contrade oggi completamente ignote (Cadaroto, Dardinu, Dampilampu, Lupuzu). Tutti questi toponimi sono scomparsi dalla memoria collettiva perché ricadono nella zona oggi urbanizzata. Il pascolo di questa seconda porzione era collaterale a quello della prima parte fino alla Massaria e al fiume Muto, poi scendeva verso nord fino alla spiaggia, voltava verso ovest fino a un posto chiamato Livoti, risaliva il vallone che raccoglieva l'acqua proveniente dal Pantano (l'attuale Saia Mastra), quindi seguiva la strada della Massaria fino al bivio per Bagnara, s'immetteva in quest'ultima strada fino a Trausceri e da lì ritornava alla parte più bassa della terra di S. Pietro.

La terza porzione era quella di Marro. Iniziava anch'essa dal pozzo di Drìssino (comune alla prima e alla terza parte), arrivava fino al vallone che riceveva l'acqua proveniente da Camastrà e seguendo il confine con questo casale saliva in cima al monte di Lombardo. Il pascolo della terza porzione correva lungo il confine con Camastrà e Cattafi fino al mare e da qui, confinando con la seconda parte, saliva fino al monte di Lombardo.

Dalla dettagliata descrizione riportata nella pergamena appare evidente che il territorio del casale Drìsino corrispondeva esattamente all'attuale territorio del Comune di Pace del Mela, con l'esclusione del casale di Camastrà che costituiva una unità a sè stante. Tutto il "casale" consisteva in una vasta zona incolta destinata al pascolo di ovini e caprini. Le pochissime strutture citate nel documento (una masseria, un pozzo, un pagliaio, un abbeveratoio) erano strettamente legate all'allevamento del bestiame, attività tuttora testimoniata dal nome della contrada Mandravecchia e dalla via Mandra (oggi Vicolo Primo Maggio). Nel casale erano presenti altresì due sorgenti, una chiamata Pigadachio e l'altra di S. Nicola, e un canneto nella zona oggi chiamata Cannemasche.

Il sistema viario. Un fitto reticolo di strade attraversava il vasto feudo. La più importante era senza dubbio la Via Reale del Dromo, cioè l'arteria di collegamento fra Messina e Palermo corrispondente all'attuale S.S. 113 e ricadente quasi sicuramente sullo stesso tracciato odierno. Il passaggio delle mandrie lungo il Dromo era consentito soltanto una volta al giorno per tre mesi (da giugno a tutto agosto) per consentire di abbeverare gli animali presso il pagliaio dei Muti. Il documento non parla ancora di alcun fondaco, la cui esistenza è attestata solo a cominciare dal 1421 (G.L.BARBERI, Capibrevi, vol. II, p. 223). Le altre strade erano ovviamente delle mulattiere. Vengono citate la strada di Condrò (corrispondente all'attuale strada della Mendolara) che dal torrente Muto saliva verso il Serro Finata, la strada di Drò (l'attuale via Fontanelle, che non portava ancora a S. Lucia, ubicata all'epoca sotto S. Filippo, a due miglia da Milazzo), la strada della Bagnara che passava sotto Trausceri, la strada di Tagliatore che portava al fiume, oltre a vari viottoli, uno dei quali portava dal Dromo al mare.

Le chiese. Il documento cita tre chiese, una all'epoca già abbandonata e intitolata a S. Pietro, una intitolata a S. Maria e una terza verso il confine con Cattafi dedicata a S. Nicola. Delle tre chiese oggi non vi è più alcuna traccia. Il nome "Santo Pietro" è documentato come toponimo. Fino alla fine del secolo scorso il tratto centrale dell'attuale Via Regina Margherita si chiamava "Via Santo Pietro". I ruderi di una chiesa dedicata a S. Pietro sono citati in un atto  notarile del 16.10.1923 (Notaio Favaloro Giuseppe di Gualtieri Sicaminò, rep. 3681). La chiesa di S. Maria si trovava probabilmente nella contrada che tutt'oggi porta questo nome. Il titolo generico di "S. Maria", senza alcuna specificazione, non ci consente né di affermare, né di escludere che quella potesse essere l'antica chiesa della "Visitazione" citata nel 1736 dal Prelato di S. Lucia mons. Marcello Moscella (PARISI, Nauloco, p. 165). La presenza di chiese nel casale non implica necessariamente l'esistenza di un insediamento abitativo stabile, visto che chiaramente si trattava di chiese padronali, destinate a soddisfare le periodiche esigenze di culto dei proprietari che da Messina si recavano nei loro possedimenti.

I personaggi.  L'atto di divisione del casale vede protagonisti, in qualità di proprietari, i membri della famiglia di Giacomo Bonifacio. A quell'epoca, infatti, i Benedettini di S. Placido Calonerò non erano ancora entrati in possesso del feudo Drìsino, che sarà assegnato loro solo nel 1388 in forza di un legato testamentario di Fazio Bonifacio, nipote ed erede di Giacomo. Uno studio dettagliato sulla nobile famiglia dei Bonifacio di Messina, i cui componenti figurano frequentemente negli atti del Tabulario di S. Maria Maddalena di Valle Giosafat e nei Registri della Cancelleria Angioina, non è stato ancora compiuto. Il nostro Giacomo compare, come giudice di Messina, in un atto del 1275 (Starrabba, doc. 86). Bartolomeo da Neocastro sostiene che all'epoca del Vespro i Bonifacio furono fra i più tenaci avversari dei Riso, ma da una pergamena conservata nella Biblioteca Painiana di Messina apprendiamo che una figlia di Matteo Riso, di nome Gaetana, andò sposa a Lancia Bonifacio.

A quanto ci è dato rilevare, sembrerebbe che all'interno del "casale" dei Bonifacio esistessero qua e là alcuni appezzamenti di terreno appartenenti ad altri proprietari. Fra i tanti nomi citati, per lo più a noi sconosciuti (Bartolomeo Bucalo, Cirillo Maniscalco, Francino e Simone Manula, ecc.), risalta per l'appunto il nome di Matteo Riso, che all'epoca della stesura dell'atto era già morto, ma viene ancora indicato come proprietario della Massaria di Tagliatore. Si tratta di un personaggio molto noto agli storici locali perché coinvolto in prima persona nella guerra del Vespro. I Riso erano una famiglia di mercanti che, una volta arricchitisi con i loro commerci, nel XIII secolo si erano trasformati in proprietari terrieri. In particolare Matteo, valoroso uomo di mare legato agli angioini, nel 1282 venne arrestato e poi ucciso dai rivoltosi messinesi (Amari, Vespro, I, 207).

In che modo i Bonifacio siano entrati in possesso del casale Drìsino non ci è dato di saperlo allo stato attuale delle ricerche storiche. Un piccolo appiglio potrebbe essere la notizia che "agli eredi di Matteo de Riso e ad altri della stessa famiglia furono poi incamerati i beni che possedevano in Sicilia nel 1283" (Amari, Vespro, I, p. 192). Forse l'avversione al partito filoangioino e la devozione alla casa d'Aragona fruttò ai Bonifacio un'adeguata ricompensa in termini di proprietà terriere.

Conclusioni. Se l'analisi sommaria di una sola pergamena ci consente di ricavare tante notizie, è evidente che lo studio approfondito dell'intero Tabulario aprirebbe uno squarcio di ampia portata sulla storia non solo del feudo Drìsino o della Pace, ma sull'intera piana di Milazzo e sui suoi rapporti con Messina. Da parte mia non posso che auspicare che qualche amministratore lungimirante sappia indirizzare un oculato investimento verso un'operazione di recupero della memoria che potrebbe avere anche il suo ritorno in termini economici e di immagine.

BIBLIOGRAFIA

MICHELE AMARI, La guerra del Vespro Siciliano, a cura di Francesco Giunta, Palermo 1969.

ARCHIVIO NOTARILE DI MESSINA, Notaio Favaloro Giuseppe di Gualtieri Sicaminò, rep. 3681.

ARCHIVIO DI STATO DI MESSINA, Corporazioni Religiosi Soppresse, vol. 119, ff. 507-514.

ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Tabulario di S. Maria Maddalena di Valle Giosafat, perg. N. 280

GIUSEPPE ARDIZZONE, Le terre feudali tra Villafranca e Monforte, in "Peloro '96. Nel segno degli Spadafora", Messina 1996, pp. 101-119.

BIBLIOTECA COMUNALE DI PALERMO,

FEDERICO MARTINO, Istituzioni municipali e gestione del potere in un emporio del Mediterraneo, in Messina, il ritorno della memoria, Palermo 1994, pp. 343-397.

Messina, Pergamene del Capitolo conservate presso la Biblioteca del Seminario Arcivescovile "Painiana", perg. 13.

BARTOLOMEO DA NEOCASTRO, Historia sicula, RIS, XIII, Bologna 1921, p. 20.

GIOVANNI PARISI, Dal Nauloco al feudo di Trinisi. Profilo storico di Pace del Mela, Messina 1982, p. 80.

ENRICO PISPISA, Messina nel Trecento. Politica, economia, società, Messina 1980.

RAFFAELE STARRABBA (a cura di), I diplomi della Cattedrale di Messina raccolti da Antonino Amico, Palermo 1888, doc. 86.

Da "Il Nicodemo" n. 69 del 1° novembre 1998