DON SILVIO CUCINOTTA

UN ESEMPIO DI SANTITÀ

La sua figura, incarnazione del Servo di Jahvè e di Cristo Crocifisso, è da proporre all’imitazione di tutti i cristiani

di Franco Biviano

Don Silvio Cucinotta mi avvince sempre più a mano a mano che la sua figura poderosa riemerge dall’oblio ormai quasi secolare. La figura che piano piano si staglia davanti a me non è più soltanto quella di un sacerdote impegnato, di un letterato dalle fine cultura, di un poeta ultrasensibile, di un lottatore accanito. Don Silvio mi appare piuttosto come esempio eroico di virtù evangeliche, modello da proporre all’imitazione di tutti i cristiani, incarnazione viva e tangibile del Servo sofferente e di Cristo Crocifisso. Questa era, tra l’altro, l’opinione diffusa tra coloro che lo conobbero direttamente e che ebbero modo di entrare in contatto con la sua forte e affascinante personalità.

E, in verità, l’esperienza umana di don Silvio, divenuto inaspettatamente oggetto dell’odio dei suoi avversari, richiama subito alla memoria, per la maniera in cui egli ha fatto fronte alla sventura, la figura biblica del Servo di Jahvè: "Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la mia faccia agli insulti e agli sputi" (Is 50, 6). C’è una rispondenza biografica quasi letterale. Basti pensare che all’inizio del 1903 don Silvio fu materialmente bersaglio, nel corso di un vivace dibattito a Nizza di Sicilia, degli sputi dei suoi avversari, che non riuscivano a controbattere la sua stringente eloquenza e la forza delle sue idee radicate nel Vangelo. E probabilmente il suo allontanamento dalla diocesi di Messina fu dovuto più alla sua militanza politica che al suo presunto modernismo. Circostanze e coincidenze mi inducono, infatti, a ritenere che "l’accusa d’esser modernista", di cui parla Tommaso Nediani, sia stata soltanto la copertura di una manovra che affonda le sue radici nell’ambiente socialista e massonico messinese a cavallo fra Ottocento e Novecento.

La risposta di don Silvio alla tempesta che improvvisamente si abbatté sul suo capo è veramente esemplare. Nella sua lettera di dimissioni dalla carica di segretario del Circolo democratico cristiano messinese, egli scrive: "Adorando i disegni di Dio, trovo nella consapevole dignità di coscienza la forza di sostenere serenamente un simile colpo: dalla giustizia divina attendo fiduciosamente il trionfo dell’innocenza. Ho servito sempre fedelmente, con abnegazione, monsignore Arcivescovo, ho fedelmente lavorato nel campo cattolico, con sincerità d’intenti, per la libertà del Papa, per la cristiana restaurazione del popolo, senza mai tradire le istruzioni pontificie, anzi sempre a quelle conformando le mie idee e il mio lavoro". Dopo avere riposto la sua fiducia nella giustizia divina ed essersi protestato innocente, don Silvio compie il gesto che qualifica in ogni occasione il vero seguace di Cristo, quello del perdono dei propri nemici: "Chiedo perdono a quelle persone che io abbia potuto offendere con una semplice parola. E di tutto cuore perdono coloro che mi hanno offeso, che hanno travisato ad arte, col fine di nuocermi, le mie idee e i miei sentimenti, che hanno cooperato a farmi e mi hanno fatto del male". Anzi, fa ancora di più. Si fa portatore della pace in Cristo: "O fratelli, diamoci il bacio della pace, nel nome dolcissimo di Gesù, che ha portato nel mondo la legge soave dell’amore: di Gesù che ha perdonato sempre, che non si è vendicato mai. E dinanzi a Gesù, qui, in ginocchio, io dichiaro – se ancor mi resta il diritto di dichiararlo – che sono innocente".

Da questa linea di condotta don Silvio non si allontanerà mai. Mai una parola che possa far trasparire un desiderio di vendetta. Scrive mons. Ferrigno: "In tutto quel doloroso trambustio, che fece sanguinare la sua anima, mai un accento malevolo o men che riguardoso per alcuno è uscito dal suo labbro". Ancora una volta, si fanno strada nella memoria, prepotentemente, le parole di Isaia: "Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e con ingiusta sentenza fu tolto di mezzo … " (Is 53, 7-8). Come Cristo, egli berrà in solitudine il suo calice amaro e perdonerà i suoi crocifissori:

Sì, vinto, ma innocente,

tutto il calice amaro

io bevo, o mamma, e lente

tristezze ancora imparo;

ma libera, su l’onte

de’ vili, alzo la fronte.

(dalla lirica "Il ritorno", scritta il 16 agosto 1904)

E quando la Chiesa, con un gesto di tardiva resipiscenza, gli chiederà di riprendere a lavorare nella vigna del Signore come umile curato di Pace del Mela, egli accetterà senza fiatare, sempre pronto all’ubbidienza. Come se nulla fosse accaduto, affronterà le fatiche del nuovo ministero con impegno e dedizione, sfruttando al meglio i propri talenti: creerà con sacrifici un giornalino parrocchiale che il vescovo del tempo, mons. Salvatore Ballo-Guercio, giudicava "il migliore fra i migliori", curerà la formazione morale dei fedeli, avrà cura dell’arredo artistico della casa del Signore. Solo una potente emorragia cerebrale riuscirà a bloccare il suo impegno pastorale. Ma anche allora, indebolito ma non domo, egli continuerà a rendersi utile fino all’ultimo alla Prelatura con la sua forbita e trascinante eloquenza.

Lo stile di vita di don Silvio non poteva non suscitare l’ammirazione dei suoi amici e conoscenti. Sicché alla sua morte non furono pochi coloro che esplicitamente parlarono della sua "santità". Lo farà Alessio Di Giovanni, in un suo breve necrologio, definendo don Silvio "un sacerdote nel più alto senso della parola", che "ha lasciato esempi di virtù". Lo farà Pietro Mignosi, chiudendo un suo giudizio critico con una frase epigrafica: "Visse da apostolo, morì da Sacerdote e da Santo". E Tommaso Nediani non esiterà a vedere don Silvio in paradiso: "Gesù che sapeva il tuo cuore ti ha certo accolto nel suo paradiso come un sacerdote santo secondo il cuor suo".

La vita di don Silvio Cucinotta costituisce, dunque, un esempio da imitare. E’ un "tesoro" che la nostra Chiesa particolare dovrà saper rendere operativo perché la vita comunitaria si arricchisca di ulteriori stimoli e modelli. E forse non sarebbe del tutto fuori luogo cercare di dare alla figura di questo santo sacerdote una diffusione extraparrocchiale, in vista di un possibile futuro riconoscimento della sua santità da parte della Chiesa universale.

BIBLIOGRAFIA

Sull’episodio degli sputi a Nizza di Sicilia, v. Educazione socialista, in "Il Faro", anno V, n. 26, Messina 3 luglio 1903, p. 1.

Sul provvedimento di allontanamento del Cucinotta dalla diocesi di Messina a far tempo dal 16 agosto 1904 e sulle sue dimissioni, v. Un grido dell’anima, in "Silvio Cucinotta. Omaggio degli amici di Messina", numero unico, Messina 14 agosto 1904, p. 2.

Sull’accusa di modernismo, v. TOMMASO NEDIANI, Sylvio Cucinotta, in Silvio Cucinotta, nel primo anniversario della sua morte, Messina 1929 (rist. anastatica Milazzo 1998), p. 8.

Per l’ottimo giudizio del vescovo luciese sul bollettino parrocchiale "Pax", v. La parola del nostro Vescovo, in "Pax", anno I, n. 3 (aprile 1923), p. 1.

Per gli accenni alla "santità" di don Silvio Cucinotta, v. ALESSIO DI GIOVANNI, Silvio Cucinotta, in "La Tradizione", vol. I, fasc. V (settembre-ottobre 1928), p. 292; PIETRO MIGNOSI, Silvio Cucinotta, in La poesia italiana di questo secolo, Palermo 1929, p. 57 (sono debitore di queste due segnalazioni alle pazienti ricerche e alla squisita gentilezza del prof. Pappino Pellegrino); TOMMASO NEDIANI, l.c.; MONS. FERRIGNO, Il Maestro, in Silvio Cucinotta, nel primo anniversario della sua morte, Messina 1929 (rist. anastatica Milazzo 1998), p. 29.

La lirica Il ritorno sta in: SILVIO CUCINOTTA, Le tenui, Messina 1906, pp. 19-23.

Da "Il Nicodemo" n. 78 del 2 luglio 1999q