L’Unità

        STORIA DI UN QUOTIDIANO ANTIFASCISTA

 

Io propongo come titolo L’Unità, puro e semplice, che avrà un significato per gli operai e avrà un significato generale perché noi dobbiamo dare importanza specialmente alla questione meridionale”.

Antonio Gramsci ha le idee chiare. E le impone con questa lettera, da Vienna indirizzata al Comitato esecutivo del Pci il 12 settembre 1923. Serve un quotidiano per il suo partito, visto che Ordine nuovo, Il comunista e Il lavoratore sono stati soppressi alla fine del 1922 con la salita al potere del fascismo. Serve un quotidiano che faccia confluire il proletariato del Nord al Pci, che bolscevizzi il partito contro le tesi di Amedeo Bordiga, che allei i contadini del Mezzogiorno e gli operai del Nord.

“Credo che sia molto utile e necessario, data la situazione attuale italiana - scrive ancora nella stessa lettera Antonio Gramsci - che il giornale sia compilato in modo da assicurare la sua esistenza legale per il più lungo tempo possibile. Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito”.

E’ la mattina del 12 febbraio 1924 e gli strilloni tengono sotto il braccio il nuovo quotidiano l’Unità, sottotitolato Quotidiano degli operai e dei contadini: (il sottotitolo cambia in Organo del Partito Comunista di Italia, il 12 agosto dopo la frazione dei terzinternazionalisti).

Il giornale, diretto a mezzadria da Ottavio Pastore (del Pci) e Francesco Buffoni (per i “terzini”, poi rientrato nel Psi) è davvero un po' grigio: piccoli titoli a una colonna e, in alto sotto la testata, un neretto redazionale. Lenin è morto da venti giorni:” Non vogliamo che questo primo numero di un giornale proletario compaia senza contenere un riverente saluto alla memoria del più grande combattente e compagno nostro, teste tolto alla vita -si legge nella prima pagina-. Rimanga il suo nome impresso sull’inizio dell’opera nostra, come promessa per l’avvenire”.

Nasce con alcune caratteristiche davvero nuove per il mondo del giornalismo: una redazione composta solo da “rivoluzionari professionali”, intercambiabile, con una sostanziale parità di retribuzioni, buone sì, ma senza alcuna fantasia di liquidazioni, orari contrattati, dibattiti interni di rivendicazioni salariali. Insomma, o va bene così o buongiorno e arrivederci e si butta subito nella campagna elettorale.

 

                                               PARTITO COMUNISTA ITALIANO

 

Il Pci, nato solo tre anni prima- il 21 gennaio 1921-, ha già 12 mila iscritti e riesce a presentare, per la tornata di fine aprile, le sue liste in tredici delle 15 circoscrizioni: L’Unità arriva a tirare addirittura 25mila copie, nonostante i continui boicottaggi fascisti. Sempre più politicamente schierato, nonostante l’invito iniziale di Gramsci, il 20 aprile, il quotidiano ha quello che si chiama un “ incidente di percorso”. Il primo. Pubblica, infatti, una vignetta su due colonne intitolata La ditta Matteotti & C. fabbrica di facce di bronzo.

Poco più di un mese dopo, il 30 maggio, Giacomo Matteotti pronuncia alla Camera quel discorso, in seguito al quale verrà assassinato il 10 giugno.Ed è Gramsci stesso, tornato in Italia da deputato comunista a indicare il titolo, che diventerà la parola d’ordine del partito, comparso a tutta pagina il 21 giugno del 1924 dopo l’omicidio di Matteotti:Abbasso il governo degli assassini! ( il giorno prima era stato Via dal governo il fascismo. La tiratura, in questi giorni di crisi politica e istituzionale, sale a 70 mila copie.

 

Il giornale è ora diretto da Alfonso Leonetti, la redazione a Milano passa da via Panfilo Castaldi, a viale Abruzzi e l’amministrazione si trova in via Napo Torriani, davanti alla Stazione Centrale . Ed è qui che Gramsci si riserva, per quando arriva da Roma, una stanzetta munita di letto da campo. Nella stessa camera vive, negli altri giorni, un giovane redattore Fidia Sassano. Che ricorda:” Se entravo nella stanza quando Gramsci vi dormiva e vi lavorava ero sbalordito da tre cose almeno: l’enorme quantità di libri che Antonio macinava, il tanfo di sigarette che regnava nella stanza chiusa, l’enorme disordine”.

Nella redazione lavorano, tra gli altri, Leonilde  Tarozzi, Felice Platone, il già citato Fidia Sassano, Giuseppe Amoretti, Leonida Rèpaci (critico e letterario), Girolamo Li Causi, Edoardo D’Onofrio ( che cura la pagina dei giovani ) Camilla Ravera, che redige “ La tribuna della donna”, Pia Carena, già steno-redattrice all’Ordine nuovo e a Il lavoratore, Ignazio Silone e Mario Piccablotto che, quando firma un articolo, premette sempre al suo nome la qualifica di “contadino“. Accanto ai giornalisti di penna, un notevole contributo è dato al giornale dai caricaturisti-vignettisti: Red (Ciuffo), Rebelle (Gino Simonetti), Terzin (Zeppilli, studente al Politecnico di Milano) e il pittore-scultore meneghino Giandante. Nelle maggiori fabbriche, inoltre, ci sono corrispondenti fissi e, nelle grandissime aziende tipo la Fiat, spuntano i “corrispondenti di reparto”: un legame fondamentale per penetrare nel tessuto operaio.

    

 

                                                  CORRISPONDENTI CLANDESTINI

Nel settembre 1925 si tiene un convegno clandestino, nella brughiera di Gallarate, con 37 clandestini corrispondenti delle più importanti fabbriche milanesi. Un rischio per allora, visto che se la polizia li avesse beccati li avrebbe, come minimo, sbattuti in galera . In questo incontro, il direttore Leonetti, dice ai convenuti:” Il giornalista comunista non è che il coordinatore di tutto il materiale che gli perviene dalla fattiva collaborazione di tutto il partito”, in modo da fare, del giornale, “un organizzatore collettivo del partito, e non solo un informatore”.

L’Unità super politicizzata, non ha certo vita facile. I sequestri sono sempre più frequenti. Innumerevoli le irruzioni della polizia. Nell’estate - autunno 1926 cominciano le aggressioni notturne anche per i giornalisti, talvolta costretti a rimanere bloccati in tipografia fino all’alba quando gli squadristi scorazzavano urlando nel viale. Il più grave attacco avviene dopo l’attentato di Bologna a Mussolini, il 31 ottobre 1926: Racconta Camilla Ravera:” La sede de l’Unità fu invasa, saccheggiata, distrutta dalle squadraccie fasciste. Il direttore del giornale, Alfonso Leonetti, fu aggredito e ferito gravemente”. Risultato: frattura del cranio da pugno di ferro e commozione celebrale, oltre altre ferite. Ricoverato all’Ospedale Maggiore, il giorno dopo viene scambiato per Giuseppe Scalarini, dai parenti di quest’ultimo. Tanto sono entrambi irriconoscibili per le botte prese e le bende che li fasciano.

Ormai la dirigenza comunista, sotto l’imperversare delle leggi liberticide, si trova in carcere. La vita legale del quotidiano è legata a un filo. L’Unità esce interamente coperta da una sottoscrizione, un vero plebiscito antifascista, a favore dei compagni in prigione. Il governo prima fa sequestrare il numero (novembre 1926) e poi ne sospende le pubblicazioni.

Ma questo non è il modo di uccidere il quotidiano comunista. Infatti Camilla Ravera, riparata a Genova, lo riorganizza. E insieme con Li Causi e Sassano fa uscire, il 1° gennaio 1927 a Milano, il primo numero clandestino de l’Unità. Quattro pagine in formato ridotto con un titolo feroce : “ La furia della reazione non stroncherà la resistenza proletaria”. Certo, non può più essere un quotidiano: avrà scadenza quidicinale. E così il 10 gennaio appare a Torino: “ Il partito comunista - strilla il titolo in piena pagina - è insopprimibile! Il potere fascista sarà abbattuto dalla classe operaia”. E nel testo delle due edizioni si legge : “ Questo nostro giornalino che oggi esce col titolo glorioso del nostro quotidiano soppresso, rappresenta il persistere della nostra coscienza di classe, della nostra volontà di lotta, e la continuità della nostra lotta”.

 

Accanto al motto Proletari di tutti i paesi unitevi!, nelle manchette compare la frase di Lenin L’avvenire è del comunismo.

Da questo momento l’Unità, stampato su carta sottile, di riso, con caratteri piccoli e quasi impercettibili, diventa sinonimo di giornale clandestino. Raggiunge le carceri, le fabbriche, le officine, le scuole, gli uffici. Ovunque ci sia un antifascista.

Sono i giovani comunisti alla macchia che ne organizzano la stampa e la diffusione: Giovanni Grilli di Ravenna, Umberto Ghini di Bologna e Gino Morelato, tipografo di Verona. Che vengono subito arrestati. E sostituiti da altri. E poi da altri ancora. E ancora. In febbraio l’Unità ha una diffusione straordinaria: 10 mila copie in Lombardia, 8 mila in Piemonte, altre % mila nel resto d’Italia. Per un totale di 23 mila: “ Un giornale clandestino non si legge, si divora - dice il giornalista de l’Unità Paolo Spriano - non si butta via, lo si passa a un compagno, e quello a un altro. E scotta”.

Nel gennaio del 1928 urla in un titolo a tutta pagina : “ Resistete alla seconda ondata di riduzione dei salari! Scioperate a salario di merda lavoro merda! “.

 

 

                                          DIFFUSIONE A TUTTI I COSTI

 

Si ricorre a qualsiasi metodo per far arrivare il giornale ovunque. E anche per riprodurlo: dal poligrafo alla piena litografia, dal ciclostile agli stampini di gomma. Dal 1934 al 1939 la diffusione diventa man mano meno intensa. Ma ecco che si impenna di nuovo: ci sono la guerra e, poi, la lotta nazifascista. Dall’agosto 1939 al luglio 1942 Umberto Massola gli ridà vita, stampato a Milano da tipografie di fortuna, bersagliate dalla polizia. Importantissimo, in questo periodo, il contributo delle donne: redattrici, tipografe staffette per la diffusione. Oltre a Ravera e Carena ecco Rita Montagnana, Teresa Noce, Felicita Ferrero, Serena Seidenfeld, Lucia Scarpone, Pierina Amerio, Giulietta Francini, rischiando ogni giorno il carcere e dopo il settembre 1943, la tortura, la fucilazione.

Il numero distribuito il 7 novembre 1942 è profetico: ”Il 23 settembre 1942 - si legge nel titolo portante - è l’ultimo anniversario fascista che vede Mussolini al potere”; interessante l’articolo, ovviamente anonimo (scritto però da Elio Vittorini), che appare il 7 settembre 1943 nel quale si incita la popolazione a prendere le armi per cacciare i tedeschi dall’Italia. In questo stesso anno, sotto la testata, è stampato: Organo centrale del Pci, fondato da Antonio Gramsci e da Palmiro Togliatti. L’edizione è ora diretta da Velio Spano e, dalla fine del 1944 appaiono le prime interviste, l’Unità organizza, addirittura in pieno clima del terrore, una specie di referendum tra i suoi lettori. Gli operai vengono invitati da Eugenio Curiel a dire la loro sul giornale come è scritto, quello che manca, quello che vogliono appaia, eccetera. La risposta? In poche parole: vogliamo più dottrina politica.

Verso la fine del conflitto mondiale, escono sempre più edizioni: da quelle “storiche” lombarda e piemontese, ecco quella toscana, emiliana, della Sicilia e della Campania. Il confronto tra queste edizioni è illuminante per dimostrare sia l’ampiezza del movimento operaio nella resistenza, sia l’intensità dei problemi e del dibattito politico interno. Il materiale degli iscritti più importanti, viene curato da una redazione unica nell’Alta Italia.

 

 

                                     USCITO DI CLANDESTINITA’

 

All’alba del 25 aprile 1945 nello stabilimento tipografico di via Solferino a Milano ne vengono stampate 500 mila copie. Tutte vendute e il quotidiano del Pci, a liberazione avvenuta, occupa quattro redazioni e tipografie, in via IV Novembre a Roma, in piazza Cavour a Milano, in corso Valdocco a Torino e in salita Di Negro a Genova.

Accanto agli anziani giornalisti, usciti di prigione chi dalla clandestinità, una pletora di giovani inizia il mestiere. E per la prima volta L’Unità ha il lusso di avere un corrispondete all’estero: Franco Calamandrei da Londra. Seguito, poi, da Beppe Boffa che telefona i suoi articoli da Parigi.

Negli Anni Cinquanta sorgono uffici anche a Mosca, Pechino, Varsavia, Praga, Berlino, Budapest. Non c’è più bisogno, insomma, di scopiazzare, come avveniva negli Anni Venti, dalla ROTE FAHNE organo del partito comunista tedesco, da l’Humanitè francese, dal Drapeaurouge belga o dall’inglese Daily Worker. Ma non solo: il poeta Alfonso Gatto sarà il primo “inviato” al Giro d’Italia. A proposito di inviati; l’Unità è l’unico mezzo di informazione italiano che declina la parola inviato. Si, perché se è una donna che viene mandata in giro, l’articolo sarà firmato “dalla nostra inviata “.

Il quotidiano punta a una scrittura semplice, chiara e persuasiva. Ha, in poche parole, una funzione educatrice per le masse del Pci. sulle sue pagine scrivono, negli anni, anche Libero Bigiaretti, Cesare Pavese con la rubrica “Colloqui col compagno”, Italo Calvino con la sua “Gente nel tempo”, Lucio Lombardo Radice, Carlo Mo, Massimo Mila, Natalia Ginzburg, Fausta Cialante, Sibilla Aleramo, Renato Guttuso. E con loro i politici, tra i quali Pietro Ingrao che fa disperare tutti quanti perché non si mette mai alla scrivania prima delle undici di sera con il giornale che “va in macchina“, dopo un’ora al massimo. E altri giornalisti, tutti sempre in prima linea nelle grandi battaglie sociali e politiche, a fianco degli operai nelle rivendicazioni salariali a partire dagli Anni Cinquanta, contro la legge maggioritaria nel 1953, a favore del divorzio nel 1970.

Poi oltre la crisi del Partito comunista e della sua trasformazione, il 10 ottobre 1990, in Pds, l’Unità ancora una volta, cambia, si rinnova: non è più giornale del Pci (come era stato chiamato dal 23 aprile 1987 quando è stata fatta sparire la dicitura organo del Pci) ma, semplicemente, giornale fondato da Antonio Gramsci.

E’ il primo quotidiano ad aver avuto un inserto satirico (Tango prima e Cuore poi); negli anni avvenire è stato diretto da Massimo D’Alema e da Walter Veltroni, dove l’Unità raggiunge, con allegate le cassette dei più bei film e la riproduzione degli albums dei calciatori Panini, nelle sue diverse edizioni, le 250 mila copie.

Il suo ultimo direttore, prima della chiusura, il 28 LUGLIO 2000 è stato Giuseppe Caldarola.

 

 

SI RINGRAZIANO PER LA GENTILE COLLABORAZIONE LA DOTT.SA FIAMMA LUSSANA DELLA FONDAZIONE ISTITUTO GRAMSCI ED  IL DOTT. CARLO PIANTONI

PER LA GENTILE CONCESSIONE FRANCESCO RAPAZZINI E LA ZANFI EDITORI – MODENA –

 

 

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