Quaderni di birdwatching Anno II - vol. 4 - ottobre 2000

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di Alessandro Canci

        La nascita dell'arte è strettamente associata al debutto sul pianeta della nostra specie: l'Homo sapiens. Statuine, incisioni su pietra od osso e soprattutto pitture parietali sono state rinvenute dovunque e rappresentano la più importante innovazione culturale della preistoria del genere Homo.

        I temi dell'arte paleolitica, le cui prime documentazioni in Europa risalgono ad oltre 30 mila anni fa, riguardano soprattutto il mondo animale. Nella stragrande maggioranza dei casi i soggetti delle pitture in grotta o dell'arte mobiliare (statuine, pendagli, collane ecc.) sono i grandi mammiferi dell'ultima era glaciale: Cavalli, Uri, Bisonti, Mammuth, Stambecchi ecc., in alcuni casi raffigurati attraverso semplici stilizzazioni, altre volte ritratti meticolosamente al punto da diventare per lo studioso moderno un'eccezionale fonte di riferimento per quanto riguarda l'aspetto ed addirittura l'etologia di specie estinte da millenni.

        L'avifauna compariva raramente nel carniere dei cacciatori del Paleolitico superiore che preferivano catturare, invece, mammiferi di media e grossa taglia in grado di garantire una maggiore quantità di carne. Anche per quanto riguarda l'arte parietale e mobiliare gli uccelli sono soggetti poco rappresentati, ammontano, infatti, al 18% di tutta la fauna raffigurata (Bahn e Vertut, 1998). Tuttavia, le poche immagini giunte sino a noi sono di grande efficacia.

        Un bellissimo esempio in questo senso è fornito dalle silhouettes di cigni in volo rinvenuti presso il sito siberiano di Mal'ta risalente a circa 23 mila anni fa. Queste piccole figure, misuranti tra gli 8 ed i 10 cm di lunghezza, sono state intagliate su avorio di Mammuth e costituivano i pendenti di una collana. Il cigno si ritrova raramente fra i resti di pasto degli accampamenti dei cacciatori paleolitici, di conseguenza è probabile che l'antico artista non abbia voluto rappresentare una preda consueta, bensì ritrarre un uccello che più di ogni altro segnalava, attraverso lo spettacolo di stormi di decine di individui in migrazione, la nascita e la morte delle brevi, ma biologicamente produttive, estati dell'era glaciale. A conferma indiretta di questa ipotesi, va ricordato che proprio i grandi migratori, soprattutto anseriformi, sono i soggetti di oltre il 37% delle raffigurazioni di uccelli dell'arte paleolitica (Bahn e Vertut 1998).

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Roost di rondini della grotta di Château des Eyzies

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Gufo reale della grotta Chauvet

         Non mancano, comunque, anche raffigurazioni di uccelli di piccola taglia come il roost di rondini inciso su un frammento di costola di bovide ritrovato nel sito della Dordogna di Château des Eyzies in Francia e risalente a circa 12 mila anni fa. Anche quest'opera, sarebbe associabile a ritualità e credenze connesse al cambiamento stagionale (Eastham, 1988).

        Per quanto riguarda i rapaci notturni, un'immagine, straordinaria per suggestione ed impatto emotivo, è quella rinvenuta nella grotta Chauvet nella regione francese dell'Ardeche. Si tratta di quello che molti autori ritengono essere un Gufo reale (Bubo bubo) colto in un momento di allarme con i "cornetti" sollevati e con il capo ruotato. L'opera è stata realizzata incidendo con le dita l'argilla che, consolidatasi, ha conservato l'immagine sino ad oggi. Il Gufo reale della grotta Chauvet rappresenta un unicum in tutta l'arte paleolitica e con i suoi 30 mila anni circa d'età è anche la raffigurazione di uccello più antica attualmente conosciuta.

        Questa specie, generalmente frequentatrice di pareti e cavità nella roccia, doveva essere ben nota all'uomo del Paleolitico superiore, grande utilizzatore di grotte e ripari. Le dimensioni imponenti ed il particolarissimo richiamo del Gufo reale esercitavano, probabilmente, un grande impatto emotivo sugli uomini di quel tempo che forse gli attribuivano una valenza magica. I risultati delle recenti ricerche sulla grotta Chauvet vanno proprio in questo senso, suggerendo per il luogo e per il contesto delle raffigurazioni animali un uso magico-rituale.

        Un suggestivo esempio dell'interesse dell'uomo dell'ultima era glaciale nei confronti degli uccelli marini ci giunge dalla grotta Cosquer, situata lungo la falesia di Cape Morgiou nei pressi di Marsiglia. In questa grotta, il cui ingresso si trova al di sotto della superficie del mare, sono state rinvenute una serie di pitture parietali fra le quali spiccano le sagome realizzate a carbone di tre Alche impenni (Pinguinus impennis) disegnate circa 19 mila anni fa (D'Errico 1994a).


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Alca impenne o rapace del genere Haelietus o Aquila della grotta Romanelli

        Si tratta di un uccello della famiglia degli Alcidi, diffuso fino al secolo scorso nell'Atlantico settentrionale dalla Norvegia fino alle coste di Terranova. La caccia spietata a cui la specie è stata sottoposta dai balenieri prima e dai collezionisti museali poi, ne ha decretato la completa estinzione intorno alla metà del 1800. Curiosamente questa specie rappresenta il vero pinguino in quanto è proprio con questo termine che i balenieri europei battezzarono i noti uccelli australi, notando la straordinaria somiglianza morfologica con le Alche impenni.

        L'Alca impenne era un grosso uccello, alto oltre 70 centimetri ed inabile al volo a causa della ridotta superficie delle sue ali che utilizzava come propulsori durante il nuoto subacqueo (Bengston, 1984; Birkhead, 1993). La sua dieta era esclusivamente piscivora e durante le ere glaciali era diffusamente presente anche sulle scogliere del Mediterraneo occidentale come documentato dai numerosi resti fossili rinvenuti dalla penisola iberica fino alle coste italiane (Cassoli, 1992).

        E' proprio dalla grotta Romanelli, situata in Terra d'Otranto, alla punta estrema della costa pugliese, che un'altra immagine di Alca impenne giunge a concludere questo breve excursus sulla presenza degli uccelli nell'immaginario dell'uomo del Paleolitico superiore. Sebbene la determinazione dell'animale, questa volta inciso su ciottolo, sia tuttora controversa, potrebbe trattarsi, infatti, di un rapace del genere Haliaetus o Aquila (D'Errico, 1994b), siamo di fronte ad un'ulteriore testimonianza del fascino che il mondo alato da sempre esercita sull'uomo.


Bibliografia

  • Bahn P., Vertut J. (1998). Journey through the ice age. Univ. of California Press, Berkeley and Los Angeles.
  • Bengston S.A. (1984). Breeding ecology and extinction of the Great Auk (Pinguinus impennis): anedoctal evidence and conjectures. Auk, 101: 1-12.
  • Birkhead T. (1993). Great Auk islands. T. & A. D. Poyser, London.
  • Cassoli P.F. (1992). Avifauna del Pleistocene superiore delle Arene Candide, Praia e grotta Romanelli (Italia). Quaternaria Nova, 2: 239-246.
  • Chauvet J.M., Deschamps E.B., Hilaire C. (1995). La grotte Chauvet. Seuil, Paris.
  • D'Errico F. (1994a). Birds of the grotte Cosquer: the Great Auk and palaeolithic prehistory. Antiquity, 68: 39-47.
  • D'Errico F. (1994b). Great Auks of the Cosquer cave again: a reply to McDonald. Antiquity, 68: 856-858.
  • Eastham A. (1988). The season or the symbol: the evidence of swallows in the palaeolithic of western Europe. Archaeozoologia, 2: 243-252.

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