Quaderni di birdwatching Anno II - vol. 4 - ottobre 2000

Articolo originale

Titolo

di Salvatore Grenci

Capovaccaio adulto su posatoio - foto S. Grenci 2000

        La popolazione siciliana di Capovaccaio (Neophron percnopterus) è passata in poco più di dieci anni da 20 coppie (Seminara 1985; Iapichino & Massa 1989; Liberatori 1989) a meno di 10 (Salvo 1994). Nel 1997 venivano stimate addirittura non più di 3 coppie, mentre attualmente la situazione, pur abbastanza critica, sembra leggermente migliorata. Una migliore esplorazione ed il lavoro appassionato di un gruppo di appassionati ornitologi, tra i quali il sottoscritto, Massimo Di Vittorio, Daniela Campobello, Flavio Lo Scalzo, Andrea e Giovanni Cairone, ha portato ai seguenti risultati (dati riassunti al termine della stagione riproduttiva 2000):

  • coppie presenti con certezza: 8;
  • coppie che hanno nidificato con certezza: 7;
  • coppie che hanno allevato giovani: 7;
  • giovani involati: 7 (media 1,0).

        Si aggiungano due probabili coppie, tre adulti solitari ed un immaturo di tre anni (avvistato nella stessa area per tre volte nei mesi estivi, evento molto raro in Italia) e il quadro dovrebbe essere abbastanza completo. Siamo lontani, dunque, dalle cifre allarmanti del '97. Va ribadita, dunque, l'importanza della Sicilia per la futura conservazione della specie in Italia, considerando i dati sempre più sconfortanti delle altre regioni che ospitano nuclei sempre più ridotti (Puglia, Basilicata, Calabria).

        Il declino della popolazione siciliana è stato particolarmente rapido dalla fine degli anni '80 alla metà degli anni '90. In questi anni il degrado ambientale, la progressiva rarefazione dell'allevamento tradizionale del bestiame e della pastorizia, la tipologia dei sistemi agricoli, sempre più tendenti a forme intensive comprendenti l'uso massiccio di pesticidi ed altri veleni, l'apertura di cave (spesso abusive) e strade, l'espansione edilizia in siti abitualmente frequentati dal Vulturide, hanno subito una brusca impennata, così come l'espansione di attività turistiche e del tempo libero (arrampicata libera su pareti rocciose, deltaplano), i cantieri forestali stagionali. A queste alterazioni ambientali si aggiungano diverse morti per avvelenamento, sia diretto che indiretto, tramite i famigerati bocconi alla stricnina. Molti esemplari hanno fatto la stessa misera fine dei grifoni, e ogni tanto la barbara usanza viene tirata fuori dai soliti incoscienti: cacciatori (desiderosi di eliminare a modo loro volpi e cani randagi) e contadini (idem). La stessa pratica è stata messa in atto, tuttavia, anche per perseguitare direttamente il Capovaccaio. Porterei diversi episodi, a tale riguardo, ma mi soffermo in particolare su una coppia trovata morta all'interno del nido con il gozzo ancora pieno di carne di pecora da spezzatino ben intrisa di veleno (credo Parathion) e su un esemplare che ho rinvenuto personalmente nel '94 stecchito senza fori di proiettile né altro segno di morte violenta. Altra causa di sterminio il bracconaggio, piaga dura a morire, che ha provocato nell'ultimo decennio diversi abbattimenti di esemplari adulti, e sul quale non è possibile soffermarci in questa sede.

        Qualcosa dirò, invece, sui lavori forestali. Sono condotti con criteri discutibili, sicuramente elaborati da tecnici incompetenti o in malafede, basti pensare agli interventi da guerra totale sulla vegetazione erbacea ed arbustiva dei pendii in aree demaniali. Riporto un caso esemplare: dalla metà del mese di luglio, proprio a poche decine di metri dal nido di una coppia di Capovaccaio nei Sicani, gli operai stagionali hanno, nell'ordine: ripulito il terreno dall'ampelodesma, a mo' di campo di calcio in terra battuta; devastato un meraviglioso roveto; montato un guard-rail pazzesco su una trazzera proprio a strapiombo sulla parete occupata dai Vulturidi. Nonostante il disturbo, la coppia è riuscita ad allevare un giovane, ma nei giorni successivi all'involo è praticamente fuggita verso altre contrade. Ma i pazzeschi interessi politico-mafiosi che girano intorno ai signori delle foreste sono, ovviamente, ben superiori rispetto alla salvaguardia di quel poco che resta da salvare della natura siciliana, chiedete all'agente tecnico che di fronte alle nostre cortesi rimostranze ha risposto con braccia larghe ed un sorriso amaro ed intriso di impotenza.

Capovaccai adulti al nido con pullus
foto S. Grenci 1992

        In Sicilia il Capovaccaio è confinato in un'area ristretta dei Sicani e in alcuni complessi rocciosi isolati nel Nord e nel Centro-Sud dell'isola. Le abitudini particolarmente elusive, soprattutto durante l'incubazione delle uova, e le grandi distanze percorse alla ricerca del cibo ne rendono oltremodo difficile l'osservazione. In genere arriva nelle zone di riproduzione abbastanza presto (difficilmente però prima del 3-7 marzo). Può occupare lo stesso sito anche per molti anni consecutivi, ma è frequente una rotazione del nido, di solito costituito da una cavità su una parete rocciosa non sempre inaccessibile. Nel 2000 sono stati rinvenuti nidi in cavità strette al riparo di una tettoia naturale di gesso, in buchi riparati da cespugli o da giovani lecci, su cengie esposte, su nido di Corvo imperiale rivestito con crine, lana, pezzi di pelle di pecora. In genere le uova vengono deposte ad aprile, mentre l'involo dei giovani avviene intorno alla metà di agosto. La migrazione autunnale può iniziare sin dal 10 settembre, ma sono stati osservati esemplari nei rispettivi siti anche nel mese di ottobre.

        Le abitudini alimentari ne fanno, più che un necrofago, un vero e proprio raccattatore. Nei nidi sono stati rinvenuti resti di insetti (Ortotteri), di mammiferi (Gatto domestico, Ratto, Coniglio, Martora), di uccelli (Piccione, Cornacchia grigia, Gazza), anfibi (Rospo) e rettili (Sauri e Colubridi), nonchè crani ed ossa di ovini. In passato sono stati trovati anche probabili resti di prede di altri rapaci e nidiacei di alcune specie rupicole (Corvo imperiale ma anche Allocco e Falconiformi), dalle quali il Capovaccaio è spesso allontanato con un continuo mobbing.

        Il Capovaccaio, nell'area in questione è stato visto, in particolare:

  • raccattare larve di mosca su escrementi bovini in mezzo a mandrie in stabulazione;
  • cibarsi di escrementi bovini e, forse, ovini;
  • raccogliere un Biacco moribondo, travolto da un trattore in una strada poderale, e uccidere un altro esemplare melanico in aperta campagna;
  • raccattare pesci morti sulla riva di un invaso in seguito alla secca estiva;
  • prendere un sauro e insetti (cavallette?) bruciati da un terreno percorso nottetempo dal fuoco, sfiorando il terreno con le zampe;
  • raccogliere resti di cibo da un nido di Nibbio bruno occupato da tre giovani prossimi all'involo;
  • rifornire ripetutamente il nido di rospi nel corso di una stessa giornata .

         Un nido di Poiana, posto a circa 100 metri dal nido di Capovaccaio, è stato inoltre quasi certamente depredato dal Vulturide (sino al giorno precedente si notavano due pulli in perfette condizioni, il pomeriggio successivo erano spariti) notato mentre si posava sul nido della Poiana o molto vicino ad esso.

Giovane di Capovaccaio prossimo all'involo
foto S. Grenci 1999

        Come si vede, le abitudini alimentari consentirebbero al Capovaccaio di non risentire eccessivamente della difficoltà di reperimento di carcasse abbandonate, evento ormai sempre più raro, sia per le migliorate condizioni igienico-sanitarie degli allevamenti, sia per le norme vigenti che obbligano gli allevatori ad interrare o distruggere gli animali morti. Una maggiore disponibilità di cibo, quale deriverebbe appunto da carcasse di ovini e caprini (più accessibili al suo debole becco), fornirebbe però maggiori chances di sopravvivenza ai pulcini. Da molti anni ormai le ultime coppie allevano soltanto un giovane, nonostante la non infrequente schiusa di entrambe le uova deposte e l'osservazione di entrambi i pulcini per circa due settimane. Gli ultimi involi di due giovani dallo stesso nido risalgono alla metà degli anni '80.

        Il futuro del Capovaccaio è legato ad una serie di interventi ormai non più differibili. La protezione dei siti di riproduzione, finora saltuaria ed effettuata da pochi irriducibili appassionati, dovrebbe essere totale e gestita con maggiore serietà ed autorevolezza dagli agenti del Corpo Forestale. Sarà importante inoltre l'approntamento di alcuni carnai nelle zone abitualmente frequentate dal Vulturide (ma anche dal Nibbio reale, altro rapace in drammatico declino in Sicilia), e la sensibilizzazione delle popolazioni locali, in particolare degli allevatori di bestiame, che potrebbero anche essere coinvolti nel reperimento di carcasse o di animali debilitati e prossimi all'abbattimento, e magari risarciti con un piccolo contributo in denaro, cosa che, seppure in maniera disorganica e saltuaria, alcuni di noi hanno sperimentato con un certo successo. Sarà infine decisivo un piano di rinsanguamento della popolazione, troppo poco consistente per risollevarsi da sola e allontanarsi dal pericolo inbreeding, con un progetto a medio termine che preveda l'allevamento in voliere razionali di esemplari provenienti da Paesi nei quali la specie è particolarmente florida e ha abitudini sedentarie, come la Spagna, da introdurre negli anni successivi e nelle aree idonee. Questo piano potrebbe essere integrato da un monitoraggio degli esemplari in migrazione tramite radio collare satellitare, perché attualmente nulla si sa delle aree di svernamento degli esemplari siciliani e delle possibili concause di morte in quelle terre. Ovviamente per questi ed altri aspetti della sua conservazione occorreranno cospicui investimenti di risorse umane e finanziarie. Molto è stato fatto per alcune specie già estinte (come il Grifone, il Gipeto, lo stesso Pollo sultano, ultima reintroduzione in Sicilia in ordine di tempo), moltissimo si potrebbe fare per il Capovaccaio, e, credo, con investimenti tutto sommato inferiori a quelli necessari qualora la specie dovesse estinguersi sul serio.


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