Quaderni di birdwatching Anno III - vol. 5 - aprile 2001

Lettere in redazione
A proposito dell'articolo "Terminologia: fase o morfismo?"
(su Quaderni di birdwatching n. 3)
di Alessandro Micheli
Coordinamento Faunistico Benacense - Comitato d’Omologazione Italiano

        CONCORDO PIENAMENTE con l’analisi critica del termine fase e dell’uso ambiguo fattone in campo ornitologico, nonché con la necessità di sostituirlo con un vocabolo più appropriato per indicare un particolare aspetto o facies della livrea "fissa", non di transizione, degli animali.

        Dissento, tuttavia, dalla proposta finale espressa da Andrea Corso nell’articolo in oggetto, ossia di adottare il termine morfismo quale vocabolo italiano in grado di tradurre il corrispondente termine anglosassone morph, che denota per l’appunto la facies della livrea perenne. Anche la parola inglese deriva dal greco antico morphê, come l’italiano forma, e si potrebbe usare quest’ultima se non fosse che la stessa è usata in tassonomia con accezione molto ampia, per indicare sia una specie sia una qualsiasi categoria inferiore o variazione individuale.

        Il termine proposto, pur dotato di radice etimologica esatta, indica più correttamente e precisamente, a causa del suffisso —ismo, un fenomeno generale, una condizione astratta (com’è il caso di polimorfismo in biologia e morfismo in matematica), e non i singoli soggetti concreti interessati dal fenomeno! Usandolo, si commetterebbe il medesimo errore che si fa sovente con il termine endemismo, che designa propriamente il fenomeno per cui un taxon è endemico, ovvero la condizione di relativamente ristretta localizzazione geografica dello stesso, il quale si denota più propriamente con il termine endemita. Inteso in questa accezione, ossia come il fenomeno per cui nella stessa popolazione coesistono forme, fenotipi o facies che dir si voglia, visibilmente differenziate, il morfismo di alcune specie di Uccelli è un caso particolare del più generale polimorfismo. Non intendo, per analogia con il lessico fitogeografico, coniare il neologismo morfita, giacché nella terminologia zoologica italiana esiste già un termine equivalente all’inglese morph, ed è il latino morpha (femminile, —phae al plurale); volendo evitare l’impiego di una parola ormai troppo "lontana" dal nostro linguaggio attuale, e siccome il corrispondente maschile Morpho designa un genere di Lepidotteri neotropicali, propongo invece l’adozione di varietà, termine italianissimo che in zoologia è l’equivalente semantico del più specialistico morpha (Lanza B., a cura di, 1982 — Dizionario del Regno Animale).

        Perciò possiamo dire: le varietà scura, intermedia e chiara del Pecchiaiolo, un’Aquila anatraia maggiore della rara varietà fulvescens, la varietà rossa o grigia dell’Allocco, le due varietà di Monachella: stapazina e aurita, la varietà paradoxus del Codirosso spazzacamino, ecc.



risponde Andrea Corso
C.I.R. (Comitato Italiano Rarità)

        Ho letto con piacere la lettera inviata alla redazione di Quaderni di BW dal Dott. A. Micheli. Non avevo fatto una così approfondita analisi lessicale etimologica per giungere alla proposta di non usare ulteriormente il termine fase e di sostituirlo col termine di "morfismo". Date le ragioni diciamo grammaticali ampiamente e doviziosamente sostenute da Micheli, credo dovrei ora optare per la scelta del termine, da lui proposto, di "varietà" invece di quello da me suggerito di morfismo. Mi andrebbe pure bene ma prima lasciatemi fare delle considerazioni concrete, scevre di virtuosismi linguistici.

        L’inglese morph deriva dal greco antico morphe, così come l’italiano forma. Forma significa: "l’aspetto di un oggetto - di un qualcosa (n.p.) - sufficiente a caratterizzarlo esteriormente" (Devoto-Oli). In zoologia già esistono una miriade di esempi per usare detto termine. Quindi forma andrebbe bene. Sennonchè, come giustamente riporta Micheli, il termine è eccessivamente usato, e con accezione molto ampia - direi anche troppo ampia. Ma allora, varietà o morfismo?

        Procediamo con ordine. Come in tutti gli indovinelli della sfinge, la soluzione è racchiusa nell’indovinello stesso. Così leggo nella lettera in questione: il "... suffisso -ismo... indica più correttamente e precisamente, un fenomeno generale, una condizione astratta...e non i singoli soggetti concreti interessati dal fenomeno". Detto fatto, appunto. Quello che sta a significare e vuole indicare il termine inglese morph usato in ornitologia e quello che dovrebbe significare un corrispettivo termine italiano, è esattamente un fenomeno generale, una condizione astratta. Ecco perché uso morfismo. Infatti, se io dico un’Aquila minore del morfismo scuro, intendo un individuo avente dei caratteri che la identificano come appartenente a questo morfismo ma che non è assolutamente identica a tutte le altre, non può esserlo. Se dico un Falco della regina del morfismo chiaro, voglio indicare che appartiene a questo morfismo, non voglio e non potrei mai indicare proprio quel singolo, concreto individuo, quell’individuo in particolare. Devo necessariamente usare qualcosa che in maniera astratta, generale, accomuni migliaia, milioni (miliardi?) di singoli soggetti uno diverso dall’altro, accomunati da caratteri ricorrenti assimilabili ma con ogni individuo differente dall’altro. Se come dice Micheli, volessi indicare "...i singoli soggetti concreti interessati dal fenomeno" e quindi usassi, con questa intenzione (e in effetti, correttamente, col suo proprio significato) il termine varietà, dovrei dire: "Ho visto un Pecchiaiolo della varietà bianca immacolata, seguito da uno della varietà bianco a barre nere e uno della varietà bianca a barre nere e strie scure sul petto ecc." così via per tutti i 2.000 osservati in quel giorno. Se vedessi uno Labbo scuro dovrei dire " ho visto un Labbo della varietà bruno-caldo acceso, in volo con un individuo della varietà bruno scuro spento".

        Ma noi non vogliamo, ne possiamo, indicare individui concreti e singole unità tangibili, vogliamo individuare un fenomeno generale, astratto, sotto cui poter accomunare idealmente tutti i soggetti con caratteri simili. Da qui, morfismo. Ergo...

        Micheli scriveva "...il morfismo di alcune specie di Uccelli è un caso particolare del più generale polimorfismo". Per l’appunto; dico, infatti, che il Pecchiaiolo ha piumaggio polimorfico, che il Falco di palude ha piumaggio dimorfico (il morfismo tipico e il "dark-morph", il morfismo scuro) ecc. Anche perché parlare di divariante o polivarietà un po' stona.

        E ancora: "Perciò possiamo dire: ...un’Aquila anatraia maggiore della rara varietà fulvescens...le due varietà di Monachella: stapazina e aurita, la varietà paradoxus del Codirosso spazzacamino, (...) Come dire, ad esempio, la variante di piumaggio "saceroides" del Falco cherrug, o "superciliaris" della Motacilla (flava) feldegg, ecc."

        - fulvescens: altro non è che una variabilità di piumaggio. Non si tratta di varietà, nell’uso fatto si tratta invece di una variabilità di piumaggio, di una variante (o variazione?). Che mi risulti infatti, non sono stati documentati casi di fulvescens nel piumaggio adulto di Aquila clanga. Ragion per cui viene ritenuta una semplice variazione di piumaggio (Forsman, 1999; Clark, 1999).

        - Nella Monachella, stapazina e aurita erano due termini usati per indicare la specie del genere Saxicola quando la Monachella veniva inclusa in questo genere e non in Oenanthe sp. Se non erro, si usava indistintamente (auctores) sia per Oenanthe (hispanica) hispanica che per Oenanthe (h.) melanoleuca, sia a "orecchie nere" che a "gola nera" (cfr. Arrigoni degli Oddi, 1929). Se così non fosse, e si usava per indicare i due tipi "orecchie o gola nera", sono termini che non leggo più da opere dei primi del ‘900. Non credo quindi siano termini usati ulteriormente, di recente.

        - paradoxus era ritenuta una fase/morfismo/varietà del Codirosso spazzacamino sino a metà ‘900; di recente è ritenuto solo un piumaggio anomalo, solo una anomalia di piumaggio e non una varietà o morfismo e non viene più usato nelle guide di identificazione e nei lavori specifici vari.

        In generale, l’utilizzo di un termine latino o greco per indicare una fase/morfismo/varietà era in uso in tempi passati. Di recente non si usa più anzi lo si trova ancora solo in rari casi per indicare una ben precisa e riconoscibile variabilità di piumaggio, per circostanziare una variante con caratteristiche generali determinate ben riconoscibile, anche in natura, tra le tante variazioni di un piumaggio tipico (come ad es. fulvescens, saceroides ecc.).


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