Quaderni di birdwatching Anno III - vol. 5 - aprile 2001

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Titolo
testo di Roberto Garavaglia
foto di Armando Bottelli, Roberto Garavaglia, Enzio Vigo

        COME TUTTI GLI ABITANTI DEL CANNETO, anche il Tarabusino è elusivo e non facile da osservare. Quantomeno, al contrario di altri che proprio non escono mai allo scoperto, lui, almeno ogni tanto, si concede e si lascia vedere, soprattutto il maschio, mentre passa in volo sopra il fragmiteto. Ben di rado capita di sorprenderlo allo scoperto, ai margini del canneto, e allora si può assistere al suo sorprendente comportamento mimetico: si immobilizza e si allunga, testa e becco puntati verso l’alto, sfruttando le striature verticali del piumaggio per scomparire sullo sfondo delle cannucce. E allora, per scorgerlo, ci vuole davvero buon occhio.

        Il Tarabusino non è coloniale, non nidifica in garzaie come molti altri ardeidi; anzi le coppie sono piuttosto territoriali e se due nidi vengono a trovarsi troppo vicini, i maschi passano un sacco di tempo a inseguirsi a vicenda. Per questo, non è mai molto numeroso, nemmeno negli ambienti più favorevoli. L’intera popolazione Italiana viene stimata in circa 2.000 coppie riproduttive, in gran parte concentrate nella valle del Po.

        Il Tarabusino è un migratore, che abita le nostre zone umide da aprile a settembre, per poi ripartire alla volta dell’Africa sub-sahariana. Questa specie ha sofferto in maniera grave delle devastanti siccità che si sono susseguite negli ultimi 30 anni nella zona del Sahel e dell’incalzante fenomeno della desertificazione. Sembra, infatti, che il Tarabusino si faccia l’intera migrazione (attraversamento del Mediterraneo e del Sahara) in un unico volo, tutta d’un fiato. E, in questa condizione, 500 chilometri in più di deserto da attraversare possono rappresentare un fattore decisivo per la sopravvivenza.

        Unico tra gli aironi di casa nostra, il Tarabusino presenta un marcato dimorfismo sessuale. Il maschio [foto 2] ha vertice, nuca, collo, mantello e coda di un bel nero lucido, che contrasta con il rosa delle copritrici, mentre la femmina [foto 3] ne è una versione più sobria.

        Il piumaggio dei giovani [foto 4] assomiglia a quello della femmina, ma è ancora più striato e macchiato di fulvo e di bruno.



foto 2


foto 3


foto 4

        Il nido del Tarabusino è ben celato nel folto del canneto [foto 5]. Nonostante tutte le cautele dei due genitori, che atterrano lontano dal nido per poi raggiungerlo camminando furtivi al coperto, la covata è esposta a mille pericoli. Prima fra tutte la predazione delle uova, da parte degli onnipresenti ratti. Ho seguito una coppia che ha perso, una dopo l’altra, ben tre covate e solo dopo ferragosto è riuscita finalmente a far schiudere le sue uova. I giovani hanno lasciato il nido solo in settembre e proprio non so quali possibilità avessero di affrontare la migrazione.

        Altro grande rischio sono le variazioni di livello dell’acqua: una forte diminuzione può lasciare il canneto accessibile ai predatori terrestri, mentre uno sbalzo verso l’alto può mandare le uova sott’acqua.

        Il Tarabusino è una specie prolifica: una covata normale è composta da 5 — 7 uova. La schiusa è asincrona, per cui l’ultimo nato è molto più piccolo e debole dei fratelli e spesso soccombe.



foto 5


foto 6


foto 7


foto 8


foto 9


foto 10

        Entrambi i genitori [foto 6] accudiscono i nidiacei. Come è tipico per gli ardeidi, i Tarabusini non trasportano il cibo portandolo nel becco; invece inghiottono le prede e, una volta giunti al nido, le rigurgitano. Ma non è un processo semplice: alle volte i nidiacei devono insistere e stimolare gli adulti [foto 7] per una buona mezz’ora, prima di riuscire ad indurli a rigurgitare [foto 8]. E se i piccoli sono affamati, l’intera sequenza diventa parecchio frenetica.

        I piccoli Tarabusini sono precoci: fin dai primi giorni di vita, manifestano in maniera del tutto istintiva il tipico comportamento mimetico [foto 9] della specie e già alla età di una settimana cominciano ad arrampicarsi sulle canne e a vagabondare attorno al nido; vi fanno comunque sempre ritorno, per essere nutriti e riscaldati [foto 10], fino alla quarta settimana di età, quando lo abbandonano definitivamente.


referenze delle immagini

  • Armando Bottelli: foto 9
  • Roberto Garavaglia: foto 5, 6, 7, 8, 10
  • Enzio Vigo: foto 1, 2, 3, 4

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