Quaderni di birdwatching Anno III - vol. 6 - novembre 2001

Editoriale
Titolo
di Salvatore Grenci

        NEGLI ULTIMI TEMPI ho letto sulla nostra mailing list, a volte divertito, a volte un po’ meno, di polemiche su una presunta dicotomia tra il ruolo del birdwatcher e quello dell’ornitologo. Faccio mia, non senza qualche perplessità, l’accezione comune e scontata che in fondo birdwatcher ed ornitologo sono due facce della stessa medaglia. Certo, bella forza: voglio vedere un ornitologo che studia e scrive senza quella tenacia che solo certi birdwatchers sfoggiano nel frugare in uno stretto oculare alla ricerca di un gabbiano un po’ diverso dagli altri mille del branco. E voglio vedere il birdwatcher che in cinque secondi (ma a volte meno…) deve stabilire se il puntino passato a cinquecento metri sia un Lanario o un Sacro senza avere quel bagaglio di esperienza e di conoscenza "da ornitologo".

        Vivo in Sicilia e in questa fase mi ritengo l’uno e l’altro, a volte nessuno dei due, secondo il livello di frustrazione raggiunto al termine di giornate passate a cercare, scrutare e aspettare senza raccogliere granché. Vivo in Sicilia, e dunque, avendo presente la realtà dei paesi anglosassoni, dove il BW è religione o quasi e dove spesso mi reco causa parentele acquisite, e conoscendo sommariamente la realtà del BW nella nostra penisola, mi trovo spesso a confrontare le varie situazioni.

        Considerazione obbligatoria: qui siamo all’anno zero, o quasi. Per diverse ragioni. Innanzitutto, in un territorio depredato per secoli e tuttora saccheggiato con le scuse più disparate, c’è sempre meno spazio per la biodiversità e conseguentemente minori sono le possibilità di andar per campagne con velleità diverse dal gheppio sul palo o dal passero sul filo del telefono. Riporto da un mio vecchio quaderno di appunti, credo del 1984: "…sono stato a…. Bel posto, mi sono dovuto fare un mazzo così per giungere sul colle, nemmeno un sentiero di capre. Scalata vana. Ho aspettato quattro ore, col sedere piagato dai cristalli della roccia gessosa, appiccicato di sudore e terriccio. Niente Aquile, maledizione! Solo quei dannati e onnipresenti Capovaccai, e quei casinisti dei Corvi imperiali e dei nibbi che gracchiano e nitriscono…". Quel giorno credo di avere visto almeno una ventina di Capovaccai, quattro contemporaneamente. Anni dopo scopro che anche Andrea Ciaccio aveva goduto di visioni analoghe: goduto, perché lui almeno vedeva quattro Capovaccai e due Aquile reali sulla stessa termica. Sapete tutti come stanno oggi le cose: gli onnipresenti Capovaccai sono ormai avviati sulla strada dell’estinzione, per vedere i banali nibbi devo avere molta fortuna, le aquile rare erano e ancor più rare sono diventate. E per andare su quel colle non serve più scarpinare, perché la Forestale ha tracciato una bella autostrada (per operai stagionali e bracconieri, mica per noi).

        Altro problema: se vado in Gran Bretagna e tiro fuori un binocolo vengo completamente ignorato, al massimo spunta fuori un altro come me che si chiede se per caso non abbia avvistato chissà quale accidentale. Se vado per campagne dalle mie parti e tiro fuori un binocolo, nove su dieci esce fuori il tizio che, dopo averti squadrato da capo a piede, ti dice che lì non puoi stare perché è proprietà privata. O, peggio ancora, crede che tu stia spiando chissà chi o cosa e, se ti va bene e non è Bernardo Provenzano, ti apostrofa in malo modo, e magari, parafrasando Andrea Camilleri, mi assuglia i cani. E se invece qualcuno si avvicina con fare curioso devi immediatamente far capire di essere, che so, un geologo o un botanico, perché rocce e piante non le può togliere ma una coppia di rapaci in grado di attirare curiosi li può tirare giù con una fucilata. Le stesse che in anni recenti hanno cancellato vari rapaci da siti storici per qualche chiacchiera di troppo sfuggita al curioso di turno e giunta alle orecchie sbagliate.

        C’è spazio, allora, per il BW nel profondo Sud? Esiste la concreta possibilità che evolva da passione sfrenata di pazzi isolati verso qualcosa di diverso, ossia che si sviluppi? Esiste, certo, a patto di trasformarlo in argomento forte.

        Per esempio in una delle tante facce del cosiddetto sviluppo sostenibile, o eco-compatibile. Se gli scandinavi e gli inglesi vanno a fare BW in Grecia, Spagna o Israele, possono benissimo scendere anche da noi, basta fornire loro un minimo di strutture ricettive e di confort, dal B&B alle pensioncine. Non mi risulta che a Monfragüe o a La Serena abbiano fatto i villaggi turistici, eppure sapete tutti quali flussi di turismo, sia pur di nicchia, riescano ad assorbire. Quindi un primo obiettivo, visto che in questo mondo il dio denaro ha sempre l’ultima parola, è quello di trasformare una passione in una possibile fonte di reddito per gli abitanti delle zone più ricche di siti ad alta naturalità (e quindi di uccelli). E avviare una altrettanto forte pressione sulle istituzioni, facendo capire l’enorme potenzialità di flussi turistici diversi da quelli di massa, gente che viene per spendere soldi e guardare, senza portar via un filo d’erba. Penso allo scempio di Rocca Ficuzza, un sito incredibile, dove potrebbe tornare il Grifone e sono di casa Grillai, aquile e falconi: quale avrebbe potuto essere, la decisione del Comune di Caltabellotta, se qualcuno avesse prospettato centinaia di birdwatchers in visita su quelle colline prima o invece dell’installazione di un’oscena centrale eolica? Probabilmente ci avrebbero pensato un po’, prima di dare il via libera.

        BW e sviluppo: una carta da giocare. Altro è invece lo scopo divulgativo, lo strumento per avvicinare alle tematiche di interesse ambientale i ragazzi (ma anche i meno giovani), sperando di strapparne almeno una piccola percentuale al Grande Fratello ed analoghe manifestazioni di degrado culturale.

        La crescita del BW in Italia, pur lontana dagli standard anglosassoni (ma lì entra in gioco una cultura a noi in buona parte sconosciuta), può, anzi, DEVE essere salutata come un ulteriore manifestazione di crescita della coscienza ambientale in un Paese, il nostro, nel quale in rarissimi casi si è riuscito a conciliare il cosiddetto sviluppo con la salvaguardia dei beni naturali.

        In Sicilia, regione nella quale i precari forestali continuano imperterriti ad appiccare il fuoco anche a novembre inoltrato per ricattare le istituzioni, siamo ancora più lontani, ed è proprio l’annullamento di questo gap culturale che il moderno birdwatcher, e, ovviamente, tutte le associazioni che si occupano di protezione della natura, devono porsi come obiettivo primario, parallelo all’arricchimento individuale e allo scambio di vedute.

Salvatore Grenci è il nuovo direttore responsabile di Quaderni di birdwatching



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