Alla cortese attenzione
di Federico Fiaschi
amministratore delegato Giallo Dat@S.p.A.
Ricerca Nazionale 2001
S.S. Pontina km. 29,100
00040 Pomezia (ROMA)
Consumare e fare la spesa ci sembrano fatti banali che riguardano solo noi, i
nostri gusti, le nostre voglie, il nostro portafoglio. Eppure il consumo è
tutt’altro che un fatto privato e non può essere affrontato badando solo al
prezzo e alla qualità. Il consumo è un fatto che riguarda tutta
l’umanità perchè dietro a questo nostro gesto quotidiano si nascondono
problemi di portata planetaria di natura sociale, politica e ambientale.
Il nostro consumo è inquinante. L’immondizia deposta per strada accanto
a bidoni traboccanti ci ricorda che i consumi generano inevitabilmente rifiuti che
a loro volta creano sempre problemi di inquinamento. I rifiuti finali, tuttavia,
sono solo un aspetto, e forse neanche il più grave, dell’impatto ambientale
provocato dai nostri consumi. Il danno peggiore si ha durante la fase produttiva.
I prodotti chimici che ci vengono venduti per tenere le nostre case così pulite,
avvelenano le zone di produzione con sostanze tossiche di ogni tipo. La carta, che
ormai utilizziamo per tutti gli scopi, sta provocando un pauroso impoverimento di
boschi e foreste a livello planetario. Non parliamo poi dei gas prodotti dalle centrali
elettriche che producono energia necessaria per far funzionare l’imponente macchina
industriale della nostra società dei consumi. Ed ecco il buco dell’ozono che
si allarga e l’effetto serra che avanza.
Il nostro consumo è insostenibile. Il dramma è che facciamo
pagare il prezzo ambientale anche a quei popoli che non partecipano al nostro “banchetto”.
Gli strani tumori della pelle che stanno comparendo nel Cile meridionale potrebbero
essere il risultato del buco dell’ozono che si è formato sopra l’Antartide.
Ma i gas che sono responsabili del buco provengono dalla nostra parte del mondo.
Proprio a partire dagli aspetti ambientali risulta evidente che il nostro stile di
vita entra in concorrenza con quello della gente del Sud del mondo, che ha bisogno
di più cibo, più vestiti, più mezzi di trasporto, più
alloggi, più strutture sanitarie, più macchinari. Tutto ciò
richiede una crescita produttiva che il Sud del mondo potrà attuare solo se
il Nord del mondo rinuncerà a fare la parte del leone nell’uso delle risorse
e se produrrà meno rifiuti. D’altronde è dimostrato che non si può
giungere ad un equilibrio tra Nord e Sud portando tutta la popolazione terrestre
al nostro tenore di vita? perchè se tutti gli abitanti della Terra consumassero
quanto consumiamo noi, ci vorrebbero altri sei pianeti da utilizzare come fonti di
materie prime e come discariche di rifiuti.
Il nostro consumo è opprimente. Il nostro consumo danneggia i popoli
del Sud del mondo non solo perchè corrode spazi di sviluppo, ma perchè
contribuisce al loro sfruttamento. I fatti parlano chiaro! Nel 1999 nelle piantagioni
di ananas di Del Monte in Kenya, un bracciante guadagnava solo 3.000 lire al giorno,
quanto bastava per comprare appena 3 kg di farina di mais. Nel 1998, in Indonesia,
nelle fabbriche che producono per la multinazionale Nike, gli operai lavoravano 270
ore al mese ed erano pagati meno di 64.000 lire mensili. Naturalmente si tratta di
paghe degli adulti, perchè i bambini prendono molto meno. Nelle fabbriche
indonesiane la paga media di un bambino che lavora otto ore al giorno per sei giorni
la settimana era di 30.000 lire al mese (1998). l lavoro minorile è molto
diffuso ne Sud del mondo e non per incuria delle famiglie, ma perchè gli adulti
non guadagnano abbastanza e i padroni trovano i bambini più docili. Da un’indagine
risulta che in Indonesia, nella zona industriale del Tangerang, il 22% dei bambini
lavorano in situazioni a rischio perchè maneggiano sostanze tossiche o manovrano
macchinari pericolosi, senza alcun tipo di protezione. Anche dal Guatemala giungono
testimonianze incredibili, come mostra un rapporto apparso su The New Internationalist
del novembre 1992: “Le donne del settore tessile sono pagate meno di un dollaro
al giorno e subiscono frequenti abusi sessuali. Nella fabbrica Lucasan, ogni 15 giorni
sono messe in fila e sono colpite alla pancia per scoprire se sono incinta. Chi lo
è viene immediatamente licenziata. Se le operaie tentano di organizzarsi,
le fabbriche vengono chiuse e riaperte dove il sindacato non esiste ancora. Aura
Marina Rodriguez, un’attivista sindacale alle dipendenze della multinazionale Phillips
Van Heusen, è stata assassinata nel 1992”. Dalle piantagioni del Centro America
giungono notizie di gravi intossicazioni da pesticidi perchè le multinazionali
delle banane (Chiquita, Del Monte, Dole) continuano ad usare prodotti che sono proibiti
nei paesi industrializzati. Fra questi, uno dei più pericolosi è il
DBCP, che in Costa Rica e Honduras ha reso sterili circa 4.000 lavoratori.
E’ evidente, quindi, che con l’attuale stile di consumo non facciamo altro che sostenere
il pericolo di guerre, la distruzione del pianeta, lo sfruttamento, la corruzione,
l’oppressione. Ma se vogliamo salvare il pianeta, se vogliamo far crescere la giustizia,
la partecipazione, la nonviolenza, allora dobbiamo consumare meno e dobbiamo prendere
le distanze dalle imprese che si comportano in maniera iniqua. Dobbiamo, quindi,
imboccare la via del consumo critico.
Consumare criticamente vuol dire basare le proprie azioni di consumatori su:
S la riduzione della quantità di beni e risorse utilizzate attraverso il risparmio
energetico, la riduzione dei consumi superflui, la diminuzione dei rifiuti prodotti,
la limitazione dell'uso dei mezzi di trasporto privati a favore di quelli pubblici;
S il riutilizzo di oggetti ancora utilizzabili. Il fatto che li buttiamo via crea
inutili costi di smaltimento e spreco di risorse naturali.
S il riciclo dei materiali utilizzati per rispettare l'ambiente e i bisogni delle
generazioni future
S l'attenzione affinchè siano rispettati i diritti sociali, sindacali, economici
dei lavoratori impiegati nei processi di produzione delle merci.
Come consumatore critico presto sempre la massima attenzione al valore sociale
e ambientale di ogni prodotto, piuttosto che alla personale convenienza.
Quando devo acquistare qualcosa mi chiedo: mi serve? Quanto davvero lo userò?
Posso averlo in prestito da un amico o da qualche parente? Ho cercato di privilegiare
prodotti fabbricati da artigiani, cooperative o piccole aziende? E’ fabbricato con
materiale riciclabile? Ho cercato di sapere se l’azienda produttrice sfrutta i lavoratori
e danneggia l’ambiente?
Come consumatori abbiamo in realtà un "piccolo potere da prendere sul
serio" che può essere esercitato per incidere con efficacia sul comportamento
delle imprese, dei governi e delle istituzioni locali, per ottenere un maggiore rispetto
dell'ambiente, della giustizia sociale e dei diritti umani di tutti gli abitanti
del pianeta.
Grazie per la sua attenzione
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