NOTE PRATICHE DI
DIAGNOSI PRENATALE
nella scelta tra le opzioni diagnostiche
riguardanti le anomalie cromosomiche
La
diagnosi prenatale si occupa della diagnosi precoce:
a)
delle malattie genetiche su base genica,
b)
delle anomalie cromosomiche,
c)
delle malformazioni fetali rilevabili "in utero" nel corso della
gravidanza.
Le
anomalie genetiche su base genica (emofilia,
distrofia muscolare ecc.) sono relativamente rare nella popolazione e pertanto
rappresentano quantitativamente una piccola parte delle richieste di diagnosi
prenatale, sebbene si tratti delle diagnosi qualitativamente più impegnative.
D'altra
parte, le malformazioni fetali che alterano
l'anatomia degli organi del concepito possono essere riconosciute nell'ambito
della consueta ecografia morfologica, eseguita di routine nel II trimestre.
Pertanto,
gran parte delle richieste per diagnosi prenatale ha come obiettivo di escludere
le anomalie cromosomiche, la più nota delle quali
è la sindrome di Down.
Ciò
avviene al punto che, quando comunemente si parla di diagnosi
prenatale, si intende, quasi per antonomasia, il riconoscimento precoce delle
anomalie cromosomiche e in particolare della sindrome di Down: questa infatti
è l'anomalia cromosomica a maggiore incidenza e inoltre, essendo clinicamente meno grave
delle altre cromosomopatie, può essere compatibile
con una sopravvivenza anche lunga dell'individuo
affetto e di conseguenza porta con sé più profondi
risvolti sociali.
Parlare di diagnosi prenatale come ne parlerò
in seguito è sicuramente un'ottica alquanto
inusuale con cui guardare l'argomento. Tuttavia
ritengo che, malgrado sia un approccio un po' sbrigativo, sia anche un approccio
molto pratico e non certo ipocrita, con
cui affrontare il problema.
Il pubblico è solito venire bersagliato da
notizie, spesso date a spizzichi, attraverso
articoli, servizi flash, trafiletti inconsistenti,
riguardanti questa o quell'altra metodica
"nuova" o promettente e, così facendo,
le conoscenze che si formano non possono
che risultare un collage piuttosto caotico
senza un filo conduttore che leghi tutto
insieme e che consenta di padroneggiare la
materia, dando il giusto ordine e le giuste
priorità ai vari elementi. Nel mio lavoro
di medico riscontro quasi sempre che anche
persone istruite che leggono molto hanno
difficoltà a dare organizzazione a tutto
ciò che leggono di medicina, tanto che possono
essere perfettamente al corrente di cosa
sia una amniocentesi e di cosa sia il "triplo
test" (perché hanno letto articoli su
ciascuno dei due) ma trovano difficile saperli
confrontare dando il giusto peso all'uno
e all'altro, considerandone vantaggi e svantaggi,
perché sono poche le revisioni critiche che
si riescono a trovare nella stampa medica
divulgativa.
In questa pagina vorrei perciò cercare di
fornire un orientamento molto pratico su
cosa fare in ambito di diagnosi prenatale,
non tanto soffermandomi sulle singole metodiche
ma in forma di pochi buoni pensieri come
se fossero detti informalmente in un salotto
fra amici qualora qualcuno mi chiedesse:
"Roberto, che cosa mi consigli riguardo
la diagnosi prenatale?".
Punti fermi:
- Nessuna età materna è risparmiata dal rischio
di avere prole con anomalie cromosomiche
sebbene questo rischio aumenti significativamente
con un'età materna superiore ai 35 anni.
- La certezza diagnostica che un feto sia affetto
da un'anomalia cromosomica è ottenibile soltanto
esaminando le sue cellule attraverso un prelievo
dei villi coriali
(nel I trimestre) o un'amniocentesi
(nel II trimestre), seppure a fronte di
un rischio di aborto causato dalla procedura
che si attesta intorno all'1% per l'amniocentesi
e intorno al 2% per il prelievo dei villi
coriali.
- Dato il rischio abortivo che accompagna tali
procedure diagnostiche invasive, queste devono
essere intraprese soltanto da quelle coppie
decise ad interrompere la gravidanza nel
caso di un risultato positivo, cioè nel caso
di cromosomopatia.
- Mediante la consueta ecografia
morfologica del II trimestre, i feti Down possono essere
sospettati solo fino al 60% dei casi. Perciò almeno 4 Down su 10 non riescono
ad essere diagnosticati in ecografia poiché non danno sufficienti segni
anatomici rilevabili. Addirittura 1 Down su 20 non
riesce ad essere riconosciuto neppure da
un pediatra subito dopo la nascita: questo per dire
che molte volte la sindrome di Down non mostra
distintivi caratteri esteriori di "diversità" nelle prime fasi della vita.
- In caso di rilievi sospetti ottenuti nel
corso di un'ecografia del II trimestre, l'accertamento
diagnostico successivo per giungere all'analisi
cromosomica non può più essere un prelievo
dei villi coriali (per ragioni anatomiche)
o un'amniocentesi (per i tempi tecnici, visto
che con l'ecografia si è almeno a 20 settimane
di gravidanza). In questi casi viene prospettata
alla coppia una terza procedura diagnostica
invasiva: la funicolocentesi, o prelievo di sangue fetale (dal cordone
ombelicale), che porta con sè un rischio
abortivo accidentale di circa il 3%.
- I dosaggi ormonali sul sangue materno come
il "triplo test",
o la misurazione ecografica della
"translucenza nucale" nel I trimestre (vedi la pagina di ecografia
ostetrica), o la valutazione ecografica della plica
nucale e di altri fattori anatomici "spia" nel II
trimestre, non forniscono una certezza diagnostica
ma semplicemente consentono di correggere
il rischio di avere un feto affetto rispetto
al rischio dato dall'età materna. Pertanto,
ammettendo ad esempio che il rischio, in
base all'età materna, di avere un feto Down
fosse di 1:400 e che tale rischio, ricalcolato
a seguito della traslucenza nucale, scendesse
a 1:800, resterebbero comunque delle probabilità
di avere un feto affetto.
Tenendo conto di questi punti saldi, cosa
si può dire? Probabilmente viene da dire
che anche in altri momenti della vita avevamo
capito che non si può avere tutto, non vi
pare?
Ne deriva che alla coppia spetta il compito
di interrogarsi:
1) "Intendiamo fare diagnosi prenatale
oppure affidarci perché amiamo nostro figlio
da sempre e intendiamo accettarlo comunque sia?"
2) "Abbiamo deciso di fare diagnosi
prenatale. Per la nostra vita abbiamo bisogno
della certezza assoluta di non avere un bambino
affetto (amniocentesi o villi coriali), oppure,
per non correre l'1 - 2% di rischio di avere
la perdita accidentale di un feto sano, intraprendiamo
inizialmente i test non invasivi (triplo
test, traslucenza, ecografia) accontentandoci
di poter ricalcolare un rischio più basso
di avere un bambino affetto?"
Tra pochi anni sarà probabilmente disponibile un test che
ricaverà le cellule fetali dal sangue materno,
senza più doverle prelevare in modo invasivo,
per avere la diagnosi di certezza. Non serviranno
più dunque amniocentesi o villi coriali o funicolocentesi.
Sarà un test che renderà superflua la domanda
n° 2).
Tuttavia, a seguito di un concepimento naturale,
nessun progresso medico potrà mai superare
la necessità di porsi la domanda n° 1), perché
essa fa capo alla domanda originale che l'Uomo
porta dentro di sé.
Torna indietro all'indice OSTETRICIA
Contatta
il Dr. Roberto Rovida