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METODO del CONSENSO
da una esperienza nel campo del Commercio Equo e Solidale di Roberto Tecchio

In Teoria

 

In Pratica
una esperienza pratica

( contributi di Roberto Tecchio )


IL METODO DEL CONSENSO (in Teoria)
un metodo decisionale morbido per gruppi forti.

Questo scritto è nato con uno scopo preciso:
aiutare l'assemblea dei soggetti italiani del commercio equo e solidale a utilizzare una procedura decisionale orientata al consenso, comunemente chiamata Metodo del Consenso (MC).(nota 1 )

L'intento è stato quello di fornire ai gruppi, specialmente quelli ispirati alla nonviolenza, degli elementi per una migliore comprensione e sperimentazione del metodo, ricordando che dal punto di vista procedurale esistono tante varianti.(nota 2)


Una definizione e qualche considerazione per iniziare…

Il MC è un procedimento che si svolge in varie fasi e in cui si usano diverse tecniche di discussione, analisi e confronto, mediante il quale un gruppo arriva a prendere le sue decisioni senza ricorrere alle votazioni.

Consenso indica che si è d'accordo su qualcosa, ma non significa necessariamente accordo pieno di tutti su tutto, cioè unanimità.

L'unanimità può anche arrivare, ma non è certo un obiettivo: il consenso punta a far convivere le differenze, non ad eliminarle.

Perciò in una decisione consensuale vi possono essere diversi gradi di accordo e molte sfumature riguardo agli impegni che i diversi membri si assumono rispetto a una determinata decisione, però il tutto avviene in modo esplicito e globalmente accettato.

L'adozione del MC da parte di un gruppo può avvenire solo su base consensuale.

Il MC, una volta adottato, non esclude il ricorso ad altri metodi decisionali, basati o meno sulla votazione, purché tale ricorso avvenga in base a una decisione consensuale.

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1. LE BASI DEL CONSENSO…
tra etica, pragmatica ed estetica.

Il fine non giustifica i mezzi; i mezzi contengono il fine.
Il MC nasce dalla convinzione che il rapporto tra mezzi e fini deve essere coerente. Per esempio se si hanno fini equi e solidali, i modi per realizzare tali fini dovranno esprimere qui e ora, concretamente, equità e solidarietà. In pratica ciò si esprime nel modo di gestire il potere e in particolare nel modo in cui si prendono le decisioni.

L'uso del potere: il singolo non viene schiacciato dal gruppo, il gruppo non viene bloccato dal singolo.
Il MC, a uno sguardo superficiale, sembra dare un potere eccessivo al singolo individuo (o alla piccola minoranza) rispetto al gruppo. Così sembra che chiunque, magari dopo una lunga discussione, se gli gira male può bloccare un grande gruppo negando il suo consenso alla decisione. Ma questo non è altro che esercitare il cosiddetto potere di veto, che non ha niente a che vedere col MC.
Il MC dà effettivamente un grande potere al singolo (a ogni singolo indistintamente!) perché ne riconosce il valore, la dignità, l'unicità. Ma il singolo può bloccare il gruppo solo se riesce a mostrare la validità della sua opposizione, cioè che la decisione che si sta per prendere è veramente dannosa per il gruppo e/o in contrasto con i suoi principi fondanti. Se il gruppo riconosce la validità dell'opposizione allora la decisione può essere bloccata, altrimenti alla parte avversa viene rimandata la responsabilità di decidere cosa fare, possibilmente dichiarandolo in termini chiari ed espliciti.
Dunque, perché il MC funzioni bene, il singolo deve riconoscere e accettare il potere del gruppo nel determinare quali problemi possono essere risolti, quali necessitano di più attenzione, e quali bloccano la decisione: la trappola del veto sta nell'essere incapaci di riconoscere i limiti del potere individuale! Il singolo ha il potere e la responsabilità di sollevare i problemi; il gruppo ha il potere e la responsabilità di riconoscerli e risolverli.

Attenti al compito e ai rapporti umani.
Gli incontri servono per affrontare e risolvere problemi comuni. Le buoni soluzioni tengono conto sia degli aspetti concreti dei problemi, sia delle relazioni tra i soggetti. Se non c'è un buon rapporto, sufficientemente disteso e fiducioso, anche semplici problemi possono complicarsi e diventare un grave peso. È necessario ricordare che nel lavoro di gruppo entrambi gli obiettivi (di contenuto e di relazione) devono essere sempre opportunamente curati: l'uno influisce sull'altro.

Distinguere le persone dai problemi e… concentrarsi sui problemi.
Quando si affrontano i problemi un aspetto che si tende a dimenticare è che dall'altra parte ci sono esseri umani che hanno sentimenti, valori e convinzioni profondamente radicati, differenti storie e punti di vista, esattamente come noi. Ognuno ha un "io" che è sensibile e che facilmente può sentirsi minacciato, e un io minacciato pensa soprattutto a difendersi. Ogni giudizio sulla persona rischia di danneggiare la relazione e di alterare il buon clima psicologico che è indispensabile per fruire delle risorse di creatività e intelligenza di tutti i partecipanti, risorse senza le quali non è possibile trovare buone soluzioni ai problemi. Perciò è fondamentale rimanere aderenti ai fatti, ai termini concreti dei problemi, "attaccando" le idee e le proposte anche molto fermamente se necessario, ma rimanendo al contempo interiormente rispettosi verso le persone: "duri col problema, morbidi con le persone" (nota 3 ). Qui aiuta moltissimo non identificarsi con le proprie idee, ricordandosi che "le mie idee, non sono mie!"

Distinguere i bisogni dalle soluzioni e… concentrarsi sui fondamenti. Nell'affrontare i problemi si dimentica che il cuore delle questioni non si trova nelle posizioni di partenza (a volte solo apparentemente contrapposte), ma nei bisogni, preoccupazioni e convinzioni delle parti coinvolte, cioè in quelli che alcuni chiamano i "fondamenti" dei problemi. Per es. spesso si discute (e si litiga) sulle proposte di soluzione senza avere adeguatamente scandagliato quali sono i bisogni in gioco: le soluzioni rappresentano la risposta a dei bisogni e lo stesso bisogno può essere soddisfatto in tanti modi diversi, cioè ci possono essere tante soluzioni per uno stesso problema. Se ci si fissa su certe idee diventa impossibile negoziare costruttivamente. Non si tratta di rinunciare ai propri principi, né di nascondere le differenze al momento incompatibili, ma solo orientandosi alla ricerca dei bisogni condivisi si creano le condizioni per trovare soluzioni cooperative, realizzabili, che aprono verso il comune cammino.

Inventare soluzioni: generare opzioni e definire obiettivi fattibili.
Una volta individuati i fondamenti dei problemi è necessario dedicare un tempo adeguato alla ricerca di soluzioni vantaggiose per tutti. Qui la fantasia, l'intelligenza, l'esperienza sono le risorse primarie: spesso si tratta letteralmente di inventare nuove soluzioni. Questo passaggio può sembrare banale, ma dal punto di vista pratico la fase dell'ideazione è spesso trascurata o comunque mal gestita (per es. è frequente che il brainstorm (nota 4 ) sia pieno di giudizi e commenti sulle idee espresse!). Non identificarsi (né identificare l'altro) con le idee facilita moltissimo la ricerca di soluzioni diverse e forse migliori. Rimanere attaccati alle proposte di soluzione è un'abitudine frequente che rappresenta un ostacolo non solo al consenso, ma soprattutto al raggiungimento di soluzioni di buona qualità. Abbandonare una proposta di soluzione non significa rinunciare ai propri principi o ai propri bisogni, ma semplicemente ricercare altre soluzioni.

Operare scelte sulla base di criteri riconosciuti e trasparenti.
I criteri che sottendono ogni scelta devono essere esplicitati e riferiti quanto più possibile a elementi verificabili, o a principi comunemente accettati. I criteri non devono dipendere dalla volontà o dal controllo di alcuna delle parti in gioco. È qui che in genere si esercita più o meno consapevolmente un uso scorretto e manipolatorio del potere per orientare le scelte verso interessi di parte (per es. con minacce velate, ripicche, attacchi personali che spostano l'attenzione dai termini concreti del problema, ecc.)

Saper stare costruttivamente nel disagio (frustrazione, irritazione, preoccupazione…)
Il MC è in sostanza un processo di gestione costruttiva e nonviolenta dei conflitti. Il conflitto qui è visto come fenomeno assolutamente naturale, di per sé né giusto né sbagliato. Quando un gruppo crea un'atmosfera che facilita l'espressione del disaccordo e delle emozioni che ad esso si accompagnano (paura, irritazione, frustrazione e così via), costruisce le basi per decisioni più funzionali e soddisfacenti.
Perciò facilitare una buona comunicazione è un fattore chiave: comunicare "è" gestire la relazione e i conflitti. Ma bisogna riconoscere che anche mediante un uso perfetto del metodo e un'ottima comunicazione i problemi, che non di rado sono complessi e complicati, possono rimanere sul momento irrisolti. E allora?
Se si procede con cura e si alimenta la fiducia, il paesaggio entro cui si prenderanno le decisioni (perché comunque e sempre si decide qualcosa) sarà come minimo più chiaro e comprensibile. E ciò costituisce un buon terreno per arrivare a decisioni che cercano per quanto possibile di rispettare i bisogni essenziali in gioco. A volte per es. bisogna accettare il fatto di non poter decidere su una determinata questione. Allora saper gestire costruttivamente il disagio personale e collettivo che deriva da tutto ciò è indispensabile nel processo consensuale: pazienza e fiducia sono le qualità fondamentali.

Un metodo morbido per persone/gruppi forti.
In definitiva questo processo tende a costruire "accordi nel disaccordo", dove cioè il disaccordo particolare è dentro una cornice di accordo generale fondato su rispetto e fiducia reciproci: il consenso riguarda in sostanza la volontà di continuare a camminare insieme e sperimentare insieme. Questo consenso di fondo deve però essere basato sulla fiducia e sulla libertà, altrimenti non funziona, anzi nemmeno si potrebbe chiamare consenso. Infatti non è consenso quello che si fonda sulla paura dell'altro o sulla dipendenza dagli altri. Il MC è un metodo che richiede quindi una certa maturità e forza interiore dei soggetti che lo usano, e che usandolo si rafforzano: come la nonviolenza è l'arma del forte, così il MC è il metodo decisionale dei forti.

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2. PASSAGGI CHIAVE DELLA PROCEDURA…

Richiesta e Verifica del consenso.
Qualunque sia la procedura attuata, arriverà il momento in cui qualcuno (in genere il facilitatore) chiederà al gruppo "La formulazione della decisione è soddisfacente? Ci sono ancora dei problemi?".
E' importante notare che la prima domanda implica che ci sia una formulazione della decisione che tutti hanno ben chiara davanti (e ciò deriva dal lavoro fatto in precedenza): in mancanza di questa chiara formulazione i rischi di confusione con successive complicanze e conflitti sono alti.
Nella seconda domanda va notato che non si chiede "C'è il consenso?", oppure: "Siete tutti d'accordo?": queste domande infatti non incoraggiano l'espressione di dubbi o perplessità. Se ci sono persone che hanno perplessità, ma sono intimidite dal forte supporto del gruppo alla proposta, la domanda: "Ci sono ancora dei problemi?" si rivolge più direttamente a loro e gli offre la possibilità di esprimersi.
In questa fase è molto importante rilevare la qualità delle risposte, soprattutto quelle non verbali e quella del silenzio. Se nessun ulteriore problema viene sollevato, il facilitatore dichiara il consenso raggiunto e la decisione viene messa agli atti.

Problemi, blocchi decisionali e "veto".
Durante il procedimento ci si trova di fronte diversi tipi di problemi che può essere utile inquadrare allo scopo di riconoscerli e gestirli adeguatamente.

Riguardo a una proposta oggetto di decisione ci possono essere per esempio osservazioni che puntano a dei miglioramenti: si è sostanzialmente d'accordo con la proposta, ma si ha un'idea per migliorarla.
Altre volte ci possono essere delle perplessità in merito a una proposta: più che di un vero disaccordo si tratta di dubbi o riserve.
Questo tipo di problemi si può affrontare con una discussione più approfondita (magari facilitata da tecniche adeguate) e in genere, scaduto il tempo, è probabile che si trovi un accordo consensuale, a meno che i "miglioramenti" o le "perplessità" non si siano trasformati in disaccordo.
Infine possiamo trovarci di fronte a un disaccordo verso la proposta, più o meno forte, ma comunque esplicito e chiaro: qui il problema sollevato è tale per cui la parte avversa (una persona o una minoranza) è contraria alla proposta (tutta o in parte). In questo caso bisogna consentire alla parte avversa di provare la validità o "legittimità" del disaccordo:

Problema legittimato/non legittimato: quando il disaccordo è tale da portare a un blocco della decisione, tale blocco per potere avvenire dentro una cornice consensuale deve essere in qualche misura riconosciuto dal gruppo nel suo insieme. Questo riconoscimento è definito da alcuni autori come legittimazione. La legittimazione avviene quando la parte avversa convince che la decisione che si sta per prendere è veramente dannosa per il gruppo o in contrasto con i suoi principi fondanti. In assenza di ciò abbiamo un "problema non legittimato", dove la parte avversa non può mai bloccare la decisione del gruppo (potere di veto), a meno che il gruppo non abbia altre ragioni per farsi bloccare.

Di fronte a situazioni di disaccordo si aprono quindi due possibilità:

a) il gruppo alla fine riconosce la validità del problema sollevato, per cui qui e ora ci si trova di fronte un problema legittimato che blocca la decisione; (nota 5)
b) il gruppo alla fine non è convinto (né a sua volta riesce a convincere la parte avversa) per cui il problema sollevato non è legittimato e il gruppo può procedere nella decisione che intendeva prendere inizialmente (che dopo la discussione potrebbe anche risultare in parte modificata), lasciando alla parte avversa la decisione di cosa fare, che per esempio potrebbe essere lo "stare da parte".

Stare da parte: accettare che una decisione venga presa dal gruppo nonostante vi sia un convinto disaccordo. Ciò implica, oltre all'esplicitazione delle ragioni del disaccordo, anche l'esplicitazione della posizione che la parte avversa prenderà rispetto alla decisione e al suo impegno nel sostenerla. Quindi la parte avversa potrebbe legittimamente dichiarare di non supportare (in modo parziale o totale) la particolare decisione che il gruppo sta per prendere, ma comunque senza arrivare mai a boicottare la decisione del gruppo di cui, consensualmente, continua a far parte (nota 6).

Come si esce da una situazione di blocco decisionale? Con molta, molta fantasia, pazienza e fiducia. Gli esperti ci ricordano, provocatoriamente ma saggiamente, che di fronte a un problema che al momento appare senza soluzione "esistono almeno altre sette possibilità" che non sono state esplorate dal gruppo. Ci vogliono dunque fantasia, creatività, intelligenza, ma non solo, anche la capacità di stare nel disagio, nella stanchezza, nella frustrazione. La fantasia ha bisogno della fiducia e della pazienza, perché in un clima di forte risentimento, di reciproche accuse e di paura, il tempo e le energie sono investiti per distruggere e non per creare. La paura è il vero grande blocco.

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E per finire… uno strumento per sperimentare il MC.

Spesso i gruppi arrivano a prendere le loro decisioni senza rendersi conto delle regole che, sempre e comunque, sono implicitamente presenti nel processo stesso del decidere: è impossibile non prendere decisioni, ogni decisione implica un modo di decidere.
Esplicitare alcune di queste regole, richiamandosi per es. a principi condivisi, attiva un importante processo di crescita all'interno del gruppo, aumenta il potere e la responsabilità individuali e può aiutare a rendere le riunioni più soddisfacenti ed efficaci: lo strumento qui proposto serve a questo. Anche in gruppi di lavoro estemporanei questo strumento può aiutare a creare un clima di maggiore fiducia e chiarezza.
In pratica il punto A andrebbe letto e "rapidamente" approvato all'inizio della riunione (se ci sono intoppi, è meglio lasciar perdere il MC: mancano le basi!).
I punti B e C, che hanno valore più di orientamento che di vere e proprie regole, possono essere semplicemente letti e non abbisognano di un'approvazione formale, tuttavia è molto utile verificare la tendenza dei partecipanti riguardo tali orientamenti, perché nella misura in cui sono condivisi possono essere richiamati e usati durante la riunione.

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TAVOLA DEI DIRITTI (nota 7 )

A) dichiarazione dei diritti di ogni partecipante.
1. Io ho il diritto di essere trattato con rispetto. Così gli altri.
2. Io ho il diritto di avere ed esprimere opinioni e sentimenti. Così gli altri.
3. Io ho il diritto di essere ascoltato e preso seriamente. Così gli altri.
4. Io ho il diritto di dire "no" senza sentirmi in colpa. Così gli altri.
5. Io ho il diritto di chiedere ciò di cui ho bisogno. Così gli altri.
6. Io ho il diritto di cambiare opinione. Così gli altri.

B) ORIENTAMENTI PER UNA COMUNICAZIONE COSTRUTTIVA
1. Usare messaggi "io" di confronto costruttivo.
2. Ascoltare attivamente, e verificare se abbiamo capito veramente quello che gli altri volevano dire, e viceversa.
3. Fare attenzione non solo ai contenuti, ma anche ai sentimenti espressi.
4. Distinguere le persone dai problemi e dalle loro azioni: evitare di attribuire intenzioni agli altri e di giudicarli, attenersi ai fatti e ai comportamenti.
5. Essere precisi ed evitare le generalizzazioni.

C) ORIENTAMENTI PER COOPERARE NEL CONFLITTO
1. Passare dalla visione "me contro te", al "Noi".
2. Passare dalle "prese di posizione" agli Interessi e Bisogni in gioco.
3. Concentrarsi invece che sul Passato, sul Presente e sul Futuro.
4. Passare dall'Impossibile al Possibile.
5. Passare dalla Colpevolizzazione all'assunzione di Responsabilità.


Il METODO del CONSENSO (in pratica)
decidere insieme costruendo fiducia.

L'esperienza che recentemente ha portato alla definizione della "Carta italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale" mostra, ancora una volta, che è possibile arrivare a decisioni importanti senza ricorrere al tradizionale metodo della votazione a maggioranza. Attraverso un metodo decisionale orientato al consenso, minoranze e maggioranze possono infatti trovare fondamentali punti di accordo per proseguire alleati nella costruzione del loro comune cammino. Con questo articolo, a partire da documenti ufficiali, appunti e memorie, provo a raccontare tale esperienza che, a quanto sappiamo, sembra essere unica in Italia in rapporto a dimensione e tipologia dei soggetti coinvolti. Nel fare ciò, lo si tenga presente, il mio sguardo tende primariamente a evidenziare quali sono stati i momenti e le fasi chiave dell'intero processo, allo scopo di comprendere come funziona in pratica il Metodo del Consenso.

1. LA PROPOSTA E LA RISPOSTA (settembre 1998)
Il Commercio Equo e Solidale è una realtà che ormai ha una lunga storia in Italia. Recentemente si è imposta ai suoi attori la necessità di stabilire dei criteri comuni per una gestione più trasparente ed efficace delle attività legate a questa forma alternativa di commercio. Così, dopo diversi incontri e sollecitazioni a livello europeo, anche i soggetti italiani coinvolti (importatori, botteghe del mondo e loro reti) decidono di darsi le loro regole tramite quella che viene chiamata Carta dei Criteri del Commercio Equo e Solidale.
Nella primavera del 1998, partendo dalle indicazioni della Carta Europea, si avvia il percorso che porterà alla Carta Italiana (potendo a tale scopo contare anche su dei finanziamenti della UE). E qui, per quanto ci riguarda, abbiamo il primo momento chiave, cioè la decisione, presa all'inizio del processo, di arrivare ad approvare la Carta senza ricorrere al tradizionale metodo della votazione in assemblea, bensì usando un procedimento decisionale orientato al consenso (il cosiddetto Metodo del Consenso).
A questo punto entriamo in gioco noi (Gianluca Cantisani e Roberto Tecchio). Veniamo contattati dagli organizzatori che ci presentano la loro idea chiedendo un aiuto per la facilitazione dei gruppi di lavoro in assemblea. La nostra risposta rappresenta il secondo momento chiave: per realizzare un processo decisionale orientato al consenso sono necessarie una serie di attenzioni che vanno ben oltre la facilitazione in sede assembleare e che, in pratica, richiedono una vera e propria assistenza lungo tutto il cammino. Quindi, se si voleva un nostro aiuto per la facilitazione, ciò poteva avvenire solo a patto che noi potessimo seguire da vicino tutta la preparazione dell'assemblea, collaborando strettamente con gli organizzatori allo scopo di verificare e costruire insieme le condizioni per attuare il MC. Il comitato responsabile accettò la nostra proposta e così il cammino si apriva a una nuova fase.

2. LA PRIMA ASSEMBLEA (gennaio 1999)
Nel settembre del '98 iniziano le prime riunioni del gruppo di lavoro congiunto (gli organizzatori, della coop. Pangea di Roma, e Gianluca ed io in veste di consulenti). Sul piano dei contenuti il nostro compito riguardava esclusivamente la verifica dei tempi e dei modi che avrebbero consentito a tutti i potenziali partecipanti all'assemblea di avere tutte le informazioni necessarie (sui contenuti, sul metodo di lavoro, sulla logistica) per poter veramente partecipare.
In un primo tempo venne chiesto a tutti i soggetti interessati di inviare le proprie "carte di criteri" elaborate nel corso degli anni. (nota 8)I sette testi ricevuti vennero messi a confronto con la Carta Europea per trovare una base comune e così si arrivò a una prima bozza "inclusiva", ovvero contenente tutti i principi espressi dalle carte di criteri inviate che non fossero in contraddizione fra di loro. Tale bozza, che dal punto di vista delle idealità rappresentava un testo più ricco e complesso delle carte di partenza, venne inviata a tutte le organizzazioni con la richiesta di rimandare osservazioni e proposte entro un certo tempo. Le proposte pervenute vennero sistematizzate senza fare alcun tipo di censura, e rispedite a tutti per una ulteriore fase di elaborazione entro tempi prestabiliti. Il materiale così ottenuto venne infine riordinato in apposite schede che avrebbero costituito il testo base per il lavoro delle cinque commissioni previste in assemblea, e quindi spedito affinché tutti fossero informati precisamente su quali sarebbero stati i termini della discussione in assemblea e messi in condizione di comunicare preventivamente la commissione cui intendevano partecipare. Tutto questo lavoro preparatorio sui contenuti è stato estremamente facilitato e praticamente reso possibile dall'uso della posta elettronica (quasi tutti i soggetti ne erano dotati), ed è stato svolto interamente dagli organizzatori e noi consulenti non ci siamo entrati per niente.
Sul piano metodologico invece il nostro lavoro riguardava la stesura del materiale informativo inerente il Metodo del Consenso (MC), la preparazione di strumenti specifici per il lavoro dei gruppi e per la facilitazione, la ricerca e il coordinamento degli altri facilitatori (si prevedevano un centinaio di partecipanti all'assemblea e dunque dovevamo essere almeno cinque facilitatori per cinque gruppi di lavoro in contemporanea). Nella scelta dei facilitatori abbiamo seguito il criterio "esterni, ma non estranei", cioè persone che fossero vicine e sensibili ai temi del commercio equo, ma non facenti parte dei soggetti coinvolti nell'assemblea; inoltre i facilitatori avrebbero agito dentro regole esplicite note a tutti, in particolare con l'impegno a non entrare mai nel merito dei contenuti delle decisioni, ma solo sulla dinamica del lavoro di gruppo facilitando una comunicazione nonviolenta orientata al conseguimento degli obiettivi espliciti che il gruppo aveva. I passaggi chiave del MC inerenti questa fase sono stati secondo noi essenzialmente due:
a) lo spostamento del potere decisionale dalla sede dell'assemblea plenaria all'interno dei gruppi di lavoro (che erano formati in modo equilibrato in base alla rappresentanza). Ogni gruppo aveva infatti un preciso numero di articoli su cui doveva confrontarsi per arrivare a una decisione finale che, se consensuale, sarebbe stata vincolante per l'intera assemblea; in caso diverso gli articoli sarebbero rimasti in sospeso e rimandati all'assemblea successiva. Alle plenarie, oltre alla funzione elettiva delle cariche, veniva lasciato il compito della ratifica delle decisioni prese nei gruppi di lavoro (dopo però un'accurata presentazione dei contenuti di tali decisioni), con eventualmente la produzione di osservazioni e raccomandazioni. Questo decentramento del potere, richiedendo fiducia e capacità cooperative, tende a generare fiducia reciproca e a sviluppare capacità collaborative che sono elementi fondamentali per costruire un cammino comune: un'assemblea non produce solo decisioni sugli articoli, ma anche rapporti umani.
b) L'affidamento ai facilitatori anche di alcune fasi dell'assemblea plenaria, realizzando così una conduzione coordinata e affiatata tra presidenza dell'assemblea e facilitatori.

In conclusione questa delicata tappa del cammino è stata segnata da risultati largamente apprezzati, come è chiaramente emerso nel momento della valutazione finale in plenaria (notiamo che è rarissimo avere momenti di valutazione finale nelle assemblee, specialmente così numerose, e questo per noi è già un chiaro segno della qualità del lavoro svolto): in concreto un bel pezzo della Carta era stato scritto di comune accordo e non ci si sarebbe ritornati; la fiducia reciproca e la speranza di poter superare le divergenze e anche vecchi attriti attraverso un metodo di lavoro nuovo erano aumentate.

3. LA SECONDA ASSEMBLEA (giugno 1999)
Possiamo vedere il processo decisionale orientato al consenso come un cono dalla base larga che va via via restringendosi verso la cima: così ora la seconda assemblea aveva il compito di affrontare solo i punti rimasti in sospeso.
Per la sua preparazione e conduzione svolgiamo sostanzialmente lo stesso lavoro dell'assemblea precedente, sempre attento a favorire la massima partecipazione di tutti, a informare, spiegare, diffondere il potere della conoscenza di contenuti e metodi. Sapevamo che questa volta l'assemblea sarebbe stata più difficile dell'altra, perché le questioni in sospeso anche se poche erano complesse e contenevano nodi che sarebbero inevitabilmente venuti al pettine. Inoltre c'era la consapevolezza che da qui doveva uscire ultimata la Carta: niente più punti in sospeso.
In proposito sapevamo di dover prestare particolare attenzione sia al lavoro nelle commissioni (infatti i nodi che non si risolvono in un piccolo gruppo che ha a disposizione un certo tempo, difficilmente si potranno risolvere in un gruppo numericamente molto più grande che ha a disposizione un tempo in genere minore, come è appunto il caso delle assemblee plenarie), sia alla gestione della plenaria dove è più facile che la manifestazione del disaccordo provochi reazioni a catena fortemente emotive. Ma per quanto si possa fare un buon lavoro preparatorio e una buona facilitazione (ammesso che vengano fatti) l'emersione di contrasti, tensioni, conflitti, avviene quasi sempre perché ciò è parte integrante del gioco del prendere decisioni.
Nel nostro caso è accaduto che uno dei gruppi di lavoro, non avendo affrontato adeguatamente al suo interno un articolo della Carta, ha portato in plenaria a uno scontro dove le parti avverse hanno finito col tirare in ballo vecchie questioni e risentimenti. Questo è stato il momento più difficile e delicato dell'assemblea, superato grazie a quella co-conduzione affiatata tra presidenza e facilitatori (che è stata in gran parte ovviamente improvvisata e perciò pure disordinata in alcuni momenti), nonché al potenziale di fiducia presente in assemblea che derivava sia dall'esperienza precedente molto positiva, sia dal buon clima psicologico prodotto dal metodo di lavoro usato anche in questa occasione.
Senza scendere troppo nei particolari (che però, attenzione, sono molto utili per capire come si può praticare il MC), diciamo che il primo passaggio chiave di questa fase è stato l'aiutare l'assemblea ad accettare la frustrazione e depressione provocata dal mancato raggiungimento dell'obiettivo tangibile e fortemente atteso di avere la Carta ultimata (l'articolo controverso era importante e la sua sospensione lasciava uno spiacevole senso di incompiutezza della Carta).
Una volta accettata l'idea di rimandare la decisione sull'articolo controverso a una sede specifica, il secondo passaggio chiave è stato il definire con precisione tempi e modi per uscire dall'impasse e risolvere il conflitto. Infatti decidere di affrontare domani un problema che abbiamo oggi richiede molta lucidità, perché se non si pongono oggi le condizioni chiare per affrontare domani il problema, domani quel problema potrebbe tanto ulteriormente complicarsi da diventare praticamente irresolubile. E così vengono stabiliti: a) data e luogo dell'incontro, nonché i soggetti che avrebbero dovuto organizzarlo; b) i soggetti che legittimamente avrebbero dovuto incontrarsi e confrontarsi per tentare di risolvere la questione; c) i criteri di fondo sul modo in cui gestire la questione medesima, quali: la presenza di almeno un facilitatore esterno, l'uso del metodo del consenso, una clausola di uscita di fronte all'eventuale mancanza di una decisione consensuale sul punto in questione.
È in questi casi che secondo noi la gestione dell'assemblea facilitata da persone esterne può dare i migliori e più evidenti risultati. Comunque la facilitazione non fa miracoli, e nella migliore delle ipotesi può aiutare a risolvere solo quei problemi che potenzialmente il gruppo è in grado di risolvere, aiutandolo ad esprimere il suo potenziale positivo come nel nostro caso è stato per la capacità di accettazione e di gestione del conflitto. D'altra parte accade spesso che persone e gruppi che hanno la capacità potenziale di risolvere i loro problemi non riescano invece a uscirne, e anzi ne rimangano alla fine schiacciati. Per esempio col metodo della votazione a maggioranza simili impasse vengono generalmente risolte a colpi di emendamenti, in cui il più furbo/esperto/forte alla fine la spunta: ma a quale prezzo?

4. COOPERARE NEL CONFLITTO (settembre 1999)
All'incontro (che secondo noi aveva un carattere più vicino alla mediazione di un conflitto che a una facilitazione) erano presenti oltre al facilitatore quasi tutte le parti interessate (dodici persone). Dopo un'introduzione tecnica a cura del responsabile organizzativo dell'incontro, il facilitatore propone un giro di presentazioni che invita a condividere anche gli umori e le attese di tutti i partecipanti; poi illustra la procedura di lavoro chiedendo ai presenti di esprimere il proprio assenso o le eventuali perplessità. Il consenso esplicito dei partecipanti chiude questa fase iniziale di fondamentale importanza.
La procedura di lavoro proposta si svolge in tre fasi: la prima punta all'individuazione dei bisogni cui l'articolo in questione dovrebbe rispondere; la seconda punta alla ricerca delle soluzioni che potrebbero rispondere ai bisogni comuni individuati e riconosciuti; la terza punta alla scelta della soluzione ottimale.
La prima fase viene aperta con un brainstorming; quindi viene avviato il confronto cercando di far emergere con chiarezza diversità e somiglianze in rapporto ai bisogni individuati. Qui abbiamo un momento chiave quando il gruppo raggiunge l'accordo su una serie di "bisogni condivisi" (dove condivisi non vuol dire che tutti li sentono come propri, ma che tutti li riconoscono come legittimi e quindi da tenere in considerazione e degni di una risposta), e sull'opportunità di scrivere comunque un articolo che tratti i punti in questione (alcuni all'inizio dell'incontro erano per la soppressione dell'articolo in questione). E così va via la mattinata.
Dopo la pausa pranzo comincia la seconda fase, in cui si cercano le soluzioni ai suddetti bisogni comuni. Dopo aver verificato se a questi veniva data risposta in altri articoli della Carta già definititi e approvati (cosa che accade di frequente, e anche in questo caso ci si accorge che in parte è così), ci si concentra su una delle proposte di soluzione preparate e circolate durante il periodo antecedente l'incontro, che in sostanza riformula il testo dell'articolo tenendo conto delle diverse posizioni emerse in assemblea (operazione di grande utilità, ideata e preparata dal gruppo di lavoro congiunto, che ha consentito di arrivare più preparati e uniti all'incontro stesso considerato pure che c'era l'estate di mezzo).
A partire da questa proposta, attraverso momenti di discussione, confronto, aggiustamenti e riformulazioni del testo (dove il rischio maggiore è di perdersi nella discussione di aspetti che non sono pertinenti all'oggetto della decisione, sprecando tempo preziosissimo) si entra nella terza fase della procedura dove il contenuto dell'articolo prende a poco a poco una fisionomia sempre più chiara e condivisa, fino al raggiungimento di una formulazione finale che ottiene un buon grado di consenso esplicito e che, secondo i partecipanti, rappresenta certamente un passo avanti rispetto alla precedente perché promuove una maggiore fiducia e collaborazione fra le varie organizzazioni. Abemus Cartam!


In definitiva questa esperienza nel suo insieme rappresenta secondo noi un buon esempio di come possa funzionare il MC. E se ci domandiamo che cosa ha reso possibile questo buon risultato, in sintesi la nostra convinta risposta è che se da una parte consulenza e facilitazione hanno avuto un ruolo fondamentale, dall'altra senza dubbio c'erano anche tutte le condizioni necessarie (e indispensabili!) per il successo, prima fra tutte il desiderio sincero dei partecipanti di guardare al futuro e di superare le vecchie paure lavorando per un obiettivo comune.

note:

1 - L'esperienza, che pare essere unica in Italia per dimensione e tipologia dei soggetti coinvolti e per l'adozione esplicita del metodo del consenso, è riportata in un articolo che mi può essere richiesto e che si può trovare anche nel sito web di PeaceLink alla rubrica "capire il conflittto per costruire la pace" curata da Giovanni Scotto.

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2 - Una fonte molto utile cui ho fatto riferimento è il testo statunitense di C.T. Butler e A. Rothstein, tradotto da amiche e amici delle PBI (peace brigade international) di Vicenza, che ho rivisto a partire dalla mia esperienza decennale nell'uso (tentato e sempre più convinto) del MC all'interno dei gruppi di cambiamento sociale ispirati alla nonviolenza che ho frequentato e frequento. Il suddetto testo (circa 40 pagine) e altro materiale sul metodo, può essere richiesto direttamente alle PBI Vicenza (e-mail anshanti@libero.it), o a me. Invitiamo tutti gli interessati a segnalarci le loro osservazioni su questo scritto e a collaborare alla ricerca e sperimentazione del MC (segnalandoci soprattutto esperienze di applicazione del metodo) che troveranno sbocco in una futura pubblicazione.

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3 - Vedi Fisher e Ury "L'arte del negoziato", Ed. Mondadori.

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4 - Il brainstorm è una tecnica semplice e per questo anche molto diffusa, ma per poter fruire delle sue grandi potenzialità (vi sono dei testi interamente dedicati ad essa) bisogna stare attenti: la tecnica è semplice, ma non è facile.

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5 - Va notato che vi sono casi in cui è la parte avversa a sostenere la necessità di adottare una determinata proposta, mentre è la maggioranza ad opporsi: anche qui è la parte avversa che dovrà ottenere la legittimità, altrimenti la sua proposta verrà bloccata. Quindi, in definitiva, il blocco si colloca sempre sul piano decisionale inerente una proposta, mentre a un livello decisionale "superiore" c'è sempre il consenso (per es. si decide di non decidere). È' per questo che a rigor di termini non ha senso parlare ordinariamente di "blocco del consenso", perché quando si arriva veramente al blocco del consenso vuol dire che il gruppo si è spaccato.

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6 - Sembra che non esistano metodi in grado di garantire un gruppo da eventuali dolorose separazioni, però attraverso il MC è possibile arrivare a separazioni assai meno distruttive e violente. D'altra parte chi l'ha detto che bisogna stare sempre e comunque insieme?

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7 - Questa scheda è tratta da "programme overcome violence", pubblicazione a cura del World Council of Churches (P.O. Box 21100, 1211 Geneva, CH), traduzione e adattamenti miei.

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8 - I criteri oggetto di discussione riguardavano tutti i molteplici aspetti del commercio equo e solidale, per es. "che caratteristiche deve avere un prodotto per rientrare in questa categoria, e quindi chi e come lo certifica; che caratteristiche devono avere produttori, importatori e botteghe, per rientrare in questa forma di commercio; che cosa s'intende per commercio equo e quali sono le sue finalità;….".

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