Sinalunga o Asinalonga?

Se debba scriversi Sinalunga o Asinalunga

Determinare con precisione il tempo in cui ebbero cominciamento anche le Città più cospicue, è dato di radissimo agli Scrittori di Cronache e di storia, i quali, se quelle pochissime si eccettuino che segnarono lo aprimento di nuove epoche, non hanno, quanto alle rimanenti, da porgere a chi li interroghi altro che congetture più o meno probabili, più o meno fondate.
Di qui si deduce quanto maggiormente malagevole debba essere la Opera di chi si proponga appurare, anche allo incirca, l’Anno in che furono fondate le Terre, e le Castella le quali o nessuna o piccolissima importanza ebbero mai negli Avvenimenti, di cui tien conto la Storia.
Questo, che potrebbe senza arrischiarsi soverchiamente, esser posto quasi come principio generale trattandosi della fondazione di Luoghi cinti da Mura, si verifica interamente quanto al Paese nostro, del quale non crediamo che possa nulla accertarsi relativamente al tempo in che ebbe la origine. Della quale, trà perché non se ne hanno Documenti, e perché poco approda allo scopo di questo scritto (che si propone unicamente di far chiaro il vero modo di scrivere il Nome del Paese nostro) noi non diremmo parola, se non ci premesse di smentire colla data approssimativa della sua fondazione una Favola, che sarebbe degna più che di altro, di riso, pure è quasi l’unica ragione sulla quale si appoggiava chi voleva che al legittimo nome di Sinalunga si preponesse la A. Intendiamo con questo alludere alla idea secondo la quale il Paese nostro dovrebbe appellarsi “Asinalunga” perché fondato antichissimamente da Asinio Pollione; il quale, a me pare, che malamente sarebbesi consigliato ottenere fama e immortalità raccomandando il suo Nome a un Castello divenuto notevole solamente verso il Secolo Decimoquinto. Quanto male si apponesse il fantastico propugnatore di quella idea, rilevasi incontrastabilmente da questo, che la nostra Terra non cominciò a dar segno di vita se non intorno al Secolo Settimo della Era Volgare, vale a dire quando il suo preteso Genitore giaceva da oltre 600 anni sotto il Marmo della sua Tomba Romana.1
Infatti le più antiche memorie che frà noi si conservino, ci ricordano, che quando S. Donato Vescovo di Arezzo venne a spargere i primi semi della Fede Cristiana in queste Contrade non trovò altro Luogo dove radunare i Neofiti se non che nello antico Tempio degli Idolatri, dal Santo poi voltato al Culto cristiano, posto in “Arensulis” o “ad Mensulas”, oggi la Pieve, che giace al piede della Collina sulla quale sorge il Paese, e che allora era una frà le Stazioni della Via Cassia. Ne fà fede questa Iscrizione, che ivi tuttora conservasi “Templum hoc vetustissimum olim sub titulo S. Petri in Arensulis, quodque palam ex inveterata incolarum traditione una ex septem divi Donati Plebibus reputatur etc.”. Dal tempo di S. Donato, cioè dal Secolo IV al VII, i nuovi Fedeli sparsi per le pendici del Colle seguitarono ad accorrere a quella chiesa per adempiere agli Uffici di Religione; e fù solamente nel 7° Secolo, che i Cristiani aumentatisi sentirono il bisogno di costruire nuovi Tempi nel Luogo ove attualmente è il Paese, per non esporsi al disagio di recarsi alla Pieve. E infatti edificarono la Chiesa intitolata a S. Martino, eletto fino da allora a Protettore, e quella consacrata a S. Lucia, la quale rimane ancora nel Luogo medesimo, e nella stessa forma che ebbe a quel tempo. Ora adunque, o non è vero che possa trovarsi una Città senza Mura, senza Leggi, senza Magistrati, ma non mai senza Tempio, e senza Sacrificio, o resta evidente, che il nostro Castello non può pretendere a una antichità più remota del 7° Secolo; e quindi la spiritosa invenzione di Asinio Pollione, e le congetture che sopra vi si fondassero, cadono a terra di per se stesse.
È innegabile per altro che uno dei più validi Argomenti a provare qual sia il vero modo di scrivere il Nome di una Città, di una Terra, di un Castello qualunque, si trae dalla etimologia del Nome medesimo, quando essa apparisca giusta, e non tiratavi a forza. Quindi dopo aver rigettata quella che farebbe derivare il Nome del Paese nostro da Asinio Pollione perché antistorica, e antirazionale, rifiuteremo pure quella di Iacomo Gori, che la trarrebbe da Sanitas Longa; in quantoché, egli dice, l’Aria purissima che si respira sul nostro Colle è cagione che gli Abitanti vivano lungamente, e in buona salute. Sebbene questa derivazione abbia il vantaggio di essere confortata dalla parola SanaLonga; la quale, frà gli altri Luoghi, vedesi incisa sulla Campana del Comune fusa nel 1500; pure noi la ripudiamo, prima perché si appresenta forzata e innaturale, poi perché nei tempi remoti l’Aria non poteva essere troppo salubre a motivo delle Acque stagnanti nella Pianura sottostante, le quali anche a memoria d’Uomo generavano febbri endemiche specialmente in una parte del Paese2.
Rigettate adunque queste due etimologie noi ci fermeremo a quella che sembra più ragionevole, e più naturale, come quella che ha fondamento nella posizione topografica del Paese, e che non si discosta dalla dizione, che noi sosteniamo, se non quel tanto che è necessario a una parola latina per addivenire italiana o volgare. A questo punto noi cediamo volentieri la parola a Emanuele Repetti, che nel suo Dizionario Geografico fisico storico della Toscana, sotto la rubrica “Asinalunga o Sinalunga (Sinus-longus)” scrive “La sinuosità del Monte sulle cui pendici Asinalunga fù edificata, il tortuoso e lungo giro che percorrere devesi per valicarlo procurò naturalmente a questa località il suo originario Nome di Sinus-longus, nelle vecchie Carte barbaramente scritto, e quindi letteralmente pronunziato Sinalonga, che unito poi al segnacaso cangiossi insensibilmente in Asinalunga”.
Questa etimologia medesima vien riconosciuta per vera da Placido Landini, il quale nella sua “Storia delle Compagnie di Misericordia in Toscana” ha queste parole: “Una Compagnia di Carità sotto l’invocazione della S. Croce esisteva fino dal secolo XIV in Asinalunga, o Sina-Longa (Sinus-longus) etc”. Da tutto questo si raccoglie la vera origine di questo Nome doversi derivare da “Sinus-longus”: e quindi se è vero che la Parola latina è quella sulla quale debbe foggiarsi la italiana, non rimane dubbio che Sinalunga, e non Asinalunga debba scriversi e pronunziarsi da chi ami scrivere e pronunziare correttamente; e quindi ancora la “A” che da alcuni si prepone a quel Nome non è altro, come giustamente osserva il Repetti, se non che la unione del segnacaso al Nome, unione che genera un Nome non vero e senza significato.
Per debito di imparzialità, e perché le nostre osservazioni sù le varie etimologie che si assegnano alla parola in discussione non abbiano a riescire incomplete, dobbiamo aggiungere esservi una terza versione favoreggiata dal Pecci nel suo M.S. sullo Stato Senese, della quale come quella che si smentisce da sé medesima, noi non ci saremmo occupati se ad un recentissimo Collaboratore di Itinerari non fosse venuta vaghezza di staccare da quel M.S. un brano tendente a provare essere Asinalunga il Nome legittimo. E sebbene il dissotterratore si dia l’aria di non aggiustar fede al Pecci, come Persona che la sà più lunga di Lui, pure, malgrado la sua autocratica frase “Noi non faremo nessun conto di questa opinione”, non ha fatto altro non ribattendolo, che dar ragione, almeno in apparenza, al Pecci facilmente confutabile, anzi confutando, dacché lo Itinerarista aveva voluto mettere la falce in messe non sua. Il Pecci adunque, dopo una lavata di capo ai Sinalunghesi perché rifiutando il Nome di Asinalunga affettano quello di Sinalunga, e dopo aver dato loro la baja, perché – ei dice – vorrebbero con una nuova metamorfosi cangiare un Asina in un Cavallo, conclude “Dunque questa Terra Asina fù chiamata in antico, e per Arme inalberò il quadrupede proprio ed esprimente; dipoi gli venne aggiunto l’adiettivo di Lunga dall’unione del Borgo della Ripa, e così di due Terre, o due Borgora formatane una sola, piglò la figura di lunga”.
In queste faccende non basta asserire, bisogna provare, e provare con buoni Documenti. Non saremo dunque tenuti per indiscreti se domandiamo che ci si presenti un solo documento che rammenti il Nome di Asina essere stato attribuito al nostro Paese; presentato questo noi ci confesseremo vinti rassegnandoci ad essere chiamati Asini fino a che a questo sciagurato Castello non tocchi la sorte di Troja. Finché il Pecci ci dicesse, che da Asina si formò Asiniano, alla maniera stessa, che da Rapo fù foggiato Rapolano, da Ascia, Asciano, Scrofiano da Scrofa, noi potremmo stare a sentirlo; ma invece di ascoltarlo quando vorrebbe darci ad intendere, per poi trarne colle Tanaglie la sua etimologia, che il Nome di Asina fù lasciato intatto, noi preferiamo consumare il nostro tempo leggendo la “Guida del Viaggiatore sulla Via Ferrata Central Toscana”. Oltre di che noi saremmo curiosissimi di sapere come abbia fatto il Pecci per assicurarsi, che il quadrupede di che egli parla, appartenga al sesso delle Femmine, piuttosto che a quello dei Maschi, cosicché Asina precisamente, e non Asino debba esser detto il nostro Paese; ma se il Pecci contava “a centinaja le Scritture, e gli Strumenti nei quali sempre Asinalunga si legge nominata” – il che, tenuto conto della figura iperbolica, noi non contrastiamo, dappoiché negare la variante nella dizione sarebbe fanciullaggine – noi abbiamo di rimando altre Centinaja di Strumenti, e Scritture di ogni genere conservate negli Archivi del Comune e della Curia Pientina, abbiamo documenti più significanti ancora, come per esempio il Sigillo dell’antica Biblioteca rappresentante un Libro aperto con una Stella sopra, e con intorno le Parole “Publica Bibliotheca Senalongae”; e abbiamo finalmente moltissimi altri Documenti di Autorità ineluttabili che riporteremo a suo luogo. Qui ci contenteremo di aggiungere che la unione del Borgo della Ripa a quello di Asina!!! è un cattivo sogno del Pecci; il quale non sarebbe caduto in questo errore se avesse riflettuto che, non il Borgo, ma il Castello delle Ripe, posto di fronte a Sinalunga sopra una eminenza separata da una profonda e scoscesissima insenatura, era siffattamente collocato da rendere pressoché impossibile la congiunzione; che non esiste né memoria, né traccia alcuna di questo accoppiamento; e finalmente, e questo rileva più di tutto, che quel Castello non poteva essere unito a nessun altro per la semplicissima ragione che fù distrutto interamente dai Cacciaconti padroni di Sinalunga – la quale già così chiamavasi sotto il loro Dominio – perpeatuamente in dissidio contro i Signori delle Ripe.
La risposta al dileggio della mutazione dell’Asino in Cavallo è facile, se si richiami alla mente quello che noi accennammo più sopra avere cioè il Paese nostro eletto a suo Proteggitore S. Martino, dal Nome del quale fù intitolata la prima Chiesa che in esso venne edificata. Ora basta aprire la Leggenda dei Santi, od il Breviario per sapere, che quel Santo prima della Mitra aveva portato il Cimiero, e si era prima seduto sul suo Cavallo di Guerra, che non sul Faldistorio; d’onde naturalissimamente deriva, che si vegga un quadrupede nell’Arme, e nei Sigilli diversi del nostro Comune. Che se il nobile Cavallo è talvolta così male effigiato da dover subire l’onta di essere scambiato con l’Animale somiero, ciò significa unicamente che non tutti gli Artefici sono così abili nello scolpire od incidere, come qualche frugatore di Archivi nello scavare memorie e notizie. Noteremo infine, che se si trova non di rado scritto Asinalunga nella favella volgare, non si dà mai caso d’incontrarsi in questa dicitura negli Scrittori di Storia in idioma latino; e questo per la ragione, che se, come avverte il Repetti, la unione del segnacaso al nome è facile e appena sensibile in Italiano, è impossibile o quasi in Latino.
Che se a queste considerazioni si aggiunga la forza di Documenti incontrastabili, i quali ci certificano del modo con cui quasi senza eccezione è stato sempre scritto quel Nome, allora pare a noi che ogni dubbio debba essere eliminato, e ne emerga chiarissima la necessità di pronunziare, e scrivere Sinalunga.
Riprendiamo il Repetti il quale nel luogo citato, dopo avvertito che non si trovano memorie del Paese nostro anteriori al Secolo XII meno quelle della primitiva sua Pieve, – il che è riprova di quanto noi accennammo in principio sulla non rinomata antichità della Terra – continua “Del resto il nome di Sinalunga non comincia a trovarsi che sul cadere del Secolo 12° quando (Anno 1197.) alcuni Conti della Scialenga si diedero in accomandigia alla Repubblica Senese etc”.
Questo periodo del Repetti approda mirabilmente allo scopo nostro, non solamente in quanto ei pure scrive Sinalunga, ma più assai in quanto fà Fede lui essersi dato a scrupolose indagini sù questo punto, dalle quali gli derivò la convinzione e la certezza solamente il difeso da Lui essere il vero nome della Terra nostra.
Sarebbe cosa di grande fastidio, e di lievissima utilità il mettersi qui a fare una Litania di tutti i Luoghi nei quali gli Autori Latini, e Italiani accennano al nostro Paese nominandolo Senalonga, o Sinalunga; perciò noi ci ristringeremo a riportare le autorità più gravi e concludenti. E poiché intendimento nostro principalissimo è quello di mostrare alle Potestà Governative, come si abbia ragione di tornare all’antica dicitura, la quale incomparabilmente più spesso che non la moderna porta doversi scrivere Sinalonga, così ci gioveremo più volentieri di quei Documenti, dai quali si rileva qual fosse prima del 1740. il linguaggio officiale a riguardo di questo Nome. Preporremo i Latini agli Italiani, senza troppo occuparci delle Date, dappoiché rimaner fedele alla cronologia è debito dello Storico non del Compilatore di una memoria. Il primo luogo ci sembra dicevole debba essere occupato da un Monumento che ci offre la Città Eterna, e precisamente il Palazzo Vaticano, in una sala del quale appellata del Consiglio, frà i vari Paesi dello Stato sanese dipintivi a fresco, si vede il nostro eretto sul dorso di una Collina, sotto cui stà scritto in Latino “Senalonga”. Di questo abbiamo certezza per una Lettera scrittaci da Roma da persona incaricata espressamente di verificare il fatto.
Nel terzo Volume degli Annali di Camaldoli, opera preziosa al pari che rara, a pagine 168. parlandosi degli Avvenimenti religiosi del 1149. s’incontra questa Frase “...Qui (Cacciacomites) Scialengam, Ascianum, Senalongam, Fojanum, Trequandam, Pretorium, aliaque oppida in Senensi ditione possiderunt”.
Nel libro di Lettera E (13.) contenente notizie del Paese nostro, e conservato nella Cancelleria del Comune, a pag. 178. si trova un Catalogo dei Sinalunghesi laureati nell’Università di Siena così numeroso da mettere invincibile tentazione di superbia in Noi loro compatrioti se tutti quei Dottori avessero avuto la non comune intelligenza, con la quale il Sig.e Dott. Enrico Formichi (Guida del Viaggiatore Nota 2 a pag. 101) ha fornito le peregrine e giudiziose Notizie all’Autore dello Itinerario di cui tenemmo parola. Ora questo Catalogo autenticato dalla firma di Annibale Palagi Cancelliere Vescovile, si apre con queste parole “Nomina Doctorum Senalongensium extracta ex Prococollis Doctorum, ab Anno 1542. usque ad Annum 1755. existentibus in Archiviis Curiae Archiepiscopalis Senarum” Il primo nominato è Gio: Simone Vanni laureato il 4. Maggio 1550; l’ultimo è Brunone Marchi il 26. Luglio 1755. Io propongo al Municipio che sia fatto continuare quel Catalogo, perocché reputo i Nomi dei nuovi Dottori egualmente e più che quelli degli antichi degni che siano conosciuti dai Posteri.
E a pag: 181. del Libro medesimo si legge questo Certificato originale “Testor ego Notarius et Cancellarius Archiepiscopalis Curiae Senarum quod in Protocollo Doctorum asservato in hoc publico Archivio... fuisse Laurea Doctorali insignitum in utroque iure D. Dominicum De-Dominicis Senalongensem”.
Frà le molte Epigrafi Latine che potremmo riportare come Argomenti confacenti all’assunto nostro noi ne rammenteremo soltanto una del 1449. posta a ricordare la origine del Convento soprastante al Paese, la quale incomincia “Prope Senalongam non ignobile Tusciae oppidum etc”; e un altra del 1753., che prova colla sua data che dopo ancora entrata in uso la Preposizione della “A” in Italiano, ritenevasi pur sempre la primitiva e legittima Dizione in Latino. Questa Epigrafe, il cui scopo è di rammemorare l’Autore, e l’epoca del traslocamento della celebre Iscrizione Romana collocata sulla Tomba di Cajo Umbricio rinvenuta alla Pieve3 , termina con queste parole “Magistratum obtinentibus Francisco Fecio... Prioribus Senalongae Populo praepositis”.
Il Dini nella sua opera che ha per titolo “De situ clanarum” a pag: 69. scrive “Ad occasum Senalongae terra honesta, praesidis sedes, plures olim passa vastationes, nobilium quarundam Senensium Familiarum evasit illustris”. E a pag: 113. “Patet instrumenta locupletum ex arce Senalongae”.
Noi non sappiamo se la Teoria della infallibilità del Pontefice insegni: il Papa essere infallibile anche quando pronunzia o scrive i Nomi di Città, Terre, Castelli, e Ville – il che definirebbe la nostra, come tutte le questioni in cui “Roma loquta est”, e noi ne saremmo lietissimi –; ma ad ogni modo L’Autorità di tre Pontefici che scrivono Senalonga ci pare che debba pesare alcun poco sulla Bilancia: e perciò noi citeremo Clemente VIII il quale nella Bolla emanata il 1592. per la erezione della nostra Collegiata di esprime così “Cum itaque, sicut accepimus, Parrocchialis Ecclesia Plebanica nuncupata Sancti Petri prope et extra Muros Terrae Senalongae etc...”; Gregorio XIII che nella sua Bolla del 1584. diretta a profanare il vecchio Cimitero della Pieve, ha queste parole “Exponi nobis nuper fecit dilectus Filius Antonius Lallius Rector... Plebaniae nuncupatae S. Petri de Senalonga etc…”; E Pio VI, che nel 1793. dava facoltà al Capitolo di S. Pietro perché incoronasse la Immagine di Maria SS.ma del Refugio conservata nella Chiesa dei nostri Frati, apponendovi la Leggenda “Senalongensis Populi refugium ac decus”. E qui crediamo possa bastare quanto ai Documenti che rinvengonsi scritti nella favella del Lazio, benché non in quella di Virgilio, e di Tullio: veniamo adesso ai più notevoli frà i numerosissimi che abbiamo nella Lingua volgare.
Frà i quali se ci giovassimo soltanto del Libro degli Statuti manoscritto in Cartapecora del 1560., avremmo sovrabbondantemente di che rafforzare la causa che difendiamo. In esso infatti incominciando dalle prime parole che suonano “Questi sono li Statuti et ordinazioni del Comune et Huomini della Terra di Sienalongha, Iurisdizione dell’Ill.mo et Eccll.mo Duca di Fiorenza, e di Siena etc…” e percorrendolo fino all’ultimo dei 120. Fogli di cui si compone non incontra mai che il Nome del Paese diversamente da Sienalongha, o Sinalonga si vegga scritto, e non una sola volta si trova a quel Nome premessa la A. Cercare poi in quel libro la parola Asina! sarrebbe come cercare il senno in un Manicomio; tanto è vero che il Pecci era in preda a una fantasmagoria, o meglio sotto lo incubo della stizza quando scrisse quelle irose parole, che altri si compiace a riportare per intero, obliando la pena toccata a Cam per non avere celate le vergogne paterne.
La splendida testimonianza offertaci da questo M.S. cresce di valore se si ponga mente, che Esso conserva quasi tutti i Nomi dei Capitani di Giustizia inviati a Sinalunga dal 1337; Anno in cui la Repubblica Senese vi mandò il primo (Giugurta Tommasi Istorie Senesi pag. 277.). Ora rado è che nel ricordare codesti Nomi non si aggiunga la parola Sienalongha – la quale verso la metà del Secolo Decimosettimo ha già subito una modificazione divenendo Sinalunga – pur indicandola Terra, a cui quei Capitani venivano spediti.
Dopo questo, per non farci molesti, e per non avere l’aria di far pompa di erudizione che è per altro ad assai buon mercato, noi rammenteremo di volo i tre Rescritti di Ferdinando II dei Medici relativi alla costruzione della Collegiata nostra, in data dì 25. Settembre 1587.; 22. Aprile 1588.; e 8. Ottobre 1589., nei quali trovasi costantemente il Paese chiamato col suo vero Nome. Gli Originali di questi Rescritti stettero sotto gli occhi dei Compilatori di un Manoscritto intitolato “Memorie della Chiesa Collegiata di Sinalunga” pregevole Volume composto nel 1751. che conservasi nell’Archivio della Collegiata stessa, del quale ci siamo giovati assai nella composizione di questo scritto. Ci fermeremo alquanto per riportare un Decreto dalla Biccherna di Siena emanato il 26. Settembre 1587., il cui autografo è posto nel libro E (2) dell’Archivio Comunale a F. 148. Questo Decreto reca:
Il dì 26. di Settembre in sabato 1587. I Magnifici SS. Deputati sopra le cause delle Confiscazioni di Siena per S.A.S. convocati absente nondimeno il M.o Mes: Scipione Furamini: visto il Benigno Rescritto di S.A.S. fatto il dì 15. del corrente Mese di Settembre, Per il quale concede alla Comunità et Huomini di Sinalonga la Rocca etc…”. E a fogli 356. del Libro medesimo veggonsi i Decreti originali con cui gli Ufficiali della Balia di Siena concedono nel 1485 “alla Terra di Sinalonga due Fiere una da durare tre dì, l’altra otto dì”. A fogli 358. leggesi questo decreto:
“Giovedì addì 22. d’Ottobre 1609.
Li Molto Magnifici SS. quattro Conservatori dello Stato Senese per S.A.S., veduto il Rescritto e decreto di S.A.S. deliberorno et deliberando concessere scriversi alli Magnifici Capitani di Giustizia di Chiusi, et di Sinalonga, et anco al M.o Podestà di Torrita etc”.
Prove a dovizia a far più chiara ancora, se sia possibile, la verità delle nostre affermazioni si possono desumere dal Libro che ha per Titolo “Delle Historie della Città di Chiusi di Toscana di M. Iacomo Gori da Senalonga” scorrendo il quale noi mettiamo pegno, che non verrà mai fatto di leggervi questo Nome, che pure vi si incontra frequentissimo, scritto altrimenti da quello che noi sosteniamo essere la corretta foggia di scriverlo.
Queste Storie sarebbero state pubblicate dal Muratori nella sua grande Opera “Rerum Italicarum Scriptores” se la morte non glielo avesse impedito. Relativamente ad esse giova fare una considerazione a senso nostro concludentissima. Venuti alla luce la prima volta come parte della Collezione Muratoriana seguitata da altri, e la seconda per i Tipi del Viviani nel 1740. portarono il Nome del loro Autore impresso correttamente “Iacomo Gori da Senalonga”; ma quando il Viviani le ristampò nel 1755. vi mise l’aggiunta “Da Senalonga altrimenti Asinalunga”. Questo ad dimostra che fù appunto nei tre Lustri corsi frà quelle due Date, che il Nome del Paese nostro cominciò ad essere alterato. Si tenga memoria di questa Nota, poiché dovremo ritornarci frà breve.
Non possiamo congedarci da questo Autore senza avvertire, come Egli, vissuto sullo scorcio del 1500, rammenta, nella Prefazione alle sue Historie di aver veduto la parola Sanalonga impressa in una Pietra murata in un Arco alla Pieve. Adesso Arco, e Pietra più non vi si vedono, e forse quella Pietra più non esiste; ma chi ricordi la grande Antichità della nostra Pieve comprenderà di leggere quanta importanza abbia questo Testimonio del Gori.
Unicamente per contrapporlo al Pecci noi vogliamo citare un passaggio del Cronachista Gigli suo Compatriota, il quale nel suo “Diario Senese” frà le molte altre volte che scrive come noi il nome in questione, a pag. 154 del 1° Volume ha queste Parole “Nell’Anno 1294. fù acquistata Sinalunga a’ Senesi, e tale acquisto fù dipinto nella Sala dove oggi si fà Consiglio Generale, dal celebre Simone da Siena”.
Dopo questo noi crediamo poterci dispensare dal recare i passi delle Cronache di Bernardo Segni, di Dino Compagni nelle antiche edizioni; del Cardinal Pallavicino nella Vita di Alessandro VII, e di altri Scrittori, dai quali tutti si raccolgono testimonianze a provare la verità della nostra Tesi. Ci arresteremo dunque dopo aver ricordato una Collezione autografa di Lettere, collocata nell’Archivio del Comune, riguardanti la vertenza insorta frà Mons. Francesco Maria Piccolomini e il popolo di Sinalunga a proposito della Festa di S. Martino. Tutte quelle Lettere, oltre a un centinaio, dettate da personaggi diversi frà i quali i Cardinali Corsini, e Borghesi, Monsign. Piccolomini, Vittorio Merli Avvocato dei Sinalunghesi presso la Congregazione dei Riti et. portano tutte senza eccezione, quale nell’indirizzo, quale nella Stesura, il Nome di Sinalonga.
In codesta Collezione conservasi ancora una Notificazione a stampa relativa alla Fiera di S. Martino, sottoscritta dal Cap.o di Giustizia, dal Gonfaloniere, e dal Cancelliere, la quale incomincia “Avendo noi inteso per Lettera dell’Ill.mo Maestrato dei SS. quattro Conservatori, i Sovrani Comandi di S.M.C. circa l’anteporre o posporre i Mercati soliti farsi in un giorno della Settimana (come in Sinalonga il Martedì) quando etc”.
E qui potrebbe avere fine il nostro Lavoro, se non credessimo bene aggiungere ancora poche parola per dileguare un ultimo dubbio che da alcuni potrebbe mettersi innanzi.
Come avviene, potrebbesi domandare, che nel linguaggio officiale usato dalla metà del Secolo Decimo-ottavo fino a Noi, e così per oltre un Secolo, non si vede il Nome di questo Paese scritto mai diversamente da “Asinalunga”?
A questa interrogazione, e al dubbio in essa racchiuso si sodisfa, a nostro avviso, plausibilmente avvertendo, come appunto verso la metà del Decimo-ottavo Secolo, estintasi in Gian-Gastone la Linea Medicea, venne a reggere la Toscana un Ramo della Dinastia Austriaca, cui il glorioso rivolgimento del 27. Aprile 1859. rincacciava, dopo poco più che un Centenario di Regno, frà le nebbie, ed i geli d’onde era uscito ai nostri danni. Ora avvenne che precisamente in codesta epoca nefasta fosse Cancelliere a Sinalunga quel tale Andrea Grazi, che si era fitta in testa la burlevole idea, avere il nostro Paese avuto vita e nome da Asinio Pollione; e beato di questa fantasia da “Mille e una Notte” afferrò di gran cuore l’occasione che gli si presentava propizia per far trionfare la sua strana opinione; e scrivendo negli Atti Ufficiali sempre e costantemente Asinalunga, fù causa, secondo ogni verisimiglianza, che il nuovo Governo ancora adottasse quella dicitura. La quale, adottata una volta dal Governo, divenne quasi generale almeno presso i Leggitori di Decreti, e di Rescritti; sebbene questo fatto non giunse mai a corrompere o ad alterare il primitivo e vergine linguaggio dei Campagnoli, dai quali è impossibile sentir chiamar questa Terra con nome diverso da quello di Sinalunga. E questo medesimo, a senso nostro, fù cagione che nella 2a edizione della Storia del Gori, il Viviani mettesse “Da Senalonga, altrimenti Asinalunga”, cioè per conformarsi alla maniera di dire, che cominciava allora a divenire comune.
Contro a questo peraltro stanno tutte le Testimonianze da Noi recate e quelle moltissime che potrebbero recarsi; stanno tutte le osservazioni proposte, le quali, se lo affetto di Patria, o, se si vuole, di Municipio non ci fà velo al Giudizio, stimiamo non destitute di fondamento; stà la pratica dal Governo costantemente adoperata fino alla 2a metà del Secolo 18°; stà il fatto che dopo ancora la venuta dei Lorenesi non pochi, e in qualche incontro pure il Governo, seguitarono a scrivere Sinalunga, il che è provato dalla Notificazione ultimamente riportata, la quale è del Giugno 1750.; stà il linguaggio meno facile....

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1 - Asinio Pollione, nato, secondo Catullo tra i Marrucini (il Chietino attuale) fu contemporaneo di Virgilio, di Orazio, di Catullo etc, i quali tutti gli dedicarono alcuno dei loro componimenti. Fu, per invidia e per dissidi politici, nemicissimo di Cicerone, al quale contese invano la palma nella eloquenza, sebbene fosse anch’egli oratore, storico, e tragico riputatissimo. Partigiano di Marco Antonio, e da lui favorito, ottenne il consolato nell’anno 714 di Roma, cioè dopo formatosi il secondo triumvirato. Nel 715 guerreggiò e vinse i Partini popoli dell’Illirio, ed espugnò Salona, donde ebbe il cognome di Salonino. Rottisi fra loro i triumviri, egli, sebbene indignato dalla vituperosa vita che Antonio conduceva in Egitto, non volle seguitare Ottavio alla battaglia di Azio: restò a Roma dove morì ottuagenario nell’anno 757, cioè 3 anni dopo la nascita di G. Cristo.
2 - Racconta Tacito nel primo libro degli annali, come durante il secondo anno dell’impero di Tiberio (15. anni di G. C.), avendo il Tevere per le lunghe pioggie traboccato, e fatto gran guasto di vite e di cose in Roma, il Senato pensò ai rimedi. Fra gli altri partiti fu posto quello di voltare altrove i fiumi e i laghi, dai quali era ingrossato; e alludevasi principalmente alla Chiane da voltarsi in Arno, e alla Nera da spartirsi in più rivi, e da lasciarsi stagnare in quel di Terni. Come gli abitanti di Terni, di Rieti e di Teramo, così pure i Fiorentini mandarono a Roma un’ambasciata a chiedere che non si volesse cagionare la loro rovina voltando in Arno la Chiane. In Senato, uditi i richiami delle provincie, e ventilata lungamente la bisogna, prevalse la sentenza di Pisone di non fare alcun mutamento. Quello però che “o fusse il pregar delle Colonie, o l’opera malagevole, o la religione” non vollero fare i romani, fecero le acque, e i sedimenti dei fiumi: la Chiane, cresciuto per le alluvioni il livello dei terreni, stagnò; e a cagione delle procellose vicende politiche, le quali non consentivano di badare ad altre faccende, tutto il suo bacino divenne una vasta e insalubre palude. Il nostro piano rimasto allora sommerso, non fu risanato, se non negli ultimi tempi della dominazione medicea, quando le acque furono immesse nell’Arno per un canale artificiale; e una parte di esso (il Busso) era ancòra sott’acqua sul principio del granducato di Leopoldo secondo.
3 - Questa iscrizione, che in moltissimi luoghi si trova scorrettamente riportata, la vera lezione è la seguente:
D . M
C. UMBRICIUS
L. F - POMP.
CELERI - ARRETINO
EQUITI - COH - VIII
PR - COMINI - MIL
ANN - XVI - VIX - LXXI
L - UMBRICIUS - CLE
MENS - IN - SOLO
SUO - MERENS - POSUIT


IL DUCATO E LE ANTICHITà longobarde e saliche di chiusi
descritte da
MONSIGNOR FRANCESCO LIVERANI

“…Questo raddoppiamento di via consolare e militare sarà stato consigliato o dall’impaludamento delle Chiane, o dalle possessioni del Fisco in quel paese ricchissimo, o dal presidio e guarnigione imperiale di Montepulciano, o da altre regioni, che è ozioso quivi d’investigare. Questa strada che si disse nuova (ad novas) allora, chiamò sopra la vecchia il nome di Carraria antiqua nel 10921; e siccome uno stradale sarà riuscito più lungo e l’altro più breve da Chiusi a Siena, è naturale che la scorciatoia in bocca al volgo suonasse Sena brevis, e il ramo più lungo Senalonga. Ed ecco per tal modo spiegata la vera etimologia e il nome vero di un grazioso paesello di Valdi-chiana, detto per istrazio Asinalonga nei secoli dopo il mille, come lo mostrano i suggelli e l’iscrizione delle campane e dagli eruditi derivato puerilmente da Asinio o Sinus longus2. Tutte goffaggini, che fanno coprire di rossore chi le deve registrare in carta, non potendo far di manco di ricordarle”.

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1 - Monsignor Liverani Catacombe 283.
2 - Repetti I, 158.

(da Giuseppe Stocchi, documento in Quaderni Sinalunghesi, anno I, n.0)

DUE STEMMI DI ASINALONGA SECONDO IL PECCI
TIMBRO DELLA COMUNITA' DI ASINALONGE E RIPIS
TIMBRO DEL COMUNE DI SINALUNGA CON S. MARTINO
TIMBRO DEL COMUNE DURANTE LA PRESENZA NAPOLEONICA
DUE STEMMI OTTOCENTESCHI CON S. MARTINO
ATTUALE STEMMA DEL COMUNE DI SINALUNGA CON S. MARTINO