Le forme monumentali della chiesa annessa alla fattoria della Fratta appaiono singolarmente contrastanti con la sua ubicazione isolata e pienamente rurale.
La sua architettura possiede le caratteristiche quasi di tempio aulico e gentilizio, spiegabile certo con appartenenza alla illustre tradizione delle nobili famiglie che hanno dimorato (e dimorano tuttora) nella villa al centro del vasto possedimento circostante.
Un maestoso altare domina la parete di fondo, circondato da un’edicola classicheggiante, che richiama con molta evidenza le cappelle secentesche costruite nelle navate laterali della più illustre delle chiese senesi, la Cattedrale dell’Assunta.
Gli stucchi delle colonne riecheggiano le tonalità dei materiali lapidei di quegli altari, mentre il timpano spezzato, abitato da due angeli che reggono il baldacchino all’interno del quale splende la gloria raggiata che inquadra la colomba dello Spirito santo, arieggia digià mossi motivi settecenteschi.
Ma lo sfarzoso apparato è solo un’introduzione – ancorché di effetto spettacolare – ai tre affreschi che decorano la parete di fondo della cappella e ne costituiscono l’ornamento più rilevante.
Nella parte centrale, è raffigurata la Vergine assisa su un alto trono, la cui base è costituita da un plinto classicheggiante, ornato agli angoli da volute, e con una specchiatura di finti marmi nel prospetto.
La Madonna, appena avvitata da una torsione leggera del corpo, che ne accentua la posa elegante, regge un Bambino Gesù ignudo, benedicente, chino in avanti verso l’anima che – nel piatto della bilancia tenuta dal Santo arcangelo Michele, in primo piano – si volge orante verso il piccolo Redentore, a implorare la salvezza. L’altra anima – invece – è collocata sul piatto inesorabilmente piegato verso il basso, e destinata alla dannazione.
Oltre all’arcangelo guerriero, che brandisce – vindice della giustizia divina – la spada fiammeggiante, una folla di altri Santi si accalca attorno al gruppo della Madonna e Gesù.
Si scorge la testa incoronata di una giovane Santa, dai tratti fisionomici avvenenti, forse Caterina d’Alessandria; eppoi il Precursore, Giovanni Battista, col cartiglio indicante il Redentore, svolto in eleganti volute. Alla destra della Vergine e del Figlio si affacciano – intensamente devoti – Sant’Antonio da Padova, che esibisce il cuore ardente, suo consueto attributo iconografico, e la Santa senese, Caterina, così presente in tante immagini sacre della sua terra.
Mentre questa Sacra Conversazione si svolge attorno al gruppo mariano, Raffaele e Tobiolo si guardano intensamente, non senza uno sguardo attento – da parte del giovane viaggiatore – verso Maria e il Bambino, centro inequivocabile della devozione del gruppo.
Sulle pareti più piccole – ai lati dell’altare – sono raffigurati due Santi. Girolamo a sinistra, contemplante il crocifisso durante la penitenza, accompagnato dal fedele leone ammansito. Francesco a destra, in atto di ricevere – inginocchiato – le stìmmate, in un paesaggio ampio, solitario, roccioso, che ben rinvia al massiccio scabro della Verna. Qui qualche figurina di viandante, dipinta compendialmente, interrompe la solitudine degli sfondi montani.
Questi affreschi, che rivelano nella sapienza della composizione, nella sicurezza del disegno, nelle fisionomie avvenenti delle figure, ormai ispirate alle levigate immagini di Raffaello Sanzio, la mano di uno dei maggiori maestri de Cinquecento senese, il vercellese d’origine Giovanni Antonio Bazzi soprannominato “il Sodoma”, spirito estroso, abile decoratore per papi, ordini religiosi (suoi i notissimi e ammirati affreschi con le Storie di San Benedetto nell’ampio chiostro del non remoto Archicenobio benedettino di Monte Oliveto Maggiore), famiglie aristocratiche.
Nonostante i pesantissimi ripassi e le grevi ridipinture, gli affreschi della cappella della Fratta indicano con pienezza la maestria e le capacità espressive del maestro senese, che nella vicina Sinalunga aveva lasciato una grande pala d’altare con la Madonna in Trono nella Collegiata di San Martino.
Qui il maestro ci espone l’arte della fase matura della sua attività, con l’infittirsi delle figure e toni cromatici più impastati e chiaroscurati, che ricorrono consueti agli anni ’25-30 del Cinquecento, già quasi conclusivi della sua attività (morirà quasi allo scadere della metà del secolo, nel 1549).
Ma non solo l’affresco del Sodoma qualifica l’arredo artistico della chiesa della Fratta. Nei due altari laterali, sostenuti da eleganti mensole con volute conclusive, sono foggiate in istucco due composizioni sacre.
A destra, ai piedi di un crocifisso ligneo, circondato da una gloria di angiolini dolenti, sono inginocchiati due Santi: a sinistra, un chierico regolare, con la mano lievemente appoggiata al legno della croce, quasi a mostrare un pietoso rispetto; e dall’altra San Rocco, col bordone da pellegrino, in atteggiamento devoto, le mani incrociate sul petto.
La lavorazione è settecentescamente morbida ed elegante; le forme compiute e ben modellate, così come nell’altare di sinistra, posto di fronte a questo.
Qui, attorno a un’edicola (anch’essa in istucco) che ospita il busto della Madonna, circondata da angiolini volanti, posati su nubi soffici e tondeggianti, si dispongono – inginocchiati – i Santi senesi più noti e venerati, Bernardino, col suo Nome di Gesù appoggiato elegantemente sul fianco, mentre volge il viso, fortemente caratterizzato, ma fornito di una morbida tenerezza insolita nelle fisionomie correnti dell’adusto predicatore quattrocentesco, e Caterina, più ascetica e devota nell’atteggiamento di offrire il cuore (accennandovi con la mano) all’immagine della Vergine.
La lavorazione delle figure è morbida; esse sono concepite ed eseguite con buona tecnica e dignità formale, tanto da far pensare a un plasticatore di notevole qualità.
Anche la muta dei candelieri bronzei dell’altar maggiore, finemente patinati con un tono quasi aranciato, è un insieme di arredi concepiti con una sapienza formale che rivela la capacità tecnica di grande rilevanza degli artefici chiamati a eseguire le suppellettili della cappella. Le forme spigolose, il nodo foggiato con singolare armonia tra le superfici convesse e quelle concave, il fusto terminale sottile e appena incurvato con maestria, l’eleganza con cui nella base (che posa su tre morbidi piedini a volute) si colloca lo stemma della famiglia Gori Pannilini con le protomi leonine e i monti all’italiana sormontati da stelle; il virtuosismo dei due nodi intrecciati al centro della faccia anteriore sotto lo stemma, dimostrano la preparazione tecnica e l’altezza operativa della manifattura settecentesca che ha realizzato i candelieri, che richiamano nelle corrispondenti formali l’esecuzione delle mute di questi arredi ancora conservati sugli altari del Duomo di Siena, benché – come s’è accennato – questi della Fratta risultino di esecuzione decisamente più tarda, e senza dubbio settecentesca.
Queste opere decorano dunque con effetto qualitativamente rilevante la chiesa della Fratta, e rivelano la tradizione mecenatistica – nella scelta degli artisti e delle manifatture – dei titolari della fattoria e della villa.
Un patrimonio cospicuo, che indica inequivocabilmente la nascosta (talvolta!) ma diffusa ricchezza d’arte figurativa e decorativa presente in questa zona della provincia senese, così attraente e coinvolgente nella morbidezza del paesaggio tanto intensamente umanizzato, nell’armonia indiscutibile tra la natura circostante e i centri abitati che ne costellano i contorni.
La Cappella di San Michele alla Fratta

Bruno Santi

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