Gazzetta
Ufficiale n. 247 del 21-10-2000
MINISTERO
DELLE FINANZE
CIRCOLARE
5 ottobre 2000, n.177
Canone
o diritto per i servizi relativi alla raccolta, l'allontanamento,
la depurazione e lo scarico delle acque. Chiarimenti in ordine
alla disciplina applicabile.
Ai
comuni
e, per conoscenza:
Alle direzioni regionali delle entrate
All'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI)
Pervengono
alla scrivente numerose richieste di chiarimenti in ordine all'applicazione
del canone o diritto per i servizi relativi alla raccolta, l'allontanamento,
la depurazione e lo scarico delle acque, determinate soprattutto
dalle varie modifiche legislative che ne hanno da ultimo sancito
la natura non tributaria.
Per affrontare con chiarezza la materia e' opportuno ripercorrere
preliminarmente l'evoluzione normativa, che risulta, invero,
costituita da un sovrapporsi di disposizioni che hanno spesso
creato problemi applicativi.
1.
L'evoluzione normativa.
Il
canone o diritto era inizialmente disciplinato dagli articoli
16 e 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante: "Norme
per la tutela delle acque dall'inquinamento".
L'art. 16, stabiliva, al comma 1, che "Per i servizi relativi
alla raccolta, l'allontanamento, la depurazione e lo scarico
delle acque di rifiuto provenienti dalle superfici e dai fabbricati
privati e pubblici, ivi inclusi stabilimenti e opifici industriali,
a qualunque uso adibiti, e' dovuto agli enti gestori da parte
degli utenti, il pagamento di un canone o diritto secondo apposita
tariffa".
La tariffa in questione si componeva di due parti, di cui:
la prima era relativa al servizio di fognatura e veniva determinata
in rapporto alla quantita' di acqua effettivamente scaricata;
la seconda riguardava il servizio di depurazione, ed era determinata
in base alla quantita', e, per gli scarichi provenienti dagli
insediamenti produttivi, in base alla qualita' delle acque scaricate.
Il successivo art. 17, fissava i criteri per la determinazione
delle due quote della tariffa.
La disciplina del canone o diritto e' stata completata con l'inserimento
delle integrazioni recate dal decreto-legge 28 febbraio 1981,
n. 38, convertito dalla legge 23 aprile 1981, n. 153, che, oltre
a sostituire gli articoli 16 e 17, ha inserito nella legge n.
319 del 1976:
l'art. 17-bis che stabiliva le norme generali per la predisposizione
della formula tipo per la determinazione del canone e l'applicazione
della tariffa dovuta per le acque provenienti da insediamenti
produttivi;
l'art. 17-ter nel quale erano contenute le norme per l'accertamento,
la riscossione, il contenzioso e le sanzioni del canone.
Gli articoli 17-bis e 17-ter sono stati abrogati dall'art. 32
della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (la cosiddetta "legge
Galli"), che, nel prevedere la costituzione del servizio
idrico integrato, organizzato sulla base di ambiti territoriali
ottimali, ha fissato, all'art. 14, i criteri per la determinazione
delle quote della tariffa prevista per il servizio di fognatura
e di depurazione.
L'abrogazione dei suddetti articoli aveva pero' creato un vuoto
normativo relativamente all'accertamento, alla riscossione,
alle sanzioni ed al contenzioso del canone, che e' stato colmato
dalla legge 17 maggio 1995, n. 172, che ha aggiunto, in sede
di conversione, il comma 3-bis all'art. 2 del decreto-legge
17 marzo 1995, n. 79. Detta disposizione, che inserisce l'ultimo
comma dell'art. 17 della legge n. 319 del 1976, stabilisce,
tra l'altro, che "Fino all'entrata in vigore della tariffa
fissata dagli articoli 13, 14 e 15 della legge 5 gennaio 1994,
n. 36, per l'accertamento del canone o diritto, continuano ad
applicarsi le disposizioni del testo unico per la finanza locale
approvato con regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175, in quanto
compatibili, e la riscossione e' effettuata ai sensi degli articoli
68 e 69 del decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio
1988, n. 43, previa notificazione dell'avviso di liquidazione
o di accertamento".
Occorre precisare che le modifiche sostanziali hanno interessato
il sistema della riscossione, poiche' e' stata disposta la sostituzione
dell'ingiunzione fiscale, prevista in precedenza, con il ruolo
coattivo di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.
43 del 1988.
Il successivo intervento normativo e' stato effettuato dall'art.
3, comma 42, della legge 23 dicembre 1995, n. 549, che limitatamente
alla quota di tariffa riferita al servizio di depurazione ha
stabilito che "In attesa dell'entrata in vigore della tariffa
del servizio idrico integrato, prevista dall'art. 13 della legge
5 gennaio 1994, n. 36, la quota di tariffa riferita al servizio
di depurazione di cui all'art. 14, comma 1, della citata legge
n. 36 del 1994, e' determinata secondo le modalita' stabilite
per categorie di utenti ai commi 43, 44, 45, 46 e 47 del presente
articolo ed e' riscossa dai comuni o loro consorzi secondo le
procedure fiscali vigenti in materia di canoni di fognatura
e di depurazione".
In sostanza con detta norma venivano superate le disposizioni
contenute nell'art. 17 della legge n. 319 del 1976, relativamente
alla quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, ma,
persistendo la natura tributaria di questa quota di tariffa,
venivano fatte salve le disposizioni dell'ultimo comma dello
stesso art. 17, che, come precisato, atteneva alla disciplina
fiscale del canone.
Con l'art. 31, comma 28, della legge 23 dicembre 1998, n. 448,
e' stato poi stabilito che "A decorrere dal 1o gennaio
1999 il corrispettivo dei servizi di depurazione e di fognatura
costituisce quota di tariffa ai sensi dell'art. 13 e seguenti
della legge 5 gennaio 1994, n. 36. Sono conseguentemente abrogati
l'ultimo comma dell'art. 17 della legge 10 maggio 1976, n. 319,
introdotto dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 17 marzo
1995, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio
1995, n. 172, nonche' l'art. 3, comma 42, della legge 28 dicembre
1995, n. 549, limitatamente alle parole: "secondo le procedure
fiscali vigenti in materia di canoni di fognatura e di depurazione".
Il successivo comma 29 del citato art. 31 ha dettato disposizioni
in ordine ai criteri, ai parametri ed ai limiti per la determinazione
e l'adeguamento delle tariffe del servizio acquedottistico,
del servizio di fognatura e per l'adeguamento delle tariffe
del servizio di depurazione, che fino all'entrata in vigore
del metodo normalizzato, devono essere fissati con deliberazione
del CIPE.
E' opportuno precisare che con le norme sopra riportate venivano
definitivamente superate le disposizioni contenute:
nell'art. 17 della legge n. 319 del 1976, relativamente alla
quota di tariffa riferita al servizio di fognatura che, diversamente
dalla quota di tariffa riferita al servizio di depurazione,
non era stata modificata dall'art. 3, comma 42, della legge
n. 549 del 1995;
nell'ultimo comma dell'art. 17 della legge n. 319 del 1976,
relativo alla disciplina fiscale del canone. Infatti dal 1o
gennaio 1999 il canone non ha piu' natura tributaria. A rafforzare
tale indicazione e' intervenuto l'art. 6, comma 13, della legge
13, maggio 1999, n. 133, che ha stabilito che "Le somme
dovute per i servizi di fognatura e depurazione resi dai comuni
fino al 31 dicembre 1998 e riscosse successivamente alla predetta
data non costituiscono corrispettivi agli effetti dell'IVA".
Tale precisazione trova fondamento proprio nella natura tributaria
che il canone ha avuto fino al 31 dicembre 1998, sul cui importo
non poteva naturalmente applicarsi il tributo erariale;
nell'art. 3, comma 42, della legge n. 549 del 1995 limitatamente
alle parole: "secondo le procedure fiscali vigenti in materia
di canoni di fognatura e di depurazione".
Da quanto fin qui esposto deve ritenersi che anche le disposizioni
contenute nell'art. 16 della legge n. 319 del 1976, sono state
di fatto superate dai continui interventi operati dal legislatore.
In questo coacervo di norme bisogna infine inserire l'art. 62,
commi 5 e 6, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152,
che dispongono:
"5. L'abrogazione degli articoli 16 e 17 della legge 10
maggio 1976, n. 319, cosi' come modificato ed integrato', quest'ultimo,
dall'art. 2, commi 3 e 3-bis del decreto-legge 17 marzo 1995,
n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio
1995, n. 172, ha effetto dall'applicazione della tariffa del
servizio idrico integrato di cui agli articoli 13 e seguenti
della legge 5 gennaio 1994, n. 36";
"6. Il canone o diritto di cui all'art. 16 della legge
10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni continua
ad applicarsi ai presupposti di imposizione verificatisi anteriormente
all'abrogazione del tributo ad opera del presente decreto. Per
l'accertamento e la riscossione si osservano le disposizioni
relative al tributo abrogato".
Bisogna poi aggiungere che l'art. 63, comma 1, dello stesso
decreto legislativo n. 152 del 1999 ha abrogato espressamente
l'intera legge n. 319 del 1976.
La contemporanea esistenza delle norme appena citate che sanciscono
da un lato l'ultrattivita' degli articoli 16 e 17 della legge
n. 319 del 1976 e dall'altro la graduale eliminazione degli
stessi articoli, definitivamente avvenuta il 1o gennaio 1999
ad opera del comma 28, dell'art. 3, della legge n. 448 del 1998,
hanno creato molti dubbi sulla concreta operativita' delle norme
e sulla natura stessa del canone. La confusione e' destinata
pero' a venir meno a seguito delle modificazioni introdotte
dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (pubblicato nel
supplemento ordinario n. 153/L alla Gazzetta Ufficiale del 18
settembre 2000, n. 218), recante: "Disposizioni correttive
e integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152,
in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, a norma
dell'art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128",
che all'art. 24, comma 1, lettera a), prevede l'eliminazione
dei commi 5 e 6 dell'art. 62, proprio perche' fanno riferimento
agli articoli 16 e 17 della legge n. 319 del 1976, che, in concreto,
erano gia' stati implicitamente abrogati.
E' tuttavia necessario precisare che l'eliminazione del comma
6 dell'art. 62 del decreto legislativo n. 152 del 1999, non
pregiudica l'applicazione delle disposizioni recate dall'abrogato
art. 16 della legge n. 319 del 1976 ai presupposti di imposta
verificatisi fino al 31 dicembre 1998, poiche' gli effetti da
esse scaturenti sono comunque assicurati dai principi generali
dell'ordinamento giuridico (tempus regit actum).
2.
Particolari problemi applicativi.
a)
I soggetti passivi ed il presupposto impositivo del canone o
diritto.
Molti
sono i dubbi che sono stati sollevati in merito all'individuazione
dei soggetti passivi dell'obbligazione tributaria che devono
essere individuati esclusivamente in coloro che sono allacciati
alla pubblica fognatura.
Le perplessita' sono sorte soprattutto a causa di alcune espressioni
utilizzate in varie risoluzioni e circolari emanate negli anni
passati, nelle quali si faceva riferimento al fatto che l'allaccio
alla pubblica fognatura doveva essere "reale o potenziale",
"diretto o indiretto".
Per "allaccio potenziale" si deve intendere la possibilita'
obiettiva, a seguito dell'avvenuto allacciamento alla fognatura
pubblica, di usufruire dell'apposito servizio, a prescindere
dall'effettivo uso del medesimo da parte del singolo o dall'utilita'
concreta che questi ne tragga.
Con l'espressione "allaccio indiretto" alcuni hanno
ritenuto di poter individuare tra i soggetti passivi del canone
anche coloro che, pur non essendo collegati alla pubblica fognatura,
lo erano comunque "indirettamente" per il fatto che
periodicamente svuotavano a proprie spese le fosse biologiche
dove venivano convogliate le acque reflue, utilizzando il servizio
di privati che provvedevano a smaltire tali acque. In questo
modo, secondo tale tesi, sarebbe realizzato il collegamento
"indiretto" con il servizio pubblico, e quindi il
presupposto impositivo.
La questione deve essere invece inquadrata nei suoi corretti
termini. Infatti, come del resto risulta in modo costante in
tutte le circolari e le risoluzioni ministeriali emanate sull'argomento,
unico ed imprescindibile presupposto per il pagamento del canone
fino al 31 dicembre 1998 e' stato l'allaccio alla pubblica fognatura.
L'esatta definizione di scarico "indiretto" si rinviene
nella circolare n. 8 del 10 dicembre 1981, che stabilisce che
"sono parimenti soggetti passivi del canone anche coloro
che usufruiscono di scarichi altrui nei quali, attraverso condutture
fisse confluiscono le acque reflue dal proprio insediamento,
anche se questo non sia direttamente collegato alla fognatura
stessa.
In sostanza quindi, l'elemento indispensabile per la nascita
dell'obbligazione tributaria era l'allaccio alla pubblica fognatura
effettuato con un complesso di canalizzazioni finalizzate a
raccogliere e ad allontanare dagli insediamenti civili e/o produttivi
le acque superficiali e quelle reflue provenienti dalle attivita'
umane.
Dette canalizzazioni potevano essere anche indirette, e cio'
avveniva esclusivamente quando le stesse erano collegate a scarichi
di altri soggetti, che avevano invece un collegamento diretto
alla pubblica fognatura.
Non si puo' viceversa includere in tali fattispecie il caso
di coloro che provvedevano alla raccolta delle acque in fosse
biologiche o, comunque, in invasi diversi dalla rete fognaria
pubblica, proprio perche' non avevano alcun allaccio con quest'ultima,
nel senso appena precisato. In particolare non si poteva considerare
allaccio "indiretto" lo svuotamento di tali fosse
effettuato attraverso il ricorso a soggetti che, con propri
mezzi, svolgono tale attivita'.
Questi ultimi soggetti, a norma dell'art. 36 del decreto legislativo
n. 152 del 1999, sono tenuti al pagamento della sola tariffa
prevista per il servizio di depurazione di cui all'art. 14 della
legge n. 36 del 1994.
Dall'esame dell'art. 36 risulta ancora piu' evidente che coloro
che non sono in alcun modo collegati con la pubblica fognatura
non sono tenuti a corrispondere la tariffa relativa al canone
di fognatura; e' richiesto infatti il solo pagamento della quota
di tariffa relativa al servizio di depurazione, che ovviamente
e' a carico di colui che effettua il trasporto dei rifiuti.
Una soluzione diversa porterebbe all'irrazionale conclusione
che il contribuente sarebbe tenuto a pagare per ben due volte
la tariffa relativa alla depurazione: la prima volta sotto forma
di importo da corrispondere a colui che provvede alla raccolta
delle acque dalle fosse biologiche, la seconda come quota di
canone o diritto da pagare al comune. Per quanto riguarda invece
la quota di tariffa relativa al canone di fognatura, il contribuente
sarebbe costretto a pagare un servizio che in effetti non gli
viene reso, il cui pagamento, proprio per questa ragione, e'
stato escluso dalla disposizione contenuta nell'art. 36 del
decreto legislativo n. 152 del 1999.
L'allaccio alla pubblica fognatura costituiva, quindi, il presupposto
impositivo generale, la cui sussistenza doveva essere verificata
per entrambe le componenti del canone, costituite dalla quota
relativa al servizio di fognatura e da quella relativa al servizio
di depurazione.
Occorre aggiungere che, per quanto riguarda quest'ultima parte
del canone o diritto, in passato l'obbligo tributario doveva
essere assolto nel solo caso in cui sul territorio comunale
esisteva un impianto di depurazione, anche se insufficiente
a svolgere pienamente il relativo servizio.
Diversamente da tale impostazione, l'art. 14 della legge n.
36 del 1994 stabilisce espressamente che la quota di tariffa
relativa al servizio di depurazione "e' dovuta dagli utenti
anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti
centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente
inattivi. I relativi proventi affluiscono in un fondo vincolato
e sono destinati esclusivamente alla realizzazione e alla gestione
delle opere e degli impianti centralizzati di depurazione".
Risultano in tal modo del tutto superati i dubbi circa la corresponsione
della quota di tariffa relativa alla depurazione, in quanto
attualmente e' la legge stessa che, a differenza di quanto avveniva
in passato, ne impone il pagamento da parte di coloro che sono
allacciati alla pubblica fognatura - circostanza che costituisce
pur sempre il presupposto per richiedere il canone - ma non
usufruiscono del servizio di depurazione, poiche' manca o e'
inattivo l'impianto di depurazione.
Si precisa altresi' che detta norma ha avuto effetto solo dal
1° gennaio 1996, data di entrata in vigore delle disposizioni
recate dai commi 42 e seguenti della legge n. 549 del 1995,
che hanno determinato la quota di tariffa del servizio di depurazione
ai sensi dell'art. 14 della legge n. 36 del 1994, dandone pertanto
concreta attuazione.
b)
Le modalita' per la riscossione del canone o diritto.
Relativamente
alla riscossione del canone o diritto, occorre innanzitutto
effettuare una duplice distinzione tra:
le acque provenienti da insediamenti civili e quelle provenienti
da insediamenti produttivi (o industriali, come li definisce
l'art. 14 della legge n. 36 del 1994);
i diversi soggetti che possono gestire il servizio di acquedotto,
quali ad esempio i comuni, i consorzi intercomunali, le comunita'
montane, le aziende speciali, gli enti ed i consorzi pubblici.
b1)
La riscossione del canone o diritto per gli insediamenti civili
allacciati al pubblico acquedotto.
La
riscossione del canone o diritto per le acque provenienti da
insediamenti civili era regolata dall'art. 17 della legge n.
319 del 1976, che al comma 5, prevedeva che "Per i soggetti
che si approvvigionano dal pubblico acquedotto il canone o diritto
e' riscosso con le stesse modalita' e negli stessi termini previsti
per la riscossione del canone relativo alla fornitura di acqua".
Occorre, inoltre, ulteriormente distinguere se la fornitura
dell'acqua effettuata dal comune o da altri soggetti.
In entrambi i casi la riscossione del canone o diritto avveniva
contestualmente alla riscossione del canone acqua, attraverso
cioe' l'invio al contribuente di apposita fattura o bollettino
di versamento di conto corrente postale ed il volume dell'acqua
scaricata veniva direttamente determinato dall'ente gestore,
in rapporto al volume dell'acqua prelevata dal pubblico acquedotto.
Se la fornitura dell'acqua veniva effettuata dal comune ed il
contribuente non pagava gli importi richiesti, il canone o diritto
poteva essere riscosso coattivamente dall'ente locale attraverso
il ricorso:
all'art. 69 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43
del 1988, che stabiliva che il concessionario del servizio di
riscossione provvedeva alla riscossione anche coattiva delle
entrate patrimoniali ed assimilate dei comuni su richiesta e
d'accordo con questi ultimi enti. L'adozione di questo sistema
era giustificata dall'espressa previsione del comma 5 del citato
art. 17, in base alla quale il canone o diritto doveva essere
riscosso con le stesse modalita' e negli stessi termini fissati
per la riscossione del canone relativo alla fornitura di acqua.
Pertanto, se per quest'ultima entrata di carattere patrimoniale
il comune aveva seguito le modalita' dell'art. 69 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 43 del 1988, anche per l'entrata
tributaria valeva questo sistema;
all'ingiunzione fiscale di cui al regio decreto 14 aprile 1910,
n. 639, che operava se l'ente locale non aveva adottato alcuna
convenzione con il concessionario del servizio di riscossione.
Nel caso invece in cui la fornitura dell'acqua veniva effettuata
da un soggetto privato e il contribuente non pagava gli importi
richiesti, il canone o diritto poteva essere riscosso coattivamente
attraverso l'ingiunzione di pagamento, con la quale, sempre
in virtu' del citato art. 17, comma 5, veniva riscosso sia il
canone o diritto (di natura tributaria) e sia il canone dell'acqua
(di natura civilistica).
Nelle fattispecie finora esaminate la fattura o il bollettino
di versamento costituiva gia' di per se' provvedimento di determinazione
del tributo il cui ammontare era reso certo, liquido ed esigibile
contestualmente a quello del canone dell'acqua.
Uno dei punti sui quali si e' creata maggiore confusione e'
stato quello relativo al termine entro il quale doveva essere
liquidato il canone o diritto.
La soluzione del problema deve essere ricercata sempre nell'art.
17, comma 5, della legge n. 319 del 1976, che, come gia' si
e' precisato, stabiliva che il canone o diritto doveva essere
riscosso con le stesse modalita' e negli stessi termini previsti
per la riscossione del canone relativo alla fornitura di acqua.
Pertanto, poiche' e' necessario rinviare alla disciplina stabilita
per la riscossione di un canone connesso alla fornitura periodica
di un servizio, quale il canone dell'acqua - avente natura di
entrata patrimoniale se riscossa dal comune -, e visto che la
norma non detta al riguardo alcun termine di decadenza dal potere
di richiedere gli importi dovuti, l'unico termine a cui fare
riferimento e' quello prescrizionale stabilito dall'art. 2948,
numero 4), del codice civile, che fissa in cinque anni il termine
per richiedere "tutto cio' che deve pagarsi periodicamente
ad anno o in termini piu' brevi", come in realta' avviene
per i canoni in esame.
Alla luce delle osservazioni innanzi illustrate, si deve, quindi,
ritenere superato quanto espresso nella circolare n. 263/E del
29 ottobre 1996, nella parte in cui si e' individuato detto
termine in quello previsto dall'art. 290 del testo unico per
la finanza locale (T.U.F.L.) approvato con regio decreto 14
settembre 1931, n. 1175, in base al quale l'ente poteva iscrivere
nei ruoli principali e suppletivi i carichi tributari dovuti
per l'anno in corso e per i due anni precedenti.
Questa soluzione si fondava sul presupposto che l'ultimo comma
dell'art. 17 della legge n. 319 del 1976, richiamava l'applicabilita'
delle norme del testo unico in quanto compatibili. Il riferimento
al termine triennale appare, in realta', del tutto erroneo,
in quanto il citato art. 290, regolava esclusivamente la fase
dell'iscrizione a ruolo di quei tributi per i quali il ruolo
costituiva la forma ordinaria di pagamento. Tale sistema non
appare, in ogni caso compatibile con il canone in questione,
posto che la sua riscossione deve seguire, per espressa disposizione,
la riscossione del canone dell'acqua che ovviamente, non ha
natura tributaria. Inoltre, occorre rammentare che la riscossione
ordinaria del canone non avveniva piu', sin dal 1o gennaio 1981,
attraverso il ruolo.
L'applicazione del termine di prescrizione quinquennale comporta
che i comuni possono ancora legittimamente richiedere il pagamento
del canone o diritto di natura tributaria, per le annualita'
a partire dal 1995 fino a tutto il 1998.
b2)
La riscossione del canone o diritto per gli insediamenti civili
non allacciati al pubblico acquedotto.
Diversa
e' la situazione dei soggetti che, pur essendo allacciati alla
fognatura pubblica, non lo sono invece all'acquedotto, poiche'
la fattispecie non era regolata piu' dal comma 5, dell'art.
17 della legge n. 319 del 1976, ma dal successivo comma 6, che
stabiliva che "Gli utenti che si approvvigionano in tutto
o in parte da fonti diverse dal pubblico acquedotto devono fare
denuncia del volume dell'acqua prelevato ... Il canone e' liquidato
e riscosso dall'ente gestore del servizio ed il pagamento deve
essere eseguito entro trenta giorni dalla richiesta".
Il mancato collegamento con l'acquedotto rendeva infatti impossibile
la liquidazione diretta da parte dell'ente gestore della pubblica
fognatura, ai sensi del comma 4, dell'art. 17, per cui era necessario
il ricorso ad un'apposita denuncia in cui il contribuente dichiarava
il volume dell'acqua prelevata.
La denuncia aveva l'effetto di una vera e propria dichiarazione
di natura tributaria che consentiva all'ente gestore di effettuare
la liquidazione del canone o diritto attraverso l'emissione
della fattura o del bollettino di pagamento. Pertanto ogni inadempimento
correlato all'omessa, parziale o ritardata presentazione della
denuncia che veniva constatato dal comune, richiedeva la notificazione
di un apposito avviso di accertamento.
Anche in questo caso, il termine per la notificazione di detto
avviso, data la mancanza di un'apposita previsione normativa,
deve essere sempre ricercato nel termine quinquennale stabilito
dall'art. 2948, numero 4), del codice civile, attesa la periodicita'
con cui veniva richiesto il canone o diritto anche per la categoria
di utenti in esame.
Valgono, al riguardo, le stesse osservazioni svolte in precedenza
in relazione al superamento del contenuto della circolare n.
263/E del 29 ottobre 1996, nella parte in cui si affrontava
tale argomento.
La riscossione coattiva del canone o diritto poteva avvenire
in questa ipotesi solo attraverso l'ingiunzione fiscale di cui
al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, mentre non si poteva
far ricorso agli articoli 68 e 69 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 43 del 1988, poiche' il primo riguardava
esclusivamente il canone o diritto dovuto per gli insediamenti
produttivi ed il secondo, invece, le entrate di carattere patrimoniale
ed assimilate.
b3)
La riscossione del canone o diritto per gli insediamenti produttivi.
La
riscossione del canone per le acque provenienti da insediamenti
produttivi era regolata dall'art. 17-bis, della legge n. 319
del 1976, che prevedeva che gli utenti di scarichi provenienti
da insediamenti produttivi erano tenuti alla presentazione della
denuncia delle quantita' e qualita' delle acque scaricate, nonche'
degli altri elementi necessari alla concreta determinazione
del canone, secondo le modalita' e nei termini fissati dalle
singole regioni.
Tali modalita' di determinazione del canone o diritto sono rimaste
pressoche' invariate anche a seguito dell'abrogazione dell'art.
17-bis, ad opera dell'art. 32 della legge n. 36 del 1994, poiche'
l'art. 14, comma 4, di quest'ultima legge ha stabilito che "per
le utenze industriali la quota tariffaria di cui al presente
articolo e' determinata sulla base della qualita' e della quantita'
delle acque reflue scaricate".
In questi casi la denuncia presentata dal contribuente aveva
natura tributaria, rispetto alla quale ogni inadempimento constatato
dal comune comportava la notificazione di un apposito avviso
di accertamento.
Considerazioni analoghe a quelle gia' espresse valgono per il
termine di notificazione di detto avviso che, in mancanza di
un'apposita previsione normativa, andava individuato in quello
quinquennale stabilito dall'art. 2948, numero 4), del codice
civile, attesa la periodicita' con cui veniva richiesto il canone
o diritto in questione.
Ovviamente, si ribadisce quanto gia' affermato in ordine al
superamento del contenuto della circolare n. 263/E del 29 ottobre
1996, nella parte in cui si affrontava tale argomento.
Riguardo alla riscossione coattiva del canone o diritto si doveva
far riferimento all'art. 68, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 43 del 1988, che, al comma 1, stabiliva che i
concessionari del servizio provvedevano alla riscossione coattiva
di vari tributi locali tra i quali veniva espressamente indicato
il canone o diritto di disinquinamento delle acque provenienti
da insediamenti produttivi.
E' opportuno precisare che per la riscossione coattiva del tributo
in questione i richiami finora effettuati al decreto del Presidente
della Repubblica n. 43 del 1988 devono essere riferiti alle
disposizioni del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112,
che, unitamente al decreto legislativo 22 febbraio 1999, n.
37, ed al decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, ha riformato
completamente il sistema della riscossione dei tributi.
c)
I termini per la presentazione dell'istanza di rimborso.
Nella
normativa del canone o diritto manca l'espressa indicazione
del termine entro il quale il contribuente puo' legittimamente
richiedere il rimborso delle somme versate e non dovute a titolo
di canone o diritto.
Il problema deve essere risolto attraverso il rinvio alla norma
sostanziale contenuta nell'art. 21, comma 2, del decreto legislativo
31 dicembre 1992, n. 546, che, nell'affrontare il problema del
termine per la proposizione del ricorso avverso il rifiuto tacito
della restituzione di tributi, sanzioni, interessi ed altri
accessori non dovuti, dispone espressamente che "... La
domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche,
non puo' essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero,
se posteriore, dal giorno in cui si e' verificato il presupposto
per la restituzione".
Tutto cio' non esclude, in ogni modo, che l'ente locale, ove
accerti la fondatezza delle ragioni esposte dal contribuente
in un'istanza presentata anche oltre il citato termine di due
anni, possa agire in autotutela annullando l'atto illegittimo
od infondato e disporre conseguentemente il rimborso di somme
versate e non dovute. In questo caso l'istanza del contribuente
non ha piu' valore di domanda di rimborso ma costituisce in
sostanza una sollecitazione verso il comune all'esercizio del
potere di autotutela che, come stabilisce l'art. 2-quater del
decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, puo' essere finalizzato
anche all'annullamento degli atti con cui e' stato liquidato
o accertato il tributo, che non sono piu' impugnabili e sono
quindi divenuti definitivi.
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