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La tutela del cittadino dall’aggressione dal rumore

Giulio Benedetti
Magistrato

La vita nelle città è resa sempre più difficile dall'aggressione da rumore a cui spesso il cittadino assiste impotente al punto di chiedersi se concretamente esistano strumenti giuridici per la tutela del proprio equilibrio psicofisico. L'articolo esamina lo stato attuale normativo e giurisprudenziale della questione e la responsabilità del tecnico nello svolgimento degli accertamenti tecnici, della perizia o della consulenza tecnica fonometrica.

La tutela del cittadino dall'aggressione da rumore tradizionalmente trova il suo fondamento nell'art. 844 cod. civile che vieta al proprietario del fondo di emettere, nei riguardi del vicino, rumori che superino "la normale tollerabilità" la quale deve essere determinata "avuto riguardo alla condizione dei luoghi". In ogni caso nell'applicazione della norma il giudice "deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà" e "può tenere conto di un determinato uso". La semplice lettura della norma evidenzia nel legislatore dell'epoca la visione antiquata e decisamente agreste dei rapporti di vicinato nei quali le singole proprietà sono raffigurate come stati sovrani, sempre pronti a muoversi guerra reciproca e l'intervento del giudice è finalizzato a comporre la lite ed a stabilire i termini non della pace, ma solo dell'armistizio.
La stessa giurisprudenza risente di tale impostazione laddove afferma
(C. Cass. 7411 del 16/6/1992) che l'art. 844 c.c. "si riferisce a quei fenomeni collaterali a legittime attività umane, di norma produttive, che si propagano da un fondo ad un altro con mezzi naturali" e che i parametri di tollerabilità siano disponibili e modificabili dai singoli proprietari per cui (C.Cass., Sent. 1195 del 4/2/92): "qualora i condomini con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci in materia di immissioni con norma più rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo, della liceità o meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto dalla legge, bensì del criterio di valutazione fissato nel regolamento". Il ricorso all'art. 844 c.c. risulta comunque fondamentale per la tutela del cittadino in quanto la norma contempla anche il divieto delle vibrazioni, ugualmente dannose, se non in maggiore misura, dei rumori e le quali risultano escluse dall'esercizio dell'azione penale in quanto l'art. 659 c.p. non le contempla ed anche perché la giurisprudenza più recente afferma che solo quando l'emissione rumorosa, vibrazioni escluse, supera la normale tollerabilità (quantificata nel superamento di oltre 3 decibel del rumore di fondo) deve essere riconosciuta la sussistenza del danno biologico da liquidarsi in favore dei danneggiati. La tutela del cittadino è inoltre ostacolata dal breve termine di decadenza dell'azione civile. Infatti per la giurisprudenza (C.Cass., Sent. 2604 del 23/3/96) l'azione di manutenzione (art. 1170 c.c.), ammissibile anche contro 'immissione di rumori, è soggetta al termine di decadenza di un anno dalla turbativa, termine "il quale deve essere raccordato all'inizio delle immissioni stesse allorquando i vari episodi costituiscano, nella loro essenza e modalità lesiva, niente altro che elementi del tutto analoghi e ripetitivi della iniziale immissione turbatrice del possesso".
Il criterio per accertare il superamento della normale tollerabilità delle immissioni rumorose è vario ed adattabile necessariamente ai singoli casi, in quanto deve tenere conto dell'equilibrio psicofisico del danneggiato a cui riconoscere l'eventuale danno biologico. La giurisprudenza (C.Cass., Sent. 662 del 19/7/1997) ha affermato che "l'accertamento, di fatto, della esistenza di fattori di inquinamento ambientale (nella specie da rumore, conseguente a ricerche geotermiche) dannosi per l'integrità psicofisica, non si risolve nell'accertamento della liceità dell'attività, ossia dell'osservanza della disciplina che ne regola l'esercizio onde tutelare l'interesse pubblico ambientale, ma può estendersi a considerare parametri di tollerabilità diversi da quelli provvisoriamente vigenti (art. 6 D.P.C.M. 1/3/91), e previsti (art. 2 stesso provvedimento) in base alla destinazione delle aree, ancora da delimitare da parte del Comune".
Per quanto riguarda le modalità di rilevamento dei rumori stabilite nel D.P.C.M. 1/3/91 si sostiene (C.Cass., Sent. 161 del 10/1/1996 - Sent. 6242 del 1/7/1994) che il decreto, al pari dei regolamenti comunali limitativi delle attività rumorose, essendo rivolto alla tutela della quiete pubblica, riguarda soltanto i rapporti fra l'esercente una delle suddette attività e la collettività in cui esso opera, creando a carico dei precisi obblighi verso gli enti preposti alla vigilanza; pertanto le disposizioni contenute nel sopraindicato decreto non escludono l'applicabilità dell'art. 844 c.c., che nei rapporti con i proprietari dei fondi vicini richiede l'accertamento caso per caso della liceità o illiceità delle immissioni.
La disciplina penale è contenuta nell'art. 659 cod. penale che prevede due distinte ipotesi di reato contravvenzionale: il reato previsto dal primo comma (punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire 600.000), disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, che richiede l'accertamento in concreto dell'avvenuto disturbo; mentre quello previsto dal secondo comma (punito con l'ammenda da lire 200.000 a un milione), esercizio di professione o mestiere rumoroso, il quale, invece, prescinde dalla verifica del disturbo, poiché tale evento é presunto di diritto, allorquando l'esercizio del mestiere rumoroso si verifichi fuori dai limiti di tempo, spazio e di modo imposti dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità. Per la sussistenza dell'elemento psicologico della contravvenzione (C.Cass., Sent. 11868 del 4/12/1995) non occorre l'intenzione dell'agente di arrecare disturbo alla quiete pubblica essendo sufficiente la volontarietà della condotta desunta da obbiettive circostanze. Per quanto riguarda i rapporti tra le due ipotesi di reato è ammissibile il concorso formale (C.Cass., Sent. 3908 del 28/4/97) e si afferma (C.Cass., Sent. 1284 del 13/2/1997) che l'ipotesi prevista dal primo comma è reato di pericolo e non di danno; per la sua sussistenza, pertanto non è necessaria la prova che il disturbo investa un numero indeterminato di persone, essendo sufficiente la dimostrazione che la condotta posta in essere dall'agente sia tale da poter disturbare un numero indeterminato di persone.
La giurisprudenza più recente ha esaminato i rapporti della disciplina penalistica con la legge quadro sull'inquinamento acustico (26/10/1995 n.447) con due sentenze contraddittorie circa l'effetto abrogante della legge 1995/447 sull'articolo 659 comma 2 cod. pen. Per la prima (C.Cass., 1 Sez., Sent. 2359 del 12/3/97) la legge 1995/447 è di immediata applicazione "in quanto l'emanazione dei regolamenti di esecuzione della stessa, di cui parla l'art. 11 della legge, non ne condiziona l'entrata in vigore. Ne consegue che la violazione amministrativamente sanzionata con il pagamento a carico del trasgressore di una somma da lire 1.000.000 a lire 10.000.000, di cui al secondo comma dell'art. 10 della citata legge, che punisce la condotta di "chiunque, nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissioni e di immissione di cui all'art. 2 comma primo lettere e) ed f), fissati in conformità al disposto dell'art. 3 comma primo lettera a", è norma di immediata applicabilità, pur se non essendo stati adottati i provvedimenti ed i regolamenti da parte degli enti competenti, rimangono in vigore i valori limite dell'inquinamento acustico previsti dal D.P.C.M. del 1991: detta norma, rispetto a quanto previsto dal secondo comma dell'art. 659 c.p., limitatamente alle prescrizioni dell'Autorità concernenti la regolamentazione dei valori limite in tema di inquinamento acustico, si presenta come disposizione speciale ai sensi dell'art. 9 della legge 24/11/81 n. 689, che, in concorrenza con norma penale regolatrice del medesimo fatto deve essere applicata a preferenza di quella generale". Di parere diametralmente opposto, nella stessa materia, è la sentenza (C.Cass. 1 Sez., Sent. 2646 del 19/3/97) la quale afferma che la norma del secondo comma dell'art. 659 c.p. "è norma imperfetta o in bianco, il cui precetto deve essere integrato da altre leggi, regolamenti o atti amministrativi che concorrono a determinare l'ambito della condotta penalmente rilevante. Tali norme integrative devono essere dirette a disciplinare e determinare specificamente le modalità spaziali e temporali dell'esercizio dell'attività di lavoro rumoroso. A questo fine sono irrilevanti le disposizioni dettate ad altri scopi, la cui violazione configurerà, qualora ne ricorrano le condizioni, altri reati o infrazioni amministrative". Nel caso di specie all'imputato, titolare di una ditta esercente attività commerciale rumorosa, era stato contestato il reato di cui all'art. 659, comma secondo, cod. penale. La Suprema Corte ha ritenuto corretta detta contestazione, escludendo l'applicabilità alla concreta fattispecie della legge 26/10/1995 n.447.
Per quanto riguarda l'accertamento della rumorosità occorre distinguere le discipline previste nei due codici di procedura civile e penale. Invero l'art. 61 del codice di procedura civile afferma "quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno più consulenti di particolare competenza tecnica". Per assicurare il rispetto dei principi cardine del diritto processuale civile rispettivamente del contraddittorio, delle pari opportunità processuali e il principio dispositivo, il quesito e l'oggetto e le attività dei consulenti devono essere stabiliti dal giudice in contraddittorio con le parti processuali le quali potranno partecipare a tali atti, con i propri consulenti ed intervenire con le proprie osservazioni allo svolgimento di tali attività processuali. Pertanto in tale materia è assolutamente esclusa le possibilità dello svolgimento di atti "a sorpresa" senza che la controparte ne sia stata avvisata in termine utile al fine di poter preparare la propria difesa giuridica e tecnica. Da tali premesse conseguono due importanti limitazioni del diritto processuale civile nell'assicurare l'effettiva tutela del cittadino dall'aggressione da rumore. In primo luogo è inscindibile espressione del diritto di difesa del convenuto in giudizio la facoltà di ridurre od eliminare la fonte rumorosa in prossimità del momento della verifica tecnica del consulente nominato dal giudice. Invero per il nostro ordinamento nessuno è obbligato ad autoaccusarsi e per questa ragione viene recitato il ritornello: "quando c'è il CTU, il rumore non c'è più". In secondo luogo, come precedentemente esaminato, l'oggetto della consulenza è l'accertamento del superamento della "normale tollerabilità" dell'emissione rumorosa che in definitiva consiste in un complesso giudizio che non può essere confinato al semplice superamento dei limiti previsti dal D.P.C.M. 1/3/91. Infatti il consulente dovrà tenere conto di numerose variabili quali la natura dei luoghi (se adibiti alla produzione) ed alla loro destinazione urbanistica residenziale, produttiva, agricola, alle condizioni soggettive delle parti in giudizio, allo stato, dimensioni e materiali costruttivi degli ambienti, all'età degli edifici ed alle tecniche costruttive e così via. In particolare dovrà fare riferimento anche al D.M. Ambiente del 11/12/1996 (G.U. 4/3/97 n. 52) per l'applicazione del criterio differenziale per gli impianti a ciclo produttivo continuo, od al D.P.C.M. 18/9/97 (G.U. 6/10/97 n. 233) per la determinazione delle sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante.
In sede penale i principi ispiratori dell'attività del consulente tecnico e del tecnico accertatore della ASL sono assai diversi. In primo luogo osservasi che ai fini della prova dell'esistenza del reato previsto dal primo comma dell'art. 659 c.p. la prova è libera e rimessa alla prudente valutazione del giudice per cui (C.Cass., Sent. 7042 del 11/7/1996): "l'attitudine dei rumori a disturbare il riposo o l'occupazione delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, ma ben può fondare il giudice il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità". In ogni caso (C.Cass., Sent. 1461 del 7/2/1996) è utilizzabile ai fini del giudizio la consulenza fatta eseguire, ai sensi dell'art. 359 c.p.p., dal pubblico ministero, senza preventivo avviso alle parti, sulla rumorosità di una discoteca. In tale ipotesi la Suprema Corte afferma che la procedura più garantista di cui all'art. 360 c.p.p. deve essere applicata soltanto nell'ipotesi che gli accertamenti previsti dall'art. 359 c.p.p. riguardino cose, luoghi o persone il cui stato è soggetto a modificazione, mentre nel caso di specie lo stato dei luoghi non era suscettibile di modificazioni in tempi brevi.
Il processo penale ha natura pubblica e l'iniziativa non necessita la denuncia del privato poiché il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa (art. 330 c.p.p.) e quindi, possono essere disposti, anche a seguito dell'autonoma iniziativa del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, accertamenti, anche tecnici, a sorpresa al fine di accertare l'esistenza di fonti rumorose. L'aumentata sensibilità della collettività ai problemi di natura ambientale, la maggiore incisività dell'intervento penale, accompagnata dalla sua gratuità, hanno aumentato, negli ultimi anni, il numero degli esposti in detta materia. Infatti l'accertamento dei reati previsti dall'art. 659 c.p. prelude all'adozione del sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) della fonte rumorosa per evitare che la libera disponibilità della medesima possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati. La riduzione della nocività della fonte rumorosa è assicurata oltre che dal sequestro e dall'affidamento della giudiziale custodia del bene sequestrato al proprietario, anche dal fatto che l'indagato, al fine di ottenere il dissequestro, è tenuto ad adottare prescrizioni tecniche idonee a ridurre le emissioni fastidiose. Tale ultima procedura consente il ricorso all'istituto, oltre che dell'applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p., dell'oblazione (artt. 162 e 162 bis c.p.) che permette al contravventore di evitare il processo, poiché il giudice dichiara estinto il reato allorquando il medesimo abbia eliminato o ragionevolmente attenuato la fonte di rumore ed abbia pagato una somma di denaro (rispettivamente per l'art. 659 co. 1 c.p. la metà del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione oltre le spese del procedimento, mentre per l'art. 659 co. 2 c.p. un terzo dell'ammenda massima oltre al pagamento delle spese processuali).
L'art. 329 c.p.p. stabilisce che gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono segreti fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Quindi gli accertamenti compiuti dalla A.S.L. in qualità di polizia giudiziaria non devono essere comunicati all'indagato ai quali non può partecipare personalmente o con suoi consulenti, né compiere osservazioni ad ostacolo alle attività di indagine mentre le stesse sono in corso di svolgimento. Ovviamente, nel corso della successiva istruttoria e del dibattimento l'indagato potrà esplicare la sua linea difensiva, con istanze, impugnazioni o richiesta di mezzi di prova nei termini consentiti dall'ordinamento processuale penale. D'altra parte occorre notare che nella prassi degli ultimi anni si è assistito all'abnorme sviluppo dell'uso improprio degli accertamenti tecnici di polizia giudiziaria compiuti dalle A.S.L.. Spesso i cittadini producono tali atti nel giudizio civile per farli valere come prova della rumorosità traendo giovamento della gratuità e della sorpresa di tali atti. Detta prassi appare illegittima fino alla pubblicazione degli atti, fino a tal momento coperti dal segreto istruttorio (art. 329 c.p.p.), mentre osservasi che i predetti accertamenti fonometrici, successivamente prodotti a norme del cod. di procedura civile, non avranno il valore di prova formata in giudizio con il contraddittorio della difesa, ma rimarranno semplici indizi di rumorosità.
Infine giova osservare che nel processo penale l'accertamento della sussistenza dei reati previsti dall'art. 659 c.p. non consisterà nel giudizio in merito alla normale tollerabilità della fonte rumorosa, né si estenderà alle vibrazioni rumorose, ma verterà unicamente sulla esistenza di una condotta dell'indagato che generi rumori che disturbino le occupazioni od il riposo delle persone (art. 659 primo comma) o che consista nell'esercizio di una professione rumorosa o di un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell'autorità (art. 659 secondo comma).
Assai significativi appaiono i seguenti decreti attuativi della legge quadro sul rumore.
Il D.P.C.M. 18/9/97 (G.U. 6/10/97 - serie generale n. 233) si occupa della determinazione dei requisiti delle sorgenti sonore nei luoghi pubblici e privati di intrattenimento danzante (art. 1) e introduce il limite di pressione sonora non superiore al valore di 103 dB(A) Lasmax e di 95 dB(A) LAeq (art.2). Il gestore dell'impianto oltre al rispetto dei limiti sonori testé descritti è tenuto a dotarsi di efficienti sistemi di registrazione e di controllo sonoro corrispondenti agli allegati ministeriali, nonché è responsabile del funzionamento e del mantenimento in efficienza dei sistemi e della tenuta della documentazione attestante la calibrazione e la verifica. Nel caso di guasto dei predetti sistemi il gestore dell'impianto deve comunicare tale fatto entro 24 ore all'autorità di vigilanza, specificando le caratteristiche del guasto ed i tempi tecnici necessari per il ripristino del sistema, fermo restando per il gestore l'obbligo del rispetto dei valori limite delle emissioni sonore specificati all'art. 2 (art. 3).
Il D.M. Ministero dell'Ambiente 11/12/1996 (G.U. 4/3/97 - serie generale n° 52) riguarda l'applicazione del criterio differenziale per gli impianti a ciclo produttivo continuo ubicati in zone diverse da quelle esclusivamente industriali definite dall'art. 6 comma 1 e allegato B del D.P.C.M. 1/3/91 (art. 1). È impianto a ciclo continuo quello di cui non è possibile interrompere l'attività senza provocare danni all'impianto, o per necessità di continuità finalizzata a garantire l'erogazione di un servizio pubblico essenziale o quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge o, infine, gli impianti a ciclo produttivo esistente o quello in esercizio o autorizzato all'esercizio o per il quale sia stata presentata domanda di autorizzazione (art. 2). L'art. 3 differenzia gli impianti nel senso che:
- gli impianti a ciclo produttivo continuo esistenti sono soggetti alle disposizioni dell'art. 2 comma 2 del DPR 1/3/91 (criterio differenziale) quando non siano rispettati i valori assoluti di immissione come definiti dall'art. 2 , comma 1, lettera f della legge 1995/ 447;
- per gli impianti a ciclo produttivo continuo realizzati dopo l'entrata in vigore del decreto il rispetto del criterio differenziale è condizione necessaria per il rilascio della relativa autorizzazione. Per la misurazione del criterio differenziale , fino all'entrata in vigore del D.M. previsto dall'art. 3 comma 1, lettera c della legge 1995/47, la strumentazione e le modalità di misura sono quelle previste dall'allegato B del DPR 1/3/91 (art.3). L'art. 5 prevede per i trasgressori, oltre alla sanzione penale prevista dall'art. 650 c.p., la sanzione amministrativa prevista dall'art. 10 comma terzo della legge 1995/447.
Il Decreto del Ministero dell'Ambiente del 16/3/98 (G.U. 1/4/98 - serie generale n. 76) descrive le tecniche di rilevamento e di misurazione dell'inquinamento acustico e attribuisce operatività all'art. 10 comma secondo e terzo della legge 1995/447 poiché sono fissate le modalità di accertamento dei valori limite di emissione e di immissione previsti dall'art. 2 comma 1 lettere e), f) (fissati in conformità del-l'art. 3 comma 1 lettera a), presupposto necessario per l'applicazione della sanzione amministrativa prevista dall'art. 10 comma 2).
Infine il D.P.R. 11/12/1997 n. 496 (G.U. 26/1/1998 - serie generale n. 20) contiene il regolamento recante le norme per la riduzione dell'inquinamento acustico prodotto dagli aeromobili civili. È affidata al direttore della circoscrizione aeroportuale la contestazione all'esercente la violazione della procedure antirumore, rilevata dall'esame dei dati del sistema di monitoraggio, e la stessa autorità irroga e riscuote nei confronti del violatore, ai sensi dell'art.10 comma 3 della legge 1995/447, la sanzione amministrativa da un minimo di lire 500.000 fino ad un massimo di lire 20 milioni (art. 2). L'art. 5 limita dal 26 luglio 1998 i movimenti aerei su tutti gli aeroporti civili dalle ore 23.00 fino alle ore 6 locali con esclusione di quelli effettuati nelle circoscrizioni degli aeroporti intercontinentali di Roma Fiumicino e Milano Malpensa e dei voli effettuati per il servizio postale con aeromobili che soddisfino ai requisiti previsti dalla Convenzione relativa all'aviazione civile internazionale stipulata a Chicago il 7/12/1944 ratificata con la legge 17/4/1956 n. 561.

 



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