Datori
di lavoro e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza nella
pubblica amministrazione
a
cura di Rolando Dubini
Avvocato in Milano
L'applicazione
delle norme di prevenzione infortuni nelle grandi strutture,
in specie quelle a carattere pubblico, appare spesso di difficoltosa
applicazione a causa della frammentazione delle competenze e
degli effettivi poteri di spesa.
Ai
sensi degli articoli 4 del D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547 e (sempre
art. 4) del D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303, recanti rispettivamente
norme per la prevenzione degli infortuni e per l'igiene del
lavoro, devono intendersi quali datori di lavoro, dirigenti
e preposti coloro che, rispettivamente, dirigono o sovraintendono
le attività cui sono addetti lavoratori dipendenti o
equiparati.
Nella pubblica amministrazione si pone frequentemente il problema
della validità ed efficacia della designazione dei dirigenti
quali datori di lavoro da parte dell'autorità politica
e amministrativa, ai sensi del D.Lgs. n. 626/94.
Ai sensi dell'art. 2 c. 1 lett. b del D.Lgs. 19 settembre 1994
n. 626 (così come sostituito dall'art. 2 del D.Lgs. 19
marzo 1996 n. 242) si intende per "datore di lavoro: il
soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o,
comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'organizzazione
dell'impresa, ha la responsabilità dell'impresa stessa
ovvero dell'unità produttiva
in quanto titolare
dei poteri decisionali e di spesa". In particolare, "nelle
pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del Decreto
Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, per datore di lavoro si
intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione,
ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei
soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente
autonomia gestionale".
Le Pubbliche amministrazioni del citato art. 1 comma 2 del Decreto
Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 sono tutte le amministrazioni
dello Stato, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine
e grado, le istituzioni educative e le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Provincie
e i Comuni, le Comunità montane e i loro consorzi ed
associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi
case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non
economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni,
le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.
Per quanto riguarda i comuni, l'art. 51 c. 1 della Legge n.
142/1990 prevede che il regolamento di organizzazione disciplini
l'attribuzione ai dirigenti di responsabilità gestionali:
l'art. 27 comma 9 della Legge n. 77 del 1995 stabilisce inoltre
che è il regolamento di contabilità ad individuare
i dipendenti abilitati a sottoscrivere atti d'impegno attuativi
del piano esecutivo di gestione.
Con
successiva disposizione era stato posto un termine di 60 giorni,
peraltro non perentorio, in base al quale "
gli
organi di direzione politica o, comunque, di vertice delle amministrazioni
pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo
3 febbraio 1993, n. 29, procedono all'individuazione dei soggetti
di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo,
del presente decreto, (i datori di lavoro, n.d.r.) tenendo conto
dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali
viene svolta l'attività" (art. 30 D.Lgs. 19 marzo
1996 n. 242).
Successivamente la Circolare 17 dicembre 1996 n. 3/96 del Ministero
dell'Interno "ha affermato che il datore di lavoro cui
va imputata la responsabilità per la prevenzione dei
rischi nei luoghi di lavoro del settore Enti locali va individuato
nel funzionario nominato responsabile del servizio secondo lo
Statuto o regolamento dell'ente. Nel caso in cui tale figura
non sia presente, come accade nei comuni con popolazione inferiore
ai 10.000 abitanti la responsabilità del servizio non
può legittimamente essere attribuita a soggetti privi
dei poteri di gestione (segretario comunale, geometra capo,
sindaco ecc.) ma ricade in capo all'assessore competente per
materia o, addirittura, all'intera giunta".
(Dubini Molfese, Salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi
di lavoro, Ed. Simone 1998, Napoli, pag. 27).
Il Ministro della pubblica Istruzione ha individuato i datori
di lavoro nel proprio ambito di competenza entro i termini di
legge (con D.M. 21 giugno 1996); invece gli altri ministeri
e le altre amministrazioni pubbliche provvedevano ben oltre
i termini previsti dalla legge (ad esempio con Decreto Ministeriale
del 18 novembre 1996 del Ministro competente sono stati individuati
i datori di lavoro nell'ambito del Ministero di Grazia e Giustizia,
mentre nell'ambito degli enti locali, secondo una diffusissima
linea di tendenza, il comune di Milano provvedeva a tale individuazione
solo con deliberazione della Giunta del Comune di Milano del
30 luglio 1997, prot. gen. 1959.450/96).
2.
IL DATORE DI LAVORO NELL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA: UN
CASO ESEMPLARE
Una analisi particolarmente acuta e penetrante della problematica
del datore di lavoro nella pubblica amministrazione è
desumibile da un recente decreto di archiviazione del procedimento
penale (Gip Pretura Milano, decreto di archiviazione 21 gennaio
1998 est. Nova), che pur avendo ad oggetto l'amministrazione
della giustizia, individua in modo particolarmente acuto e accurato
i principi fondamentali della disciplina legislativa generale
in materia: "l'applicabilità della normativa antinfortunistica
e previdenziale (di cui ai D.P.R. n. 547/1955 e 303/1956) alla
pubblica amministrazione è sempre stata pacifica. I criteri
utilizzati per l'individuazione in concreto del datore di lavoro
pubblico, quale destinatario della normativa, in assenza di
definizioni da parte del legislatore, non erano dissimili da
quelli utilizzati per identificare il datore di lavoro privato:
titolarità del rapporto di lavoro, ovvero, alternativamente,
possesso dei poteri di decisione e di spesa. Conseguentemente,
in assenza di specifiche deleghe di tali poteri a dipendenti
subordinati idonei a esercitarli, gli organi di vertice delle
amministrazioni dovevano essere considerati destinatari della
normativa antinfortunistica. Con l'entrata in vigore del D.Lgs.
19 settembre 1994 n. 626 la nozione di datore di lavoro trovava
finalmente una definizione fissata in una norma giuridica: l'articolo
2, comma 1, lett. b), nella sua formulazione originaria dettava
una definizione di datore di lavoro senza distinguere tra pubblico
e privato. Il successivo D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242, integrando
la precedente definizione, chiariva che nelle Pubbliche amministrazioni
per datore di lavoro si deve intendere il dirigente al quale
spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente
qualifica dirigenziale nei soli casi in cui quest'ultimo sia
preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale. Per la prima
volta nell'ordinamento giuridico compare una nozione di datore
di lavoro pubblico".
Individuando i soggetti destinatari delle norme, nell'ambito
della definizione di datore di lavoro, l'articolo 2 comma 1
lettera b) si occupa delle Pubbliche amministrazioni (indicate
dall'articolo 1 comma 2 del Decreto Legislativo n. 29/1993)
laddove per datore "si intende il dirigente al quale spettano
i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica
dirigenziale nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto
a un ufficio avente autonomia gestionale".
La difficoltà pratica di individuare per ciascuna amministrazione
il destinatario delle norme di prevenzione induce tuttavia il
legislatore a demandare ad un atto amministrativo di natura
ricognitiva l'effettiva indicazione del soggetto responsabile:
"l'articolo 30 del D.Lgs. 242/1996 stabiliva infatti che
entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso gli
organi di direzione politica o comunque di vertice delle Pubbliche
amministrazioni avrebbero dovuto procedere all'individuazione
dei datori pubblici, tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito
funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività".
Nell'amministrazione della giustizia l'individuazione dei datori
di lavoro si è verificata a seguito dell'emanazione del
Decreto del Ministro della Giustizia del 18 novembre 1996, che
indica quali datori di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 626/94
per gli uffici giudiziari i rispettivi capi: tuttavia "l'individuazione
del datore di lavoro pubblico deve comunque avvenire nel rispetto
della nozione generale fornita dall'articolo 2, comma 1, lettera
b), nuovo testo, del D.Lgs. 626/1994, posto che l'atto amministrativo
ricognitivo non può in alcun modo essere contrario a
norme di legge. Occorre in altri termini verificare se il soggetto
individuato dall'organo di direzione politica o amministrativa
possegga quei poteri di gestione che la norma avente valore
di legge considera elemento qualificante della nozione di datore
di lavoro. L'operazione logica risulta indispensabile per identificare
un soggetto che, al di la della designazione formale cui non
può sottrarsi, sia effettivamente responsabile delle
eventuali violazioni alle norme prevenzionali perché
fornito dei poteri necessari per imporre il rispetto delle norme
di sicurezza (cfr. Cass. pen. sez. Ill, 30 maggio 1996, n. 5407)"
che "corrispondono a poteri decisionali e di spesa. Tale
assunto è confermato dalla normativa generale sulla dirigenza
nelle Pubbliche amministrazioni (e il datore di lavoro pubblico
deve essere necessariamente un dirigente, secondo la precisa
nozione introdotta dal D.Lgs. 242/1996)": "l'articolo
3 comma 2 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 dispone che ai dirigenti
spetta la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa
l'adozione di tutti gli atti che impegnano l'Amministrazione
verso l'esterno mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione
delle risorse umane e strumentali e di controllo; i dirigenti
sono inoltre responsabili della gestione e dei relativi risultati".
In tal senso "non è concepibile pertanto un dirigente
privo di poteri decisionali e di spesa".
Non a caso "tali poteri costituiscono l'elemento qualificante
anche della nozione di datore di lavoro privato secondo l'articolo
2, comma 1, lettera b), prima parte del D.Lgs. 626/94 e non
si vede per quale ragione il legislatore avrebbe dovuto diversificare
nella nozione il datore di lavoro pubblico, in aperto contrasto
con la tendenza ormai consolidata ad assimilare il più
possibile il rapporto di pubblico impiego a quello di diritto
privato".
Perciò, "applicando i suesposti principi, occorre
verificare se l'individuazione dei capi degli uffici giudiziari
quali datori di lavoro, operata dal D.M. 18 novembre 1996, sia
avvenuta nei confronti di soggetti titolari di poteri, decisionali
e di spesa. Ebbene, a tale quesito non può rispondersi
che negativamente: i magistrati dirigenti degli uffici giudiziari,
se pure hanno poteri di gestione delle risorse umane (peraltro
limitati al personale di Magistratura) difettano della potestà
di adottare "tutti" gli atti che impegnano l'Amministrazione
della giustizia verso l'esterno mediante autonomi poteri di
spesa.
Né risulta che tali poteri generali di spesa (quanto
meno limitati al rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro)
siano stati trasferiti con altro atto amministrativo precedente
o successivo al D.M. citato".
Di conseguenza, "I'individuazione dei capi degli uffici
quali datori di lavoro, per essere efficace e produttiva di
effetti giuridici, deve essere accompagnata dal conferimento
dei poteri di spesa necessari per attuare la normativa prevenzionale,
ove il soggetto interessato non li possegga già".
Quindi "non avendo provveduto contestualmente all'emanazione
del D.M. 18 novembre 1996 a trasferire i necessari poteri di
spesa, il ministro di Grazia e Giustizia ha semplicemente iniziato
il procedimento di individuazione del datore di lavoro senza
perfezionarlo: il decreto ministeriale costituisce allo stato
un atto intermedio del procedimento amministrativo e spiegherà
i suoi effetti giuridici nei confronti dei destinatari quando
con altro atto a contenuto generale ed astratto verranno trasferiti
ai capi degli uffici giudiziari anche tutti i poteri di spesa
necessari ad assicurare il rispetto della normativa prevenzionale.
Del resto l'assenza di poteri generali di spesa devoluti ai
capi degli uffici giudiziari risulta anche dal testo della circolare
n. 6/120/97/9E del 25 marzo 1997, emessa dal Direttore generale
degli Affari civili e libere professioni".
Secondo quest'ultimo atto amministrativo "ogni datore di
lavoro deve trasmettere al competente funzionario delegato (presidente
della Corte d'Appello o Procuratore generale) la documentazione
necessaria per il pagamento dei corrispettivi dovuti a tale
titolo. I funzionari delegati provvederanno poi ai pagamenti
mediante utilizzo degli accreditamenti che il ministero di Grazia
e Giustizia effettuerà con fondi stanziati su un determinato
capitolo di bilancio 1997". Da questa circolare si deduce
quindi che "i capi degli uffici giudiziari non dispongono
di alcun autonomo potere di spesa per effettuare gli adempimenti
imposti dal D.Lgs. n. 626/94: i dirigenti degli uffici giudiziari
di primo grado non possono disporre alcun pagamento: i presidenti
delle Corti d'Appello e i Procuratori generali dovrebbero utilizzare
fondi non ancora stanziati e comunque limitati ad un anno contabile,
sicché per gli adempimenti ricorrenti negli anni e che
comportino spese non possono al momento impegnare somme. Tali
poteri di spesa, conferiti ad hoc solo ai presidenti e ai Procuratori
generali presso le Corti d'Appello, soltanto per particolari
adempimenti (redazione dei documento sulla sicurezza e nomina
dei medico competente) e unicamente per il 1997 con riferimento
a fondi nemmeno stanziati, non possono pertanto in alcun modo
essere qualificati come generali, nè tanto meno come
autonomi.... Per le ragioni su esposte, il D.M. 18 novembre
1996 è allo stato inefficace e i capi degli uffici giudiziari
non possono attualmente essere considerati datori di lavoro
ai sensi del D.Lgs. n. 626/94".
3.
DATORE DI LAVORO, UNITÀ DI SERVIZIO E RAPPRESENTANTE
DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA NEGLI ENTI LOCALI
Con Provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri
del 05/06/96 veniva autorizzato il "Governo alla sottoscrizione
- ai sensi dell'art. 51, comma 1, del Decreto Legislativo n.
29/1993 - del testo del contratto collettivo quadro in merito
agli aspetti applicativi del Decreto Legislativo 19 settembre
1994, n. 626, riguardanti il "rappresentante per la sicurezza",
concordato il 7 maggio 1996 tra l'ARAN e le confederazioni sindacali
CGIL, CISL, UIL, CONFSAL, CISAL, CISNAL, CONFEDIR, USPPI e UNIONQUADRI".
Il punto III di tale contratto prevede (ricalcando l'obbligo
di cui all'art. 18 c. 6 D.Lgs. n. 626/94 per aziende e unità
produttive) che i rappresentanti dei lavoratori devono essere
designati o eletti per amministrazioni o unità lavorative
nella misura di 1 se i dipendenti sono da 16 a 200, di 3 se
i dipendenti sono da 201 a 1.000, di 6 se i dipendenti sono
più di 1.000. Unità lavorativa traduce in linguaggio
amministrativo (e ad essa equivale il concetto di unità
di servizio) la nozione di "unità produttiva: stabilimento
o struttura finalizzata alla produzione di beni o servizi, dotata
di autonomia finanziaria e tecnico-funzionale" (di cui
all'art. 2 c. 2 lett. i del D.Lgs. n. 626/94), cui fa capo (quale
datore di lavoro ai sensi dell'art. 2 c. 1 lett. b D.Lgs. n.
626/94) un soggetto penalmente responsabile in quanto titolare
di autonomi poteri di spesa, mentre non è "necessaria
anche un'autonomia finanziaria nella sua più vasta accezione
- comprendente cioè anche l'autonomia nell'approvvigionamento
delle entrate" (Avv. Margiotta, Sicurezza del lavoro, Milano,
lpsoa 1996, p. 20).
Difatti, in generale e non solo per la pubblica amministrazione,
è stato esattamente osservato che "deve ritenersi
che il concetto di autonomia finanziaria non sia da intendersi
in senso strettamente formale, cioè riferibile ad una
apposita persona giuridica avente autonomo capitale sociale,
autonomi bilanci ed autonomo stato patrimoniale, bensì
sia riconducibile al binomio decisione-spesa che caratterizza
l'autonomia e la conseguente responsabilità del datore
di lavoro di fatto inteso come responsabile dell'unità
produttiva": "tutto ciò deve risultare inequivocabilmente
da documenti aziendali fidefacenti che attribuiscano ad un determinato
soggetto la titolarità dei poteri decisionali nell'ambito
dell'unità produttiva e l'autonomia di spesa necessaria
per dare concretezza agli stessi con particolare e specifico
riferimento alle problematiche in tema di sicurezza ed igiene
del lavoro" (Ferrara-Giudici-Morelli-Zappoli, Manuale di
sicurezza del lavoro, Milano, lpsoa, 1996, pag. 156).
In tal senso la sentenza Cass. sez. IV Pen., Nardinocchi, n.
11559 del 4 dicembre 1992 afferma chiaramente che ai sensi dell'art.
51 commi 2 e 4, L. 8.6.1990 n. 142 in caso di violazioni collegate
alla correttezza e all'efficienza della gestione amministrativa
di uffici e servizi non è responsabile il sindaco "ma
il dirigente cui incombeva la gestione amministrativa del servizio".
E difatti l'art. 2 c. 1 lett. b D.Lgs. n. 626/94 individua come
datore di lavoro "nelle pubbliche amministrazioni di cui
all'art. 1, comma 2, del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993,
n. 29 il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero
il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi
in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia
gestionale". Tale autonomia gestionale non viene intesa
in modo pieno e completo dalla legge, dalla giurisprudenza e
dalla dottrina: infatti in tal senso la Circolare 17 dicembre
1996 n. 3/96 del Ministero dell'Interno afferma esplicitamente
che il datore di lavoro cui va imputata la responsabilità
per la prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro del settore
Enti locali va individuato nel funzionario nominato responsabile
del servizio secondo lo Statuto o regolamento dell'ente. Quindi
ogni servizio a capo del quale esista un responsabile nominato
dall'ente per la prevenzione dei rischi lavorativi si configura
come unità di servizio (equivalente a lavorativa), cui
sono collegati tutti gli obblighi e oneri previsti dal D.Lgs.
n. 626/94 a carico di tutti i datori di lavoro.
Vogliamo ora fare riferimento ad un caso importante ed esemplare,
quello del Comune di Milano, che è la più grande
azienda della Lombardia, con circa 18.000 dipendenti. Con deliberazione
della Giunta del Comune di Milano del 30 luglio 1997 (prot.
gen. 1959.450/96) si è proceduto (come recita il titolo
di tale provvedimento) alla "individuazione dei "datori
di lavoro" nell'ambito dell'Amministrazione comunale ai
sensi e agli effetti del D.Lgs. n. 626/94" (doc. 3), peraltro
"in via sperimentale", sic, p. 2). Nella delibera
si afferma che poiché ai sensi del "Decreto Legislativo
del 19 settembre 1994 n. 626 ... con le modifiche introdotte
dal Decreto Legislativo del 19 marzo 1996 n. 242, nelle Pubbliche
Amministrazioni per "Datore di lavoro" si intende
il Dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero
il Funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi
in cui sia preposto a un ufficio avente autonomia gestionale",
allora "allo stato attuale, l'organizzazione del Comune
di Milano prevede una struttura composta da Settori, ciascuno
con a capo un Dirigente che riferisce direttamente agli Organi
dell'Amministrazione. Pertanto, ai sensi della legge e in base
all'attuale struttura, la figura del datore di lavoro, nell'accezione
particolare coniata per la pubblica Amministrazione [quindi
comprensiva di poteri di gestione, n.d.r], non può che
essere individuata nel Direttore di Settore" (pag. 3 delibera
citata), ed essendo molteplici i settori del Comune di Milano,
abbiamo molteplici "datori di lavoro". Tale delibera
suscita però più di una perplessità (anche
perché connessa all'applicazione di una legge penalmente
sanzionata come il D.Lgs. n. 626/94, che individua precise sanzioni
penali a carico di ben individuate persone fisiche costituite
dai datori di lavoro così come individuati dall'art.
2 del D.Lgs. n. 626/94), laddove afferma contraddittoriamente
che "i Direttori di Settore saranno considerati "datori
di lavoro" per i soli aspetti che non comportino la necessità
di stanziamenti finanziari adeguati, in quanto solo gli organi
di vertice politico possono essere considerati responsabili
delle previsioni di bilancio e dell'individuazione delle risorse
necessarie per l'attuazione del Piano di progressiva eliminazione
o attenuazione del rischio". In particolare "questa
prima individuazione dei Datori di Lavoro è da intendersi
in via sperimentale e finalizzata alla predisposizione del documento
di valutazione dei rischi, fermo restando che ad un successivo
cambiamento organizzativo occorrerà procedere ad una
diversa individuazione dei Datori di Lavoro".
Dunque questa "prima individuazione sperimentale"
di datori di lavoro (penalmente responsabili) sarebbe solamente
"finalizzata alla predisposizione del documento di valutazione
dei rischi": tuttavia l'art. 4 del D.Lgs. n. 626/94 prevede
che tale documento deve includere anche il "Piano di progressiva
eliminazione o attenuazione del rischio", e ciò
può essere fatto solo da chi disponga dei poteri di gestione
previsti dall'art. 2 c. 1 lett. b) del D.Lgs. n. 626/94. Ora
delle due l'una, o i dirigenti di settore così individuati
come datori di lavoro sono meramente fittizi, "sperimentali",
e quindi non legittimati a redigere i documenti di valutazione
dei rischi e di programmazione del miglioramento dei livelli
di sicurezza (art. 4 c. 2 D.Lgs. n. 626/94) perché privi
dei necessari poteri di gestione (come afferma la delibera)
e quindi sono a tutti gli effetti degli impropri e illegittimi
sostituti degli organi di vertice politico (che sarebbero in
realtà gli effettivi datori di lavoro, dotati dei necessari
poteri di gestione e delle connesse responsabilità penali),
oppure questi dirigenti di settore sono effettivamente datori
di lavoro ai sensi dell'art. 2 c. 1 lett. b D.Lgs. n. 626/94,
ed allora hanno predisposto dei documenti di valutazione dei
rischi colpevolmente incompleti, perché la delibera citata
li ha privati del potere (gestionale effettivo) di individuare
(e attuare) il programma di miglioramento dei livelli di sicurezza,
quello che la delibera definisce il "Piano di progressiva
eliminazione o attenuazione del rischio" e che costituisce
uno dei tre elementi essenziali e imprescindibili del documento
scritto di cui all'art. 4 c. 2 del D.Lgs. n. 626/94. Va notato
che l'incompletezza del documento di valutazione dei rischi,
alla stregua dei criteri indicati dalla legge, costituisce violazione
penale dell'articolo 4 comma 2 del D.Lgs. n. 626/94, e come
tale è punita penalmente dall'articolo 89 c. 1 del D.Lgs.
n. 626/94 (salva l'applicazione del D.Lgs. n. 626/94).
In tale contesto il Direttore del settore personale del Comune
di Milano, con propria comunicazione del 23/1/1997 ad una organizzazione
sindacale di base, ha inoltre negato l'applicabilità
del concetto di unità lavorativa "alla struttura
organizzativa del Comune di Milano nella quale nessun Settore
di attività rappresenta un'unità a se stante pienamente
autonoma sul piano gestionale/finanziario": secondo tale
opinione i 18.000 dipendenti del Comune di Milano dovrebbero
essere tutelati, per quanto riguarda la tutela delle loro condizioni
di sicurezza e di salute di cui al D.Lgs. n. 626/94 (e ai D.P.R.
n. 547/1955 e 303/1956) da soli 6 rappresentanti, mentre contemporaneamente
l'amministrazione comunale di Milano ha nominato con delibera
come datori di lavoro svariate decine di direttori di settore,
ai fini dell'applicazione della legislazione in materia di sicurezza
e salute dei lavoratori. Situazione alquanto paradossale, nella
quale i lavoratori di tale grande Comune non hanno ancora i
propri rappresentanti dei lavoratori, unica tra le grandi aziende
della Lombardia a non aver ancora adempiuto a tale importante
obbligo di legge.
Viene così negato uno dei presupposti fondamentali di
un funzionale sistema di prevenzione dei rischi lavorativi,
secondo quanto già affermato dalla relazione Smuraglia:
"la previsione, contenuta negli articoli 18 e 19 del Decreto
Legislativo n. 626 del 1994, di un rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza, che deve essere nominato in tutte le unità
produttive, risponde all'esigenza di aprire un canale di partecipazione
dei lavoratori, indispensabile per la realizzazione di un completo
ed efficace sistema di prevenzione" (documento approvato
dalla 11ª commissione permanente lavoro, previdenza sociale
nella seduta del 22 luglio 1997 relatore Smuraglia, capitolo
VII).
Tutto
ciò appare di ancor più difficile comprensione
considerando che mentre l'amministrazione comunale di Milano
ritiene che i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza
debbano essere solo 6 per tutti i lavoratori dipendenti del
Comune, invece la Provincia di Bolzano ha stipulato fin dal
24 giugno 1997 un "Accordo per il personale provinciale
sui rappresentanti per la sicurezza sottoscritto il 24 giugno
1997 - Determinazione del numero, delle modalità di destinazione
o di elezione nonché dei permessi retribuiti dei rappresentanti
per la sicurezza per l'Amministrazione provinciale" (Comunicato
della Giunta Provinciale del 24/06/1997 pubblicato su: Bollettino
Uff. Regione n° 30 del 08/07/1997), nel quale i Rappresentanti
vengono individuati in 111, nonostante i dipendenti siano in
numero nettamente inferiore a quelli in forza presso il Comune
di Milano.
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