ATTIVITÀ
DI VIGILANZA, TUTELA DELLA PRIVACY E DIRITTO DI ACCESSO
MINISTERO
DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE
DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI E DEL PERSONALE
CIRCOLARE
N. 22/99 PROT. N. 379 DEL 19 MARZO 1999
Oggetto:
Risposta a quesiti in materia di:
1. Attività di vigilanza e tutela della privacy
2. Tutela della privacy e diritto di accesso
1.
ATTIVITÀ DI VIGILANZA E TUTELA DELLA PRIVACY
Recentemente sono stati rappresentati a questo Servizio
dubbi sollevati da alcune aziende relativamente all'obbligo
di fornire ai funzionari di vigilanza di un Istituto di previdenza
dati e documenti che non attengono direttamente al rapporto
di lavoro ma che sono utili per espletare gli accertamenti necessari.
Poiché la questione riveste carattere generale, dopo
averla sottoposta alla attenzione del gruppo di lavoro appositamente
costituito, si è ritenuto di poter fornire i seguenti
chiarimenti.
In linea generale, la legge n° 675 del 31/12/96 stabilisce
che le Amministrazioni Pubbliche possono utilizzare i dati personali,
automatizzati e cartacei, nella misura necessaria per lo svolgimento
delle funzioni alle quali sono preposte istituzionalmente.
Pertanto, le stesse dovranno astenersi dall'effettuare trattamenti
che non risultino corrispondenti alle funzioni istituzionali.
Il legislatore ha, dunque, operato una scelta precisa, finalizzata
ad assicurare l'esigenza che la P.A. possa svolgere adeguatamente
le proprie funzioni nell'interesse della collettività,
dopo aver assunto tutti gli elementi utili per una valutazione
obbiettiva dei fatti e nella consapevolezza che sono state realizzate
importanti garanzie riguardo alla trasparenza del suo operato.
In particolare, per quanto attiene ai soggetti pubblici, l'attività
è disciplinata dall'art. 27 per i dati diversi dai dati
sensibili; questi ultimi, infatti, sono espressamente disciplinati
dall'art. 22, comma 3, che indica le condizioni necessarie per
poter effettuare il trattamento degli stessi, consentito solo
se autorizzato da espressa disposizione di legge, nella quale
vengano specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni
eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico
perseguite.
In merito poi all'espletamento dei compiti di vigilanza, non
vi è dubbio che sussiste un nesso di indispensabilità
tra il trattamento e le finalità cui protende l'azione
ispettiva.
Conseguentemente, deve ritenersi ammissibile che, per il perseguimento
di un bene collettivo rilevante, venga svolto, seppure con le
cautele previste, un contemperamento dei diversi interessi,
che comporta una sorta di compressione del diritto alla riservatezza.
È interessante notare che, per ciò che concerne
l'attività svolta dai servizi ispezione delle Direzioni
provinciali del lavoro, la legge n° 628 del 1961, che definiva
la struttura degli uffici e ne individuava i compiti, già
allora richiamava il personale ispettivo all'obbligo del segreto
sulle notizie concernenti "le persone o i datori di lavoro"
apprese nel corso dell'attività ispettiva, salvo il caso
di espresso consenso da parte degli interessati (art. 4, comma
4, della legge citata, richiamato dall'art. 9 della legge n°
56/87).
D'altra parte, dall'esame della copiosa legislazione tuttora
vigente che disciplina i compiti, i poteri e gli obblighi degli
organi di vigilanza (art. 8 DPR 19.03.55, n° 520 relativo
ai poteri degli Ispettori del Lavoro, artt. 4 e 5 legge 22.07.61,
n° 628 relativi ai compiti dell'Ispettorato del lavoro,
artt. 13 e 17, comma 1 legge n.689/81, relativi ai poteri e
obblighi degli organi di controllo sull'osservanza di norme
con sanzioni amministrative: art. 3 legge 11.11.83 n° 638
relativo ai poteri di funzionari degli Enti Previdenziali e
degli addetti alla vigilanza presso gli Ispettorati del Lavoro),
si evince esplicitamente che, tra i poteri conferiti agli Ispettori
del lavoro, è compresa la possibilità di acquisire
ogni utile elemento per esplicare la propria funzione ed è
appena il caso di sottolineare le rilevanti finalità
di interesse pubblico perseguite.
Le legislazione, del resto, oltre a sanzionare amministrativamente
i datori di lavoro o loro rappresentanti per la mancata esibizione
della documentazione connessa alla materia contributiva, sanziona
anche l'impedimento all'esercizio dei poteri di vigilanza.
Quanto precede non sembra trovi contrasto con quanto disposto
dall'Autorità Garante per la protezione dei dati personali
che, con provvedimento del 30.09.98 (G.U. 229 del 1.10.98),
ha concesso intanto l'autorizzazione al trattamento dei dati
sensibili, finalizzato alla gestione dei rapporti di lavoro,
a particolari categorie elencate nel provvedimento stesso, in
quanto il soggetto privato è tenuto ad adempire a specifici
obblighi o deve eseguire specifici compiti previsti da leggi,
regolamenti e da altre fonti elencate nel punto 3 lettera a)
del provvedimento appena citato, che indica anche per quali
fini particolari il soggetto privato è autorizzato al
trattamento dei dati sensibili.
Nello stesso provvedimento, infatti, al punto 7, viene sottolineata
la possibilità di comunicazione e di diffusione dei dati
sensibili a soggetti pubblici e privati, nei limiti strettamente
pertinenti agli obblighi, ai compiti o alle finalità
indicati nel punto 3.
Numerose sono le norme che indicano le particolari cautele previste
in ordine all'espletamento dei compiti di vigilanza, tra le
quali appare opportuno menzionare le seguenti disposizioni:
1) (art.4 comma 4, legge 628/1961)
"Le notizie comunicate all'Ispettorato del Lavoro
o da questo richieste non possono essere pubblicate né
comunicate a terzi e ad Uffici in modo che se ne possa dedurre
l'indicazione delle persone o dei datori di lavoro ai quali
si riferiscono salvo il caso di loro espresso consenso".
2) (art.4, comma 3, legge 628/1961 e art. 3 comma 5 legge
638/1983)
"Il personale dell'Ispettorato del Lavoro ed i funzionari
degli Enti Previdenziali devono conservare il segreto sui processi
e sopra ogni altro particolare di lavorazione che venisse a
loro conoscenza; la violazione di tale obbligo è punita
con la pena stabilita dall'art. 623 del Codice Penale".
Un
altro aspetto non trascurabile della normativa sulla privacy,
che ha un diretto collegamento con l'attività di vigilanza,
va individuato nell'esplicita previsione (art. 43, comma 2,
della legge n. 675 cit.) che fa salve le disposizioni della
legge 300/70 "Statuto dei Lavoratori", con ciò
evitando l'elusione dei divieti posti in essere dallo Statuto
attraverso la possibilità di estorcere facilmente il
consenso scritto del lavoratore, notoriamente ritenuto soggetto
"debole" del rapporto.
Restano quindi in vigore, tra l'altro, le disposizioni dello
Statuto il cui spazio di tutela, finalizzato alla dignità
e riservatezza del lavoratore, appare per molti versi coincidente
con quello della privacy e precisamente l'art. 4 (impianti audiovisivi),
l'articolo 5 (accertamenti sanitari), l'articolo 6 (visite personali
di controllo), l'articolo 8 (divieto di indagini sulle opinioni).
Continuano inoltre ad applicarsi le sanzioni penali connesse
a tali divieti, così come previsto dalle disposizioni
penali fissate dall'art. 38 della legge 300/70 ed eventualmente
con le stesse possono concorrere quelle introdotte dalla legge
sulla privacy.
Recentemente il Garante per la protezione dei dati personali
ha anche rappresentato l'esigenza che siano adottate particolari
forme di riservatezza nella notificazione degli atti giudiziari
e degli altri atti.
Nel merito, si osserva che tra le diverse situazioni prospettate
dal Garante, quelle influenti, rispetto alla attività
svolta dagli Ispettorati del Lavoro, possono circoscriversi
a due fattispecie: il caso della notificazione a persona diversa
dal destinatario ai sensi di quanto previsto dall'art. 139 del
c.p.c. ed il caso di notifica immediata degli illeciti, quando
nel corso dell'ispezione sono stati conclusi tutti gli opportuni
accertamenti e può essere effettuata una notificazione
immediata degli illeciti, relativamente all'ipotesi in cui l'atto
debba essere consegnato a persona diversa dal titolare.
In tali occasioni, come osservato nella pronuncia in argomento
l'Ufficiale Giudiziario (nel nostro caso l'Ispettore), anche
se le norme non lo impongono, ben potrebbe chiudere in una busta
la copia dell'atto che consegna a persona diversa dall'interessato,
trascrivendo sulla busta il numero cronologico della notificazione
e certificando la materiale notificazione nella relazione stesa
in calce all'originale e alla copia.
Attenendosi a queste indicazioni, senza inficiare la validità
della notificazione, si eviterebbe l'ingiustificata conoscenza
dei dati contenuti nell'atto da parte del terzo che lo riceve.
Si invitano pertanto gli Uffici ad adottare le opportune misure
per attuare le indicazioni sopra formulate.
2.
TUTELA DELLA PRIVACY E DIRITTO DI ACCESSO
Si pone l'attenzione sul fatto che, per effetto della stessa
norma già richiamata (art. 43, comma2), la legge n. 675/1996
ha previsto che l'accesso ai documenti amministrativi continui
ad essere, in quanto compatibile, disciplinato dalla legge n.241/1990,
nonché dal D.P.R. n.352/1992.
Conseguentemente, per quanto attiene alla attività di
vigilanza, l'accesso ai documenti continua ad essere consentito
nei limiti fissati dal D.M. 757 del 4 novembre 1994 (pubblicato
nella G.U. n.16 del 20 gennaio 1994) a chiunque sia titolare
di un interesse da tutelare.
L'accesso ai documenti sarà, tuttavia, possibile previo
accertamento dei requisiti della richiesta che devono attenere
all'attualità ed alla concretezza dell'interesse che
si vuole tutelare e alla conseguente necessità della
conoscenza dell'atto, senza il quale il richiedente non avrebbe
altri mezzi per tutelare i propri interessi.
In particolare, l'art. 2 del D.P.R. 352/92 stabilisce che l'esercizio
del diritto in questione deve risultare ancorato ad una situazione
giuridicamente rilevante, che abbia i caratteri della personalità
e della concretezza.
L'interessato è tenuto non solo ad indicare gli estremi
del documento oggetto della richiesta ovvero altri elementi
che ne consentano l'individuazione, ma specificare anche, ove
occorra, l'interesse connesso all'oggetto della richiesta e
rilevare la propria identità ed i poteri rappresentativi.
In sostanza, poiché il richiamato regolamento, agli art.
3 e 4, prescrive espressamente che nell'istanza va, tra l'altro,
comprovato "l'interesse connesso all'oggetto della richiesta",
ovvero, per la sussistenza di tale interesse, occorre in ogni
caso verificare che la domanda di accesso a uno o più
atti o documenti sia motivata o sufficientemente esplicativa
in ordine alla sussistenza di un simile interesse, si devono
respingere le istanze immotivate o comunque prive dei requisiti
richiesti.
Peraltro, la richiesta di accesso ai documenti amministrativi
può essere differita al momento in cui saranno ultimati
e definiti gli atti di ispezione, qualora i predetti documenti
siano stati acquisiti o prodotti nel corso di accertamenti ispettivi
non ancora conclusi.
Infatti, l'art. 24, comma 6 della legge 241/90 e l'art. 7, comma
2, del D.P.R. 352/92 prevedono la facoltà di differimento
dell'accesso ai documenti amministrativi, quando la loro conoscenza
possa gravemente ostacolare o compromettere lo svolgimento e
il buon andamento dell'azione amministrativa.
Data la delicatezza e la riservatezza della attività
ispettiva nella fase accertativa (acquisizione di dichiarazioni,
esame e raccolta di dati e documenti, ecc...), la conoscenza
degli atti già compiuti potrebbe gravemente turbare o
compromettere il prosieguo degli accertamenti.
Si reputa, inoltre, opportuno accennare ad un aspetto ancora
oggetto di acceso dibattito dottrinale e sul quale non si è
formato un uniforme orientamento giurisprudenziale. Ci si riferisce
a quei casi in cui contemporaneamente entrano in gioco l'interesse
pubblico all'informazione e l'aspirazione privata alla riservatezza
in ordine ai dati intimi della vita privata e relazionale.
La difficoltà maggiore è incentrata nel riuscire
a trovare un punto di equilibrio e di composizione tra due interessi
contrastanti.
La prevalenza dell'uno finisce per compromettere l'espressione
dell'altro. Tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza, è
emerso l'indirizzo di risolvere la questione in base alla tecnica
del bilanciamento tra contrapposti interessi, affidato anzitutto
all'amministrazione ed in secondo tempo al giudice amministrativo.
La soluzione prospettata è stata prevista direttamente
dalla legge n.241 del 1990, all'art. 24 comma 2 punto d), nel
caso di "diritto alla difesa"; in questa ipotesi,
il bilanciamento tra il diritto di accesso degli interessati
e il diritto alla riservatezza dei terzi non è stato
rimesso alla potestà regolamentare o alla discrezionalità
dell'amministrazione, ma compiuto direttamente, facendo salvo
il diritto degli interessati alla visione degli atti relativi
ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria
per curare o per difendere i loro interessi giuridici.
Sul punto conforta la decisione della VI sezione del Consiglio
di Stato del 6 ottobre 1998, che, accogliendo l'appello di questa
amministrazione, ha rimarcato quanto già con chiarezza
espresso dall'Adunanza Plenaria (Ad.Plen. n.5/97) e cioè
che l'interesse alla riservatezza diviene recessivo quando l'accesso
sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei
limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell'interesse.
Ricorda il Consiglio che, in relazione ai singoli procedimenti
amministrativi, sarà ogni amministrazione che dovrà
valutare quale sia l'esigenza prevalente rispetto a quella relativa
alla tutela della riservatezza, tramite la emissione di appositi
atti regolamentari ( a norma dell'art. 24, comma 4 della legge
241/90 e dell'art. 8 del DPR 352/92).
Ebbene, nel caso di questa amministrazione, si è provveduto
con l'emanazione del D.M. n.757 del 1994 nel quale, è
appena il caso di rammentarlo, tra le categorie di atti sottratti
al diritto di accesso - in relazione alla esigenza di salvaguardare
la riservatezza delle persone - si è inteso comprendere
i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività
ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni
discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di
lavoratori o di terzi.
In questo caso, l'accesso viene differito al momento in cui
il rapporto di lavoro venga a cessare, salvo che le notizie
contenute nei documenti di quel tipo risultano a quella data
sottoposti a segreto istruttorio.
In ultimo, si evidenzia, che sono comunque da ritenere esclusi
dal diritto di accesso gli atti relativi a fatti che possono
configurare illeciti penali che, come tali, sono oggetto di
informativa all'Autorità Giudiziaria (art. 8, comma 4,lett.
c) del DPR 352/92). Tali atti sono coperti da segreto, ai sensi
dell'art. 392 del c.p.p. fino alla chiusura delle indagini preliminari
e cioè fino alla richiesta di archiviazione o di rinvio
a giudizio.
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