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Le vie di esodo nei luoghi di lavoro

Paolo Ancillotti
Presidente A.I.A.S., già Ispettore Generale Capo VV.F.

Mario Abate
Ispettore Antincendi - VV.F. Milano

Un buon sistema di vie di esodo è il primo e più importante requisito di prevenzione incendi di un ambiente a qualsiasi uso destinato.
La prima necessità in caso di incendio è infatti quella di poter evacuare l'ambiente.
Il secondo requisito è la possibilità di smaltire i fumi dell'incendio in emergenza.
Il terzo requisito è costituito dai cosiddetti presidi antincendio: in ordine di utilizzo estintori, naspi, idranti, ecc.
Tali presidi potranno essere usati solo se nell'ambiente i fumi possono essere almeno in parte smaltiti e se si ha almeno una via di fuga alle spalle.

Spesso l'assenza di un idoneo sistema di vie di esodo in edifici realizzati senza pensare alle più elementari regole di prevenzione incendi costringe il titolare dell'attività, che voglia raggiungere un buon livello di sicurezza equivalente, a costose installazioni quali impianti di rivelazione fumi, impianti sprinkler a pioggia, ecc.
Il panorama normativo in materia di vie di esodo dai luoghi di lavoro appare piuttosto confuso.
L'art. 34 del D.P.R. 547/55 afferma che: "deve essere assicurato, in caso di necessità, l'agevole e rapido allontanamento dei lavoratori dai luoghi pericolosi."

Stesso concetto viene espresso dall'art. 13, comma 3 dello stesso decreto:
"In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei lavoratori".

Più recentemente, il D.Lgs. 626/94 all'art. 32 ribadisce che:
"Il datore di lavoro provvede affinché le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono ad uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza"

Esiste quindi un obbligo generale per qualsiasi datore di lavoro, di garantire un sistema di vie di esodo efficiente e proporzionato ai rischi dell'attività lavorativa.
Il legislatore ha voluto sottolineare l'importanza delle uscite di emergenza nei luoghi di lavoro, provvedendo le norme sopra citate di una sanzione penale in caso di inadempimento.
Come noto infatti, ingombrare le vie di esodo o tenere chiusa una uscita di emergenza durante lo svolgimento dell'attività lavorativa costituisce un reato, per il quale il datore di lavoro o l'eventuale preposto (in caso di delega dimostrabile) sono passibili di denuncia alla Autorità giudiziaria.

Limiteremo questi brevi appunti ad alcune riflessioni sul problema delle vie di esodo nelle attività lavorative non regolamentate da una specifica norma del Ministero dell'Interno. Diversamente, per quelle attività come locali di pubblico spettacolo, autorimesse, impianti sportivi, alberghi e pensioni, ecc. i sistemi di vie di esodo sono già stati regolamentati con precisione.

Le uscite di emergenza dai luoghi di lavoro sono trattate in linea generale dagli artt. 13 e 14 del D.P.R. 547/55.
Tali articoli sono stati "manipolati" dal D.Lgs. 626/94 e poi successivamente dal D.Lgs. 242/96 rispetto alla stesura originaria (1).
L'art. 13 del D.P.R. 547/55, relativo alle uscite di emergenza, distingue innanzitutto tra "via di emergenza" e "uscita di emergenza".
L'uscita di emergenza coincide con il vano, il passaggio, la porta stessa cioè, che porta al luogo sicuro.
La via di emergenza, o via di esodo in emergenza, consiste invece di un percorso più o meno lungo che porta alla uscita di emergenza e quindi al luogo sicuro.

Il luogo sicuro ai fini della prevenzione incendi è un luogo dove si è al sicuro dagli effetti dell'incendio.

Gli effetti dell'incendio sono il fumo, il fuoco, il cedimento strutturale degli edifici, la caduta di materiali vari.
Da questo punto di vista il luogo sicuro più affidabile è la pubblica strada, dalla quale è possibile allontanarsi dal luogo dell'incendio o dell'emergenza (occorre peraltro ragionare diversamente in alcuni casi come ad esempio ospedali e case di cura. Infatti in presenza di persone allettate il concetto di luogo sicuro deve essere differentemente trattato).
I cortili chiusi, in realtà, potrebbero considerarsi luoghi sicuri, ma solo al verificarsi di precise condizioni.
Devono essere completamente a cielo libero e comunque avere una ampiezza tale da consentire lo stazionamento delle persone in sicurezza rispetto a fumo, fiamme, crollo o caduta di materiali fino all'arrivo dei soccorsi (luogo sicuro statico).

L'art. 13, comma 4 del D.P.R. 547/55 stabilisce che:
"Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni dei luoghi di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione d'uso, alle attrezzature in essi installate, nonché al numero massimo di persone che possono essere presenti in detti luoghi".
Tale prescrizione di carattere completamente aperto, costituisce sicuramente un potentissimo strumento nelle mani dell'organo di vigilanza che, allo scopo di assicurare e garantire l'esodo in caso di emergenza, potrà legittimamente impartire prescrizioni, sia pure nei limiti dell'opportunità e della ragionevolezza, al datore di lavoro.

In materia di vie di esodo l'unico dato fisso di cui possiamo disporre è l'altezza minima delle uscite di emergenza: tale altezza deve essere pari almeno a m. 2,00.
Gli altri parametri delle vie di esodo quali numero delle stesse, larghezza, lunghezza, sono variabili in funzione di differenti parametri, quando non sono stabiliti da una norma specifica (ad es. locali di pubblico spettacolo, alberghi, impianti sportivi, ecc.).

Appare di difficile comprensione il disposto dello stesso art. 13 al successivo comma 13 laddove, nel tentativo di stabilire una sorta di "sanatoria" per i luoghi di lavoro esistenti, stabilisce:
"Per i luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1 gennaio 1993 non si applica la disposizione contenuta nel comma 4, ma gli stessi debbono avere un numero sufficiente di vie ed uscite di emergenza".

Cosa si intende qui per sufficiente? Le prescrizioni di cui all'art. 13 comma 4 darebbero forse origine in qualche modo ad un sistema di vie di esodo sovrabbondante o comunque sovradimensionato?
Tecnicamente, tale disposizione normativa non appare ottemperabile. I casi sono due. O le vie di esodo sono dimensionate in base alle caratteristiche del luogo, o non lo sono. E siccome avere un "numero sufficiente di vie ed uscite di emergenza" significa avere uscite comunque adeguate alle dimensioni del luogo, alla destinazione d'uso, alla capienza dei locali, si può concludere che anche per i luoghi di lavoro utilizzati prima del 01/01/93, occorrerà predisporre comunque un sistema di vie di esodo conforme ai criteri tecnici di prevenzione che qui cercheremo di illustrare, e che conferiscono al sistema stesso la qualifica di "sufficiente".
Qualsiasi diversa interpretazione potrebbe miseramente cadere al verificarsi del primo sopralluogo dell'organo di vigilanza che, effettuate le proprie valutazioni, prescriverà quanto in scienza e coscienza ritiene necessario per rendere sicura l'attività lavorativa, con buona pace dell'art. 13, comma 13 del D.P.R. 547/55.

L'art. 13 comma 6 afferma che:
"Qualora le uscite di emergenza siano dotate di porte, queste devono essere apribili nel verso dell'esodo e, qualora siano chiuse, devono poter essere aperte facilmente ed immediatamente da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza. L'apertura delle porte delle uscite di emergenza nel verso dell'esodo non è richiesta quando possa determinare pericoli per passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva l'adozione di altri accorgimenti adeguati specificamente autorizzati dal Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio."

Come noto il rischio è uguale al prodotto della frequenza di accadimento di un evento negativo moltiplicato per la dimensione del danno che a quell'evento è associabile.
Occorre a questo punto effettuare il seguente tipo di valutazione:
1) stimare il rischio importato dalla apertura della porta nel verso dell'esodo, ad esempio se questa si verifica su luoghi di transito;
2) stimare il rischio che un gruppo di persone che si trovano in un ambiente, al verificarsi di una emergenza, presi dal panico, non riescano ad aprire la porta verso l'interno per uscire.

È evidente che quando il rischio derivante dalla apertura di una porta nel verso dell'esodo supera il rischio derivante dal fatto che in emergenza le persone presenti in un ambiente non riescano ad aprire quella porta verso l'interno, allora si dovrà sicuramente soprassedere all'apertura della porta nel verso dell'esodo.
Ciò sempre a condizione che realizzare l'apertura nel verso dell'esodo sia "tecnicamente difficile" e comunque non indispensabile perché ad esempio l'affollamento dell'ambiente è basso.
Si pensi al caso di un piccolo negozio della superficie di circa mq. 70 - 100 e dove l'affollamento massimo non supera le 20 persone, con ingresso dalla strada che coincide con l'uscita di emergenza.
In questo caso non è ammissibile che la porta di l'uscita dal negozio invada la pubblica strada, operazione che verrebbe effettuata ad ogni uscita di clienti dal negozio con una alta probabilità di colpire i passanti.
Si potrà in questo caso ammettere l'apertura dell'uscita del negozio verso l'interno.
Si pensi ancora al caso di un capannone industriale dove si effettuano lavorazioni meccaniche a freddo, con la presenza di tre uscite ubicate in posizioni contrapposte ed un affollamento massimo di cinque operai. In effetti, l'eventualità in questo caso che i lavoratori in emergenza non riescano ad attraversare la porta che si apre verso l'interno per uscire è piuttosto bassa.
Completamente inutile è poi in questi casi il "maniglione antipanico", spesso prescritto "ad abundantiam" da tecnici estremamente scrupolosi, ma non dall'art. 13 del D.P.R. 547/55. Per aprire la porta in emergenza in questi casi è sufficiente un dispositivo meccanico piuttosto conosciuto: la maniglia.
Diversamente, in tutti quei casi in cui un numero elevato di persone prese dal panico si accalcano a ridosso di una uscita, potrebbe succedere che spingendosi fra di loro questi non riescano neanche a compiere il semplice movimento consistente nel tirare la porta verso l'interno per aprirla.
Allora sicuramente, ed anche se tecnicamente difficile, dovrà assolutamente realizzarsi l'apertura della porta nel verso dell'esodo (la porta non dovrà comunque invadere la pubblica strada), e provvederla anche di maniglione antipanico con apertura a semplice spinta.
È il caso di cinema, teatri, mense, ristoranti e tutti gli altri locali dove l'affollamento può essere rilevante.

Ancora, l'art. 13 comma 12 del D.P.R. 547/55 stabilisce che:
"Gli edifici che sono costruiti o adattati interamente per le lavorazioni che presentano pericoli di esplosioni o specifici rischi di incendio alle quali sono adibiti più di cinque lavoratori devono avere almeno due scale distinte di facile accesso o rispondere a quanto prescritto dalla specifica normativa antincendio. Per gli edifici già costruiti si dovrà provvedere in conformità, quando non ne esista la impossibilità accertata dall'organo di vigilanza: in quest'ultimo caso sono disposte le misure e cautele ritenute più efficienti. Le deroghe già concesse mantengono la loro validità salvo diverso provvedimento dell'organo di vigilanza".

Anche questa disposizione, che sembrerebbe rendere obbligatoria la presenza di scale in numero notevole negli edifici con "rischio di incendio", in realtà si risolve in modo abbastanza semplice.
Innanzitutto per edifici con pericolo di esplosione o specifico rischio di incendio occorre ragionevolmente pensare ad attività particolarmente pericolose, ad esempio quelle di cui al Decreto Ministeriale del 22/12/1958 - Luoghi di lavoro per i quali sono prescritte le particolari norme di cui agli articoli 329 e 331 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547.
Inoltre quando un edificio è caratterizzato da rischio di esplosioni o comunque da specifici rischi di incendio è sicuramente soggetto all'obbligo di richiedere al Comando provinciale dei VV.F. il certificato di prevenzione incendi, rientrando certamente fra le attività riportate dal D.M. 16/02/82.
L'obbligo di richiedere il suddetto certificato presuppone per il titolare dell'attività la presentazione al Comando provinciale di un progetto di prevenzione incendi (2) dove viene riportato il lay-out aziendale e tutta la disposizione delle vie di esodo.
Ovviamente il progetto di prevenzione incendi dovrà rispondere alla normativa antincendio ove esistente oppure ai criteri tecnici di prevenzione incendi adottati dal competente Comando provinciale dei vigili del fuoco.
Di conseguenza i vigili del fuoco in tale ambito potranno prescrivere la seconda scala, ove necessaria, o comunque quanto reputano necessario perché il sistema di vie di esodo sia idoneo per il tipo di attività svolta.
Il comando timbra i disegni allegati alla pratica di prevenzione incendi e questi disegni diventano un atto ufficiale, una disposizione dei vigili del fuoco per l'esercizio dell'attività che vi è riportata.
In sostanza quindi, quando una attività è sottoposta all'obbligo di richiedere il certificato di prevenzione incendi (praticamente sempre quando è ad elevato rischio di incendio), non sussistono grossi problemi per il datore di lavoro in merito alle vie di esodo, in quanto egli dovrà pedissequamente realizzare quanto riportato dal progetto di prevenzione incendi.

Quando una attività non ha l'obbligo di richiedere il certificato di prevenzione incendi allora dovrà comunque rispondere a "quanto prescritto dalla specifica normativa antincendio". Ciò significa che le vie di esodo dovranno essere conformi alle norme di prevenzione incendi applicabili all'attività in oggetto, ove esistenti, oppure ai criteri tecnici di prevenzione incendi in generale.
Tali criteri sono stati recentemente esemplificati dal D.M. 10/03/98.

Si può comunque affermare che se una attività non rientra fra quelle di cui al D.M. 16/02/82, e quindi non ha l'obbligo di richiedere al comando provinciale dei VV.F. il certificato di prevenzione incendi, sicuramente non deve essere classificata fra quelle che presentano "specifici rischi di incendio".
Di conseguenza viene a cadere il problema della seconda scala, che come già detto si risolve nella presentazione del progetto di prevenzione incendi, che diventa una "deroga implicita" all'obbligo stabilito dal D.P.R. 547/55 della seconda scala.
Non è infatti pensabile che un luogo a rischio specifico di incendio non rientri in nessuna delle attività contemplate dal D.P.R. 689/59 e dal D.M. 16/02/82, soggette come noto all'obbligo di ottenere il certificato di prevenzione incendi.

L'obbligo di adeguare le vie di esodo in conformità alle norme ed ai criteri di prevenzione vige anche "per gli edifici già costruiti" in base all'art. 13, comma 12, del D.P.R. 547/55.
Eventuali deroghe all'obbligo della seconda scala potranno essere concesse dall'"organo di vigilanza". Ma chi è l'organo di vigilanza? In base all'art. 23 del D.Lgs. 626/94, organi di vigilanza dovrebbero essere la ASL e, per quanto di propria competenza, i vigili del fuoco.
In proposito torna utile richiamare ancora il comma 6 dell'art. 13 del D.P.R. 547/55, che afferma:
"L'apertura delle porte delle uscite di emergenza nel verso dell'esodo non è richiesta quando possa determinare pericoli per passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva l'adozione di altri accorgimenti adeguati specificamente autorizzati dal Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio".

Qui sono esplicitamente chiamati in causa i vigili del fuoco. Da ciò, logica vuole che siano per analogia i vigili del fuoco a concedere le "deroghe" di cui al comma 12 dell'art. 13 del D.P.R. 547/55.

Tornando al comma 12 dell'art. 13 occorre sottolineare che ai fini della conformità ai criteri di prevenzione incendi il fatto che un edificio, nella sua struttura muraria, sia già costruito, non è molto influente. Diversamente sono influenti parametri come il tipo di attività che vi si svolge, i carichi di materiali combustibili od infiammabili presenti, lo stato di suddivisione dei combustibili, l'affollamento di lavoratori o comunque la presenza di persone, e inoltre le capacità motorie di queste persone.
Ancora, al comma 12 dell'art. 13 del D.P.R. 547/55 si afferma che:
"le deroghe già concesse mantengono la loro validità salvo diverso provvedimento dell'organo di vigilanza".

Anche questa disposizione lascia un pò perplessi. La eventuale deroga, se concessa, è già stata concessa proprio da un organo di vigilanza, e non si comprende come successivamente il parere espresso da tale organo possa essere differente.

Diverse considerazioni sul sistema delle vie di esodo potrebbero essere espresse dagli enti di controllo solo a seguito di una mutazione sostanziale nella attività lavorativa, come ad esempio aumento rilevante del numero dei dipendenti o comunque dell'affollamento, oppure un aumento consistente dei materiali combustibili od infiammabili depositati, oppure ancora la introduzione di lavorazioni particolarmente pericolose.
Ma come abbiamo già detto, una attività con rischi specifici di incendio ha l'obbligo di richiedere il certificato di prevenzione incendi, e quindi a seguito di modifiche sostanziali come quelle descritte si renderebbe necessario produrre un progetto di variante presso i VV.F., ottenerne la approvazione e procedere ai lavori di adeguamento nei tempi tecnici strettamente necessari.

L'art. 14 del D.P.R. 547/55 si occupa di porte e portoni.
La differenza sostanziale fra l'enunciato degli artt. 13 e 14 del D.P.R. 547/55 sembra consistere nel fatto che mentre le uscite di cui all'art. 14 sarebbero da riferirsi al singolo locale di lavoro, eventualmente contenuto all'interno di un luogo di lavoro di più vaste dimensioni, le uscite di cui all'art. 13 sarebbero quelle ubicate lungo i percorsi di esodo dell'edificio nel suo complesso, quindi lungo le cosiddette "vie di esodo".

Per fare un esempio con gli edifici scolastici, le porte di cui all'art. 14 sarebbero quelle delle singole aule, mentre le vie di esodo e le relative uscite sarebbero quelle dei corridoi, degli androni comuni fino alle porte di uscita sulla pubblica strada.
Ovviamente, per luoghi di lavoro costituiti da un unico ambiente, le uscite dell'art. 14 possono coincidere con le uscite di emergenza di cui all'art. 13.
(Medesima interpretazione si evince dalla Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 22 del 22/07/63, avente per oggetto: Prevenzione infortuni - artt. 13 e 14 del D.P.R. 27/04/55, n. 547 - uscite dai locali di lavoro - quesiti)

Anche nell'art. 14 del D.P.R. 547/55 vi sono peraltro dei punti che destano perplessità.
L'obbligo generale, stabilito dal primo comma dell'art. 14 è che:
"Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni, posizione, e materiali di realizzazione, consentire una rapida uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro".

Tale disposizione ha sicuramente carattere e validità generale.
Ma lo stesso art. 14, al comma 17, così come modificato dal D.Lgs. 242/96, recita:
"Per i luoghi di lavoro costruiti o utilizzati prima del 27 novembre 1994 non si applicano le disposizioni dei commi 2, 3, 4, 5 e 6 concernenti la larghezza delle porte. In ogni caso la larghezza delle porte di uscita di detti luoghi di lavoro deve essere conforme a quanto previsto dalla concessione edilizia ovvero dalla licenza di abitabilità".

Ma cosa succede se il sistema di uscite dal luogo di lavoro, sia pure autorizzato da una concessione edilizia o da una licenza di abitabilità, e quindi conforme ad un certo regolamento edilizio, non si sposa con i criteri di prevenzione incendi relativi al dimensionamento delle vie di esodo?
Le valutazioni in merito possono essere molto complesse, spesso in presenza di edifici storici o destinati successivamente ad usi diversi da quelli originari, magari caratterizzati da un affollamento rilevante.

Cosa succede se l'affollamento è aumentato rispetto alla situazione pregressa del "costruito"? Probabilmente vale quanto sopra espresso a proposito dei sopralluoghi dell'organo di vigilanza.
Sempre lo stesso comma 17 dell'art. 14 del D.P.R. 547/55 afferma ancora che:
"I luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1° gennaio 1993 devono essere provvisti di porte di uscita che, per numero e ubicazione, consentono la rapida uscita delle persone e che sono agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro. Comunque, detti luoghi devono essere adeguati quanto meno alle disposizioni di cui ai precedenti commi 9 e 10".

I commi 9 e 10 si occupano, giustamente, della necessità di dotare le porte apribili nei due sensi di pannelli trasparenti, per vedere chi arriva dall'altra parte ed evitare così violenti scontri frontali, nonché della necessità di segnalare le porte trasparenti per evitare che qualche lavoratore distratto ci passi attraverso.
Ma il problema della trasparenza appare sinceramente secondario rispetto alla più generale necessità di garantire l'esodo dall'edificio.
Il comma 17 sembra dire in questo caso: "le uscite dal luogo di lavoro dovrebbero essere in teoria realizzate con criterio, ma se proprio non ce la fate ad adeguarle, cercate almeno di segnalare i vetri".
Il che lascia molto perplessi, e comunque è in contrasto con l'obbligo generale, mai derogato, previsto dal comma 1 dello stesso articolo, che ripetiamo:
"Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni, posizione, e materiali di realizzazione, consentire una rapida uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro".

Immaginiamo adesso che in un ambiente, ad esempio un ristorante, si trovino tra lavoratori ed avventori circa 100 - 120 persone (caso frequentissimo in realtà), e che l'uscita dal locale sia unica, in quanto preesistente (autorizzata da una concessione edilizia) all'insediamento della attività di ristorazione.
A questo punto, è evidente che un elementare criterio tecnico di prevenzione incendi impone almeno una seconda uscita in posizione possibilmente contrapposta rispetto alla prima.
Non è certo pensabile conservare un'unica uscita, in una unica direzione, solo perché è stata rilasciata una licenza edilizia!!!
Se a seguito di un'emergenza la gente si accalca sulla porta e qualcuno si ferisce, chiunque, anche non esperto di prevenzione incendi si chiederebbe perché non vi era disponibile un'altra uscita. A maggior ragione se lo chiederebbe la magistratura nel corso delle indagini per lesioni od omicidio colposo.
Occorre poi considerare che quando le uscite dal locale coincidono con le uscite di emergenza, occorre sempre considerare il disposto dell'art. 13 del D.P.R. 547/55, in base al quale le uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni del luogo di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione d'uso. E ciò anche se il luogo di lavoro è preesistente al 01/01/93, come specificato in precedenza.
Inoltre, sicuramente la "sanatoria" prevista dal comma 17 dell'art. 14 del D.P.R. 547/55 non si può applicare in tutti i casi in cui la destinazione dei locali di lavoro differisca da quella autorizzata dal comune.
Si pensi ad un edificio adibito ad uffici che viene destinato successivamente ad esposizioni, o casi simili, che presuppongono affollamento rilevante.

Esiste una sostanziale differenza fra i due termini che vengono molto semplicisticamente accomunati dal suddetto comma 17 dell'art. 14: si parla qui di luoghi di lavoro "costruiti od utilizzati" prima del 27/11/94. Ma è molto diverso se un luogo è stato "costruito" od "utilizzato". Può essere stato costruito anche molti anni prima, ma se viene utilizzato oggi con una nuova destinazione, le vie di esodo dovranno essere riferite alla nuova configurazione dell'attività.
Da ciò si evince che la deroga di cui all'art. 14, comma 17, rimane applicabile solo in alcuni casi particolari, in cui non sia comunque mai variata la destinazione d'uso, l'affollamento ed il tipo di attività che vi si svolge.

Sempre l'art. 14 del D.P.R. 547/55 stabilisce al comma 2 che:
Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavoratori deve essere apribile nel verso dell'esodo ed avere larghezza minima di m 1,20.

Anche qui tali requisiti di sicurezza appaiono realisticamente riconducibili ed applicabili ad ambienti con effettivo pericolo di esplosione ed incendio.
Vale quanto specificato in precedenza: i luoghi a rischio di incendio specifico devono ottenere il certificato di prevenzione incendi, e quindi il sistema di uscite o di uscite di emergenza sarà approvato dai vigili del fuoco con il progetto di prevenzione incendi di cui al D.P.R. 37, art. 2 (2).

Diversamente l'art. 14 comma 3 afferma che:
Quando in un locale si svolgono lavorazioni diverse da quelle previste al comma 2, la larghezza minima delle porte è la seguente:
a) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano fino a 25, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 0,80;
b) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra 26 e 50, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 che si apra nel verso dell'esodo;
c) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra 51 e 100, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 e di una porta avente larghezza minima di m 0,80, che si aprano entrambe nel verso dell'esodo;
d) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero superiore a 100, in aggiunta alle porte previste alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno 1 porta che si apra nel verso dell'esodo avente larghezza minima di m 1,20 per ogni 50 lavoratori normalmente ivi occupati o frazione compresa tra 10 e 50, calcolati limitatamente all'eccedenza rispetto a 100.

Tali prescrizioni dovrebbero essere cogenti per quegli ambienti di lavoro in cui vi sia un numero di lavoratori dipendenti così come descritto.

Sempre l'art. 14, comma 4 afferma:
"Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore".

Tale criterio della equivalenza della larghezza complessiva non è felicissimo. Una sola uscita molto larga non è sostitutiva di due uscite contrapposte di larghezza inferiore.
(Ancora una volta stessa interpretazione si riscontra nella succitata Circolare del Ministero del Lavoro n. 22 del 1963)
In realtà le prescrizioni suesposte del D.P.R. 547/55 (art. 14 comma 3) possono portare ad un dimensionamento eccessivo ed ingiustificato della larghezza e del numero delle vie di esodo.

Comunque, il criterio tecnico fondamentale da tenere presente è che deve essere garantita la possibilità di disporre al minimo di due direzioni di esodo alternative.
(In alcuni locali a rischio specifico, come i locali di pubblico spettacolo con affollamento superiore a 150 persone, sono richieste almeno tre vie di esodo alternative).

La regola suddetta trova deroga solo nei luoghi di lavoro molto piccoli od a rischio di incendio estremamente basso.
La larghezza delle vie di esodo (scale incluse) dovrà essere calcolata con la nota formula riportata dal D.M. 10/03/98.

 
A
 
L (metri)=
----------
x0,60
 
50
 
  • in cui
  • "A" rappresenta il numero delle persone presenti al piano (affollamento);
  • il valore 0,60 costituisce la larghezza (espressa in metri) sufficiente al transito di una persona (modulo unitario di passaggio);
  • 50 è la cosiddetta "capacità di deflusso" ed indica il numero massimo delle persone che possono defluire attraverso un modulo unitario di passaggio, tenendo conto del tempo di evacuazione.

Il valore del rapporto A/50, se non è intero, va arrotondato al valore intero superiore.
La larghezza delle uscite deve essere multipla di 0,60 metri, con tolleranza del 5%.
La larghezza minima di una uscita non può essere inferiore a 0,80 metri (con tolleranza del 2%) e deve essere conteggiata pari ad un modulo unitario di passaggio e pertanto sufficiente all'esodo di 50 persone nei luoghi di lavoro a rischio di incendio medio o basso"

Per quanto riguarda le scale, se queste servono un solo piano al di sopra o al di sotto del piano terra, la loro larghezza non dovrà essere inferiore a quella delle uscite del piano servito.
Diversamente se le scale servono più di un piano al di sopra o al di sotto dei piano terra, la larghezza della singola scala non deve essere inferiore a quella delle uscite di piano che si immettono nella scala, mentre la larghezza complessiva dovrà calcolarsi in relazione all'affollamento previsto nei due piani contigui con riferimento a quelli aventi maggior affollamento.

L'art. 14 del D.P.R. 547/55 al comma 6 stabilisce che:
"Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui all'art. 13, comma 5, coincidono con le porte di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all'art. 13, comma 5".

Tale caso si verifica quando le attività lavorative sono contenute in un unico ambiente.

Il comma 5 citato afferma che le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima di m 2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.
Per normativa antincendio vigente bisogna intendere le disposizioni in materia emanate dal ministero dell'interno sotto forma di decreti, CIRCOLARI, pareri tecnici.
I criteri tecnici di prevenzione incendi in materia di vie di esodo sono sempre in linea di massima desumibili dall'allegato III al D.M. 10/03/98 precedentemente citato.
Per le attività con obbligo di certificato di prevenzione incendi occorre invece riferirsi al progetto di prevenzione incendi approvato dal Comando provinciale dei Vigili del fuoco.
Le attività non soggette all'obbligo di ottenere il certificato di prevenzione incendi dovranno usare i criteri di cui al D.M. 10/03/98 per valutare il proprio sistema di vie di esodo, come disposto dall'art. 3 del D.M. 10/03/98:
"All'esito della valutazione dei rischi di incendio, il datore di lavoro adotta le misure finalizzate a: (omissis) realizzare le vie e le uscite di emergenza previste dall'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, di seguito denominato decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1955, così come modificato dall'art. 33 del decreto legislativo n. 626/1994, per garantire l'esodo delle persone in sicurezza in caso di incendio, in conformità ai requisiti di cui all'allegato III".

Ovviamente le uscite di emergenza non devono essere chiuse a chiave durante lo svolgimento della attività lavorativa, come peraltro prescritto dagli artt. 13 e 14 del D.P.R. 547/55. Tale divieto è assistito, come gia detto, da sanzione penale: di conseguenza chiudere le uscite dai luoghi di lavoro o le uscite di emergenza durante lo svolgimento dell'attività lavorativa è un reato.
Peraltro si tratta di uno dei più diffusi reati di prevenzione incendi, imputabile spesso alla trascuratezza e superficialità che accompagnano questi argomenti nei luoghi di lavoro.

Le porte di emergenza ed i percorsi relativi devono essere evidenziati sui progetti di prevenzione incendi con la simbologia di cui al D.M. 30/11/83. Il fatto che una porta venga individuata sul progetto di prevenzione incendi come uscita di emergenza comporta l'obbligo per il datore di lavoro di tenerla aperta o renderla comunque facilmente apribile durante lo svolgimento dell'attività lavorativa, quindi mai incatenata o chiusa a chiave.
Le saracinesche, le porte scorrevoli e le porte girevoli su asse centrale sono al bando: non possono essere considerate porte apribili in emergenza.
Le vie di esodo e le uscite di emergenza devono essere evidenziate da apposita segnaletica.
Tale segnaletica dovrà senz'altro essere conforme a quanto stabilito dal D.Lgs. 493/96.
È necessario che dall'interno dell'attività sia possibile per chiunque capire verso quale direzione dirigersi per raggiungere la pubblica strada.
Dovrà quindi essere previsto un sistema di cartelli opportunamente disposti, che sia in grado di indicare il percorso da seguire. È opportuno sottolineare che la apposizione della cartellonistica di sicurezza è una operazione che solo apparentemente può definirsi semplice.
Scopo dei cartelli è quello di evidenziare in maniera chiara il percorso di esodo nei confronti delle persone che si possono trovare in qualsiasi punto dell'attività. Per installare opportunamente la cartellonistica occorre quindi un ragionamento che non sempre viene messo in atto.
Molto spesso i cartelli, quando presenti, vengono installati solo perché vi è l'obbligo di metterli, da parte di maestranze non qualificate, senza nessuna attenzione alla logica che presiede la posizione o la dimensione di un segnale.
Nelle attività molto piccole, l'utilità della cartellonistica di sicurezza è meno evidente.
In un ufficio di pochi metri quadrati, la via di esodo e l'uscita di emergenza è già immediatamente evidente, e quindi sarà sufficiente un sistema di cartelli molto semplice.
In un grande magazzino di vendita diversamente, la cartellonistica di sicurezza dovrà avere dimensione opportuna per essere percepibile a distanza ed ubicata ad altezza ed in posizione opportuna.

Le vie di esodo devono essere ovviamente individuabili e percorribili anche in caso di mancanza di energia elettrica. A tal fine deve essere installato un sistema di illuminazione di emergenza in grado di assicurare l'illuminamento necessario all'esodo.
In realtà tutte le vie di esodo che possano essere percorribili in assenza di luce naturale o artificiale richiedono l'illuminazione di emergenza.
Tale concetto è stato giustamente esplicitato dal D.M. 10/03/98, al punto 3.13 del relativo allegato:
"Tutte le vie di uscita, inclusi anche i percorsi esterni, devono essere adeguatamente illuminati per consentire la loro percorribilità in sicurezza fino all'uscita su luogo sicuro.
Nelle aree prive di illuminazione naturale od utilizzate in assenza di illuminazione naturale, deve essere previsto un sistema di illuminazione di sicurezza con inserimento automatico in caso di interruzione dell'alimentazione di rete".

Tale disposto integra quanto espresso dall'art. 31 del D.P.R. 547/55, che in materia di illuminazione sussidiaria afferma che negli stabilimenti e negli altri luoghi di lavoro devono esistere mezzi di illuminazione di riserva da impiegare in caso di necessità.
Detti mezzi, in base al suddetto articolo, devono essere tenuti in posti noti al personale, conservati in costante efficienza ed essere adeguati alle condizioni ed alle necessità del loro impiego.
La illuminazione di emergenza, in base al D.P.R. 547/55, deve essere ad azionamento automatico al mancare della corrente di rete:

  • quando siano presenti più di 100 lavoratori e la loro uscita all'aperto in condizioni di oscurità non sia sicura ed agevole;
  • quando l'abbandono imprevedibile ed immediato del governo delle macchine o degli apparecchi sia di pregiudizio per la sicurezza delle persone o degli impianti;
  • quando si lavorino o siano depositate materie esplodenti o infiammabili.

Le modalità di realizzazione della illuminazione di emergenza e le caratteristiche degli impianti possono desumersi dalle norme del CEI - Comitato Elettrotecnico Italiano.

Si concludono questi brevi appunti sulle vie di esodo nei luoghi di lavoro con un commento alla deroga prevista dall'art. 8 del D.M. 10/03/98.
L'art. 8 del D.M. 10/03/98 stabilisce in sostanza che i luoghi di lavoro costruiti od utilizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto (cioè il 07/10/98) con esclusione delle attività con obbligo di certificato di prevenzione incendi, devono essere adeguati alle prescrizioni di cui all'art. 13 del D.P.R. 547/55, in conformità al disposto dell'allegato III del D.M. 10/03/98, entro il termine di due anni.

Innanzi tutto occorre specificare che le prescrizioni dell'art. 13 (e dell'art. 14, per quanto applicabile) del D.P.R. 547/55 sono in vigore dal lontano 01/01/56, e non possono essere prorogate da un decreto ministeriale.
Quindi qualora a seguito di controlli dell'organo di vigilanza (ASL, vigili del fuoco) dovessero evidenziarsi delle carenze nel sistema delle vie di esodo, sicuramente il datore di lavoro sarebbe soggetto a prescrizioni di adeguamento in quanto, come già detto, la violazione degli artt. 13 e 14 del D.P.R. 547/55 configura un reato penale.
Peraltro tale reato sarebbe sanabile con la speciale procedura mista penale - amministrativa prevista dal D.Lgs. 758/94.
I due anni di tempo potrebbero essere intesi unicamente per la realizzazione di eventuali ulteriori lavori di adeguamento e miglioramento delle vie di esodo in conformità alle prescrizioni del titolo III del D.M. 10/03/98, lavori effettuati su un sistema di vie di esodo già sufficiente.
Il rispetto dell'art. 13 del D.P.R. 547/55 deve essere sempre e comunque garantito, e doveva esserlo anche prima dell'entrata in vigore del D.M. 10/03/98.

Certo è che la complessità del quadro normativo così come rappresentato in materia di vie di esodo (e non solo) non favorisce il compito di chi deve adeguare la propria attività alle norme di sicurezza, e si vede costretto a muoversi in un turbine di articoli, commi, CIRCOLARI ministeriali, al punto da non riuscire a comprendere cosa fare veramente.
Tale confusione ingenera nei datori di lavoro atteggiamenti rinunciatari e disinteresse per ciò che vedono troppo complicato da realizzare e comunque troppo distante dall'attività produttiva.

D'altra parte la complessità delle norme vigenti impone che gli organi di controllo siano estremamente preparati e specializzati, al punto di essere in grado di usare sempre il buon senso e non solo l'applicazione letterale della norma, che come abbiamo visto potrebbe essere interpretata in vari modi se si sottolinea un comma di un articolo piuttosto che un altro.

Le prescrizioni di adeguamento, eventualmente effettuate ai sensi del D.Lgs. 758/94, dovranno essere sempre derivate dalla necessità di mettere in atto obiettivi e criteri incontestabili di sicurezza, ricordando che il fine della prescrizione di adeguamento è la tutela della pubblica incolumità.
E ciò indipendentemente dal fatto che un edificio sia già "costruito" o già "utilizzato".

Si conclude ricordando che le considerazioni suesposte devono necessariamente essere integrate da specifiche valutazioni qualora il sistema di vie di esodo o comunque la struttura possano essere fruite da lavoratori o persone non nel pieno possesso delle loro facoltà motorie o mentali. Particolari problematiche in merito nascono relativamente ad edifici adibiti ad ospedali, case di riposo, ecc. dove, specialmente per gli edifici preesistenti, ed in assenza di norme puntuali, occorrerà effettuare valutazioni approfondite e scrupolose.

Note
(1) È opportuno riportare il testo normativo degli articoli in questione, data la complessità dell'argomento e la conseguente necessità per il lettore di poter rapidamente effettuare i necessari riscontri.

"Art. 13. Vie e uscite di emergenza
1. Ai fini del presente decreto si intende per:

a) via di emergenza: percorso senza ostacoli al deflusso che consente alle persone che occupano un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro;

b) uscita di emergenza: passaggio che immette in un luogo sicuro;

c) luogo sicuro: luogo nel quale le persone sono da considerarsi al sicuro dagli effetti determinati dall'incendio o altre situazioni di emergenza.

c bis) larghezza di una porta o luce netta di una porta: larghezza di passaggio al netto dell'ingombro dell'anta mobile in posizione di massima apertura se scorrevole, in posizione di apertura a 90 gradi se incernierata (larghezza utile di passaggio).

2. Le vie e le uscite di emergenza devono rimanere sgombre e consentire di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro.
3. In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei lavoratori.
4. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni dei luoghi di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione d'uso, alle attrezzature in essi installate, nonché al numero massimo di persone che possono essere presenti in detti luoghi.
5. Le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima di m. 2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.
6. Qualora le uscite di emergenza siano dotate di porte, queste devono essere apribili nel verso dell'esodo e, qualora siano chiuse, devono poter essere aperte facilmente ed immediatamente da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza. L'apertura delle porte delle uscite di emergenza nel verso dell'esodo non è richiesta quando possa determinare pericoli per passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva l'adozione di altri accorgimenti adeguati specificamente autorizzati dal Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio.
7. Le porte delle uscite di emergenza non devono essere chiuse a chiave, se non in casi specificamente autorizzati dall'autorità competente.
8. Nei locali di lavoro e in quelli destinati a deposito è vietato adibire, quali porte delle uscite di emergenza, le saracinesche a rullo, le porte scorrevoli verticalmente e quelle girevoli su asse centrale.
9. Le vie e le uscite di emergenza nonché le vie di circolazione e le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da oggetti in modo da poter essere utilizzate in ogni momento senza impedimenti.
10. Le vie e le uscite di emergenza devono essere evidenziate da apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata in luoghi appropriati.
11. Le vie e le uscite di emergenza che richiedono un'illuminazione devono essere dotate di un'illuminazione di sicurezza di intensità sufficiente, che entri in funzione in caso di guasto dell'impianto elettrico.
12. Gli edifici che sono costruiti o adattati interamente per le lavorazioni che presentano pericoli di esplosioni o specifici rischi di incendio alle quali sono adibiti più di cinque lavoratori devono avere almeno due scale distinte di facile accesso o rispondere a quanto prescritto dalla specifica normativa antincendio. Per gli edifici già costruiti si dovrà provvedere in conformità, quando non ne esista la impossibilità accertata dall'organo di vigilanza: in quest'ultimo caso sono disposte le misure e cautele ritenute più efficienti. Le deroghe già concesse mantengono la loro validità salvo diverso provvedimento dell'organo di vigilanza.
13. Per i luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1 gennaio 1993 non si applica la disposizione contenuta nel comma 4, ma gli stessi debbono avere un numero sufficiente di vie ed uscite di emergenza.

Art. 14. Porte e portoni
1. Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni, posizione, e materiali di realizzazione, consentire una rapida uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro.
2. Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavoratori deve essere apribile nel verso dell'esodo ed avere larghezza minima di m 1,20.
3. Quando in un locale si svolgono lavorazioni diverse da quelle previste al comma 2, la larghezza minima delle porte è la seguente:

a) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano fino a 25, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 0,80;

b) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra 26 e 50, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 che si apra nel verso dell'esodo;

c) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra 51 e 100, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 e di una porta avente larghezza minima di m 0,80, che si aprano entrambe nel verso dell'esodo;

d) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero superiore a 100, in aggiunta alle porte previste alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno 1 porta che si apra nel verso dell'esodo avente larghezza minima di m 1,20 per ogni 50 lavoratori normalmente ivi occupati o frazione compresa tra 10 e 50, calcolati limitatamente all'eccedenza rispetto a 100.

4. Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore.
5. Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di m 1,20 è applicabile una tolleranza in meno del 5% (cinque per cento). Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di m. 0,80 è applicabile una tolleranza in meno del 2% (due per cento).
6. Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui all'art. 13, comma 5, coincidono con le porte di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all'art. 13, comma 5.
7. Nei locali di lavoro ed in quelli adibiti a magazzino non sono ammesse le porte scorrevoli, le saracinesche a rullo, le porte girevoli su asse centrale, quando non esistano altre porte apribili verso l'esterno del locale.
8. Immediatamente accanto ai portoni destinati essenzialmente alla circolazione dei veicoli devono esistere, a meno che il passaggio dei pedoni sia sicuro, porte per la circolazione dei pedoni che devono essere segnalate in modo visibile ed essere sgombre in permanenza.
9. Le porte e i portoni apribili nei due versi devono essere trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti.
10. Sulle porte trasparenti deve essere apposto un segno indicativo all'altezza degli occhi.
11. Se le superfici trasparenti o traslucide delle porte e dei portoni non sono costituite da materiali di sicurezza e c'è il rischio che i lavoratori possano rimanere feriti in caso di rottura di dette superfici, queste devono essere protette contro lo sfondamento.
12. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere.
13. Le porte ed i portoni che si aprono verso l'alto devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.
14. Le porte ed i portoni ad azionamento meccanico devono funzionare senza rischi di infortuni per i lavoratori. Essi devono essere muniti di dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili ed accessibili e poter essere aperti anche manualmente, salvo che la loro apertura possa avvenire automaticamente in caso di mancanza di energia elettrica.
15. Le porte situate sul percorso delle vie di emergenza devono essere contrassegnate in maniera appropriata con segnaletica durevole conformemente alla normativa vigente. Esse devono poter essere aperte, in ogni momento, dall'interno senza aiuto speciale.
16. Quando i luoghi di lavoro sono occupati le porte devono poter essere aperte.
17. I luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1° gennaio 1993 devono essere provvisti di porte di uscita che, per numero e ubicazione, consentono la rapida uscita delle persone e che sono agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro. Comunque, detti luoghi devono essere adeguati quanto meno alle disposizioni di cui ai precedenti commi 9 e 10. Per i luoghi di lavoro costruiti o utilizzati prima del 27 novembre 1994 non si applicano le disposizioni dei commi 2, 3, 4, 5 e 6 concernenti la larghezza delle porte. In ogni caso la larghezza delle porte di uscita di detti luoghi di lavoro deve essere conforme a quanto previsto dalla concessione edilizia ovvero dalla licenza di abitabilità".

(2) Decreto del Presidente della Repubblica n° 37 del 12/01/1998
Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi, a norma dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Art. 2. Parere di conformità
1. Gli enti e i privati responsabili delle attività di cui al comma 4 dell'articolo 1 sono tenuti a richiedere al comando l'esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni o di modifiche di quelli esistenti.
2. Il comando esamina i progetti e si pronuncia sulla conformità degli stessi alla normativa antincendio entro quarantacinque giorni dalla data di presentazione. Qualora la complessità del progetto lo richieda, il predetto termine, previa comunicazione all'interessato entro 15 giorni dalla data di presentazione del progetto, è differito al novantesimo giorno. In caso di documentazione incompleta od irregolare ovvero nel caso in cui il comando ritenga assolutamente indispensabile richiedere al soggetto interessato l'integrazione della documentazione presentata, il termine è interrotto, per una sola volta, e riprende a decorrere dalla data di ricevimento della documentazione integrativa richiesta. Ove il comando non si esprima nei termini prescritti, il progetto si intende respinto.



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