Le
vie di esodo nei luoghi di lavoro
Paolo
Ancillotti
Presidente A.I.A.S., già Ispettore Generale Capo VV.F.
Mario
Abate
Ispettore Antincendi - VV.F. Milano
Un
buon sistema di vie di esodo è il primo e più
importante requisito di prevenzione incendi di un ambiente a
qualsiasi uso destinato.
La prima necessità in caso di incendio è infatti
quella di poter evacuare l'ambiente.
Il secondo requisito è la possibilità di smaltire
i fumi dell'incendio in emergenza.
Il terzo requisito è costituito dai cosiddetti presidi
antincendio: in ordine di utilizzo estintori, naspi, idranti,
ecc.
Tali presidi potranno essere usati solo se nell'ambiente i fumi
possono essere almeno in parte smaltiti e se si ha almeno una
via di fuga alle spalle.
Spesso
l'assenza di un idoneo sistema di vie di esodo in edifici realizzati
senza pensare alle più elementari regole di prevenzione
incendi costringe il titolare dell'attività, che voglia
raggiungere un buon livello di sicurezza equivalente, a costose
installazioni quali impianti di rivelazione fumi, impianti sprinkler
a pioggia, ecc.
Il panorama normativo in materia di vie di esodo dai luoghi
di lavoro appare piuttosto confuso.
L'art. 34 del D.P.R. 547/55 afferma che: "deve essere assicurato,
in caso di necessità, l'agevole e rapido allontanamento
dei lavoratori dai luoghi pericolosi."
Stesso
concetto viene espresso dall'art. 13, comma 3 dello stesso decreto:
"In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter
essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei
lavoratori".
Più
recentemente, il D.Lgs. 626/94 all'art. 32 ribadisce che:
"Il datore di lavoro provvede affinché le vie di
circolazione interne o all'aperto che conducono ad uscite o
ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre
allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza"
Esiste
quindi un obbligo generale per qualsiasi datore di lavoro, di
garantire un sistema di vie di esodo efficiente e proporzionato
ai rischi dell'attività lavorativa.
Il legislatore ha voluto sottolineare l'importanza delle uscite
di emergenza nei luoghi di lavoro, provvedendo le norme sopra
citate di una sanzione penale in caso di inadempimento.
Come noto infatti, ingombrare le vie di esodo o tenere chiusa
una uscita di emergenza durante lo svolgimento dell'attività
lavorativa costituisce un reato, per il quale il datore di lavoro
o l'eventuale preposto (in caso di delega dimostrabile) sono
passibili di denuncia alla Autorità giudiziaria.
Limiteremo
questi brevi appunti ad alcune riflessioni sul problema delle
vie di esodo nelle attività lavorative non regolamentate
da una specifica norma del Ministero dell'Interno. Diversamente,
per quelle attività come locali di pubblico spettacolo,
autorimesse, impianti sportivi, alberghi e pensioni, ecc. i
sistemi di vie di esodo sono già stati regolamentati
con precisione.
Le
uscite di emergenza dai luoghi di lavoro sono trattate in linea
generale dagli artt. 13 e 14 del D.P.R. 547/55.
Tali articoli sono stati "manipolati" dal D.Lgs. 626/94
e poi successivamente dal D.Lgs. 242/96 rispetto alla stesura
originaria (1).
L'art. 13 del D.P.R. 547/55, relativo alle uscite di emergenza,
distingue innanzitutto tra "via di emergenza" e "uscita
di emergenza".
L'uscita di emergenza coincide con il vano, il passaggio, la
porta stessa cioè, che porta al luogo sicuro.
La via di emergenza, o via di esodo in emergenza, consiste invece
di un percorso più o meno lungo che porta alla uscita
di emergenza e quindi al luogo sicuro.
Il
luogo sicuro ai fini della prevenzione incendi è un luogo
dove si è al sicuro dagli effetti dell'incendio.
Gli
effetti dell'incendio sono il fumo, il fuoco, il cedimento strutturale
degli edifici, la caduta di materiali vari.
Da questo punto di vista il luogo sicuro più affidabile
è la pubblica strada, dalla quale è possibile
allontanarsi dal luogo dell'incendio o dell'emergenza (occorre
peraltro ragionare diversamente in alcuni casi come ad esempio
ospedali e case di cura. Infatti in presenza di persone allettate
il concetto di luogo sicuro deve essere differentemente trattato).
I cortili chiusi, in realtà, potrebbero considerarsi
luoghi sicuri, ma solo al verificarsi di precise condizioni.
Devono essere completamente a cielo libero e comunque avere
una ampiezza tale da consentire lo stazionamento delle persone
in sicurezza rispetto a fumo, fiamme, crollo o caduta di materiali
fino all'arrivo dei soccorsi (luogo sicuro statico).
L'art.
13, comma 4 del D.P.R. 547/55 stabilisce che:
"Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie
e delle uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni
dei luoghi di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione
d'uso, alle attrezzature in essi installate, nonché al
numero massimo di persone che possono essere presenti in detti
luoghi".
Tale prescrizione di carattere completamente aperto, costituisce
sicuramente un potentissimo strumento nelle mani dell'organo
di vigilanza che, allo scopo di assicurare e garantire l'esodo
in caso di emergenza, potrà legittimamente impartire
prescrizioni, sia pure nei limiti dell'opportunità e
della ragionevolezza, al datore di lavoro.
In
materia di vie di esodo l'unico dato fisso di cui possiamo disporre
è l'altezza minima delle uscite di emergenza: tale altezza
deve essere pari almeno a m. 2,00.
Gli altri parametri delle vie di esodo quali numero delle stesse,
larghezza, lunghezza, sono variabili in funzione di differenti
parametri, quando non sono stabiliti da una norma specifica
(ad es. locali di pubblico spettacolo, alberghi, impianti sportivi,
ecc.).
Appare
di difficile comprensione il disposto dello stesso art. 13 al
successivo comma 13 laddove, nel tentativo di stabilire una
sorta di "sanatoria" per i luoghi di lavoro esistenti,
stabilisce:
"Per i luoghi di lavoro già utilizzati prima del
1 gennaio 1993 non si applica la disposizione contenuta nel
comma 4, ma gli stessi debbono avere un numero sufficiente di
vie ed uscite di emergenza".
Cosa
si intende qui per sufficiente? Le prescrizioni di cui all'art.
13 comma 4 darebbero forse origine in qualche modo ad un sistema
di vie di esodo sovrabbondante o comunque sovradimensionato?
Tecnicamente, tale disposizione normativa non appare ottemperabile.
I casi sono due. O le vie di esodo sono dimensionate in base
alle caratteristiche del luogo, o non lo sono. E siccome avere
un "numero sufficiente di vie ed uscite di emergenza"
significa avere uscite comunque adeguate alle dimensioni del
luogo, alla destinazione d'uso, alla capienza dei locali, si
può concludere che anche per i luoghi di lavoro utilizzati
prima del 01/01/93, occorrerà predisporre comunque un
sistema di vie di esodo conforme ai criteri tecnici di prevenzione
che qui cercheremo di illustrare, e che conferiscono al sistema
stesso la qualifica di "sufficiente".
Qualsiasi diversa interpretazione potrebbe miseramente cadere
al verificarsi del primo sopralluogo dell'organo di vigilanza
che, effettuate le proprie valutazioni, prescriverà quanto
in scienza e coscienza ritiene necessario per rendere sicura
l'attività lavorativa, con buona pace dell'art. 13, comma
13 del D.P.R. 547/55.
L'art.
13 comma 6 afferma che:
"Qualora le uscite di emergenza siano dotate di porte,
queste devono essere apribili nel verso dell'esodo e, qualora
siano chiuse, devono poter essere aperte facilmente ed immediatamente
da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle
in caso di emergenza. L'apertura delle porte delle uscite di
emergenza nel verso dell'esodo non è richiesta quando
possa determinare pericoli per passaggio di mezzi o per altre
cause, fatta salva l'adozione di altri accorgimenti adeguati
specificamente autorizzati dal Comando provinciale dei vigili
del fuoco competente per territorio."
Come
noto il rischio è uguale al prodotto della frequenza
di accadimento di un evento negativo moltiplicato per la dimensione
del danno che a quell'evento è associabile.
Occorre a questo punto effettuare il seguente tipo di valutazione:
1) stimare il rischio importato dalla apertura della porta nel
verso dell'esodo, ad esempio se questa si verifica su luoghi
di transito;
2) stimare il rischio che un gruppo di persone che si trovano
in un ambiente, al verificarsi di una emergenza, presi dal panico,
non riescano ad aprire la porta verso l'interno per uscire.
È
evidente che quando il rischio derivante dalla apertura di una
porta nel verso dell'esodo supera il rischio derivante dal fatto
che in emergenza le persone presenti in un ambiente non riescano
ad aprire quella porta verso l'interno, allora si dovrà
sicuramente soprassedere all'apertura della porta nel verso
dell'esodo.
Ciò sempre a condizione che realizzare l'apertura nel
verso dell'esodo sia "tecnicamente difficile" e comunque
non indispensabile perché ad esempio l'affollamento dell'ambiente
è basso.
Si pensi al caso di un piccolo negozio della superficie di circa
mq. 70 - 100 e dove l'affollamento massimo non supera le 20
persone, con ingresso dalla strada che coincide con l'uscita
di emergenza.
In questo caso non è ammissibile che la porta di l'uscita
dal negozio invada la pubblica strada, operazione che verrebbe
effettuata ad ogni uscita di clienti dal negozio con una alta
probabilità di colpire i passanti.
Si potrà in questo caso ammettere l'apertura dell'uscita
del negozio verso l'interno.
Si pensi ancora al caso di un capannone industriale dove si
effettuano lavorazioni meccaniche a freddo, con la presenza
di tre uscite ubicate in posizioni contrapposte ed un affollamento
massimo di cinque operai. In effetti, l'eventualità in
questo caso che i lavoratori in emergenza non riescano ad attraversare
la porta che si apre verso l'interno per uscire è piuttosto
bassa.
Completamente inutile è poi in questi casi il "maniglione
antipanico", spesso prescritto "ad abundantiam"
da tecnici estremamente scrupolosi, ma non dall'art. 13 del
D.P.R. 547/55. Per aprire la porta in emergenza in questi casi
è sufficiente un dispositivo meccanico piuttosto conosciuto:
la maniglia.
Diversamente, in tutti quei casi in cui un numero elevato di
persone prese dal panico si accalcano a ridosso di una uscita,
potrebbe succedere che spingendosi fra di loro questi non riescano
neanche a compiere il semplice movimento consistente nel tirare
la porta verso l'interno per aprirla.
Allora sicuramente, ed anche se tecnicamente difficile, dovrà
assolutamente realizzarsi l'apertura della porta nel verso dell'esodo
(la porta non dovrà comunque invadere la pubblica strada),
e provvederla anche di maniglione antipanico con apertura a
semplice spinta.
È il caso di cinema, teatri, mense, ristoranti e tutti
gli altri locali dove l'affollamento può essere rilevante.
Ancora,
l'art. 13 comma 12 del D.P.R. 547/55 stabilisce che:
"Gli edifici che sono costruiti o adattati interamente
per le lavorazioni che presentano pericoli di esplosioni o specifici
rischi di incendio alle quali sono adibiti più di cinque
lavoratori devono avere almeno due scale distinte di facile
accesso o rispondere a quanto prescritto dalla specifica normativa
antincendio. Per gli edifici già costruiti si dovrà
provvedere in conformità, quando non ne esista la impossibilità
accertata dall'organo di vigilanza: in quest'ultimo caso sono
disposte le misure e cautele ritenute più efficienti.
Le deroghe già concesse mantengono la loro validità
salvo diverso provvedimento dell'organo di vigilanza".
Anche
questa disposizione, che sembrerebbe rendere obbligatoria la
presenza di scale in numero notevole negli edifici con "rischio
di incendio", in realtà si risolve in modo abbastanza
semplice.
Innanzitutto per edifici con pericolo di esplosione o specifico
rischio di incendio occorre ragionevolmente pensare ad attività
particolarmente pericolose, ad esempio quelle di cui al Decreto
Ministeriale del 22/12/1958 - Luoghi di lavoro per i quali sono
prescritte le particolari norme di cui agli articoli 329 e 331
del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955,
n. 547.
Inoltre quando un edificio è caratterizzato da rischio
di esplosioni o comunque da specifici rischi di incendio è
sicuramente soggetto all'obbligo di richiedere al Comando provinciale
dei VV.F. il certificato di prevenzione incendi, rientrando
certamente fra le attività riportate dal D.M. 16/02/82.
L'obbligo di richiedere il suddetto certificato presuppone per
il titolare dell'attività la presentazione al Comando
provinciale di un progetto di prevenzione incendi (2) dove viene
riportato il lay-out aziendale e tutta la disposizione delle
vie di esodo.
Ovviamente il progetto di prevenzione incendi dovrà rispondere
alla normativa antincendio ove esistente oppure ai criteri tecnici
di prevenzione incendi adottati dal competente Comando provinciale
dei vigili del fuoco.
Di conseguenza i vigili del fuoco in tale ambito potranno prescrivere
la seconda scala, ove necessaria, o comunque quanto reputano
necessario perché il sistema di vie di esodo sia idoneo
per il tipo di attività svolta.
Il comando timbra i disegni allegati alla pratica di prevenzione
incendi e questi disegni diventano un atto ufficiale, una disposizione
dei vigili del fuoco per l'esercizio dell'attività che
vi è riportata.
In sostanza quindi, quando una attività è sottoposta
all'obbligo di richiedere il certificato di prevenzione incendi
(praticamente sempre quando è ad elevato rischio di incendio),
non sussistono grossi problemi per il datore di lavoro in merito
alle vie di esodo, in quanto egli dovrà pedissequamente
realizzare quanto riportato dal progetto di prevenzione incendi.
Quando
una attività non ha l'obbligo di richiedere il certificato
di prevenzione incendi allora dovrà comunque rispondere
a "quanto prescritto dalla specifica normativa antincendio".
Ciò significa che le vie di esodo dovranno essere conformi
alle norme di prevenzione incendi applicabili all'attività
in oggetto, ove esistenti, oppure ai criteri tecnici di prevenzione
incendi in generale.
Tali criteri sono stati recentemente esemplificati dal D.M.
10/03/98.
Si
può comunque affermare che se una attività non
rientra fra quelle di cui al D.M. 16/02/82, e quindi non ha
l'obbligo di richiedere al comando provinciale dei VV.F. il
certificato di prevenzione incendi, sicuramente non deve essere
classificata fra quelle che presentano "specifici rischi
di incendio".
Di conseguenza viene a cadere il problema della seconda scala,
che come già detto si risolve nella presentazione del
progetto di prevenzione incendi, che diventa una "deroga
implicita" all'obbligo stabilito dal D.P.R. 547/55 della
seconda scala.
Non è infatti pensabile che un luogo a rischio specifico
di incendio non rientri in nessuna delle attività contemplate
dal D.P.R. 689/59 e dal D.M. 16/02/82, soggette come noto all'obbligo
di ottenere il certificato di prevenzione incendi.
L'obbligo
di adeguare le vie di esodo in conformità alle norme
ed ai criteri di prevenzione vige anche "per gli edifici
già costruiti" in base all'art. 13, comma 12, del
D.P.R. 547/55.
Eventuali deroghe all'obbligo della seconda scala potranno essere
concesse dall'"organo di vigilanza". Ma chi è
l'organo di vigilanza? In base all'art. 23 del D.Lgs. 626/94,
organi di vigilanza dovrebbero essere la ASL e, per quanto di
propria competenza, i vigili del fuoco.
In proposito torna utile richiamare ancora il comma 6 dell'art.
13 del D.P.R. 547/55, che afferma:
"L'apertura delle porte delle uscite di emergenza nel verso
dell'esodo non è richiesta quando possa determinare pericoli
per passaggio di mezzi o per altre cause, fatta salva l'adozione
di altri accorgimenti adeguati specificamente autorizzati dal
Comando provinciale dei vigili del fuoco competente per territorio".
Qui
sono esplicitamente chiamati in causa i vigili del fuoco. Da
ciò, logica vuole che siano per analogia i vigili del
fuoco a concedere le "deroghe" di cui al comma 12
dell'art. 13 del D.P.R. 547/55.
Tornando
al comma 12 dell'art. 13 occorre sottolineare che ai fini della
conformità ai criteri di prevenzione incendi il fatto
che un edificio, nella sua struttura muraria, sia già
costruito, non è molto influente. Diversamente sono influenti
parametri come il tipo di attività che vi si svolge,
i carichi di materiali combustibili od infiammabili presenti,
lo stato di suddivisione dei combustibili, l'affollamento di
lavoratori o comunque la presenza di persone, e inoltre le capacità
motorie di queste persone.
Ancora, al comma 12 dell'art. 13 del D.P.R. 547/55 si afferma
che:
"le deroghe già concesse mantengono la loro validità
salvo diverso provvedimento dell'organo di vigilanza".
Anche
questa disposizione lascia un pò perplessi. La eventuale
deroga, se concessa, è già stata concessa proprio
da un organo di vigilanza, e non si comprende come successivamente
il parere espresso da tale organo possa essere differente.
Diverse
considerazioni sul sistema delle vie di esodo potrebbero essere
espresse dagli enti di controllo solo a seguito di una mutazione
sostanziale nella attività lavorativa, come ad esempio
aumento rilevante del numero dei dipendenti o comunque dell'affollamento,
oppure un aumento consistente dei materiali combustibili od
infiammabili depositati, oppure ancora la introduzione di lavorazioni
particolarmente pericolose.
Ma come abbiamo già detto, una attività con rischi
specifici di incendio ha l'obbligo di richiedere il certificato
di prevenzione incendi, e quindi a seguito di modifiche sostanziali
come quelle descritte si renderebbe necessario produrre un progetto
di variante presso i VV.F., ottenerne la approvazione e procedere
ai lavori di adeguamento nei tempi tecnici strettamente necessari.
L'art.
14 del D.P.R. 547/55 si occupa di porte e portoni.
La differenza sostanziale fra l'enunciato degli artt. 13 e 14
del D.P.R. 547/55 sembra consistere nel fatto che mentre le
uscite di cui all'art. 14 sarebbero da riferirsi al singolo
locale di lavoro, eventualmente contenuto all'interno di un
luogo di lavoro di più vaste dimensioni, le uscite di
cui all'art. 13 sarebbero quelle ubicate lungo i percorsi di
esodo dell'edificio nel suo complesso, quindi lungo le cosiddette
"vie di esodo".
Per
fare un esempio con gli edifici scolastici, le porte di cui
all'art. 14 sarebbero quelle delle singole aule, mentre le vie
di esodo e le relative uscite sarebbero quelle dei corridoi,
degli androni comuni fino alle porte di uscita sulla pubblica
strada.
Ovviamente, per luoghi di lavoro costituiti da un unico ambiente,
le uscite dell'art. 14 possono coincidere con le uscite di emergenza
di cui all'art. 13.
(Medesima interpretazione si evince dalla Circolare del Ministero
del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 22 del 22/07/63, avente
per oggetto: Prevenzione infortuni - artt. 13 e 14 del D.P.R.
27/04/55, n. 547 - uscite dai locali di lavoro - quesiti)
Anche
nell'art. 14 del D.P.R. 547/55 vi sono peraltro dei punti che
destano perplessità.
L'obbligo generale, stabilito dal primo comma dell'art. 14 è
che:
"Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni,
posizione, e materiali di realizzazione, consentire una rapida
uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall'interno
durante il lavoro".
Tale
disposizione ha sicuramente carattere e validità generale.
Ma lo stesso art. 14, al comma 17, così come modificato
dal D.Lgs. 242/96, recita:
"Per i luoghi di lavoro costruiti o utilizzati prima del
27 novembre 1994 non si applicano le disposizioni dei commi
2, 3, 4, 5 e 6 concernenti la larghezza delle porte. In ogni
caso la larghezza delle porte di uscita di detti luoghi di lavoro
deve essere conforme a quanto previsto dalla concessione edilizia
ovvero dalla licenza di abitabilità".
Ma
cosa succede se il sistema di uscite dal luogo di lavoro, sia
pure autorizzato da una concessione edilizia o da una licenza
di abitabilità, e quindi conforme ad un certo regolamento
edilizio, non si sposa con i criteri di prevenzione incendi
relativi al dimensionamento delle vie di esodo?
Le valutazioni in merito possono essere molto complesse, spesso
in presenza di edifici storici o destinati successivamente ad
usi diversi da quelli originari, magari caratterizzati da un
affollamento rilevante.
Cosa
succede se l'affollamento è aumentato rispetto alla situazione
pregressa del "costruito"? Probabilmente vale quanto
sopra espresso a proposito dei sopralluoghi dell'organo di vigilanza.
Sempre lo stesso comma 17 dell'art. 14 del D.P.R. 547/55 afferma
ancora che:
"I luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1°
gennaio 1993 devono essere provvisti di porte di uscita che,
per numero e ubicazione, consentono la rapida uscita delle persone
e che sono agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro.
Comunque, detti luoghi devono essere adeguati quanto meno alle
disposizioni di cui ai precedenti commi 9 e 10".
I
commi 9 e 10 si occupano, giustamente, della necessità
di dotare le porte apribili nei due sensi di pannelli trasparenti,
per vedere chi arriva dall'altra parte ed evitare così
violenti scontri frontali, nonché della necessità
di segnalare le porte trasparenti per evitare che qualche lavoratore
distratto ci passi attraverso.
Ma il problema della trasparenza appare sinceramente secondario
rispetto alla più generale necessità di garantire
l'esodo dall'edificio.
Il comma 17 sembra dire in questo caso: "le uscite dal
luogo di lavoro dovrebbero essere in teoria realizzate con criterio,
ma se proprio non ce la fate ad adeguarle, cercate almeno di
segnalare i vetri".
Il che lascia molto perplessi, e comunque è in contrasto
con l'obbligo generale, mai derogato, previsto dal comma 1 dello
stesso articolo, che ripetiamo:
"Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni,
posizione, e materiali di realizzazione, consentire una rapida
uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall'interno
durante il lavoro".
Immaginiamo
adesso che in un ambiente, ad esempio un ristorante, si trovino
tra lavoratori ed avventori circa 100 - 120 persone (caso frequentissimo
in realtà), e che l'uscita dal locale sia unica, in quanto
preesistente (autorizzata da una concessione edilizia) all'insediamento
della attività di ristorazione.
A questo punto, è evidente che un elementare criterio
tecnico di prevenzione incendi impone almeno una seconda uscita
in posizione possibilmente contrapposta rispetto alla prima.
Non è certo pensabile conservare un'unica uscita, in
una unica direzione, solo perché è stata rilasciata
una licenza edilizia!!!
Se a seguito di un'emergenza la gente si accalca sulla porta
e qualcuno si ferisce, chiunque, anche non esperto di prevenzione
incendi si chiederebbe perché non vi era disponibile
un'altra uscita. A maggior ragione se lo chiederebbe la magistratura
nel corso delle indagini per lesioni od omicidio colposo.
Occorre poi considerare che quando le uscite dal locale coincidono
con le uscite di emergenza, occorre sempre considerare il disposto
dell'art. 13 del D.P.R. 547/55, in base al quale le uscite di
emergenza devono essere adeguate alle dimensioni del luogo di
lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione d'uso.
E ciò anche se il luogo di lavoro è preesistente
al 01/01/93, come specificato in precedenza.
Inoltre, sicuramente la "sanatoria" prevista dal comma
17 dell'art. 14 del D.P.R. 547/55 non si può applicare
in tutti i casi in cui la destinazione dei locali di lavoro
differisca da quella autorizzata dal comune.
Si pensi ad un edificio adibito ad uffici che viene destinato
successivamente ad esposizioni, o casi simili, che presuppongono
affollamento rilevante.
Esiste
una sostanziale differenza fra i due termini che vengono molto
semplicisticamente accomunati dal suddetto comma 17 dell'art.
14: si parla qui di luoghi di lavoro "costruiti od utilizzati"
prima del 27/11/94. Ma è molto diverso se un luogo è
stato "costruito" od "utilizzato". Può
essere stato costruito anche molti anni prima, ma se viene utilizzato
oggi con una nuova destinazione, le vie di esodo dovranno essere
riferite alla nuova configurazione dell'attività.
Da ciò si evince che la deroga di cui all'art. 14, comma
17, rimane applicabile solo in alcuni casi particolari, in cui
non sia comunque mai variata la destinazione d'uso, l'affollamento
ed il tipo di attività che vi si svolge.
Sempre
l'art. 14 del D.P.R. 547/55 stabilisce al comma 2 che:
Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino
pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano
adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso
più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavoratori
deve essere apribile nel verso dell'esodo ed avere larghezza
minima di m 1,20.
Anche
qui tali requisiti di sicurezza appaiono realisticamente riconducibili
ed applicabili ad ambienti con effettivo pericolo di esplosione
ed incendio.
Vale quanto specificato in precedenza: i luoghi a rischio di
incendio specifico devono ottenere il certificato di prevenzione
incendi, e quindi il sistema di uscite o di uscite di emergenza
sarà approvato dai vigili del fuoco con il progetto di
prevenzione incendi di cui al D.P.R. 37, art. 2 (2).
Diversamente
l'art. 14 comma 3 afferma che:
Quando in un locale si svolgono lavorazioni diverse da quelle
previste al comma 2, la larghezza minima delle porte è
la seguente:
a) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi
occupati siano fino a 25, il locale deve essere dotato di una
porta avente larghezza minima di m 0,80;
b) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi
occupati siano in numero compreso tra 26 e 50, il locale deve
essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20
che si apra nel verso dell'esodo;
c) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi
occupati siano in numero compreso tra 51 e 100, il locale deve
essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20
e di una porta avente larghezza minima di m 0,80, che si aprano
entrambe nel verso dell'esodo;
d) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi
occupati siano in numero superiore a 100, in aggiunta alle porte
previste alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno
1 porta che si apra nel verso dell'esodo avente larghezza minima
di m 1,20 per ogni 50 lavoratori normalmente ivi occupati o
frazione compresa tra 10 e 50, calcolati limitatamente all'eccedenza
rispetto a 100.
Tali
prescrizioni dovrebbero essere cogenti per quegli ambienti di
lavoro in cui vi sia un numero di lavoratori dipendenti così
come descritto.
Sempre
l'art. 14, comma 4 afferma:
"Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può
anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva
non risulti inferiore".
Tale
criterio della equivalenza della larghezza complessiva non è
felicissimo. Una sola uscita molto larga non è sostitutiva
di due uscite contrapposte di larghezza inferiore.
(Ancora una volta stessa interpretazione si riscontra nella
succitata Circolare del Ministero del Lavoro n. 22 del 1963)
In realtà le prescrizioni suesposte del D.P.R. 547/55
(art. 14 comma 3) possono portare ad un dimensionamento eccessivo
ed ingiustificato della larghezza e del numero delle vie di
esodo.
Comunque,
il criterio tecnico fondamentale da tenere presente è
che deve essere garantita la possibilità di disporre
al minimo di due direzioni di esodo alternative.
(In alcuni locali a rischio specifico, come i locali di pubblico
spettacolo con affollamento superiore a 150 persone, sono richieste
almeno tre vie di esodo alternative).
La
regola suddetta trova deroga solo nei luoghi di lavoro molto
piccoli od a rischio di incendio estremamente basso.
La larghezza delle vie di esodo (scale incluse) dovrà
essere calcolata con la nota formula riportata dal D.M. 10/03/98.
|
A
|
|
L
(metri)= |
----------
|
x0,60 |
|
50
|
|
- in
cui
- "A"
rappresenta il numero delle persone presenti al piano (affollamento);
-
il valore 0,60 costituisce la larghezza (espressa in metri)
sufficiente al transito di una persona (modulo unitario di
passaggio);
-
50 è la cosiddetta "capacità di deflusso"
ed indica il numero massimo delle persone che possono defluire
attraverso un modulo unitario di passaggio, tenendo conto
del tempo di evacuazione.
Il
valore del rapporto A/50, se non è intero, va arrotondato
al valore intero superiore.
La larghezza delle uscite deve essere multipla di 0,60 metri,
con tolleranza del 5%.
La larghezza minima di una uscita non può essere inferiore
a 0,80 metri (con tolleranza del 2%) e deve essere conteggiata
pari ad un modulo unitario di passaggio e pertanto sufficiente
all'esodo di 50 persone nei luoghi di lavoro a rischio di incendio
medio o basso"
Per
quanto riguarda le scale, se queste servono un solo piano al
di sopra o al di sotto del piano terra, la loro larghezza non
dovrà essere inferiore a quella delle uscite del piano
servito.
Diversamente se le scale servono più di un piano al di
sopra o al di sotto dei piano terra, la larghezza della singola
scala non deve essere inferiore a quella delle uscite di piano
che si immettono nella scala, mentre la larghezza complessiva
dovrà calcolarsi in relazione all'affollamento previsto
nei due piani contigui con riferimento a quelli aventi maggior
affollamento.
L'art.
14 del D.P.R. 547/55 al comma 6 stabilisce che:
"Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di
cui all'art. 13, comma 5, coincidono con le porte di cui al
comma 1, si applicano le disposizioni di cui all'art. 13, comma
5".
Tale
caso si verifica quando le attività lavorative sono contenute
in un unico ambiente.
Il
comma 5 citato afferma che le vie e le uscite di emergenza devono
avere altezza minima di m 2,0 e larghezza minima conforme alla
normativa vigente in materia antincendio.
Per normativa antincendio vigente bisogna intendere le disposizioni
in materia emanate dal ministero dell'interno sotto forma di
decreti, CIRCOLARI, pareri tecnici.
I criteri tecnici di prevenzione incendi in materia di vie di
esodo sono sempre in linea di massima desumibili dall'allegato
III al D.M. 10/03/98 precedentemente citato.
Per le attività con obbligo di certificato di prevenzione
incendi occorre invece riferirsi al progetto di prevenzione
incendi approvato dal Comando provinciale dei Vigili del fuoco.
Le attività non soggette all'obbligo di ottenere il certificato
di prevenzione incendi dovranno usare i criteri di cui al D.M.
10/03/98 per valutare il proprio sistema di vie di esodo, come
disposto dall'art. 3 del D.M. 10/03/98:
"All'esito della valutazione dei rischi di incendio, il
datore di lavoro adotta le misure finalizzate a: (omissis) realizzare
le vie e le uscite di emergenza previste dall'art. 13 del decreto
del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, di seguito
denominato decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1955,
così come modificato dall'art. 33 del decreto legislativo
n. 626/1994, per garantire l'esodo delle persone in sicurezza
in caso di incendio, in conformità ai requisiti di cui
all'allegato III".
Ovviamente
le uscite di emergenza non devono essere chiuse a chiave durante
lo svolgimento della attività lavorativa, come peraltro
prescritto dagli artt. 13 e 14 del D.P.R. 547/55. Tale divieto
è assistito, come gia detto, da sanzione penale: di conseguenza
chiudere le uscite dai luoghi di lavoro o le uscite di emergenza
durante lo svolgimento dell'attività lavorativa è
un reato.
Peraltro si tratta di uno dei più diffusi reati di prevenzione
incendi, imputabile spesso alla trascuratezza e superficialità
che accompagnano questi argomenti nei luoghi di lavoro.
Le
porte di emergenza ed i percorsi relativi devono essere evidenziati
sui progetti di prevenzione incendi con la simbologia di cui
al D.M. 30/11/83. Il fatto che una porta venga individuata sul
progetto di prevenzione incendi come uscita di emergenza comporta
l'obbligo per il datore di lavoro di tenerla aperta o renderla
comunque facilmente apribile durante lo svolgimento dell'attività
lavorativa, quindi mai incatenata o chiusa a chiave.
Le saracinesche, le porte scorrevoli e le porte girevoli su
asse centrale sono al bando: non possono essere considerate
porte apribili in emergenza.
Le vie di esodo e le uscite di emergenza devono essere evidenziate
da apposita segnaletica.
Tale segnaletica dovrà senz'altro essere conforme a quanto
stabilito dal D.Lgs. 493/96.
È necessario che dall'interno dell'attività sia
possibile per chiunque capire verso quale direzione dirigersi
per raggiungere la pubblica strada.
Dovrà quindi essere previsto un sistema di cartelli opportunamente
disposti, che sia in grado di indicare il percorso da seguire.
È opportuno sottolineare che la apposizione della cartellonistica
di sicurezza è una operazione che solo apparentemente
può definirsi semplice.
Scopo dei cartelli è quello di evidenziare in maniera
chiara il percorso di esodo nei confronti delle persone che
si possono trovare in qualsiasi punto dell'attività.
Per installare opportunamente la cartellonistica occorre quindi
un ragionamento che non sempre viene messo in atto.
Molto spesso i cartelli, quando presenti, vengono installati
solo perché vi è l'obbligo di metterli, da parte
di maestranze non qualificate, senza nessuna attenzione alla
logica che presiede la posizione o la dimensione di un segnale.
Nelle attività molto piccole, l'utilità della
cartellonistica di sicurezza è meno evidente.
In un ufficio di pochi metri quadrati, la via di esodo e l'uscita
di emergenza è già immediatamente evidente, e
quindi sarà sufficiente un sistema di cartelli molto
semplice.
In un grande magazzino di vendita diversamente, la cartellonistica
di sicurezza dovrà avere dimensione opportuna per essere
percepibile a distanza ed ubicata ad altezza ed in posizione
opportuna.
Le
vie di esodo devono essere ovviamente individuabili e percorribili
anche in caso di mancanza di energia elettrica. A tal fine deve
essere installato un sistema di illuminazione di emergenza in
grado di assicurare l'illuminamento necessario all'esodo.
In realtà tutte le vie di esodo che possano essere percorribili
in assenza di luce naturale o artificiale richiedono l'illuminazione
di emergenza.
Tale concetto è stato giustamente esplicitato dal D.M.
10/03/98, al punto 3.13 del relativo allegato:
"Tutte le vie di uscita, inclusi anche i percorsi esterni,
devono essere adeguatamente illuminati per consentire la loro
percorribilità in sicurezza fino all'uscita su luogo
sicuro.
Nelle aree prive di illuminazione naturale od utilizzate in
assenza di illuminazione naturale, deve essere previsto un sistema
di illuminazione di sicurezza con inserimento automatico in
caso di interruzione dell'alimentazione di rete".
Tale
disposto integra quanto espresso dall'art. 31 del D.P.R. 547/55,
che in materia di illuminazione sussidiaria afferma che negli
stabilimenti e negli altri luoghi di lavoro devono esistere
mezzi di illuminazione di riserva da impiegare in caso di necessità.
Detti mezzi, in base al suddetto articolo, devono essere tenuti
in posti noti al personale, conservati in costante efficienza
ed essere adeguati alle condizioni ed alle necessità
del loro impiego.
La illuminazione di emergenza, in base al D.P.R. 547/55, deve
essere ad azionamento automatico al mancare della corrente di
rete:
-
quando siano presenti più di 100 lavoratori e la loro
uscita all'aperto in condizioni di oscurità non sia
sicura ed agevole;
-
quando l'abbandono imprevedibile ed immediato del governo
delle macchine o degli apparecchi sia di pregiudizio per la
sicurezza delle persone o degli impianti;
-
quando si lavorino o siano depositate materie esplodenti o
infiammabili.
Le
modalità di realizzazione della illuminazione di emergenza
e le caratteristiche degli impianti possono desumersi dalle
norme del CEI - Comitato Elettrotecnico Italiano.
Si
concludono questi brevi appunti sulle vie di esodo nei luoghi
di lavoro con un commento alla deroga prevista dall'art. 8 del
D.M. 10/03/98.
L'art. 8 del D.M. 10/03/98 stabilisce in sostanza che i luoghi
di lavoro costruiti od utilizzati anteriormente alla data di
entrata in vigore del decreto (cioè il 07/10/98) con
esclusione delle attività con obbligo di certificato
di prevenzione incendi, devono essere adeguati alle prescrizioni
di cui all'art. 13 del D.P.R. 547/55, in conformità al
disposto dell'allegato III del D.M. 10/03/98, entro il termine
di due anni.
Innanzi
tutto occorre specificare che le prescrizioni dell'art. 13 (e
dell'art. 14, per quanto applicabile) del D.P.R. 547/55 sono
in vigore dal lontano 01/01/56, e non possono essere prorogate
da un decreto ministeriale.
Quindi qualora a seguito di controlli dell'organo di vigilanza
(ASL, vigili del fuoco) dovessero evidenziarsi delle carenze
nel sistema delle vie di esodo, sicuramente il datore di lavoro
sarebbe soggetto a prescrizioni di adeguamento in quanto, come
già detto, la violazione degli artt. 13 e 14 del D.P.R.
547/55 configura un reato penale.
Peraltro tale reato sarebbe sanabile con la speciale procedura
mista penale - amministrativa prevista dal D.Lgs. 758/94.
I due anni di tempo potrebbero essere intesi unicamente per
la realizzazione di eventuali ulteriori lavori di adeguamento
e miglioramento delle vie di esodo in conformità alle
prescrizioni del titolo III del D.M. 10/03/98, lavori effettuati
su un sistema di vie di esodo già sufficiente.
Il rispetto dell'art. 13 del D.P.R. 547/55 deve essere sempre
e comunque garantito, e doveva esserlo anche prima dell'entrata
in vigore del D.M. 10/03/98.
Certo
è che la complessità del quadro normativo così
come rappresentato in materia di vie di esodo (e non solo) non
favorisce il compito di chi deve adeguare la propria attività
alle norme di sicurezza, e si vede costretto a muoversi in un
turbine di articoli, commi, CIRCOLARI ministeriali, al punto
da non riuscire a comprendere cosa fare veramente.
Tale confusione ingenera nei datori di lavoro atteggiamenti
rinunciatari e disinteresse per ciò che vedono troppo
complicato da realizzare e comunque troppo distante dall'attività
produttiva.
D'altra
parte la complessità delle norme vigenti impone che gli
organi di controllo siano estremamente preparati e specializzati,
al punto di essere in grado di usare sempre il buon senso e
non solo l'applicazione letterale della norma, che come abbiamo
visto potrebbe essere interpretata in vari modi se si sottolinea
un comma di un articolo piuttosto che un altro.
Le
prescrizioni di adeguamento, eventualmente effettuate ai sensi
del D.Lgs. 758/94, dovranno essere sempre derivate dalla necessità
di mettere in atto obiettivi e criteri incontestabili di sicurezza,
ricordando che il fine della prescrizione di adeguamento è
la tutela della pubblica incolumità.
E ciò indipendentemente dal fatto che un edificio sia
già "costruito" o già "utilizzato".
Si
conclude ricordando che le considerazioni suesposte devono necessariamente
essere integrate da specifiche valutazioni qualora il sistema
di vie di esodo o comunque la struttura possano essere fruite
da lavoratori o persone non nel pieno possesso delle loro facoltà
motorie o mentali. Particolari problematiche in merito nascono
relativamente ad edifici adibiti ad ospedali, case di riposo,
ecc. dove, specialmente per gli edifici preesistenti, ed in
assenza di norme puntuali, occorrerà effettuare valutazioni
approfondite e scrupolose.
Note
(1) È opportuno riportare il testo normativo degli
articoli in questione, data la complessità dell'argomento
e la conseguente necessità per il lettore di poter rapidamente
effettuare i necessari riscontri.
"Art.
13. Vie e uscite di emergenza
1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a)
via di emergenza: percorso senza ostacoli al deflusso che
consente alle persone che occupano un edificio o un locale
di raggiungere un luogo sicuro;
b)
uscita di emergenza: passaggio che immette in un luogo sicuro;
c)
luogo sicuro: luogo nel quale le persone sono da considerarsi
al sicuro dagli effetti determinati dall'incendio o altre
situazioni di emergenza.
c
bis) larghezza di una porta o luce netta di una porta: larghezza
di passaggio al netto dell'ingombro dell'anta mobile in posizione
di massima apertura se scorrevole, in posizione di apertura
a 90 gradi se incernierata (larghezza utile di passaggio).
2. Le vie e le uscite di emergenza devono rimanere sgombre e
consentire di raggiungere il più rapidamente possibile
un luogo sicuro.
3. In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter
essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei
lavoratori.
4. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle
uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni dei
luoghi di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione
d'uso, alle attrezzature in essi installate, nonché al
numero massimo di persone che possono essere presenti in detti
luoghi.
5. Le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima
di m. 2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente
in materia antincendio.
6. Qualora le uscite di emergenza siano dotate di porte, queste
devono essere apribili nel verso dell'esodo e, qualora siano
chiuse, devono poter essere aperte facilmente ed immediatamente
da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle
in caso di emergenza. L'apertura delle porte delle uscite di
emergenza nel verso dell'esodo non è richiesta quando
possa determinare pericoli per passaggio di mezzi o per altre
cause, fatta salva l'adozione di altri accorgimenti adeguati
specificamente autorizzati dal Comando provinciale dei vigili
del fuoco competente per territorio.
7. Le porte delle uscite di emergenza non devono essere chiuse
a chiave, se non in casi specificamente autorizzati dall'autorità
competente.
8. Nei locali di lavoro e in quelli destinati a deposito è
vietato adibire, quali porte delle uscite di emergenza, le saracinesche
a rullo, le porte scorrevoli verticalmente e quelle girevoli
su asse centrale.
9. Le vie e le uscite di emergenza nonché le vie di circolazione
e le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da
oggetti in modo da poter essere utilizzate in ogni momento senza
impedimenti.
10. Le vie e le uscite di emergenza devono essere evidenziate
da apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti,
durevole e collocata in luoghi appropriati.
11. Le vie e le uscite di emergenza che richiedono un'illuminazione
devono essere dotate di un'illuminazione di sicurezza di intensità
sufficiente, che entri in funzione in caso di guasto dell'impianto
elettrico.
12. Gli edifici che sono costruiti o adattati interamente per
le lavorazioni che presentano pericoli di esplosioni o specifici
rischi di incendio alle quali sono adibiti più di cinque
lavoratori devono avere almeno due scale distinte di facile
accesso o rispondere a quanto prescritto dalla specifica normativa
antincendio. Per gli edifici già costruiti si dovrà
provvedere in conformità, quando non ne esista la impossibilità
accertata dall'organo di vigilanza: in quest'ultimo caso sono
disposte le misure e cautele ritenute più efficienti.
Le deroghe già concesse mantengono la loro validità
salvo diverso provvedimento dell'organo di vigilanza.
13. Per i luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1
gennaio 1993 non si applica la disposizione contenuta nel comma
4, ma gli stessi debbono avere un numero sufficiente di vie
ed uscite di emergenza.
Art.
14. Porte e portoni
1. Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni,
posizione, e materiali di realizzazione, consentire una rapida
uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall'interno
durante il lavoro.
2. Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino
pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano
adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso
più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavoratori
deve essere apribile nel verso dell'esodo ed avere larghezza
minima di m 1,20.
3. Quando in un locale si svolgono lavorazioni diverse da quelle
previste al comma 2, la larghezza minima delle porte è
la seguente:
a)
quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati
siano fino a 25, il locale deve essere dotato di una porta
avente larghezza minima di m 0,80;
b)
quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati
siano in numero compreso tra 26 e 50, il locale deve essere
dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 che
si apra nel verso dell'esodo;
c)
quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati
siano in numero compreso tra 51 e 100, il locale deve essere
dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 e di
una porta avente larghezza minima di m 0,80, che si aprano
entrambe nel verso dell'esodo;
d)
quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati
siano in numero superiore a 100, in aggiunta alle porte previste
alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno 1 porta
che si apra nel verso dell'esodo avente larghezza minima di
m 1,20 per ogni 50 lavoratori normalmente ivi occupati o frazione
compresa tra 10 e 50, calcolati limitatamente all'eccedenza
rispetto a 100.
4.
Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può
anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva
non risulti inferiore.
5. Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima
di m 1,20 è applicabile una tolleranza in meno del 5%
(cinque per cento). Alle porte per le quali è prevista
una larghezza minima di m. 0,80 è applicabile una tolleranza
in meno del 2% (due per cento).
6. Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui
all'art. 13, comma 5, coincidono con le porte di cui al comma
1, si applicano le disposizioni di cui all'art. 13, comma 5.
7. Nei locali di lavoro ed in quelli adibiti a magazzino non
sono ammesse le porte scorrevoli, le saracinesche a rullo, le
porte girevoli su asse centrale, quando non esistano altre porte
apribili verso l'esterno del locale.
8. Immediatamente accanto ai portoni destinati essenzialmente
alla circolazione dei veicoli devono esistere, a meno che il
passaggio dei pedoni sia sicuro, porte per la circolazione dei
pedoni che devono essere segnalate in modo visibile ed essere
sgombre in permanenza.
9. Le porte e i portoni apribili nei due versi devono essere
trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti.
10. Sulle porte trasparenti deve essere apposto un segno indicativo
all'altezza degli occhi.
11. Se le superfici trasparenti o traslucide delle porte e dei
portoni non sono costituite da materiali di sicurezza e c'è
il rischio che i lavoratori possano rimanere feriti in caso
di rottura di dette superfici, queste devono essere protette
contro lo sfondamento.
12. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza
che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere.
13. Le porte ed i portoni che si aprono verso l'alto devono
disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.
14. Le porte ed i portoni ad azionamento meccanico devono funzionare
senza rischi di infortuni per i lavoratori. Essi devono essere
muniti di dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili
ed accessibili e poter essere aperti anche manualmente, salvo
che la loro apertura possa avvenire automaticamente in caso
di mancanza di energia elettrica.
15. Le porte situate sul percorso delle vie di emergenza devono
essere contrassegnate in maniera appropriata con segnaletica
durevole conformemente alla normativa vigente. Esse devono poter
essere aperte, in ogni momento, dall'interno senza aiuto speciale.
16. Quando i luoghi di lavoro sono occupati le porte devono
poter essere aperte.
17. I luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1°
gennaio 1993 devono essere provvisti di porte di uscita che,
per numero e ubicazione, consentono la rapida uscita delle persone
e che sono agevolmente apribili dall'interno durante il lavoro.
Comunque, detti luoghi devono essere adeguati quanto meno alle
disposizioni di cui ai precedenti commi 9 e 10. Per i luoghi
di lavoro costruiti o utilizzati prima del 27 novembre 1994
non si applicano le disposizioni dei commi 2, 3, 4, 5 e 6 concernenti
la larghezza delle porte. In ogni caso la larghezza delle porte
di uscita di detti luoghi di lavoro deve essere conforme a quanto
previsto dalla concessione edilizia ovvero dalla licenza di
abitabilità".
(2)
Decreto del Presidente della Repubblica n° 37 del 12/01/1998
Regolamento recante disciplina dei procedimenti relativi alla
prevenzione incendi, a norma dell'articolo 20, comma 8, della
legge 15 marzo 1997, n. 59.
Art.
2. Parere di conformità
1. Gli enti e i privati responsabili delle attività
di cui al comma 4 dell'articolo 1 sono tenuti a richiedere al
comando l'esame dei progetti di nuovi impianti o costruzioni
o di modifiche di quelli esistenti.
2. Il comando esamina i progetti e si pronuncia sulla conformità
degli stessi alla normativa antincendio entro quarantacinque
giorni dalla data di presentazione. Qualora la complessità
del progetto lo richieda, il predetto termine, previa comunicazione
all'interessato entro 15 giorni dalla data di presentazione
del progetto, è differito al novantesimo giorno. In caso
di documentazione incompleta od irregolare ovvero nel caso in
cui il comando ritenga assolutamente indispensabile richiedere
al soggetto interessato l'integrazione della documentazione
presentata, il termine è interrotto, per una sola volta,
e riprende a decorrere dalla data di ricevimento della documentazione
integrativa richiesta. Ove il comando non si esprima nei termini
prescritti, il progetto si intende respinto.
|