Omissione
di cautele antinfortunistiche e di misure di prevenzione incendi
Rolando
Dubini
- Avvocato in Milano
Mario Abate - Ispettore Antincendi VV.F. Milano
1.
OMISSIONE DI CAUTELE CONTRO INFORTUNI SUL LAVORO E DI MEZZI
DI ESTINZIONE DEGLI INCENDI
1.1
- Ipotesi dolosa (art. 437 c.p.)
Ai sensi dell'articolo 437 del codice penale chiunque omette
di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire
disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia,
è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Inoltre se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la
pena è della reclusione da tre a dieci anni.
La
rimozione od omissione dolosa, cioè intenzionale, di
cautele contro gli infortuni sul lavoro è un reato omissivo
che si perfeziona quando le cautele antinfortunistiche derivanti
dalle prescrizioni delle norme:
-
siano state omesse;
-
siano insufficienti;
-
vi sia stata una attività che ne impedisce il funzionamento
o la loro funzione pratica sia stata elusa mediante congegni
idonei a paralizzarne l'efficacia ad libitum dell'operatore;
-
siano state definitivamente e stabilmente rimosse (Cass. sez.
I pen., 3/3/1995, n. 2181, Graziano e altro; Cass. sez. I
pen. 20/9/1994, n. 9967, Parigi; Cass. sez. I pen., 13/2/1991,
n. 2033)
La
Suprema Corte ha precisato che ai fini della prevenzione degli
infortuni sul lavoro sono da rispettare non soltanto le norme
specifiche contenute nelle speciali leggi antinfortunistiche
ma anche quelle che, se pure stabilite da leggi generali, sono
ugualmente dirette a prevenire gli infortuni stessi, come l'omissione
di impianti o di segnali destinati a tale scopo di cui all'art.
437 c.p. (Cass. sez. IV pen., 8/11/1993 n. 10048).
Da
notare che gli articoli 33, 34 e 35 delle norme in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro del D.P.R. 27 aprile
1955 n. 547 prevedono a carico del datore di lavoro specifici
obblighi in materia di prevenzione degli incendi e difesa antincendio.
Secondo
l'indirizzo prevalente della Cassazione la fattispecie di omissione
dolosa di cautele antinfortunistiche si perfeziona indipendentemente
dal numero di individui coinvolti, perché l'art. 437
c.p. mira a prevenire infortuni sul lavoro che possono coinvolgere
singoli lavoratori (Cass. sez. IV pen. 25 ottobre 1991, n. 10696,
Pollini e altro; nello stesso senso Cass. sez. I pen., 4/2/1994,
n. 1326, Florindi; Cass. sez. IV pen. 8/11/1993, n. 10048, P.M.,
Arienti e altri; in senso contrario Cass. sez. IV pen. 1/8/1989,
n. 10812, Micalizzi); difatti "l'art. 437 c.p., che punisce
l'omessa collocazione, oltre che la rimozione ed il danneggiamento,
di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri
o infortuni sul lavoro, mira a prevenire anche il pericolo di
semplici infortuni individuali, e la diffusibilità di
esso non si atteggia in direzione del numero più o meno
elevato dei lavoratori addetti alla specifica mansione, bensì
in direzione dell'indeterminabilità e intercambiabilità
di quelli facenti parte di un contesto lavorativo" (Cass.
sez. I pen., 29/10/1993).
Per
la sussistenza del dolo (intenzione anche generica di commettere
il reato) richiesto dall'art. 437 c.p. non occorre che il pericolo
per la pubblica incolumità sia specificatamente perseguito,
ma è sufficiente la consapevolezza e accettazione del
pericolo insito nell'operare senza le misure necessarie per
prevenire disastri, o infortuni sul lavoro, qualunque ne sia
la ragione e anche se l'agente risulta mosso dall'intento di
ridurre i costi dell'opera magari sperando che il disastro o
l'infortunio non si verifichi (Cass. sez. IV pen. 8/11/1993,
n. 10048, P.M., Arienti e altri).
Sempre
in base all'interpretazione della Suprema Corte la predisposizione
di adeguate misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro
è specificamente prevista dalla legislazione antinfortunistica,
e grava sugli imprenditori, sui datori di lavoro, sui dirigenti,
sui preposti. Oggetto di tale tutela è naturalmente la
sicurezza di chi si trovi nei luoghi di lavoro.
A
garanzia della pubblica incolumità il legislatore ha
poi previsto l'obbligatoria realizzazione di impianti o apparecchi
o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro:
la mancata collocazione di essi da parte di coloro che vi sono
tenuti o la loro rimozione da parte di chiunque sono puniti
a titolo di delitto, a norma dell'art. 437 c.p.
Si
tratta di un "delitto di pericolo presunto, che si consuma
con la semplice omissione degli impianti o con la loro rimozione,
e indipendentemente dal danno che ne deriva in concreto: se
questo poi si verifica nella forma di disastro o anche di più
semplice infortunio, ricorre l'ipotesi più grave di cui
al comma 2" (dell'art. 437 c.p.).
Sia
l'omissione che la rimozione devono essere tali da determinare
pericolo per la pubblica incolumità: "questo è
presunto dalla legge come conseguenza inevitabile del fatto
che vengono a mancare provvidenze destinate a garantire la pubblica
incolumità".
Non
occorre perciò che il pericolo sia anche specificamente
perseguito (dolo specifico), e si comprende allora come "anche
la semplice consapevolezza e accettazione di fare a meno degli
impianti o degli apparecchi o dei segnali necessari, quale che
ne sia la ragione, integri pienamente il reato, e anche se è
causata dalla intenzione di ridurre i costi dell'opera cui le
attrezzature servono e magari nella speranza che non si verifichi
disastro o infortunio, la condotta rimane illecita e punibile".
1.2
- Ipotesi colposa (art. 451 c.p.)
L'ipotesi colposa di omissione di cautele contro infortuni
sul lavoro e di mezzi di estinzione degli incendi è quella
che attiene direttamente la sentenza riportata alla fine dei
presenti appunti.
Ai
sensi dell'art. 451 chiunque, per colpa, omette di collocare,
ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi
destinati alla estinzione di un incendio, o al salvataggio o
al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è
punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire
duecentomila ad un milione.
Ai
sensi dell'art. 43 del codice penale relativo all'elemento psicologico,
il reato è colposo o contro l'intenzione quando l'evento,
anche se previsto, non è voluto e si verifica a causa
di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza
di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Tale
delitto "è ravvisabile allorquando il pericolo di
infortuni sul lavoro si riferisca ad un numero indeterminato
di persone, e tale indeterminatezza significa non che occorre
la presenza di una collettività di lavoratori, ma che
debbano essere salvaguardati dal pericolo i lavoratori momentaneamente
e casualmente in servizio" (Cass. sez.. IV pen., 18 luglio
1996, n. 7175, Dini).
Va
pure notato, e ciò attiene in modo esemplare alla sentenza
che si annota, che in materia di omissione colposa di cautele
o difese contro disastri o infortuni sul lavoro (art. 451 c.p.),
mirando la norma a limitare i danni derivanti da incendio, disastro
o infortuni sul lavoro nelle ipotesi in cui detti eventi si
dovessero verificare, "la condotta punibile è quella
soltanto che consiste nella omessa collocazione ovvero nella
rimozione, ovvero ancora nella resa inidoneità allo scopo
degli apparecchi e degli altri mezzi predisposti alla estinzione
dell'incendio nonché al salvataggio o al soccorso delle
persone. Ne consegue che non si richiede anche che si verifichi
in concreto uno degli eventi, i cui ulteriori danni la norma
mira ad impedire o, comunque, a limitare" [Cassazione penale
sez. VI, 12 dicembre 1995, n. 2720, Vendrame, ne Cass. pen.
1997,1008 (s.m.) e Lavoro nella giur. (Il) 1996, 519].
Secondo una giurisprudenza costante, il reato di omissione colposa
di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro "punisce
a titolo di colpa l'omissione di misure volte a limitare i danni
derivanti da infortunio già verificatosi", a differenza
del reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro
gli infortuni sul lavoro, con il quale si punisce a titolo di
dolo l'omissione di misure dirette a prevenire un infortunio
(Cass. sez. I pen., 9 maggio 1990, n. 6714, Panella): poiché
perciò "l'elemento differenziale tra i reati previsti
dagli art. 437 e 451 c.p. consiste nel fatto che con la prima
di dette norme il legislatore ha inteso prevenire disastri o
infortuni nel lavoro mentre con la seconda si è posto
il fine di limitare i danni derivanti da incendio, disastro
o infortunio già verificatisi", allora "ne
deriva che, essendo assolutamente diverso l'oggetto delle due
diverse previsioni legislative, non è consentita un'integrazione
analogica della seconda norma mediante la prima" [Cassazione
penale, sez. II, 18 ottobre 1979, Stopa, Cass. pen. 1981, 1045].
2.
Difesa contro gli incendi: obblighi a carattere generale
Ogni datore di lavoro di aziende ove sono impiegati lavoratori
dipendenti è tenuto ad adottare le misure necessarie
a prevenire gli incendi ed a tutelare l'incolumità dei
lavoratori in caso di incendio, ai sensi degli articoli 2087
del Codice Civile, 437 e 451 del Codice Penale, art. 33 D.P.R.
547/55 e art. 4 comma 5 lettera q) del D.Lgs. 19 settembre 1994
n. 626.
Dunque
ove sono presenti lavoratori dipendenti è necessario
installare dispositivi, sistemi ed impianti antincendio proporzionati
al rischio di incendio effettivamente presente e tale obbligo
vale per tutte le attività dove sono impiegati lavoratori
dipendenti in qualsiasi numero, a prescindere dalla necessità
per l'attività stessa di dovere o meno richiedere il
certificato di prevenzione incendi ai vigili del fuoco.
Si ricorda che le aziende e/o attività tenute per legge
a richiedere il certificato di prevenzione incendi sono quelle
comprese negli elenchi allegati al D.P.R. n. 689/59 ed al D.M.
16/2/82.
I
dispositivi, sistemi ed impianti antincendio da installare all'interno
dell'azienda, al fine di garantire la sicurezza contro gli incendi,
devono essere differenziati a seconda del rischio di incendio
effettivamente presente.
La
sicurezza antincendio fa dunque riferimento all'insieme delle
misure atte a prevenire ed estinguere gli incendi. Tali misure
interessano sia le apparecchiature e gli impianti necessari,
quali reti antincendio, estintori, che devono essere sempre
efficienti (a differenza di quanto avvenuto per la sentenza
annotata di seguito) ecc., sia le persone che devono utilizzare
in modo idoneo ed al momento opportuno i mezzi messi a disposizione.
A
tutte le aziende, comprese quelle non soggette al controllo
dei vigili del fuoco (Cass. pen. sez. IV, 24 settembre 1981),
si applicano le norme degli artt. 33 - 35 D.P.R. 547/1955 che
impongono l'adozione di misure idonee per prevenire gli incendi
e per tutelare la incolumità dei lavoratori.
Tali
obblighi sono stati meglio dettagliati anche con gli artt. 12
- 13 - 14 e l'allegato II punto 1 del D. Lgs. n. 626/94.
Perciò
"è responsabile del reato di cui all'art. 33 D.P.R.
27 aprile 1955 n. 547 il datore di lavoro che ometta di adottare
idonee misure per prevenire gli incendi e tutelare l'incolumità
dei lavoratori in caso di incendio, pur quando eserciti un'attività
non soggetta al controllo dei vigili del fuoco" di cui
all'art. 36 D.P.R. n. 547/1955 (Cassazione sez. III penale,
4 ottobre 1985 Pisano).
Inoltre
"ai fini della prevenzione incendi, il datore di lavoro
- oltre ad attuare le misure eventualmente prescritte in discipline
specifiche quali apposite CIRCOLARI ministeriali - ha comunque
l'obbligo di adottare le ulteriori cautele stabilite dalle norme
generali dettate negli art. 33 e 34, D.P.R. 27 aprile 1955,
n. 547" (Cassazione sez. III penale, 8/5/1990, Valfrè).
L'articolo
37 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 prevede sia il parere preventivo
sul progetto che il collaudo dell'opera ai fini antincendio
(non soltanto per i nuovi impianti, ma anche per quelli esistenti
che hanno subito modifiche) per le attività elencate
nelle tabelle A e B del D.P.R. 26 maggio 1959, n. 689.
Il
D.P.R. 29 luglio 1982, n. 577 prescrive all'art. 15 per gli
enti ed i privati l'obbligo di richiedere ai Comandi provinciali
dei vigili del fuoco:
-
l'esame preventivo dei progetti di nuovi insediamenti industriali
e civili soggetti al controllo di prevenzione incendi o dei
progetti di modifiche o ampliamenti di quelli esistenti;
-
le visite per il controllo delle prescrizioni impartite;
-
le visite periodiche previste dal decreto di cui agli artt.
2 e 4 della legge n. 966/1965 (D.M. 16 febbraio 1982).
Ai
sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 547/1955 "le norme di
prevenzione degli incendi, che prescrivono il controllo del
comando dei vigili del fuoco territorialmente competente, devono
essere scrupolosamente osservate allorchè nelle aziende
si detengono prodotti infiammabili o quando le aziende stesse,
per dimensione, ubicazione od altre ragioni, presentano gravi
pericoli in caso d'incendio": Inoltre "ai fini sopra
indicati, il concetto di azienda deve essere inteso in senso
lato, comprensivo di ogni attività organizzata con l'impiego
di prestatori d'opera" (Cass. sez. IV pen. 15/4/1975 n.
4139).
Conformemente
alla prescrizione dell'art. 34 comma 1 lettera c) del D.P.R.
n. 547/1955 "devono essere predisposti mezzi di estinzione
idonei in rapporto alle particolari condizioni in cui possono
essere usati, in essi compresi gli apparecchi estintori portatili
di primo intervento". Tali mezzi devono essere mantenuti
in efficienza e controllati almeno una volta ogni sei mesi da
personale esperto.
Le
misure idonee per prevenire gli incendi di cui all'art. 33 e
i mezzi di estinzione di cui all'art. 34 da adottarsi devono
tener conto della sostanza combustibile impiegata e delle particolari
caratteristiche dell'ambiente di lavoro.
Devono
essere presenti estintori di pronto intervento in tutti i locali
ove vi siano sostanze pericolose o a rischio di innesco di incendio.
Gli estintori devono essere efficienti (verifica semestrale
ex art. 34 D.P.R. n. 547/1955), di capacità adeguata,
ben visibili e segnalati ed immediatamente utilizzabili.
Le
uscite di sicurezza devono essere sempre presenti e chiaramente
identificabili, dare l'accesso direttamente all'esterno con
vie di fuga che devono essere mantenute costantemente agibili
e sgombre da materiali (art. 13 D.P.R. n. 547/1955).
Corte
di Cassazione Penale - Sezione IV, 2 marzo 1999, n. 2756 - Pres.
Fattori - Rel. Malagnino P.M. Meloni (Conf.) - ric. Bergese
Commette il delitto di omissione colposa di cautele antinfortunistiche
previsto dall'art. 451 c.p., oltre che la contravvenzione di
cui all'art. 33 D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, il titolare di
una discoteca il quale abbia predisposto idranti inefficienti
e applicato alle porte delle uscite di sicurezza chiavistelli
che, pur se apribili, ostacolano una rapida apertura.
L'apertura delle porte di sicurezza deve essere sempre ed in
ogni caso assicurata con la massima facilità, attesa
la loro funzione di consentire il facile deflusso delle persone
in caso di emergenza e, quindi, secondo l'id quod plerumque
accidit, anche di estrema urgenza.
MOTIVAZIONE
Con
la sentenza di cui in epigrafe, la Corte d'Appello di Torino,
in parziale riforma della sentenza del Pretore di Cuneo, sezione
distaccata di Fossano del 5 ottobre 1993, dichiarava non doversi
procedere nei confronti di Bergese Michele per i reati di cui
agli artt. 681 c.p. e 333 D.P.R. 547/55 per essere i medesimi
estinti per prescrizione, confermando la condanna alla pena
di gg. 15 di reclusione, sostituiti con lire 375.000 di multa,
per il reato di cui all'art. 451 Cod. Pen. "perché
apponendo chiavistelli alle porte delle uscite di sicurezza
della discoteca Mad - Man, predisponendo impianti di idranti
inefficienti e privi di idonee manichette, rimuoveva, ometteva
- unitamente al socio Cavallero - di collocare e rendeva inservibili
apparecchi ed altri mezzi destinati all'estinzione di un incendio,
nonché alla sicurezza e al salvataggio delle persone".
Avverso
tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Bergese,
denunciando violazione di legge e vizio di motivazione per aver
la Corte d'appello:
1) indebitamente ritenuto la penale responsabilità
del ricorrente in ordine al contestato reato di cui all'art.
451 c.p. non considerando che le apparecchiature antincendio
sono comunque risultate esistenti e non vi era prova della
loro insufficienza e che in ogni caso la condotta contestata
come rientrante nella previsione di cui al citato articolo
451, sarebbe stata da ritenere già integralmente ricompresa
nella previsione di cui all'art. 33 D.P.R. 547/55 per il quale
vi era stata oblazione;
2) indebitamente ritenuto inaccoglibile la richiesta di ulteriore
riduzione di pena sull'assunto che questa sarebbe già
stata applicata nel minimo assoluto, senza considerare che
sarebbe stato possibile irrogare la sola pena pecuniaria ovvero
ridurre ulteriormente la pena detentiva, per effetto delle
già concesse attenuanti generiche, a giorni dieci di
reclusione.
IL
RICORSO È INFONDATO.
Con
riguardo al primo motivo, va anzitutto rilevato che la Corte
di merito con incensurabile apprezzamento delle risultanze di
fatto, va motivatamente esclusa l'idoneità delle apparecchiature
antincendio allo scopo per il quale le stesse dovevano servire.
Né
da parte del ricorrente si è rappresentata l'esistenza
di alcun elemento sulla base del quale la detta valutazione
potesse essere inficiata sotto il profilo della mancanza o della
manifesta illogicità della motivazione, essendosi (il
ricorrente) in realtà limitato alla pura e semplice riproposizione
- assai sommaria - della tesi già prospettata nelle precedenti
fasi di merito circa la pretesa assenza di prova in ordine alla
ritenuta inidoneità pur non contestando che in effetti
un idrante era inaccessibile e gli altri perdevano acqua né
che vi erano dei chiavistelli i quali, pur se apribili, costituivano
comunque un ostacolo ad una rapida apertura delle porte di sicurezza
(una delle quali, peraltro, "era stata resa inaccessibile
dalla costruzione di un tramezzo"); apertura che, invece,
deve essere sempre ed in ogni caso assicurata con la massima
facilità, attesa la loro funzione di consentire il facile
deflusso delle persone in caso di emergenza e, quindi, secondo
l'id quod plerumque accidit, anche di estrema urgenza (nella
specie è stato accertato che al momento del sopralluogo
da parte dei vigili del fuoco - e cioè alle ore 0,30
in orario di normale apertura al pubblico - i chiavistelli non
erano stati rimossi).
Quanto, poi, all'assunto secondo il quale la condotta addebitata
al ricorrente, come integrazione delle ipotesi di reato di cui
all'art. 451 c.p., sarebbe stata da ricomprendersi nella fattispecie
di cui al concorrente reato contravvenzionale previsto dall'art.
33 e 389 del D.P.R. n. 547/55, ritiene la Corte sufficiente
osservare che concretamente il giudice di merito ha invece disatteso
tale assunto, dal momento che non vi è identità
di oggetto per le due norme incriminatrici.
Infatti,
mentre l'art. 33 del citato D.P.R. è unicamente finalizzato,
al pari di tutte le altre disposizioni contenute nel medesimo
testo normativo, ad assicurare la protezione dei lavoratori
dipendenti dell'ambito della sede in cui ha luogo la prestazione
lavorativa, il reato di cui all'art. 451 c.p. - ricompreso tra
quelli che la legge definisce come delitti contro l'incolumità
pubblica - è previsto in funzione della esigenza di prevenire
genericamente i pericoli di incendi ed altri disastri oltre
che di infortuni sul lavoro.
E
che, nella specie, la finalità di prevenzione frustrata
dalla condotta addebitata al ricorrente - non fosse limitata
alla sola prevenzione di infortuni sul lavoro, risulta manifesto
ove si consideri che trattasi di omessa collocazione di idonee
apparecchiature antincendio non in luogo di lavoro, (o di solo
lavoro), ma in un pubblico esercizio (discoteca) nel quale le
dette apparecchiature sarebbero state necessarie anche e soprattutto
per garantire la sicurezza del pubblico.
Passando
quindi, all'esame del secondo motivo del ricorso, lo stesso
si appalesa addirittura inammissibile per manifesta infondatezza.
Infatti,
contrariamente all'assunto del ricorrente, la pena detentiva
inflitta non avrebbe potuto in alcun modo essere determinata
in misura inferiore a gg. 15 di reclusione stabilito inderogabilmente
dall'art. 23 c.p.
Né,
d'altra parte, vi sono motivi per contestare, sul piano della
legittimità - la scelta da parte del giudice di merito
della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria, non risultando
neppure l'avvenuta proposizione, da parte del ricorrente, di
specifiche ragioni - per quanto esse potessero valere - sulla
base delle quali la scelta dovesse invece cadere sulla pena
pecuniaria.
P.Q.M.
la
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così
deciso in Roma, lì 1/10/1998
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