La
legislazione di riferimento per gli apparecchi e dispositivi
a gas
Antonio
Oddo
Avvocato
La
legislazione nazionale e comunitaria nel settore termico si
caratterizza in modo crescente come una delle più complesse
ed ingarbugliate fra le tante che affollano in questo momento
il panorama dell'ordinamento giuridico nazionale e comunitario.
Quest'ultimo, risulta - specie nel settore delle discipline
per la sicurezza e la prevenzione degli infortuni - normalmente
caratterizzato da un notevole grado di confusione principalmente
dovuta al proliferare di nuove discipline, all'assenza di norme
di coordinamento ed alla conseguente disordinata sovrapposizione
di normative diverse per natura, grado e tipo.
Per quanto riguarda il settore termico la confusione risulta
aggravata anche dal tentativo ricorrente, specie da parte pubblico-amministrativa,
di far prevalere fonti normative "locali" (in particolare
regolamenti comunali) sulla legislazione nazionale. Altri motivi
di confusione sono dovuti al mancato rispetto della gerarchia
delle fonti del diritto che caratterizza il nostro ordinamento
e che non consente, contrariamente a quanto molti credano, o
auspichino (a seconda del livello di conoscenza e di interessi),
che norme secondarie (di regolamento o decreto ministeriale)
possano prevalere su norme primarie (di leggi o di altri atti
ad esse equiparati).
Non manca, ancora, quale ulteriore motivo di confusione capace
di fuorviare gravemente gli operatori economici ed i professionisti
tecnici, qualche "circolare" che pretende di assurgere
a "fonte del diritto" e di superare leggi, regolamenti,
decreti e, perfino, qualche volta, direttive comunitarie.
Queste ultime, peraltro, hanno attuato una sorta di "rivoluzione
silenziosa" che ha sconvolto molti degli equilibri precedenti
in tutti i settori della legislazione tecnica per la sicurezza
e la prevenzione degli infortuni, con riferimento sia a singole
categorie di prodotti che al metodo ed al sistema prevenzionale,
specie negli ambienti di lavoro.
Quale ulteriore motivo di confusione nella legislazione, si
deve, infine, segnalare quello legato ai ricorrenti equivoci,
(spesso in buona fede!) tra norme tecniche e norme giuridiche
(con le conseguenze che è facile immaginare) tra norme
europee e norme nazionali, tra dichiarazioni e certificazioni,
tra marchi e marcature e via dicendo (e confondendo).
Non è possibile, pur con la massima buona volontà
e l'aiuto di qualche precedente giurisprudenziale, riuscire
nello spazio di poche righe, riportare chiarezza in un quadro
legislativo che era già di per sé assai articolato,
complesso e disordinato a livello nazionale e che è stato
ora "arricchito" anche, per quanto riguarda il settore
termico, da una fondamentale direttiva comunitaria riguardante
gli apparecchi a gas.
Nel corso di un precedente Convegno si è cercato di "far
luce" nell'oscurità di un settore nel quale non
mancano neanche le false "guide" che si vestono con
i panni più disparati ed ingannevoli ma che vengono regolarmente
smascherate quando si esce dalle "aule" dei Convegni
e si entra in quelle giudiziarie, spesso, purtroppo, a causa
di infortuni mortali.
Si cercherà in questa sede di non ripetersi rispetto
a quanto detto precedentemente risultando opportuno, piuttosto,
valutare quali nuovi elementi di legislazione o di giurisprudenza
siano emersi recentemente. Ora conviene richiamare l'attenzione
sugli aspetti fondamentali della legislazione e valutare gli
eventuali aggiornamenti.
Segnaliamo subito, a questo proposito, qualche "lieta novella"
della quale altri avranno forse già parlato ma che merita
di essere ribadita e che riguarda il fronte del "conflitto"
(che non dovrebbe essere tale perché impari) tra legge
46/90 da una parte e, dall'altra parte, i regolamenti comunali.
Qualcuno ha già registrato l'esito in termini calcistici,
annotando una rotonda vittoria dello Stato e della sua legislazione.
In qualche altra occasione annoteremo anche vittorie più
o meno rotonde della legislazione comunitaria rispetto a quella
nazionale.
Ma andiamo per ordine ed iniziamo dalla partita tra legislazione
nazionale - e regolamentazione comunale: a costo di ripetermi,
è bene ribadire l'estrema (che più estrema non
potrebbe essere) chiarezza della disposizione dell'art.17 della
L. 46/90 che è dedicata, in modo inequivoco, ad "abrogazione
e adeguamento dei regolamenti comunali e regionali" e risulta
così formulata: "I Comuni e le Regioni sono tenuti
ad adeguare i propri regolamenti, qualora siano in contrasto
con la presente legge".
A quanto ci risulta sono ancora numerosi i Comuni e le Regioni
che non hanno preso atto del fatto che la legislazione in materia
di sicurezza di apparecchiature ed impianti non è per
ragioni istituzionali, di competenza "locale". Si
tratta infatti, di competenza che si attesta a livello nazionale
o, anche, in numerose materie, a livello comunitario.
Molte amministrazioni comunali, insistono ostinatamente ad emanare
ordinanze che vengono regolarmente annullate o sospese dai T.A.R.
in quanto si tratta sempre di tentativi di imporre - per apparecchiature
ed impianti a gas - le prescrizioni dei regolamenti comunali
in contrasto con le disposizioni della legge 46/90 e della Legge
1083/71, nonché, in contrasto, per taluni aspetti di
prodotto, con il D.P.R. 661/96 che ha attuato nell'ordinamento
giuridico italiano la direttiva 90/396 Cee sugli apparecchi
a gas. Non è questa la sede per illustrare sul piano
tecnico, la materia del contendere che altri, professionisti
del settore, possono spiegare o hanno già spiegato con
maestria.
A me compete rimarcare come le sentenze ed ordinanze dei TAR
a salvaguardia dell'applicazione della legislazione nazionale
e comunitaria sono ormai numerose e si succedono quasi in fotocopia.
Resta un dubbio: perché Comuni e Regioni non si adeguano
ad un chiarissimo disposto di legge qual'è quello dell'art.
17 della L. 46/90 in una delle sue rarissime norme di coordinamento
tra vecchia e nuova legislazione?
Gli avvocati, naturalmente, ringraziano per il tanto e facile
lavoro ma gli utenti, i contribuenti ed operatori tecnici potrebbero,
forse, avere qualcosa da dire e ridire.
La legge 46/90, infatti, si è posta come "pilastro"
della nuova legislazione perché, pur disciplinando direttamente
i soli impianti (la disciplina delle apparecchiature a gas,
infatti, appartiene direttamente come vedremo, alla L. 1083/61
ed al D.P.R. 661/96), finisce tuttavia, con l'incidere - indirettamente
- sulla effettiva fruizione dei cosiddetti "apparecchi
utilizzatori".
Ne deriva che è questa la legge, per la quale, tra l'altro,
sono intervenuti nuovi e fondamentali chiarimenti della Suprema
Corte, (V. Sentenze del 28 aprile 1995 n. 4812, nonché
5 giugno 1996, n. 5613 e, per, un precedente, 17 luglio 1994)
che deve essere applicata da tutti i suoi destinatari pubblici
e privati perché dalla sua effettiva, corretta e piena
applicazione può dipendere, alla fine, la sicurezza degli
utenti di apparecchiature ed impianti a gas.
Purtroppo si è ancora lontani dall'effettiva applicazione
della legge e molte Pubbliche Amministrazioni si intestardiscono
nell'aggrapparsi a regolamenti comunali sepolti dalla storia,
dalla tecnica e dal diritto.
Su
altro piano, inoltre, alcune "Regioni", a quanto risulta,
insistono a cercare d'imporre ai propri (sfortunati) amministrati
leggi regionali in contrasto con la L. 46/90 fidando nella speranza
che non venga sollevata una questione di legittimità
costituzionale. Così, nel frattempo, conducono vita stentata
ed irregolare sia la legge regionale che quella statale.
Una
nota dolente, ancora, riguarda i Comuni che, in forza del D.P.R.
394/94 (art.4) avrebbero dovuto effettuare "verifiche"
annuali di legge sugli impianti almeno nella misura del 10%
rispetto al "monte" delle certificazioni emesse (per
abitabilità o agibilità) nel corso dell'armo.
Quanti Comuni sono in regola?
Quanti Comuni sono consapevoli di una eventuale propria inadempienza
che data dal 18 dicembre 1994 ed è proseguita colpevolmente
nel corso degli anni?
Non lo si sa esattamente. Prudentemente non si sono fatti né
bilanci né censimenti che risulterebbero, credo, piuttosto
allarmanti. Ma l'allarme collegato alla disapplicazione di controlli
sui impianti termici non può, nel frattempo, restare
inascoltato da parte dei naturali destinatari di precetti legislativi
con i quali sono stati precisati tempi, forme, modi e procedure
per le "verifiche" di sicurezza da effettuare direttamente
od a mezzo dei professionisti incaricabili.
Se, per un verso, la L. 46/90 resta dunque non attuata anche
nei casi di chiara applicabilità per altro verso non
è mancato chi ha sperato che questa legge avesse abrogato,
cancellandole con un colpo di spugna, tutte le precedenti leggi
in materia di prevenzione infortuni, a cominciare dal DPR 547/55,
per proseguire con le leggi 1083/71, 186/68 e per finire (almeno
provvisoriamente) con il D.Lgs. 626/94 e successive modificazioni.
Si è trattato di una illusione che parte da lontano e,
più precisamente, dall'art.7 della L.46/90 che in molti
credono di risolvere, nel migliore dei casi, con il rispetto
delle sole norme UNI-CIG.
Si tratta di un grave errore per una serie di motivi che sono
così schematizzabili:
l'art.7 della L. 46/90 non riconosce la presunzione legale di
conformità agli impianti che siano conformi alle sole
norme UNI-CIG perché impone anche "il rispetto di
quanto prescritto dalla legislazione tecnica vigente in materia".
Pertanto affinché un impianto termico si possa considerare
"a regola d'arte" occorre anche valutare se siano
stati rispettati tutti i principi e le norme di sicurezza previsti
dalle discipline in campo elettrico, meccanico, o, anche più
in generale, dalle discipline prevenzionali che riguardano componenti
d'impianto secondo, da ultimo, il D.P.R. 661/96 e che possono
riferirsi a requisiti essenziali ed a norme armonizzate (UNI-EN,
assai diverse per "gerarchia" e dalle norme UNI-CIG
la cui rilevanza è ormai limitativa al solo aspetto degli
impianti). Occorre, inoltre, valutare la legislazione tecnica
vigente, tra l'altro, in materia di prevenzione incendi, e nel
settore degli ambienti di lavoro, ed occorre tener conto anche
del D.P.R. 547/55, del D.P.R. 303/56, del D.P.R. 164/56, del
D.Lgs. 626/94 ecc.
Anche i numerosi "docenti" e "consulenti"
sulla L. 46/90 dovrebbero, quindi, forse, abbandonare l'illusione
che esista una "funzione depenalizzante" della L.
46/90 nei confronti della precedente legislazione tecnica la
quale pertanto, si può "ignorare". La realtà
è, infatti, un'altra: la L. 46/90 ha ampliato la sfera
di applicazione delle misure di prevenzione introducendo, nel
settore termico, una disciplina assai particolareggiata, della
prevenzione infortuni negli ambienti domestici. Per quanto riguarda
gli ambienti di lavoro restano ovviamente applicabili tutte
le discipline normative in materia di sicurezza rispetto alle
quali, però, i nuovi riferimenti tecnici e procedurali
offerti dalla L. 46/90 (e dalla L. 1083/71) costituiscono, specie
per il settore elettrico, un parametro tecnico per dare contenuto
specifico, più aggiornato e concreto ad enunciazioni
generiche contenute, in altre discipline prevenzionali quali
in particolare D.P.R. 547/55. Pertanto la L. 46/90 finisce con
l'arricchire il quadro normativo nella misura in cui introduce
elementi tecnici, formalità documentali (per dichiarazioni
o progetti) procedure e soluzioni tecnico-normative (norme UNI-CIG,
norme UNI-EN, UNI-CEI, CEI-EN ecc.) che, se non rispettate,
possono diventare, in qualche caso, elemento costitutivo o presupposto
di reato "di pericolo" o, anche, profilo di colpa
(per negligenza, imprudenza, ecc.) nei reati di danno quando
si verifichino infortuni e/o danneggiamenti.
In conclusione su questo specifico aspetto: la L.46/90 e la
precedente legislazione penale non soltanto non sono incompatibili
e non danno luogo, pertanto, a fenomeni di abrogazione e depenalizzazione,
ma anzi si integrano vicendevolmente così da arricchire
ed ampliare la sfera di applicazione ed il quadro complessivo
delle discipline per la prevenzione degli infortuni per impianti
sia termici che elettrici. (per tutti questi aspetti si confronti
la recente giurisprudenza della Suprema Corte che è stata
prima richiamata).
Altri aspetti di confusione tuttora prevalente riguardano il
rapporto tra la L. 46/90 per la sicurezza negli impianti da
una parte, e dall'altra la L. 10/91 per il risparmio energetico
nonché con il regolamento di attuazione di quest'ultima.
Le "attenzioni" applicative si sono concentrate -
specie da parte della Pubblica Amministrazione - sulla L. 10/91
più che non sulla L. 46/90, forse perché la prima
"fá più scena", in quanto parla di manutenzione
obbligatoria, norme di qualità, "terzi responsabili",
controlli annuali o biennali, libretti d'impianto o di centrale
ed, in tal modo, innesca, un business permanente anziché
occasionale.
Occorre mettere le cose in chiaro: tra le due leggi in questione
è la L. 46/90 a meritare un'attenzione primaria perché
riguarda la difesa dei valori primari - quali la salute e la
sicurezza - mentre la L. 10/91 riguarda aspetti di prevalente
valenza economica quali il risparmio energetico.
Queste elementari realtà sono state ignorate o travisate
da molti settori dell'informazione con il risultato di avere
calamitato l'"attenzione" su una legge - la 10/91
- e su di un regolamento di attuazione - il D.P.R. 412/93 -
che meritano molta attenzione ma che non sono tali da fare passare
in seconda linea la legge per la sicurezza, salvo poi essere
riportati alla realtà da tragiche notizie di cronaca
quasi quotidiana.
Il D.P.R. 412/93,(come noto in via di revisione) in particolare
è risultato, nonostante il suo status di "norma
secondaria" relativa al regolamento di attuazione della
L. 10/91, talmente "presuntuoso" da pretendere di
ridisciplinare ex novo la legislazione per la sicurezza nonostante
la vigenza di norme primarie quali la L. 1083/71, la L.46/90
e la direttiva 90/396 CEE. È stato conseguentemente "incriminato"
in sede comunitaria l'art.5, comma 10 del DPR 412 del 26 agosto
1993 (il DPR 412/93) ed è stata instaurata dalla commissione
della CE, con ricorso del 18 marzo 1997, nei confronti della
Repubblica Italiana, una procedura d'inflazione dinanzi la Corte
di Giustizia, perché: "La Repubblica Italiana, avendo
istituito e mantenendo un regime che prescrive l'installazione
in locali abitati dai soli generatori di calore di tipo "stagno",
con ciò implicitamente vietando l'installazione di generatori
di calore di altro tipo conformi alla direttiva 901396 CEE è
venuta meno gli obblighi che le incombono in virtù del
diritto comunitario... ".
Per restare in termini calcistici, dunque, si deve, in questo
caso, registrare una prima sonora batosta della legislazione
nazionale nei confronti della legislazione comunitaria: la direttiva
89/396 Cee sugli apparecchi batte il DPR 412/93 (che, peraltro,
si era spinto in una materia che non gli competeva). Quanto
meno il primo tempo si chiude, dunque, con un chiaro verdetto.
Questo "risultato" introduce la parte dedicata alla
legislazione di derivazione comunitaria.
Da quanto prima esposto è emerso infatti come la legislazione
nazionale per la sicurezza di impianti ed apparecchiature a
gas sia ormai costituita dal "concorso" tra le leggi
46/90, 1083/71 e l'ulteriore legislazione tecnica che possa
comunque risultare applicabile nel settore della sicurezza e
della prevenzione degli infortuni, specie con riferimento agli
ambienti di lavoro (D.P.R. 547/55, D.Lgs. 626/94 ecc.) e secondo
la giurisprudenza della Corte di Cassazione prima citata.
Resta ora da esporre il fatto nuovo cui si è prima accennato
e che, sul piano legislativo, è costitutivo dal D.P.R.
15 novembre 1996, n. 661 con il quale si è data attuazione
in Italia alla direttiva 90/326 CEE.
Si tratta di un provvedimento entrato in vigore dal 1 gennaio
1997 le conseguenze qui elencate:
- in materia di sicurezza degli apparecchi a gas, la nuova disciplina
di derivazione comunitaria, in quanto non solo disciplina successiva
ma anche e principalmente disciplina di armonizzazione totale,
si sostituisce, in toto, alle discipline precedenti e, pertanto,
alla L. 1083/71.
- La conformità a tutti i requisiti essenziali previsti
dal D.P.R. 661/96 risulta tassativamente obbligatoria sul piano
tecnico, organizzativo e documentale con riferimento ad ogni
aspetto di valutazione della conformità del prodotto
ai requisiti stessi: l'esame CE di tipo, la dichiarazione di
conformità, la marcatura CE, le istituzioni, le avvertenze
ecc.
- La presunzione legale di conformità non è più
assicurata dall'applicazione delle norme nazionali UNI-CIG bensì
dall'applicazione delle norme europee armonizzate.
- I "marchi" nazionali per la qualità e la
sicurezza perdono ogni forma di rilevanza giuridica che risulta,
sul piano dei simboli e dei contrassegni, assorbita dalla marcatura
CE.
- Viene introdotta una disciplina ad hoc per i dispositivi di
sicurezza, di controllo e di regolazione del gas. Infatti occorre
precisare che la disciplina riservata ai dispositivi - quali
"componenti" - è diversa e particolare rispetto
a quella prevista per gli apparecchi a gas completi che sono
definito dall'art. 1, comma 1, lettera a) del D.P.R. 661/96.
Tale disciplina risulta fondamentalmente dal combinato disposto
degli artt. 7 e 6 del decreto sopra menzionato e riguardo l'esame
CE del tipo (secondo le previsioni dell'all. 2, p. 1) ed il
rilascio di una speciale "dichiarazione" con la quale
il fabbricante attua la conformità del dispositivo alle
disposizioni regolamentari applicabili al dispositivo medesimo.
La medesima "dichiarazione" (che nel linguaggio più
appropriato della direttiva viene considerata un "attestato"
dello stesso fabbricante) deve riguardare anche le caratteristiche
del dispositivo e condizioni di montaggio o d'inserimento devono
essere tali da assicurare il rispetto dei requisiti essenziali
atti a garantire il risultato di sicurezza degli apparecchi
completi.
Non è invece richiesta (salvo applicabilità di
altre direttive relative, ad es. alla compatibilità elettromagnetica)
la marcatura CE e la relativa dichiarazione di conformità
in quanto il singolo "dispositivo" commercializzato
separatamente dall'apparecchio non può essere assoggettato
agli stessi requisiti che contraddistinguono la marcatura CE
sugli apparecchi a gas che sono completi e per i quali, pertanto,
si può effettuare un controllo completo e definitivo
su tutti i fattori di rischio.
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