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La sicurezza soggettiva
(1a parte)

Francesco Bacchini
Coordinatore ISFoP

LA GESTIONE CONCERTATA DELLA SICUREZZA
L'obbligo generale di sicurezza posto dall'art. 2087 c.c. in modo certamente sintetico, ma non per questo meno chiaro, in capo al datore di lavoro, trova nel D.Lgs. 626/94 una puntuale specificazione con una dettagliata indicazione dei suoi elementi essenziali, vale a dire l'eliminazione dei rischi alla fonte, l'aggiornamento continuo delle misure prevenzionali alla luce delle nuove conoscenze tecnologiche e non della ragionevole praticabilità (1) (forme di protezione oggettiva), nonché la tutela della personalità fisica e morale del lavoratore da attuarsi mediante una prevenzione che utilizzi, in via primaria, l'informazione e la formazione dei destinatari della tutela circa i rischi cui sono esposti e circa i modi di prevenirli (forme di protezione soggettiva).
Il D.Lgs. 626/94, infatti, prevede un coinvolgimento dei lavoratori nell'organizzazione e nella gestione del sistema aziendale di prevenzione e protezione molto più incisivo di quello proposto in precedenza nell'ordinamento dall'art. 9 dello Statuto dei lavoratori o dall'esperienza della contrattazione collettiva. In questo senso, il decreto ha recepito il principio espresso dalla Direttiva comunitaria n. 391/89, secondo il quale per realizzare un miglior livello di protezione dei lavoratori sul luogo di lavoro è necessario garantire agli stessi un diritto di "partecipazione equilibrata", secondo uno schema di diritti a progressione successiva quali: l'informazione, la formazione, la consultazione, la possibilità di fare proposte, il coinvolgimento dei lavoratori anche tramite loro rappresentanti (2).
È, infatti, "opinione generale che una delle novità principali del modello di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, congegnato dal D.Lgs. 626 del 1994..., risieda nell'assegnazione al lavoratore, molto più nitidamente che nel D.Lgs. 277 del 1991, di una funzione attiva in vista del perseguimento e del costante mantenimento degli standards di massima sicurezza tecnologicamente fattibile imposti dalla normativa" (3).
Conseguenza di ciò è che anche il lavoratore, "conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro" (art. 5, 1° comma, D.Lgs. 626/94), cioè subordinatamente alla propria competenza professionale, vero e proprio limite di attribuibilità del comportamento colposo all'agente, viene fatto soggetto di una porzione tutt'altro che insignificante della posizione di garanzia che compete, comunque, in via primaria, al datore di lavoro, al dirigente ed al preposto.
Pertanto, "attraverso la previsione di una serie di doveri di autotutela e collaborazione, che consistono anzitutto nel rispetto delle norme di sicurezza ampiamente intese, ma che tendono a dilatarsi sino a dar corpo ad un ruolo complessivamente nuovo..., implicante anche compiti di intervento attivo, di segnalazione, di proposta, e persino di controllo generale sull'organizzazione della sicurezza" (4), il lavoratore si pone quale parte vincolata ad adempiere alla propria obbligazione contrattuale con la diligenza professionale richiamata, in materia di sicurezza e di salute, dall'art. 5 del D.Lgs. 626/94.
Sulla base di quanto più sopra analizzato, anche in relazione all'adempimento dell'obbligo formativo quale elemento di attribuzione della responsabilità disciplinare del lavoratore che violi la normativa di sicurezza, proprio in considerazione del fatto che il nuovo quadro normativo ed organizzativo che si va delineando è quello di una prevenzione basata sulla responsabilità soggettiva di ogni titolare di obblighi di sicurezza e, quindi, sul concetto di autotutela, il "dare forma" al lavoratore (inteso in senso lato) si pone quale fondamentale processo idoneo a garantirne la salute e l'incolumità, non prescindendo dal suo apporto e persino contro la sua stessa volontà, come avveniva in passato, bensì attraverso l'interiorizzazione dei principi tecnico-culturali della prevenzione, della protezione e della sicurezza del lavoro (5).
In questo senso, "la vera ragione di originalità di una norma come l'art. 5 deve essere ricercata...nella stretta connessione che il D.lgs. pone chiaramente in risalto, fra la riqualificazione della posizione obbligatoria del lavoratore e le nuove prerogative delle quali egli viene investito, in particolare in ordine all'informazione (art. 21) ed alla formazione (art. 22)" (6).
È per questa ragione che, in base all'art. 3, lett. s) e t) del D. Lgs. 626/94, la formazione (insieme all'informazione) viene individuata quale misura generale per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro e deve essere osservata dal datore di lavoro quale principale obbligo di sicurezza, ma si avvia a diventare anche strumento "per pretendere dal prestatore una collaborazione all'adempimento dell'obbligo di sicurezza" (7).

L'OBBLIGO DI FORMAZIONE NELLA DISCIPLINA LAVORISTICA: CENNI
L'importanza attribuita dal legislatore all'elemento della formazione, dell'informazione, dell'addestramento nella disciplina lavoristica, espresso a livello contrattuale dal contratto di formazione e lavoro (che trova la sua disciplina normativa nella L. 19 dicembre 1984 n. 863, integrata dall'art. 16 del D.L. n. 299/94 convertito nella L. n. 451/94) e dal contratto di apprendistato (che trova la sua disciplina normativa, oltre che nel codice civile, nella legge 19 gennaio 1955 n. 25, nonché nella L. 2 aprile 1968 n. 424 e nella L. 28 febbraio 1987 n. 56), risulta maggiormente evidenziata dalle più recenti disposizioni di legge.
Prova ne siano le norme dedicate dalla L. 24 giugno 1997 n. 196 (Pacchetto Treu per l'occupazione) al contratto di formazione lavoro (art. 15), al contratto di apprendistato (art. 16), al riordino della formazione professionale (art. 17), ai tirocini formativi e di orientamento (art. 18).
Se a ciò si aggiunge quanto previsto, a livello programmatico, dal recente "Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione", siglato il 22 dicembre 1998 tra Governo e Parti Sociali, in cui si afferma che "un modello sociale equilibrato e una capacità competitiva elevata nel nuovo contesto europeo e internazionale si basano su un crescente ruolo della creazione e diffusione della conoscenza, e, quindi, sul ruolo del sistema di istruzione, formazione e ricerca", attuato anche mediante la sollecitazione delle "parti sociali a concordare meccanismi contrattuali che finalizzino quote di riduzione di orario alla formazione dei lavoratori, attraverso l'utilizzo delle 150 ore, l'utilizzo delle banche ore annuali previste dai CCNL, e ulteriori strumenti per consentire ai lavoratori di accedere pienamente alle attività di formazione e di educazione degli adulti", il diritto/dovere alla formazione professionale dovrebbe, negli anni a venire, divenire centrale nella dinamica giuslavoristica. A tal proposito, in dottrina, si è già cominciato a parlare di passaggio dal Welfare state al Training state, sottolineando come, le nuove politiche attive del lavoro dovranno decisamente e prioritariamente insistere sugli interventi di formazione e sviluppo delle capacità professionali, sia per riassorbire il numero dei disoccupati che per ottenere qualifiche più aderenti alle necessità del mercato del lavoro (8).
Ma la formazione, l'informazione, l'addestramento e l'istruzione dei lavoratori, come è già stato sottolineato, rappresentano un elemento di grande rilievo anche nella recente normativa in tema di sicurezza e salute dei luoghi di lavoro.
Il combinato disposto degli artt. 21, 22, 37, 38, 43, 49, 56, 66, 85, letti nell'ottica di cui all'art. 3 lett. s) e t), del D.Lgs. 626/94, esprime chiaramente il concetto che l'obbiettivo della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro non è perseguibile soltanto con la prevenzione oggettiva, ovvero con l'adozione di dispositivi, strumenti, accorgimenti "idonei a garantire la salute e l'incolumità dei lavoratori a prescindere dal loro apporto e persino contro la loro stessa volontà" (9), ma anche tramite un processo di acculturamento professionale che utilizzi gli strumenti della formazione, dell'informazione, dell'addestramento e dell'istruzione.
In questo senso deve essere sottolineato "il passaggio da un sistema di prevenzione tecnologico, basato cioè sugli strumenti tecnici, sulla qualità degli attrezzi, sulle misure e sui procedimenti da rispettare nelle attività produttive, ad un sistema di prevenzione incentrato sull'uomo" (10).
Tale sistema è riscontrabile, appieno, nella legislazione in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, a partire dal D.Lgs. 277/91, dettato in attuazione delle direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione da agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell'art. 7 legge 30 luglio 1990, n. 212, per arrivare all'art. 6 della innanzi citata L. 196/97 che obbliga l'impresa utilizzatrice, nei confronti del lavoratore temporaneo, a fornire informazioni ed a garantire l'adempimento di tutti gli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi, fra i quali, come sappiamo, importanza fondamentale riveste quello di formazione, conformemente a quanto previsto dall'art. 3 del D.Lgs. 626/94. Tutto ciò passando attraverso gli obblighi di formazione contenuti nel D.Lgs. 626/94, così come modificato dal D.Lgs. 242/96, nel D.Lgs. 493/96, nel D.Lgs. 494/96, nel D.M. 16 gennaio 1997, nel D.M. 10 marzo 1998 (in materia di prevenzione incendi), nel D.M. 16 marzo 1998 (in materia di informazione e formazione dei lavoratori nelle aziende a rischio di incidenti rilevanti).
La formazione in materia di sicurezza e di salute, quale strumento per migliorare le condizioni di lavoro, esprime una netta particolarità rispetto ai contenuti della formazione tradizionale. Infatti, mentre la formazione tradizionale esprimeva ed esprime la necessità di un miglioramento professionale al fine di garantire la conservazione o l'incremento dei posti di lavoro, la formazione in materia di sicurezza esprimendo, principalmente, anche se non esclusivamente, la necessità di garantire la tutela delle condizioni di lavoro, coniuga l'elevamento della cultura professionale con la difesa della salute.
La formazione, in questo senso, "non è più solo un mezzo per non perdere o per trovare un posto di lavoro, ma strumento per migliorare le condizioni lavorative" (11).
L'attività formativa imposta dal legislatore in materia di sicurezza si rivolge al lavoratore prima di tutto dal punto di vista personale e poi da quello professionale, offrendogli, attraverso la frequentazione di corsi di prevenzione, protezione ed igiene, un mezzo per aiutarlo a preservare la propria e l'altrui persona nonché per migliorare le proprie conoscenze professionali dovendo tali corsi, secondo il dettato dell'art. 22 D.Lgs. 626/94, essere erogati "con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni".
La formazione alla sicurezza, tesa all'apprendimento ed all'applicazione delle regole di prevenzione dai rischi e tutela della salute, è collegata all'attività svolta non solo in un'ottica di valorizzazione del contenuto della prestazione, ma, anche attraverso tale valorizzazione, è stata posta quale elemento di risoluzione di problemi specifici a difesa del lavoratore (12).
Così, mentre fino agli anni più recenti, il rapporto tra formazione e tutela della sicurezza si è configurato solo nell'ottica della fruizione, da parte dei partecipanti ai percorsi formativi, della tutela antinfortunistica (13), comincia oggi a farsi strada anche un elemento professionalizzante, connaturato, come abbiamo visto, alla specificità della mansione e del posto di lavoro. L'attitudine professionalizzante della formazione sulla sicurezza, per la funzione di risoluzione di specifici problemi a difesa del lavoratore, con una valenza marcatamente contrattuale, è stata, peraltro, già presa in considerazione dalla legislazione in materia di contratti speciali di lavoro a causa retributivo formativa, vale a dire il contratto di formazione e lavoro ed il contratto di apprendistato.
È questo il caso dell'art. 16, comma 5, della L. 299/94 così come modificato dalla Legge 451/94, che introduce contratti di formazione e lavoro mirati ad agevolare "mediante un esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità professionali al contesto produttivo ed organizzativo" il semplice inserimento professionale con l'acquisizione in pratica di un minimo di esperienza lavorativa nel contesto dell'azienda. I contratti in questione, che mirano all'acquisizione di professionalità di base, hanno durata massima di 12 mesi e prevedono una formazione minima non inferiore a 20 ore riguardanti la disciplina e l'organizzazione del rapporto di lavoro, nonché la prevenzione ambientale ed antinfortunistica. In questo senso molti accordi interconfederali prevedono espressamente la prevenzione antinfortunistica quale argomento del percorso formativo dei contratti di inserimento/orientamento, quali la formazione lavoro e l'apprendistato (14).
Relativamente al contratto di apprendistato va ricordato che, nel D.M. 8 aprile 1998, emanato in attuazione dell'art. 16 della più sopra citata L. n. 196/97, all'interno dei contenuti dell'attività di formazione degli apprendisti, viene obbligatoriamente individuata la disciplina della prevenzione per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, quale programma formativo a carattere generale e trasversale, mentre, quale programma formativo a carattere speciale e professionalizzante, vengono individuati contenuti in materia di sicurezza sul lavoro finalizzati alla singola figura professionale di riferimento e contenuti in tema di mezzi di protezione individuali finalizzati, anch'essi, alla singola figura professionale di riferimento (15).

INFORMAZIONE, FORMAZIONE, ADDESTRAMENTO ED ISTRUZIONE EX D.LGS. 626/94
Se la formazione in materia di sicurezza è elemento della causa mista (retribuzione e formazione) propria del contratto di formazione lavoro e del contratto di apprendistato, essa è tassativamente obbligatoria quale misura di sicurezza, cautela o disposizione prevista dalla legislazione prevenzionale.
Infatti, elemento centrale del "corpus iuris" in materia di sicurezza, prevenzione e protezione, ex D.Lgs. 626/94 e provvedimenti collegati, logica conseguenza dell'attività di valutazione del rischio, è l'attività di formazione di tutti i protagonisti del processo lavorativo.
L'art. 3 del D.Lgs. 626/94, rubricato: "Misure generali di tutela", indicando in modo analitico quali siano le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori che costituiscono l'obbligazione di sicurezza del datore di lavoro, reca, non a caso, alla lettera a) dell'elencazione tassativa, la misura della valutazione del rischio, prevedendo, quali misure conseguenti, fra le altre, alle lettere s) e t) anche l'informazione e la formazione.
Invero, l'obiettivo che sottende alla valutazione dei rischi, cioè a quell'analisi globale della probabilità e della gravità di possibili lesioni o danni alla salute che si possono verificare in una situazione pericolosa, consiste proprio nel mettere in grado il datore di lavoro di scegliere le adeguate misure di sicurezza, prendendo i provvedimenti che sono effettivamente necessari per salvaguardare la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Questi provvedimenti comprendono:
o la prevenzione dei rischi professionali;
o l'informazione dei lavoratori;
o la formazione professionale dei lavoratori;
o l'organizzazione ed i mezzi destinati a porre in atto i provvedimenti necessari.
In ragione di ciò è possibile affermare che l'efficacia delle misure previste dall'art. 3, nonché degli obblighi generali, indicati dall'art. 4 del D.Lgs. 626/94 e, quindi, anche gli obblighi di informazione, formazione ed addestramento, discendono direttamente dalla corretta indagine di valutazione dei rischi presenti in azienda,
Ne potrebbe essere diversamente, considerando che, ex art. 21, "a tutti i lavoratori deve essere garantita una informazione adeguata in merito ai rischi presenti in azienda sia a livello di attività dell'azienda in generale, sia in relazione alla mansione svolta dal lavoratore e alle misure di prevenzione e protezione adottate" (16), nonché, ex art. 22, una formazione riferita, in particolare "al proprio posto di lavoro ed alla propria mansione".
Così, "il perno centrale su cui ruota la nuova disciplina della prevenzione è costituito non soltanto dall'imposizione di un metodo di rilevazione sistematica dei rischi specifici connessi all'esercizio delle attività lavorative, in funzione dell'apprestamento di adeguate misure per eliminarli o per abbatterli, ma anche e soprattutto da una forte spinta per la crescita e la diffusione di una maggiore cultura della sicurezza a tutti i livelli" (17). L'informazione e, soprattutto, la formazione, si rivolgono, quindi, a tutti gli attori del processo produttivo aziendale, siano essi dirigenti, preposti, lavoratori, neoassunti, oppure titolari di un ruolo specificamente determinato dal legislatore nell'ambito del realizzando sistema di sicurezza aziendale: Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (anche nel caso in cui, tale ruolo, sia esercitato dal datore di lavoro), Addetto al Servizio Prevenzione Protezione, Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, Lavoratore addetto alla "gestione delle emergenze".
Il nuovo quadro che si va delineando, infatti, è quello, come più sopra affermato, di una prevenzione basata sulla responsabilità soggettiva di ogni titolare di obblighi di sicurezza e, quindi, sul concetto di autotutela (18).
In un approccio basato sulla partecipazione concertata di tutti i soggetti alla realizzazione del sistema sicurezza e non più sull'iniziativa discendente dai vertici aziendali, normalmente non partecipata, bensì imposta, la conoscenza tecnico normativa delle procedure di lavoro in sicurezza ed ancor più, l'interiorizzazione del concetto di sicurezza sul e del posto di lavoro, per se e per gli altri (anche quelli che stanno fuori), è struttura portante.
È proprio in questo senso che la formazione è misura generale per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, e deve essere osservata dal datore di lavoro quale principale obbligo di sicurezza (art. 3, lett. s), t); artt. 21-22).
Anzi, in base all'art. 20 dello stesso decreto viene introdotto il concetto di "diritto all'informazione ed alla formazione", diritto sul quale, in caso di controversie, interviene, in prima istanza, l'Organismo Paritetico Territoriale costituito dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e da quelle dei datori di lavoro.
In tutto il dettato normativo (artt.: 21, 22, 37, 38, 43 lett. c, 49, 56, 57, 66, 84, 85) del D.Lgs 626/94 e successive modificazioni, ma principalmente nel capo VI del titolo I, che funge da base concettuale generale, si evidenzia l'obbligo del datore di lavoro di informazione e formazione dei lavoratori, quale adempimento fondamentale per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro.
Il contenuto dell'obbligo formativo, finalizzato alla realizzazione del sistema sicurezza, è puntualizzato da quanto enunciato al punto 2, lett. a),b),c) dell'art. 22.
L'inquadramento dell'obbligo formativo/informativo ex D.Lgs. 626/94 è in linea con la disciplina generale di cui all'art. 2087 c.c. che opera un raccordo tra attività lavorativa, progresso tecnico e tutela della salute.
È proprio in questo senso che il datore di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure (in questo caso l'informazione e la formazione professionale) che, secondo l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
La misura di sicurezza costituita dall'informazione e dalla formazione del lavoratore, con il D.Lgs 626/94, consolida la sua posizione e, rispetto al passato, si avvia a diventare elemento basilare nella realizzazione del sistema sicurezza e ciò in quanto adempimento tassativo del datore di lavoro "adeguata, continua, aggiornata, gratuita, svolta durante l'orario di lavoro e cogestita con la controparte sindacale" (19) (in base all'art. 20) quale risposta soggettiva ai rischi oggettivi individuati nel documento di valutazione.
Ciò è quanto mai vero se solo si considera che, già nel lontano 1964, quando la CECA (Comunità Europea per il Carbone e l'Acciaio), dopo aver definito "condizioni pericolose" quelle che identificano i rischi, soprattutto di natura tecnica, legati al rapporto uomo-macchina, uomo-ambiente, uomo-sostanze pericolose ed "azioni pericolose" quelle concretantesi in tutti i rischi che accompagnano una non adeguata organizzazione del lavoro e un non corretto comportamento dei lavoratori nelle fasi organizzative e operative del lavoro stesso, provò ad analizzare le cause degli infortuni, ricomprendendole nell'una o nell'altra definizione, i risultati evidenziarono che gli infortuni sul lavoro potevano essere imputati, per il 50% a cause relative alle "condizioni pericolose" nelle quali si svolgevano le attività produttive e, per l'altro 50%, a cause relative alle "azioni pericolose" che accompagnavano lo sviluppo dei processi lavorativi.
A trent'anni di distanza, con il deciso miglioramento delle condizioni tecniche di lavoro, le più recenti statistiche relative alle cause degli infortuni sul lavoro, promosse dall'Unione Europea, indicano come prevalenti quelle relative alle "azioni pericolose", circa il 65% dei casi, essendosi quelle relative alle "condizioni pericolose", attestate intorno al 35%.
Da tali dati si deduce che, anche sotto la spinta delle numerose normative di contenuto tecnico per la prevenzione degli infortuni e la protezione dei lavoratori nonché per l'igiene e la medicina del lavoro, ancora presenti in tutta l'Unione Europea, le azioni prevenzionali per ridurre gli infortuni sul lavoro sono quasi sempre intervenute nei confronti delle "condizioni pericolose", mentre poco è stato fatto nei confronti delle "azioni pericolose".
In considerazione di quanto più sopra affermato, nessun dubbio dovrebbe sorgere sulla necessità di sviluppare un'azione prevenzionale che, partendo da una corretta valutazione, prenda in considerazione lo scenario completo dei rischi per la salute connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa, siano essi discendenti da "condizioni pericolose" o, in particolare, da "azioni pericolose". Se a ciò si aggiunge che, come abbiamo visto, le condizioni pericolose derivano dal rapporto uomo-macchina, uomo-ambiente, uomo-sostanza, e che i pericoli più frequenti connessi alle azioni pericolose, quali: lo svolgimento del processo produttivo; la formulazione dell'organico aziendale; l'assenza di procedure organizzative e operative; l'attività di verifica dell'efficienza e dell'efficacia delle misure, esprimono la fase genetica dell'esercizio della mansione ovvero del concreto comportamento lavorativo che accede alla, eventuale, condizione pericolosa, la valutazione del rischio non può prescindere dall'analisi dell'attività informativo/formativa ma anche l'attività informativo/formativa non può disancorarsi dallo scenario completo dei rischi per la salute e la sicurezza. Ne consegue che tanto l'informazione, quanto, ancor più decisamente, la formazione, per essere adeguate e sufficienti, non potranno più essere generiche, sommarie ed indifferenziate, dovendo indirizzarsi a ciascun lavoratore, il quale, a seguito dell'intervento informativo/formativo, dovrà essere posto nelle condizioni di poter acquisire la necessaria consapevolezza per il sicuro esercizio della propria mansione (20).
Le analisi di psicologia del lavoro, infatti, a conferma di quanto più sopra affermato, spiegano il comportamento lavorativo sicuro come l'interazione di un'istanza oggettiva (safety) che può essere definita come la presenza o l'assenza di reali pericoli in relazione all'ambiente lavorativo e di un'istanza soggettiva (security) che diversamente può essere definita, da un punto di vista interno al lavoratore, come la percezione o la mancata percezione del pericolo, traducentesi in un processo decisionale attraverso il quale il lavoratore, integrando le due istanze con spinte emozionali e cognitive, sceglie un determinato comportamento.
Tale comportamento è posto in essere in seguito ad una valutazione della situazione contingente e solo la conoscenza della stessa genera la possibilità di percepire ed evitare il pericolo insito in essa.
Infatti, indipendentemente dalla pericolosità oggettiva, il comportamento lavorativo è reso pericoloso in conseguenza di un processo decisionale non idoneo da parte del soggetto, rispetto a quella specifica situazione di lavoro.
Pertanto, devono essere forniti al lavoratore gli strumenti per valutare le probabilità di danno e di pericolo insite nelle varie situazioni lavorative.
Tali strumenti, a livello soggettivo, sono individuati nell'apprendimento, nell'addestramento e, quindi, nella conoscenza dei comportamenti rischiosi collegati allo svolgimento del proprio lavoro, al fine di garantire, come vedremo, una partecipazione equilibrata del lavoratore al processo produttivo.
Ne consegue che gli obblighi posti fino ad oggi a carico del datore di lavoro ex D.P.R. 547/55 e D.P.R. 303/56, pur rientranti nella medesima ratio legis di cui ci occupiamo oggi, caratterizzati da una certa indeterminatezza ed estemporaneità, dettata dall'assenza di un obbligo di valutazione preventiva del rischio collegato al luogo ed alla mansione di lavoro, lasciano il posto ad un programma più razionale e, soprattutto, più vincolante.
"In effetti, gli obblighi datoriali d'informazione, precedentemente racchiusi nell'art. 4 del D.P.R. n. 547/1955 e nell'art. 4 del D.P.R. n. 303/1956 da taluno reputati implicitamente abrogati, ricevono ampio contenuto" (21).
Benché la legislazione speciale di cui sopra non sia stata integralmente sostituita dalla recente nuova regolamentazione prevenzionistica, tant'è che l'art. 98 del D.Lgs. 626/94 stabilisce che: "restano in vigore, in quanto non specificamente modificate dal presente decreto, le disposizioni vigenti in materia di prevenzione degli infortuni e igiene del lavoro" (deve essere presa in considerazione tanto l'abrogazione espressa che quella tacita), tuttavia il D.Lgs. 626/94 ha, comunque, modificato considerevolmente il quadro giuridico di tutta la materia prevenzionale. In questo senso, a favore della mancata abrogazione tacita degli obblighi di cui agli artt. 4 del D.P.R. 547/55 e 303/56, depone l'art. 59 del D.Lgs. n. 277/1991, emanato in attuazione di direttive CEE in materia di protezione dei lavoratori, il quale precisa che le disposizioni dell'art. 4 del DPR 303/1956 non si applicano all'esposizione al piombo, all'esposizione alla polvere proveniente dall'amianto o dai materiali contenenti amianto né all'esposizione al rumore. Il D.Lgs 277/1991, infatti, agli artt. 12, 26, 42, prevede specifiche regole di informazione e formazione, quali adempimenti per garantire l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, ulteriori rispetto a quelle previste, genericamente, in precedenza dalla legislazione prevenzionale. È possibile, infatti, ritenere che se il legislatore del D.Lgs. 626/94 avesse voluto abrogare le precedenti norme in materia di partecipazione dei lavoratori alla conoscenza dei rischi relativi alle proprie mansioni, lo avrebbe fatto esplicitamente al pari dell'art. 59 del D.Lgs. 277/1991.
Tuttavia, nell'ottica di cui al D.Lgs. 626/94, l'informazione e la formazione sono processi di maturazione dell'individuo e di interiorizzazione di concetti, idonei a proporre una soluzione culturale e personale del problema sicurezza, ulteriori e ben distanti, se vogliamo, dallo scarno seppur importante tenore dell'art. 4 del D.P.R. 547/55 o dell'art. 4 del D.P.R. 303/56 che obbligava, semplicisticamente, il datore di lavoro a "rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti ... portare a conoscenza le norme essenziali di prevenzione".
In questo senso non può essere sottaciuto il fatto che, indipendentemente dall'abrogazione o meno, l'obbligo di erogare nozioni di sicurezza al lavoratore si è ampliato sia quantitativamente che qualitativamente, soprattutto in considerazione dell'obbligo, indelegabile, del datore di lavoro di procedere, preliminarmente a qualsiasi tipo di intervento, sia esso oggettivo (sulle cose), che soggettivo (sulle persone, attraverso l'informazione e la formazione), alla valutazione ed alla relativa documentazione del rischio aziendale. Inoltre, anche concettualmente, la combinazione dell'obbligo informativo con l'obbligo formativo, di quello di addestramento e di quello di istruzione, individuano una serie di misure di tutela soggettiva, chiaramente e notevolmente sovraordinato rispetto all'obbligo di rendere edotti i lavoratori sui rischi specifici cui sono esposti di cui ai D.P.R. 547/1955 e 303/1956 (22).
Intanto, infatti, come risulta dagli artt. 21 e 22, che esprimono l'esemplificazione di bisogni rilevati varie volte nel testo, l'informazione e la formazione dei lavoratori si pongono, chiaramente, quali concetti ed adempimenti distinti, laddove, diversamente dalla legislazione oggi vigente, la generica indicazione di cui agli artt. 4 dei regolamenti generali di prevenzione infortuni e igiene del lavoro non poteva specificare la diversa qualità e quantità dell'obbligo informativo/formativo.
La misura di sicurezza soggettiva, diversamente dal passato, si basa oggi sul binomio informazione e formazione, adempimenti sequenziali nel percorso comune di qualificazione del lavoro e del lavoratore in rapporto alla sicurezza ed alla salute.
L'intervento sul soggetto della prestazione lavorativa, voluto dal D.Lgs 626/94, si muove sia a livello divulgativo (obbligo di informazione), che a livello educativo (obbligo di formazione).

L'OBBLIGO DI INFORMAZIONE.
Nell'alveo concettuale dell'obbligo di informazione contrattuale di cui al D.Lgs. 26.05.97 n.152, l'oggetto dell'informazione in materia di sicurezza è la tutela del lavoratore che deve essere messo al corrente su tutte le situazioni rientranti nell'ambito dell'art. 21.
L'informazione, infatti, risponde all'esigenza di far conoscere in modo diretto ed operativo, come atto immediato e sufficiente in se e per se, al lavoratore, tutti quegli elementi che, quotidianamente, possono servirgli per garantire, a lui ed all'azienda un lavoro più sicuro. Prova ne sia il tenore dell'art. 21 il quale indica una serie di notizie attinenti all'organizzazione aziendale del sistema sicurezza gravitanti intorno all'obbligo dell'analisi e della valutazione del rischio ed a quello delle nomine del servizio di prevenzione e protezione.
Infatti l'informazione, che deve sempre essere adeguata alla concreta situazione, nelle sue linee generali, verterà, ex art. 21, su: a) i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale; b) le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate; c) i rischi specifici cui è esposto il lavoratore in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia; d) i pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previsti dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica; e) le procedure che riguardano il pronto soccorso, la lotta antincendio, l'evacuazione dei lavoratori; f) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente; g) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli articoli 12 e 15.
"Il contenuto dell'azione informativa delineato dall'art. 21 può essere distinto in due aree: informazione sui rischi professionali generici, specifici e da manipolazione presenti nell'ambiente di lavoro (lett. a), b), c), d)) e informazione sul contenuto del c.d. "piano di emergenza in materia di prevenzione incendi, pronto soccorso, evacuazione e gestione delle altre situazioni di emergenza (lett. e), f), g))" (23).
Gli obblighi datoriali d'informazione di cui sopra (sanzionati specificamente al preposto dall'art. 90), "risultano poi specificati relativamente alle "condizioni di impiego delle attrezzature anche sulla base delle conclusioni eventualmente tratte dalle esperienze acquisite nella fase di utilizzazione del lavoro" e "alle situazioni anormali imprevedibili" (art. 37); alla movimentazione manuale dei carichi...(art. 49)...; l'uso dei videoterminali, dovendo il datore di lavoro fornire (art. 56) informazioni in particolare per quanto riguarda: a) le misure applicabili al posto di lavoro, in base all'analisi dello stesso di cui all'art. 52 (rischi per la vista e per gli occhi; problemi legati alla postura e all'affaticamento fisico o mentale, condizioni ergonomiche e di igiene ambientale); b) le modalità di svolgimento dell'attività; c) la protezione degli occhi e della vista; la protezione da agenti cancerogeni (presenza agenti cangerogeni nei cicli lavorativi, loro dislocazione, rischi per la salute connessi al loro impiego, ivi compresi i rischi supplementari dovuti al fumare; precauzioni da prendere per evitare l'esposizione; misure igieniche da osservare; necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi e dispositivi industriali di protezione e il loro corretto impiego; il modo di prevenire il verificarsi di incidenti e le misure da adottarsi per ridurre al minimo le conseguenze (art. 66); e così, per la protezione da agenti biologici (art. 85)" (24).
Tale specificazione dell'obbligo generale di informazione di cui all'art. 21, sempre "doppiata", come meglio vedremo in seguito, dal correlato obbligo di formazione, da un lato sottolinea la successione logica dei diritti di informazione - formazione - consultazione quali fasi distinte del medesimo processo di partecipazione equilibrata del lavoratore al processo produttivo, dall'altro rimarca la finalità divulgativa astratta dell'informazione, sia essa generale o speciale, laddove la formazione invece, ne esprime la trasposizione concreta ed operativa dovendo, pur vertendo astrattamente sugli stessi argomenti, essere collegata alla specifica mansione ed allo specifico posto di lavoro, ovvero alla specifica situazione lavorativa di ogni singolo lavoratore.
Proprio in quest'ottica interpretativa, l'obbligo informativo non potrà essere adeguatamente adempiuto senza un continuo aggiornamento degli interventi in relazione al mutare tanto delle tematiche organizzative procedurali e produttive che dell'evoluzione tecnica, scientifica ed operativa dei rischi lavorativi speciali.
"Non è perciò ammissibile un'informazione svolta in via preliminare e una volta per tutte, ma il rispetto dell'obbligo di legge impone che debba essere strutturato ed attivato un apposito canale avente come precipuo scopo quello di assicurare un flusso continuo di informazioni per tenere costantemente aggiornati gli interessati sui nuovi rischi cui possono andare incontro, sulle modifiche di intensità di quelli già conosciuti e sui rimedi adottati per eliminarli o ridurli" (25).

L'OBBLIGO DI FORMAZIONE.
Se attraverso l'informazione si possono dare delle indicazioni circa determinate norme, procedure, funzionamento di dispositivi di sicurezza, uso di materiali inerenti il contesto lavorativo, per determinare il cambiamento di organizzazione e gestione del processo lavorativo prospettato dal D.Lgs. 626/94, "è necessario avviare un processo di comunicazione come conoscenza e condivisione degli obiettivi e come momento di riflessione per meglio comprendere i diversi linguaggi, le differenti procedure e strategie operative. L'essere in grado di fare ciò è consentito dal processo formativo. È solo attraverso la formazione che si può concretamente realizzare quel cambiamento nella mentalità dei lavoratori che auspica la normativa" (26).
La formazione si pone, infatti, come esigenza di interiorizzazione di concetti e procedimenti che devono diventare una costante nell'approccio e nell'attività lavorativa del soggetto, poiché il bisogno formativo si qualifica essenzialmente come un impulso o una spinta all'azione per la realizzazione di un obiettivo utile per chi agisce, consistente nel superamento della mancanza di determinati elementi nell'ambiente in cui si agisce.
In questo senso la formazione può essere intesa come l'insieme di tutte le misure che forniscono le attitudini e le conoscenze necessarie allo svolgimento di un'attività professionale qualificata ed alla realizzazione dell'esperienza professionale richiesta nel quadro degli orientamenti stabiliti dalla legge.
L'oggetto dell'obbligo di formazione è, infatti, la tutela dell'interesse del lavoratore ad entrare in possesso di un bagaglio di conoscenze tecniche e culturali "sufficiente ed adeguato in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni".
In sintesi potremo parlare di un "modus laborandi" che delinei un nuovo quadro di prevenzione e sicurezza, non più imposto (raramente) dal vertice, ma soggettivamente voluto dal lavoratore in termini di responsabilità e, soprattutto, di autotutela.
L'obbligo di formazione all'atto dell'assunzione, del trasferimento o del cambiamento di mansioni, dell'introduzione di nuove attrezzature di lavoro, nuove tecnologie, nuove sostanze o nuovi preparati pericolosi, la necessità di periodiche ripetizioni della stessa in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi, sottolinea la funzione culturale e professionale, nonché il fondamento psicologico della formazione per il lavoratore e ciò proprio nell'alveo del generale riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni di cui all'art. 22, comma 1.
L'obbligo di formazione si specifica innanzitutto ex art. 22, commi 4 e 5, secondo i quali particolare attenzione deve essere usata per il processo formativo del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che ha diritto ad una formazione particolare di cui parleremo più diffusamente in seguito, nonchè dei lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza, anch'essi titolari del diritto ad una specifica ed adeguata formazione che sarà oggetto di apposito approfondimento. Anche lo stesso imprenditore, purtroppo soltanto qualora scelga di svolgere direttamente i compiti propri del servizio prevenzione e protezione dai rischi, dovrà, ex art. 10, comma 2, D.Lgs. 62694, adegatamente acculturarsi nella materia prevenzionistica frequentando apposito corso di formazione.
L'obbligo di formazione si specifica, invece, a livello tecnico "in ragione delle materie oggetto di specifico obbligo di informazione sopra ricordate: uso delle attrezzature di lavoro (art. 38) uso di dispositivi di protezione individuale (art. 43); uso dei videoterminali (art. 56); protezione da agenti cangerogeni (art. 66); protezione da agenti biologici (art. 85)" (27).
L'ampio spettro dell'obbligo informativo/formativo previsto dal D.Lgs. 626/94 intende determinare, in primo luogo, comportamenti lavorativi soggettivamente sicuri, di modo che "non più la macchina, bensì il lavoratore formato, addestrato e protetto sia posto al centro del micro organismo aziendale, con un ruolo attivo nel sistema della sicurezza" (28).
Dalle disposizioni normative dettate in tema di informazione e formazione nei vari titoli del D.Lgs 626/94, risulta, quindi, confermato il diritto del lavoratore ad una partecipazione equilibrata al processo produttivo attuata attraverso i diritti progressivi dell'informazione, della formazione, distinguendo fra il primo concetto, inteso quale notizia eminentemente pratica consistente nel portare a conoscenza del lavoratore la realtà organizzativa, procedurale e tecnica dell'azienda dal punto di vista della sicurezza ed il secondo, inteso, invece, quale processo conoscitivo di interiorizzazione della cultura della sicurezza tale da determinare un vero e proprio "stile di vita" del lavoratore e permettergli lo svolgimento delle specifiche mansioni lavorative in modo più sicuro.
In base all'art. 37, si evidenzia, anche, la parziale coincidenza dei concetti di formazione ed istruzione, dovendo intendere quest'ultima come una specifica e comprensibile indicazione circa le modalità di realizzazione delle varie mansioni concretamente affidate al lavoratore rispetto ad ogni attrezzatura di lavoro messa a sua disposizione ed avente rilevanza in materia di sicurezza protezione e prevenzione.
In questo senso, ulteriore, rispetto a questi concetti, parrebbe anche quello di addestramento, che si porrebbe come procedimento di formazione finalizzata allo svolgimento corretto e quindi anche maggiormente sicuro, di procedure di lavoro collegate, principalmente, ma non esclusivamente, all'uso di macchine, attrezzature e strumenti tecnici particolari.
L'art. 38, infatti, affermando che i lavoratori incaricati di usare le attrezzature di lavoro devono ricevere una adeguata formazione sull'uso delle stesse ed aggiungendo che i lavoratori incaricati dell'uso di attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari devono ricevere un addestramento adeguato, sottolinea l'inscindibile nesso esistente fra sicurezza ed uso idoneo degli strumenti di lavoro, anche in relazione all'attività lavorativa degli altri e non solo a quella di se stessi.
È da ritenere che addestramento e formazione non restino, comunque, due concetti distinti, in quanto l'addestramento è rivolto specificamente all'uso di determinati strumenti o procedure, mentre la formazione, pur essendo anche rivolta alla trasmissione di conoscenze e di concetti generali, deve, comunque, essere riferita allo specifico posto di lavoro ed alla specifica mansione del lavoratore. È del tutto evidente, infatti, che la realizzazione del sistema sicurezza non potrà avvenire se non attraverso l'integrazione e la consequenzialità di tutti i tipi di interventi didattici, siano essi informativi, formativi o addestrativi.
Un processo che, a causa del tempo, delle urgenze lavorative, dell'onerosità degli investimenti economici, si arrestasse alla fase informativa o si limitasse esclusivamente ad istruzioni o addestramenti tecnici magari relativi al corretto uso di attrezzature e strumenti in materia di protezione e prevenzione come, ad esempio, l'uso di estintori, impianti antincendio, mezzi personali di protezione, prescindendo da un intervento globale di comunicazione formativa, in senso lato esprimerebbe pur sempre un contributo alla sicurezza dell'attività lavorativa, ma in senso stretto non la garantirebbe, perché non si tradurrebbe in una presa di coscienza globale da parte del lavoratore della complessità del processo produttivo sicuro. In questo senso, infatti, "rispettare la complessità del processo formativo, è rispettare lo spirito del D.Lgs. n. 626/94, nel suo essere innovativo, per il tentativo di considerare la sicurezza non solo come un'insieme di norme che inducono ad una protezione coercitiva ma come valore fondante del benessere lavorativo" (29).
In conclusione è possibile affermare che il legislatore, statuendo un obbligo di informazione e, soprattutto, di formazione (nel cui concetto può farsi rientrare anche l'addestramento come formazione pratica all'uso di macchine attrezzature e strumenti), in capo al datore di lavoro, penalmente sanzionato con l'arresto da tre a sei mesi o ammenda da tre a otto milioni in caso di violazione, ha voluto sottolineare la centrale importanza della effettiva preparazione professionale del personale sull'organizzazione, sulle procedure e sui sistemi di sicurezza dell'intero processo produttivo. In quest'ottica, pertanto, la sicurezza sul posto di lavoro può essere sicuramente posta come una questione di formazione.
È, pertanto, compito imprescindibile del datore di lavoro quello di assicurare la collettività che ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione e formazione in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento allo specifico rischio del posto di lavoro discendente dalle mansioni effettivamente espletate.

Note
(1) Di Lecce, Aspetti innovativi e riflessi sulla organizzazione del lavoro della normativa prevenzionale, AA.VV., Sicurezza del lavoro e trasformazioni organizzative, a cura di M. Frey, Milano, 1996, p. 81.
(2) Galantino, Il contenuto dell'obbligo di sicurezza, in AA.VV., La sicurezza del lavoro, a cura di Galantino, Milano, 1996, p. 34.
(3) Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione e formazione, in Ambiente, Salute e Sicurezza, a cura di Montuschi, Torino, 1997, p. 157.
(4) Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione e formazione, op. cit., p. 157.
(5) Per un maggiore approfondimento vedi, fra gli altri, Bacchini, La posizione di garanzia del lavoratore, ISL, n. 6, 1999.
(6) Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione e formazione, op. cit., p. 158.
(7) Montuschi, I principi generali del D.Lgs. 626 del 1994 (e le successive modifiche), in in Ambiente, Salute e Sicurezza, a cura di Montuschi, Torino, 1997, p. 54.
(8) Galantino, Diritto del Lavoro, Torino, 1999.
(9) Focareta, La sicurezza del lavoro dopo il decreto legislativo n. 626 del 1994, in Dir. rel. ind., 1995, 5.
(10) Focareta, La sicurezza del lavoro dopo il decreto legislativo n. 626 del 1994, op. cit., p 9.
(11) Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario alla sicurezza del lavoro, AA.VV., Milano, 1996, p. 332.
(12) Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario alla sicurezza del lavoro, op. cit., p. 333.
(13) In questo senso: Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario alla sicurezza del lavoro, AA.VV., Milano, 1996, p. 332.
(14) Vedi, ad esempio, l'accordo Confapi- CGIL-CISL-UIL del 13 maggio 1993.
(15) D.M. 08.04.98, art. 2:
1. Le attività formative per apprendisti sono strutturate in forma modulare. I contenuti della formazione esterna all'azienda, tra loro connessi e complementari e finalizzati alla comprensione dei processi lavorativi, sono articolati come segue:
a) contenuti a carattere trasversale, riguardanti il recupero eventuale di conoscenze linguistico-matematiche, i comportamenti relazionali, le conoscenze organizzative e gestionali e le conoscenze economiche (di sistema, di settore ed aziendali); in questo contesto una parte dell'attività formativa dovrà essere riservata anche alla disciplina del rapporto di lavoro, all'organizzazione del lavoro, alle misure collettive di prevenzione ed ai modelli operativi per la tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro;
b) contenuti a carattere professionalizzante di tipo tecnico- scientifico ed operativo differenziati in funzione delle singole figure professionali; in questo ambito saranno sviluppati anche i temi della sicurezza sul lavoro e dei mezzi di protezione individuali, propri della figura professionale in esame.
2. Ai contenuti di cui al punto a) non potrà essere destinato un numero di ore inferiore al trentacinque per cento del monte di ore destinato alla formazione esterna. La formazione sui contenuti di carattere scientifico, economico, e trasversale dovra` essere svolta nelle strutture regionali di formazione professionale ed anche nelle strutture scolastiche, accreditate ai sensi dell'art. 17 comma 1, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196. Specificazione dei contenuti, durata dei moduli e modalità di svolgimento possono essere definiti dalla contrattazione collettiva.
3. La formazione esterna all'azienda, purchè debitamente certificata ai sensi del successivo art. 5, ha valore di credito formativo nell'ambito del sistema formativo integrato, anche in vista di eventuali iniziative formative di completamento dell'obbligo, ed è evidenziata nel curriculum del lavoratore. Qualora vi sia interruzione del rapporto di apprendistato prima della scadenza prevista, le conoscenze acquisite potranno essere certificate come crediti formativi.
(16) Salerno, La nuova organizzazione della sicurezza sui luoghi di lavoro, in Prevenzione e sicurezza sul lavoro, a cura di Salerno Bernardini, Padova, 1996, p. 87.
(17) Culotta, Di Lecce, Costagliola, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 1998, p. 165.
(18) Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario alla sicurezza del lavoro, op.cit., p. 327.
(19) Galantino, Il contenuto dell'obbligo di sicurezza, in AA. VV., La sicurezza del lavoro, a cura di Galantino, Milano, 1996, p. 39.
(20) In questo senso: Culotta, Di Lecce, Costagliola, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, op. cit., p. 166, 171.
(21) Nicolini, Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1996, p. 387.
(22) In considerazione di quanto più sopra esposto circa la centralità dell'obbligo formativo quale misura generale di sicurezza sul lavoro, sulla base di una prima analisi della circolare n. 30 del 5 marzo 1998, sembrerebbe di poter affermare che, secondo l'interpretazione del Ministero del lavoro, l'obbligo di formazione, posto ex art. 22 D.Lgs. 626/94 in capo al datore di lavoro ed al dirigente, veda notevolmente ridotta la sua sfera di applicazione e, conseguentemente, la sua vincolatività.
Infatti, mentre in virtù dell'articolo in parola il datore di lavoro è obbligato a fare in modo "che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui all'art. 1, comma 3, riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni" ed a garantire che la formazione avvenga in occasione: "a) dell'assunzione; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) dell'introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi" e, quindi, in circostanze specifiche e qualificanti della vita lavorativa del tutto innovative rispetto alla disciplina previgente, alla luce della circolare più sopra menzionata, si afferma che queste determinate specifiche occasioni non innoverebbero "le disposizioni già contenute negli articoli 4 dei regolamenti generali di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro".
Secondo il Ministero, infatti, l'obbligo di formazione previsto in detti regolamenti generali, presuppone che i lavoratori occupati prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 626/94, fossero già stati resi edotti sui rischi lavorativi prima di essere adibiti alle mansioni oggetto del contratto di lavoro subordinato. Pertanto, nei confronti di questi ultimi, a suo dire, vigerebbe, esclusivamente, l'obbligo, contenuto nell'art. 4 sia del D.P.R. 547/55 che del D.P.R. 303/56, "di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione" ed "i modi di prevenire i danni derivanti dai rischi predetti".
L'affermazione, basata sull'implicita equivalenza dei due obblighi, ha, pertanto, quale logica conseguenza, quella di ritenere inutile la ripetizione di un'attività formativa che, obbligatoria dal 1955, avrebbe già dovuto essere stata erogata e, quindi, "per le attività già in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 626/94", non scatterebbe "automaticamente ed indiscriminatamente l'obbligo del datore di lavoro di procedere alla formazione di tutti i lavoratori già assunti a tale data, purché i datori di lavoro abbiano in precedenza dato attuazione all'obbligo di cui agli articoli 4 dei regolamenti generali di prevenzione infortuni e igiene del lavoro".
(23) Soprani, ISL risponde, in ISL n. 1, 1999, p. 53.
(24) Nicolini, Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1996, p. 387-388.
(25) Culotta, DI Lecce, Costagliola, Prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, op. cit., p. 166.
(26) Selis, Formare alla sicurezza: una riflessione sulla complessità del processo, in ISL, n. 11, 1998, p. 576.
(27) Nicolini, Manuale di diritto del lavoro, op. cit., p. 389.
(28) Lepore, La rivoluzione copernicana della sicurezza del lavoro, in Lav. e inf., 1994, p. 22.
(29) Selis, Formare alla sicurezza: una riflessione sulla complessità del processo, op. cit., p. 578.

 



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