La
sicurezza soggettiva
(1a parte)
Francesco
Bacchini
Coordinatore ISFoP
LA
GESTIONE CONCERTATA DELLA SICUREZZA
L'obbligo generale di sicurezza posto dall'art. 2087 c.c. in
modo certamente sintetico, ma non per questo meno chiaro, in
capo al datore di lavoro, trova nel D.Lgs. 626/94 una puntuale
specificazione con una dettagliata indicazione dei suoi elementi
essenziali, vale a dire l'eliminazione dei rischi alla fonte,
l'aggiornamento continuo delle misure prevenzionali alla luce
delle nuove conoscenze tecnologiche e non della ragionevole
praticabilità (1) (forme di protezione oggettiva), nonché
la tutela della personalità fisica e morale del lavoratore
da attuarsi mediante una prevenzione che utilizzi, in via primaria,
l'informazione e la formazione dei destinatari della tutela
circa i rischi cui sono esposti e circa i modi di prevenirli
(forme di protezione soggettiva).
Il D.Lgs. 626/94, infatti, prevede un coinvolgimento dei lavoratori
nell'organizzazione e nella gestione del sistema aziendale di
prevenzione e protezione molto più incisivo di quello
proposto in precedenza nell'ordinamento dall'art. 9 dello Statuto
dei lavoratori o dall'esperienza della contrattazione collettiva.
In questo senso, il decreto ha recepito il principio espresso
dalla Direttiva comunitaria n. 391/89, secondo il quale per
realizzare un miglior livello di protezione dei lavoratori sul
luogo di lavoro è necessario garantire agli stessi un
diritto di "partecipazione equilibrata", secondo uno
schema di diritti a progressione successiva quali: l'informazione,
la formazione, la consultazione, la possibilità di fare
proposte, il coinvolgimento dei lavoratori anche tramite loro
rappresentanti (2).
È, infatti, "opinione generale che una delle novità
principali del modello di tutela della sicurezza e della salute
dei lavoratori, congegnato dal D.Lgs. 626 del 1994..., risieda
nell'assegnazione al lavoratore, molto più nitidamente
che nel D.Lgs. 277 del 1991, di una funzione attiva in vista
del perseguimento e del costante mantenimento degli standards
di massima sicurezza tecnologicamente fattibile imposti dalla
normativa" (3).
Conseguenza di ciò è che anche il lavoratore,
"conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e
ai mezzi forniti dal datore di lavoro" (art. 5, 1°
comma, D.Lgs. 626/94), cioè subordinatamente alla propria
competenza professionale, vero e proprio limite di attribuibilità
del comportamento colposo all'agente, viene fatto soggetto di
una porzione tutt'altro che insignificante della posizione di
garanzia che compete, comunque, in via primaria, al datore di
lavoro, al dirigente ed al preposto.
Pertanto, "attraverso la previsione di una serie di doveri
di autotutela e collaborazione, che consistono anzitutto nel
rispetto delle norme di sicurezza ampiamente intese, ma che
tendono a dilatarsi sino a dar corpo ad un ruolo complessivamente
nuovo..., implicante anche compiti di intervento attivo, di
segnalazione, di proposta, e persino di controllo generale sull'organizzazione
della sicurezza" (4), il lavoratore si pone quale parte
vincolata ad adempiere alla propria obbligazione contrattuale
con la diligenza professionale richiamata, in materia di sicurezza
e di salute, dall'art. 5 del D.Lgs. 626/94.
Sulla base di quanto più sopra analizzato, anche in relazione
all'adempimento dell'obbligo formativo quale elemento di attribuzione
della responsabilità disciplinare del lavoratore che
violi la normativa di sicurezza, proprio in considerazione del
fatto che il nuovo quadro normativo ed organizzativo che si
va delineando è quello di una prevenzione basata sulla
responsabilità soggettiva di ogni titolare di obblighi
di sicurezza e, quindi, sul concetto di autotutela, il "dare
forma" al lavoratore (inteso in senso lato) si pone quale
fondamentale processo idoneo a garantirne la salute e l'incolumità,
non prescindendo dal suo apporto e persino contro la sua stessa
volontà, come avveniva in passato, bensì attraverso
l'interiorizzazione dei principi tecnico-culturali della prevenzione,
della protezione e della sicurezza del lavoro (5).
In questo senso, "la vera ragione di originalità
di una norma come l'art. 5 deve essere ricercata...nella stretta
connessione che il D.lgs. pone chiaramente in risalto, fra la
riqualificazione della posizione obbligatoria del lavoratore
e le nuove prerogative delle quali egli viene investito, in
particolare in ordine all'informazione (art. 21) ed alla formazione
(art. 22)" (6).
È per questa ragione che, in base all'art. 3, lett. s)
e t) del D. Lgs. 626/94, la formazione (insieme all'informazione)
viene individuata quale misura generale per la protezione della
salute e della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro
e deve essere osservata dal datore di lavoro quale principale
obbligo di sicurezza, ma si avvia a diventare anche strumento
"per pretendere dal prestatore una collaborazione all'adempimento
dell'obbligo di sicurezza" (7).
L'OBBLIGO
DI FORMAZIONE NELLA DISCIPLINA LAVORISTICA: CENNI
L'importanza attribuita dal legislatore all'elemento della formazione,
dell'informazione, dell'addestramento nella disciplina lavoristica,
espresso a livello contrattuale dal contratto di formazione
e lavoro (che trova la sua disciplina normativa nella L. 19
dicembre 1984 n. 863, integrata dall'art. 16 del D.L. n. 299/94
convertito nella L. n. 451/94) e dal contratto di apprendistato
(che trova la sua disciplina normativa, oltre che nel codice
civile, nella legge 19 gennaio 1955 n. 25, nonché nella
L. 2 aprile 1968 n. 424 e nella L. 28 febbraio 1987 n. 56),
risulta maggiormente evidenziata dalle più recenti disposizioni
di legge.
Prova ne siano le norme dedicate dalla L. 24 giugno 1997 n.
196 (Pacchetto Treu per l'occupazione) al contratto di formazione
lavoro (art. 15), al contratto di apprendistato (art. 16), al
riordino della formazione professionale (art. 17), ai tirocini
formativi e di orientamento (art. 18).
Se a ciò si aggiunge quanto previsto, a livello programmatico,
dal recente "Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione",
siglato il 22 dicembre 1998 tra Governo e Parti Sociali, in
cui si afferma che "un modello sociale equilibrato e una
capacità competitiva elevata nel nuovo contesto europeo
e internazionale si basano su un crescente ruolo della creazione
e diffusione della conoscenza, e, quindi, sul ruolo del sistema
di istruzione, formazione e ricerca", attuato anche mediante
la sollecitazione delle "parti sociali a concordare meccanismi
contrattuali che finalizzino quote di riduzione di orario alla
formazione dei lavoratori, attraverso l'utilizzo delle 150 ore,
l'utilizzo delle banche ore annuali previste dai CCNL, e ulteriori
strumenti per consentire ai lavoratori di accedere pienamente
alle attività di formazione e di educazione degli adulti",
il diritto/dovere alla formazione professionale dovrebbe, negli
anni a venire, divenire centrale nella dinamica giuslavoristica.
A tal proposito, in dottrina, si è già cominciato
a parlare di passaggio dal Welfare state al Training state,
sottolineando come, le nuove politiche attive del lavoro dovranno
decisamente e prioritariamente insistere sugli interventi di
formazione e sviluppo delle capacità professionali, sia
per riassorbire il numero dei disoccupati che per ottenere qualifiche
più aderenti alle necessità del mercato del lavoro
(8).
Ma la formazione, l'informazione, l'addestramento e l'istruzione
dei lavoratori, come è già stato sottolineato,
rappresentano un elemento di grande rilievo anche nella recente
normativa in tema di sicurezza e salute dei luoghi di lavoro.
Il combinato disposto degli artt. 21, 22, 37, 38, 43, 49, 56,
66, 85, letti nell'ottica di cui all'art. 3 lett. s) e t), del
D.Lgs. 626/94, esprime chiaramente il concetto che l'obbiettivo
della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro
non è perseguibile soltanto con la prevenzione oggettiva,
ovvero con l'adozione di dispositivi, strumenti, accorgimenti
"idonei a garantire la salute e l'incolumità dei
lavoratori a prescindere dal loro apporto e persino contro la
loro stessa volontà" (9), ma anche tramite un processo
di acculturamento professionale che utilizzi gli strumenti della
formazione, dell'informazione, dell'addestramento e dell'istruzione.
In questo senso deve essere sottolineato "il passaggio
da un sistema di prevenzione tecnologico, basato cioè
sugli strumenti tecnici, sulla qualità degli attrezzi,
sulle misure e sui procedimenti da rispettare nelle attività
produttive, ad un sistema di prevenzione incentrato sull'uomo"
(10).
Tale sistema è riscontrabile, appieno, nella legislazione
in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di
lavoro, a partire dal D.Lgs. 277/91, dettato in attuazione delle
direttive n. 80/1107/CEE, n. 82/605/CEE, n. 83/477/CEE, n. 86/188/CEE
e n. 88/642/CEE, in materia di protezione dei lavoratori contro
i rischi derivanti da esposizione da agenti chimici, fisici
e biologici durante il lavoro, a norma dell'art. 7 legge 30
luglio 1990, n. 212, per arrivare all'art. 6 della innanzi citata
L. 196/97 che obbliga l'impresa utilizzatrice, nei confronti
del lavoratore temporaneo, a fornire informazioni ed a garantire
l'adempimento di tutti gli obblighi di sicurezza individuati
dalla legge e dai contratti collettivi, fra i quali, come sappiamo,
importanza fondamentale riveste quello di formazione, conformemente
a quanto previsto dall'art. 3 del D.Lgs. 626/94. Tutto ciò
passando attraverso gli obblighi di formazione contenuti nel
D.Lgs. 626/94, così come modificato dal D.Lgs. 242/96,
nel D.Lgs. 493/96, nel D.Lgs. 494/96, nel D.M. 16 gennaio 1997,
nel D.M. 10 marzo 1998 (in materia di prevenzione incendi),
nel D.M. 16 marzo 1998 (in materia di informazione e formazione
dei lavoratori nelle aziende a rischio di incidenti rilevanti).
La formazione in materia di sicurezza e di salute, quale strumento
per migliorare le condizioni di lavoro, esprime una netta particolarità
rispetto ai contenuti della formazione tradizionale. Infatti,
mentre la formazione tradizionale esprimeva ed esprime la necessità
di un miglioramento professionale al fine di garantire la conservazione
o l'incremento dei posti di lavoro, la formazione in materia
di sicurezza esprimendo, principalmente, anche se non esclusivamente,
la necessità di garantire la tutela delle condizioni
di lavoro, coniuga l'elevamento della cultura professionale
con la difesa della salute.
La formazione, in questo senso, "non è più
solo un mezzo per non perdere o per trovare un posto di lavoro,
ma strumento per migliorare le condizioni lavorative" (11).
L'attività formativa imposta dal legislatore in materia
di sicurezza si rivolge al lavoratore prima di tutto dal punto
di vista personale e poi da quello professionale, offrendogli,
attraverso la frequentazione di corsi di prevenzione, protezione
ed igiene, un mezzo per aiutarlo a preservare la propria e l'altrui
persona nonché per migliorare le proprie conoscenze professionali
dovendo tali corsi, secondo il dettato dell'art. 22 D.Lgs. 626/94,
essere erogati "con particolare riferimento al proprio
posto di lavoro ed alle proprie mansioni".
La formazione alla sicurezza, tesa all'apprendimento ed all'applicazione
delle regole di prevenzione dai rischi e tutela della salute,
è collegata all'attività svolta non solo in un'ottica
di valorizzazione del contenuto della prestazione, ma, anche
attraverso tale valorizzazione, è stata posta quale elemento
di risoluzione di problemi specifici a difesa del lavoratore
(12).
Così, mentre fino agli anni più recenti, il rapporto
tra formazione e tutela della sicurezza si è configurato
solo nell'ottica della fruizione, da parte dei partecipanti
ai percorsi formativi, della tutela antinfortunistica (13),
comincia oggi a farsi strada anche un elemento professionalizzante,
connaturato, come abbiamo visto, alla specificità della
mansione e del posto di lavoro. L'attitudine professionalizzante
della formazione sulla sicurezza, per la funzione di risoluzione
di specifici problemi a difesa del lavoratore, con una valenza
marcatamente contrattuale, è stata, peraltro, già
presa in considerazione dalla legislazione in materia di contratti
speciali di lavoro a causa retributivo formativa, vale a dire
il contratto di formazione e lavoro ed il contratto di apprendistato.
È questo il caso dell'art. 16, comma 5, della L. 299/94
così come modificato dalla Legge 451/94, che introduce
contratti di formazione e lavoro mirati ad agevolare "mediante
un esperienza lavorativa che consenta un adeguamento delle capacità
professionali al contesto produttivo ed organizzativo"
il semplice inserimento professionale con l'acquisizione in
pratica di un minimo di esperienza lavorativa nel contesto dell'azienda.
I contratti in questione, che mirano all'acquisizione di professionalità
di base, hanno durata massima di 12 mesi e prevedono una formazione
minima non inferiore a 20 ore riguardanti la disciplina e l'organizzazione
del rapporto di lavoro, nonché la prevenzione ambientale
ed antinfortunistica. In questo senso molti accordi interconfederali
prevedono espressamente la prevenzione antinfortunistica quale
argomento del percorso formativo dei contratti di inserimento/orientamento,
quali la formazione lavoro e l'apprendistato (14).
Relativamente al contratto di apprendistato va ricordato che,
nel D.M. 8 aprile 1998, emanato in attuazione dell'art. 16 della
più sopra citata L. n. 196/97, all'interno dei contenuti
dell'attività di formazione degli apprendisti, viene
obbligatoriamente individuata la disciplina della prevenzione
per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro,
quale programma formativo a carattere generale e trasversale,
mentre, quale programma formativo a carattere speciale e professionalizzante,
vengono individuati contenuti in materia di sicurezza sul lavoro
finalizzati alla singola figura professionale di riferimento
e contenuti in tema di mezzi di protezione individuali finalizzati,
anch'essi, alla singola figura professionale di riferimento
(15).
INFORMAZIONE,
FORMAZIONE, ADDESTRAMENTO ED ISTRUZIONE EX D.LGS. 626/94
Se la formazione in materia di sicurezza è elemento della
causa mista (retribuzione e formazione) propria del contratto
di formazione lavoro e del contratto di apprendistato, essa
è tassativamente obbligatoria quale misura di sicurezza,
cautela o disposizione prevista dalla legislazione prevenzionale.
Infatti, elemento centrale del "corpus iuris" in materia
di sicurezza, prevenzione e protezione, ex D.Lgs. 626/94 e provvedimenti
collegati, logica conseguenza dell'attività di valutazione
del rischio, è l'attività di formazione di tutti
i protagonisti del processo lavorativo.
L'art. 3 del D.Lgs. 626/94, rubricato: "Misure generali
di tutela", indicando in modo analitico quali siano le
misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza
dei lavoratori che costituiscono l'obbligazione di sicurezza
del datore di lavoro, reca, non a caso, alla lettera a) dell'elencazione
tassativa, la misura della valutazione del rischio, prevedendo,
quali misure conseguenti, fra le altre, alle lettere s) e t)
anche l'informazione e la formazione.
Invero, l'obiettivo che sottende alla valutazione dei rischi,
cioè a quell'analisi globale della probabilità
e della gravità di possibili lesioni o danni alla salute
che si possono verificare in una situazione pericolosa, consiste
proprio nel mettere in grado il datore di lavoro di scegliere
le adeguate misure di sicurezza, prendendo i provvedimenti che
sono effettivamente necessari per salvaguardare la sicurezza
e la salute dei lavoratori.
Questi provvedimenti comprendono:
o la prevenzione dei rischi professionali;
o l'informazione dei lavoratori;
o la formazione professionale dei lavoratori;
o l'organizzazione ed i mezzi destinati a porre in atto i provvedimenti
necessari.
In ragione di ciò è possibile affermare che l'efficacia
delle misure previste dall'art. 3, nonché degli obblighi
generali, indicati dall'art. 4 del D.Lgs. 626/94 e, quindi,
anche gli obblighi di informazione, formazione ed addestramento,
discendono direttamente dalla corretta indagine di valutazione
dei rischi presenti in azienda,
Ne potrebbe essere diversamente, considerando che, ex art. 21,
"a tutti i lavoratori deve essere garantita una informazione
adeguata in merito ai rischi presenti in azienda sia a livello
di attività dell'azienda in generale, sia in relazione
alla mansione svolta dal lavoratore e alle misure di prevenzione
e protezione adottate" (16), nonché, ex art. 22,
una formazione riferita, in particolare "al proprio posto
di lavoro ed alla propria mansione".
Così, "il perno centrale su cui ruota la nuova disciplina
della prevenzione è costituito non soltanto dall'imposizione
di un metodo di rilevazione sistematica dei rischi specifici
connessi all'esercizio delle attività lavorative, in
funzione dell'apprestamento di adeguate misure per eliminarli
o per abbatterli, ma anche e soprattutto da una forte spinta
per la crescita e la diffusione di una maggiore cultura della
sicurezza a tutti i livelli" (17). L'informazione e, soprattutto,
la formazione, si rivolgono, quindi, a tutti gli attori del
processo produttivo aziendale, siano essi dirigenti, preposti,
lavoratori, neoassunti, oppure titolari di un ruolo specificamente
determinato dal legislatore nell'ambito del realizzando sistema
di sicurezza aziendale: Responsabile del Servizio Prevenzione
e Protezione (anche nel caso in cui, tale ruolo, sia esercitato
dal datore di lavoro), Addetto al Servizio Prevenzione Protezione,
Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, Lavoratore addetto
alla "gestione delle emergenze".
Il nuovo quadro che si va delineando, infatti, è quello,
come più sopra affermato, di una prevenzione basata sulla
responsabilità soggettiva di ogni titolare di obblighi
di sicurezza e, quindi, sul concetto di autotutela (18).
In un approccio basato sulla partecipazione concertata di tutti
i soggetti alla realizzazione del sistema sicurezza e non più
sull'iniziativa discendente dai vertici aziendali, normalmente
non partecipata, bensì imposta, la conoscenza tecnico
normativa delle procedure di lavoro in sicurezza ed ancor più,
l'interiorizzazione del concetto di sicurezza sul e del posto
di lavoro, per se e per gli altri (anche quelli che stanno fuori),
è struttura portante.
È proprio in questo senso che la formazione è
misura generale per la protezione della salute e della sicurezza
dei lavoratori, e deve essere osservata dal datore di lavoro
quale principale obbligo di sicurezza (art. 3, lett. s), t);
artt. 21-22).
Anzi, in base all'art. 20 dello stesso decreto viene introdotto
il concetto di "diritto all'informazione ed alla formazione",
diritto sul quale, in caso di controversie, interviene, in prima
istanza, l'Organismo Paritetico Territoriale costituito dalle
organizzazioni sindacali dei lavoratori e da quelle dei datori
di lavoro.
In tutto il dettato normativo (artt.: 21, 22, 37, 38, 43 lett.
c, 49, 56, 57, 66, 84, 85) del D.Lgs 626/94 e successive modificazioni,
ma principalmente nel capo VI del titolo I, che funge da base
concettuale generale, si evidenzia l'obbligo del datore di lavoro
di informazione e formazione dei lavoratori, quale adempimento
fondamentale per la tutela della salute e per la sicurezza dei
lavoratori durante il lavoro.
Il contenuto dell'obbligo formativo, finalizzato alla realizzazione
del sistema sicurezza, è puntualizzato da quanto enunciato
al punto 2, lett. a),b),c) dell'art. 22.
L'inquadramento dell'obbligo formativo/informativo ex D.Lgs.
626/94 è in linea con la disciplina generale di cui all'art.
2087 c.c. che opera un raccordo tra attività lavorativa,
progresso tecnico e tutela della salute.
È proprio in questo senso che il datore di lavoro è
obbligato ad adottare tutte le misure (in questo caso l'informazione
e la formazione professionale) che, secondo l'esperienza e la
tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica
e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
La misura di sicurezza costituita dall'informazione e dalla
formazione del lavoratore, con il D.Lgs 626/94, consolida la
sua posizione e, rispetto al passato, si avvia a diventare elemento
basilare nella realizzazione del sistema sicurezza e ciò
in quanto adempimento tassativo del datore di lavoro "adeguata,
continua, aggiornata, gratuita, svolta durante l'orario di lavoro
e cogestita con la controparte sindacale" (19) (in base
all'art. 20) quale risposta soggettiva ai rischi oggettivi individuati
nel documento di valutazione.
Ciò è quanto mai vero se solo si considera che,
già nel lontano 1964, quando la CECA (Comunità
Europea per il Carbone e l'Acciaio), dopo aver definito "condizioni
pericolose" quelle che identificano i rischi, soprattutto
di natura tecnica, legati al rapporto uomo-macchina, uomo-ambiente,
uomo-sostanze pericolose ed "azioni pericolose" quelle
concretantesi in tutti i rischi che accompagnano una non adeguata
organizzazione del lavoro e un non corretto comportamento dei
lavoratori nelle fasi organizzative e operative del lavoro stesso,
provò ad analizzare le cause degli infortuni, ricomprendendole
nell'una o nell'altra definizione, i risultati evidenziarono
che gli infortuni sul lavoro potevano essere imputati, per il
50% a cause relative alle "condizioni pericolose"
nelle quali si svolgevano le attività produttive e, per
l'altro 50%, a cause relative alle "azioni pericolose"
che accompagnavano lo sviluppo dei processi lavorativi.
A trent'anni di distanza, con il deciso miglioramento delle
condizioni tecniche di lavoro, le più recenti statistiche
relative alle cause degli infortuni sul lavoro, promosse dall'Unione
Europea, indicano come prevalenti quelle relative alle "azioni
pericolose", circa il 65% dei casi, essendosi quelle relative
alle "condizioni pericolose", attestate intorno al
35%.
Da tali dati si deduce che, anche sotto la spinta delle numerose
normative di contenuto tecnico per la prevenzione degli infortuni
e la protezione dei lavoratori nonché per l'igiene e
la medicina del lavoro, ancora presenti in tutta l'Unione Europea,
le azioni prevenzionali per ridurre gli infortuni sul lavoro
sono quasi sempre intervenute nei confronti delle "condizioni
pericolose", mentre poco è stato fatto nei confronti
delle "azioni pericolose".
In considerazione di quanto più sopra affermato, nessun
dubbio dovrebbe sorgere sulla necessità di sviluppare
un'azione prevenzionale che, partendo da una corretta valutazione,
prenda in considerazione lo scenario completo dei rischi per
la salute connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa,
siano essi discendenti da "condizioni pericolose"
o, in particolare, da "azioni pericolose". Se a ciò
si aggiunge che, come abbiamo visto, le condizioni pericolose
derivano dal rapporto uomo-macchina, uomo-ambiente, uomo-sostanza,
e che i pericoli più frequenti connessi alle azioni pericolose,
quali: lo svolgimento del processo produttivo; la formulazione
dell'organico aziendale; l'assenza di procedure organizzative
e operative; l'attività di verifica dell'efficienza e
dell'efficacia delle misure, esprimono la fase genetica dell'esercizio
della mansione ovvero del concreto comportamento lavorativo
che accede alla, eventuale, condizione pericolosa, la valutazione
del rischio non può prescindere dall'analisi dell'attività
informativo/formativa ma anche l'attività informativo/formativa
non può disancorarsi dallo scenario completo dei rischi
per la salute e la sicurezza. Ne consegue che tanto l'informazione,
quanto, ancor più decisamente, la formazione, per essere
adeguate e sufficienti, non potranno più essere generiche,
sommarie ed indifferenziate, dovendo indirizzarsi a ciascun
lavoratore, il quale, a seguito dell'intervento informativo/formativo,
dovrà essere posto nelle condizioni di poter acquisire
la necessaria consapevolezza per il sicuro esercizio della propria
mansione (20).
Le analisi di psicologia del lavoro, infatti, a conferma di
quanto più sopra affermato, spiegano il comportamento
lavorativo sicuro come l'interazione di un'istanza oggettiva
(safety) che può essere definita come la presenza o l'assenza
di reali pericoli in relazione all'ambiente lavorativo e di
un'istanza soggettiva (security) che diversamente può
essere definita, da un punto di vista interno al lavoratore,
come la percezione o la mancata percezione del pericolo, traducentesi
in un processo decisionale attraverso il quale il lavoratore,
integrando le due istanze con spinte emozionali e cognitive,
sceglie un determinato comportamento.
Tale comportamento è posto in essere in seguito ad una
valutazione della situazione contingente e solo la conoscenza
della stessa genera la possibilità di percepire ed evitare
il pericolo insito in essa.
Infatti, indipendentemente dalla pericolosità oggettiva,
il comportamento lavorativo è reso pericoloso in conseguenza
di un processo decisionale non idoneo da parte del soggetto,
rispetto a quella specifica situazione di lavoro.
Pertanto, devono essere forniti al lavoratore gli strumenti
per valutare le probabilità di danno e di pericolo insite
nelle varie situazioni lavorative.
Tali strumenti, a livello soggettivo, sono individuati nell'apprendimento,
nell'addestramento e, quindi, nella conoscenza dei comportamenti
rischiosi collegati allo svolgimento del proprio lavoro, al
fine di garantire, come vedremo, una partecipazione equilibrata
del lavoratore al processo produttivo.
Ne consegue che gli obblighi posti fino ad oggi a carico del
datore di lavoro ex D.P.R. 547/55 e D.P.R. 303/56, pur rientranti
nella medesima ratio legis di cui ci occupiamo oggi, caratterizzati
da una certa indeterminatezza ed estemporaneità, dettata
dall'assenza di un obbligo di valutazione preventiva del rischio
collegato al luogo ed alla mansione di lavoro, lasciano il posto
ad un programma più razionale e, soprattutto, più
vincolante.
"In effetti, gli obblighi datoriali d'informazione, precedentemente
racchiusi nell'art. 4 del D.P.R. n. 547/1955 e nell'art. 4 del
D.P.R. n. 303/1956 da taluno reputati implicitamente abrogati,
ricevono ampio contenuto" (21).
Benché la legislazione speciale di cui sopra non sia
stata integralmente sostituita dalla recente nuova regolamentazione
prevenzionistica, tant'è che l'art. 98 del D.Lgs. 626/94
stabilisce che: "restano in vigore, in quanto non specificamente
modificate dal presente decreto, le disposizioni vigenti in
materia di prevenzione degli infortuni e igiene del lavoro"
(deve essere presa in considerazione tanto l'abrogazione espressa
che quella tacita), tuttavia il D.Lgs. 626/94 ha, comunque,
modificato considerevolmente il quadro giuridico di tutta la
materia prevenzionale. In questo senso, a favore della mancata
abrogazione tacita degli obblighi di cui agli artt. 4 del D.P.R.
547/55 e 303/56, depone l'art. 59 del D.Lgs. n. 277/1991, emanato
in attuazione di direttive CEE in materia di protezione dei
lavoratori, il quale precisa che le disposizioni dell'art. 4
del DPR 303/1956 non si applicano all'esposizione al piombo,
all'esposizione alla polvere proveniente dall'amianto o dai
materiali contenenti amianto né all'esposizione al rumore.
Il D.Lgs 277/1991, infatti, agli artt. 12, 26, 42, prevede specifiche
regole di informazione e formazione, quali adempimenti per garantire
l'integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro, ulteriori rispetto a quelle previste,
genericamente, in precedenza dalla legislazione prevenzionale.
È possibile, infatti, ritenere che se il legislatore
del D.Lgs. 626/94 avesse voluto abrogare le precedenti norme
in materia di partecipazione dei lavoratori alla conoscenza
dei rischi relativi alle proprie mansioni, lo avrebbe fatto
esplicitamente al pari dell'art. 59 del D.Lgs. 277/1991.
Tuttavia, nell'ottica di cui al D.Lgs. 626/94, l'informazione
e la formazione sono processi di maturazione dell'individuo
e di interiorizzazione di concetti, idonei a proporre una soluzione
culturale e personale del problema sicurezza, ulteriori e ben
distanti, se vogliamo, dallo scarno seppur importante tenore
dell'art. 4 del D.P.R. 547/55 o dell'art. 4 del D.P.R. 303/56
che obbligava, semplicisticamente, il datore di lavoro a "rendere
edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti ...
portare a conoscenza le norme essenziali di prevenzione".
In questo senso non può essere sottaciuto il fatto che,
indipendentemente dall'abrogazione o meno, l'obbligo di erogare
nozioni di sicurezza al lavoratore si è ampliato sia
quantitativamente che qualitativamente, soprattutto in considerazione
dell'obbligo, indelegabile, del datore di lavoro di procedere,
preliminarmente a qualsiasi tipo di intervento, sia esso oggettivo
(sulle cose), che soggettivo (sulle persone, attraverso l'informazione
e la formazione), alla valutazione ed alla relativa documentazione
del rischio aziendale. Inoltre, anche concettualmente, la combinazione
dell'obbligo informativo con l'obbligo formativo, di quello
di addestramento e di quello di istruzione, individuano una
serie di misure di tutela soggettiva, chiaramente e notevolmente
sovraordinato rispetto all'obbligo di rendere edotti i lavoratori
sui rischi specifici cui sono esposti di cui ai D.P.R. 547/1955
e 303/1956 (22).
Intanto, infatti, come risulta dagli artt. 21 e 22, che esprimono
l'esemplificazione di bisogni rilevati varie volte nel testo,
l'informazione e la formazione dei lavoratori si pongono, chiaramente,
quali concetti ed adempimenti distinti, laddove, diversamente
dalla legislazione oggi vigente, la generica indicazione di
cui agli artt. 4 dei regolamenti generali di prevenzione infortuni
e igiene del lavoro non poteva specificare la diversa qualità
e quantità dell'obbligo informativo/formativo.
La misura di sicurezza soggettiva, diversamente dal passato,
si basa oggi sul binomio informazione e formazione, adempimenti
sequenziali nel percorso comune di qualificazione del lavoro
e del lavoratore in rapporto alla sicurezza ed alla salute.
L'intervento sul soggetto della prestazione lavorativa, voluto
dal D.Lgs 626/94, si muove sia a livello divulgativo (obbligo
di informazione), che a livello educativo (obbligo di formazione).
L'OBBLIGO
DI INFORMAZIONE.
Nell'alveo concettuale dell'obbligo di informazione contrattuale
di cui al D.Lgs. 26.05.97 n.152, l'oggetto dell'informazione
in materia di sicurezza è la tutela del lavoratore che
deve essere messo al corrente su tutte le situazioni rientranti
nell'ambito dell'art. 21.
L'informazione, infatti, risponde all'esigenza di far conoscere
in modo diretto ed operativo, come atto immediato e sufficiente
in se e per se, al lavoratore, tutti quegli elementi che, quotidianamente,
possono servirgli per garantire, a lui ed all'azienda un lavoro
più sicuro. Prova ne sia il tenore dell'art. 21 il quale
indica una serie di notizie attinenti all'organizzazione aziendale
del sistema sicurezza gravitanti intorno all'obbligo dell'analisi
e della valutazione del rischio ed a quello delle nomine del
servizio di prevenzione e protezione.
Infatti l'informazione, che deve sempre essere adeguata alla
concreta situazione, nelle sue linee generali, verterà,
ex art. 21, su: a) i rischi per la sicurezza e la salute connessi
all'attività dell'impresa in generale; b) le misure e
le attività di protezione e prevenzione adottate; c)
i rischi specifici cui è esposto il lavoratore in relazione
all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni
aziendali in materia; d) i pericoli connessi all'uso delle sostanze
e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati
di sicurezza previsti dalla normativa vigente e dalle norme
di buona tecnica; e) le procedure che riguardano il pronto soccorso,
la lotta antincendio, l'evacuazione dei lavoratori; f) il responsabile
del servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente;
g) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure
di cui agli articoli 12 e 15.
"Il contenuto dell'azione informativa delineato dall'art.
21 può essere distinto in due aree: informazione sui
rischi professionali generici, specifici e da manipolazione
presenti nell'ambiente di lavoro (lett. a), b), c), d)) e informazione
sul contenuto del c.d. "piano di emergenza in materia di
prevenzione incendi, pronto soccorso, evacuazione e gestione
delle altre situazioni di emergenza (lett. e), f), g))"
(23).
Gli obblighi datoriali d'informazione di cui sopra (sanzionati
specificamente al preposto dall'art. 90), "risultano poi
specificati relativamente alle "condizioni di impiego delle
attrezzature anche sulla base delle conclusioni eventualmente
tratte dalle esperienze acquisite nella fase di utilizzazione
del lavoro" e "alle situazioni anormali imprevedibili"
(art. 37); alla movimentazione manuale dei carichi...(art. 49)...;
l'uso dei videoterminali, dovendo il datore di lavoro fornire
(art. 56) informazioni in particolare per quanto riguarda: a)
le misure applicabili al posto di lavoro, in base all'analisi
dello stesso di cui all'art. 52 (rischi per la vista e per gli
occhi; problemi legati alla postura e all'affaticamento fisico
o mentale, condizioni ergonomiche e di igiene ambientale); b)
le modalità di svolgimento dell'attività; c) la
protezione degli occhi e della vista; la protezione da agenti
cancerogeni (presenza agenti cangerogeni nei cicli lavorativi,
loro dislocazione, rischi per la salute connessi al loro impiego,
ivi compresi i rischi supplementari dovuti al fumare; precauzioni
da prendere per evitare l'esposizione; misure igieniche da osservare;
necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro
e protettivi e dispositivi industriali di protezione e il loro
corretto impiego; il modo di prevenire il verificarsi di incidenti
e le misure da adottarsi per ridurre al minimo le conseguenze
(art. 66); e così, per la protezione da agenti biologici
(art. 85)" (24).
Tale specificazione dell'obbligo generale di informazione di
cui all'art. 21, sempre "doppiata", come meglio vedremo
in seguito, dal correlato obbligo di formazione, da un lato
sottolinea la successione logica dei diritti di informazione
- formazione - consultazione quali fasi distinte del medesimo
processo di partecipazione equilibrata del lavoratore al processo
produttivo, dall'altro rimarca la finalità divulgativa
astratta dell'informazione, sia essa generale o speciale, laddove
la formazione invece, ne esprime la trasposizione concreta ed
operativa dovendo, pur vertendo astrattamente sugli stessi argomenti,
essere collegata alla specifica mansione ed allo specifico posto
di lavoro, ovvero alla specifica situazione lavorativa di ogni
singolo lavoratore.
Proprio in quest'ottica interpretativa, l'obbligo informativo
non potrà essere adeguatamente adempiuto senza un continuo
aggiornamento degli interventi in relazione al mutare tanto
delle tematiche organizzative procedurali e produttive che dell'evoluzione
tecnica, scientifica ed operativa dei rischi lavorativi speciali.
"Non è perciò ammissibile un'informazione
svolta in via preliminare e una volta per tutte, ma il rispetto
dell'obbligo di legge impone che debba essere strutturato ed
attivato un apposito canale avente come precipuo scopo quello
di assicurare un flusso continuo di informazioni per tenere
costantemente aggiornati gli interessati sui nuovi rischi cui
possono andare incontro, sulle modifiche di intensità
di quelli già conosciuti e sui rimedi adottati per eliminarli
o ridurli" (25).
L'OBBLIGO
DI FORMAZIONE.
Se attraverso l'informazione si possono dare delle indicazioni
circa determinate norme, procedure, funzionamento di dispositivi
di sicurezza, uso di materiali inerenti il contesto lavorativo,
per determinare il cambiamento di organizzazione e gestione
del processo lavorativo prospettato dal D.Lgs. 626/94, "è
necessario avviare un processo di comunicazione come conoscenza
e condivisione degli obiettivi e come momento di riflessione
per meglio comprendere i diversi linguaggi, le differenti procedure
e strategie operative. L'essere in grado di fare ciò
è consentito dal processo formativo. È solo attraverso
la formazione che si può concretamente realizzare quel
cambiamento nella mentalità dei lavoratori che auspica
la normativa" (26).
La formazione si pone, infatti, come esigenza di interiorizzazione
di concetti e procedimenti che devono diventare una costante
nell'approccio e nell'attività lavorativa del soggetto,
poiché il bisogno formativo si qualifica essenzialmente
come un impulso o una spinta all'azione per la realizzazione
di un obiettivo utile per chi agisce, consistente nel superamento
della mancanza di determinati elementi nell'ambiente in cui
si agisce.
In questo senso la formazione può essere intesa come
l'insieme di tutte le misure che forniscono le attitudini e
le conoscenze necessarie allo svolgimento di un'attività
professionale qualificata ed alla realizzazione dell'esperienza
professionale richiesta nel quadro degli orientamenti stabiliti
dalla legge.
L'oggetto dell'obbligo di formazione è, infatti, la tutela
dell'interesse del lavoratore ad entrare in possesso di un bagaglio
di conoscenze tecniche e culturali "sufficiente ed adeguato
in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento
al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni".
In sintesi potremo parlare di un "modus laborandi"
che delinei un nuovo quadro di prevenzione e sicurezza, non
più imposto (raramente) dal vertice, ma soggettivamente
voluto dal lavoratore in termini di responsabilità e,
soprattutto, di autotutela.
L'obbligo di formazione all'atto dell'assunzione, del trasferimento
o del cambiamento di mansioni, dell'introduzione di nuove attrezzature
di lavoro, nuove tecnologie, nuove sostanze o nuovi preparati
pericolosi, la necessità di periodiche ripetizioni della
stessa in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza
di nuovi rischi, sottolinea la funzione culturale e professionale,
nonché il fondamento psicologico della formazione per
il lavoratore e ciò proprio nell'alveo del generale riferimento
al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni di cui all'art.
22, comma 1.
L'obbligo di formazione si specifica innanzitutto ex art. 22,
commi 4 e 5, secondo i quali particolare attenzione deve essere
usata per il processo formativo del Rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza, che ha diritto ad una formazione particolare
di cui parleremo più diffusamente in seguito, nonchè
dei lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione
incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori in
caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di pronto
soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza, anch'essi
titolari del diritto ad una specifica ed adeguata formazione
che sarà oggetto di apposito approfondimento. Anche lo
stesso imprenditore, purtroppo soltanto qualora scelga di svolgere
direttamente i compiti propri del servizio prevenzione e protezione
dai rischi, dovrà, ex art. 10, comma 2, D.Lgs. 62694,
adegatamente acculturarsi nella materia prevenzionistica frequentando
apposito corso di formazione.
L'obbligo di formazione si specifica, invece, a livello tecnico
"in ragione delle materie oggetto di specifico obbligo
di informazione sopra ricordate: uso delle attrezzature di lavoro
(art. 38) uso di dispositivi di protezione individuale (art.
43); uso dei videoterminali (art. 56); protezione da agenti
cangerogeni (art. 66); protezione da agenti biologici (art.
85)" (27).
L'ampio spettro dell'obbligo informativo/formativo previsto
dal D.Lgs. 626/94 intende determinare, in primo luogo, comportamenti
lavorativi soggettivamente sicuri, di modo che "non più
la macchina, bensì il lavoratore formato, addestrato
e protetto sia posto al centro del micro organismo aziendale,
con un ruolo attivo nel sistema della sicurezza" (28).
Dalle disposizioni normative dettate in tema di informazione
e formazione nei vari titoli del D.Lgs 626/94, risulta, quindi,
confermato il diritto del lavoratore ad una partecipazione equilibrata
al processo produttivo attuata attraverso i diritti progressivi
dell'informazione, della formazione, distinguendo fra il primo
concetto, inteso quale notizia eminentemente pratica consistente
nel portare a conoscenza del lavoratore la realtà organizzativa,
procedurale e tecnica dell'azienda dal punto di vista della
sicurezza ed il secondo, inteso, invece, quale processo conoscitivo
di interiorizzazione della cultura della sicurezza tale da determinare
un vero e proprio "stile di vita" del lavoratore e
permettergli lo svolgimento delle specifiche mansioni lavorative
in modo più sicuro.
In base all'art. 37, si evidenzia, anche, la parziale coincidenza
dei concetti di formazione ed istruzione, dovendo intendere
quest'ultima come una specifica e comprensibile indicazione
circa le modalità di realizzazione delle varie mansioni
concretamente affidate al lavoratore rispetto ad ogni attrezzatura
di lavoro messa a sua disposizione ed avente rilevanza in materia
di sicurezza protezione e prevenzione.
In questo senso, ulteriore, rispetto a questi concetti, parrebbe
anche quello di addestramento, che si porrebbe come procedimento
di formazione finalizzata allo svolgimento corretto e quindi
anche maggiormente sicuro, di procedure di lavoro collegate,
principalmente, ma non esclusivamente, all'uso di macchine,
attrezzature e strumenti tecnici particolari.
L'art. 38, infatti, affermando che i lavoratori incaricati di
usare le attrezzature di lavoro devono ricevere una adeguata
formazione sull'uso delle stesse ed aggiungendo che i lavoratori
incaricati dell'uso di attrezzature che richiedono conoscenze
e responsabilità particolari devono ricevere un addestramento
adeguato, sottolinea l'inscindibile nesso esistente fra sicurezza
ed uso idoneo degli strumenti di lavoro, anche in relazione
all'attività lavorativa degli altri e non solo a quella
di se stessi.
È da ritenere che addestramento e formazione non restino,
comunque, due concetti distinti, in quanto l'addestramento è
rivolto specificamente all'uso di determinati strumenti o procedure,
mentre la formazione, pur essendo anche rivolta alla trasmissione
di conoscenze e di concetti generali, deve, comunque, essere
riferita allo specifico posto di lavoro ed alla specifica mansione
del lavoratore. È del tutto evidente, infatti, che la
realizzazione del sistema sicurezza non potrà avvenire
se non attraverso l'integrazione e la consequenzialità
di tutti i tipi di interventi didattici, siano essi informativi,
formativi o addestrativi.
Un processo che, a causa del tempo, delle urgenze lavorative,
dell'onerosità degli investimenti economici, si arrestasse
alla fase informativa o si limitasse esclusivamente ad istruzioni
o addestramenti tecnici magari relativi al corretto uso di attrezzature
e strumenti in materia di protezione e prevenzione come, ad
esempio, l'uso di estintori, impianti antincendio, mezzi personali
di protezione, prescindendo da un intervento globale di comunicazione
formativa, in senso lato esprimerebbe pur sempre un contributo
alla sicurezza dell'attività lavorativa, ma in senso
stretto non la garantirebbe, perché non si tradurrebbe
in una presa di coscienza globale da parte del lavoratore della
complessità del processo produttivo sicuro. In questo
senso, infatti, "rispettare la complessità del processo
formativo, è rispettare lo spirito del D.Lgs. n. 626/94,
nel suo essere innovativo, per il tentativo di considerare la
sicurezza non solo come un'insieme di norme che inducono ad
una protezione coercitiva ma come valore fondante del benessere
lavorativo" (29).
In conclusione è possibile affermare che il legislatore,
statuendo un obbligo di informazione e, soprattutto, di formazione
(nel cui concetto può farsi rientrare anche l'addestramento
come formazione pratica all'uso di macchine attrezzature e strumenti),
in capo al datore di lavoro, penalmente sanzionato con l'arresto
da tre a sei mesi o ammenda da tre a otto milioni in caso di
violazione, ha voluto sottolineare la centrale importanza della
effettiva preparazione professionale del personale sull'organizzazione,
sulle procedure e sui sistemi di sicurezza dell'intero processo
produttivo. In quest'ottica, pertanto, la sicurezza sul posto
di lavoro può essere sicuramente posta come una questione
di formazione.
È, pertanto, compito imprescindibile del datore di lavoro
quello di assicurare la collettività che ciascun lavoratore
riceva una adeguata informazione e formazione in materia di
sicurezza e di salute, con particolare riferimento allo specifico
rischio del posto di lavoro discendente dalle mansioni effettivamente
espletate.
Note
(1) Di Lecce, Aspetti innovativi e riflessi sulla organizzazione
del lavoro della normativa prevenzionale, AA.VV., Sicurezza
del lavoro e trasformazioni organizzative, a cura di M. Frey,
Milano, 1996, p. 81.
(2) Galantino, Il contenuto dell'obbligo di sicurezza, in AA.VV.,
La sicurezza del lavoro, a cura di Galantino, Milano, 1996,
p. 34.
(3) Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione
e formazione, in Ambiente, Salute e Sicurezza, a cura di Montuschi,
Torino, 1997, p. 157.
(4) Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione
e formazione, op. cit., p. 157.
(5) Per un maggiore approfondimento vedi, fra gli altri, Bacchini,
La posizione di garanzia del lavoratore, ISL, n. 6, 1999.
(6) Del Punta, Diritti e obblighi del lavoratore: informazione
e formazione, op. cit., p. 158.
(7) Montuschi, I principi generali del D.Lgs. 626 del 1994 (e
le successive modifiche), in in Ambiente, Salute e Sicurezza,
a cura di Montuschi, Torino, 1997, p. 54.
(8) Galantino, Diritto del Lavoro, Torino, 1999.
(9) Focareta, La sicurezza del lavoro dopo il decreto legislativo
n. 626 del 1994, in Dir. rel. ind., 1995, 5.
(10) Focareta, La sicurezza del lavoro dopo il decreto legislativo
n. 626 del 1994, op. cit., p 9.
(11) Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario alla sicurezza
del lavoro, AA.VV., Milano, 1996, p. 332.
(12) Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario alla sicurezza
del lavoro, op. cit., p. 333.
(13) In questo senso: Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario
alla sicurezza del lavoro, AA.VV., Milano, 1996, p. 332.
(14) Vedi, ad esempio, l'accordo Confapi- CGIL-CISL-UIL del
13 maggio 1993.
(15) D.M. 08.04.98, art. 2:
1. Le attività formative per apprendisti sono strutturate
in forma modulare. I contenuti della formazione esterna all'azienda,
tra loro connessi e complementari e finalizzati alla comprensione
dei processi lavorativi, sono articolati come segue:
a) contenuti a carattere trasversale, riguardanti il recupero
eventuale di conoscenze linguistico-matematiche, i comportamenti
relazionali, le conoscenze organizzative e gestionali e le conoscenze
economiche (di sistema, di settore ed aziendali); in questo
contesto una parte dell'attività formativa dovrà
essere riservata anche alla disciplina del rapporto di lavoro,
all'organizzazione del lavoro, alle misure collettive di prevenzione
ed ai modelli operativi per la tutela della salute e della sicurezza
sul luogo di lavoro;
b) contenuti a carattere professionalizzante di tipo tecnico-
scientifico ed operativo differenziati in funzione delle singole
figure professionali; in questo ambito saranno sviluppati anche
i temi della sicurezza sul lavoro e dei mezzi di protezione
individuali, propri della figura professionale in esame.
2. Ai contenuti di cui al punto a) non potrà essere destinato
un numero di ore inferiore al trentacinque per cento del monte
di ore destinato alla formazione esterna. La formazione sui
contenuti di carattere scientifico, economico, e trasversale
dovra` essere svolta nelle strutture regionali di formazione
professionale ed anche nelle strutture scolastiche, accreditate
ai sensi dell'art. 17 comma 1, lettera c), della legge 24 giugno
1997, n. 196. Specificazione dei contenuti, durata dei moduli
e modalità di svolgimento possono essere definiti dalla
contrattazione collettiva.
3. La formazione esterna all'azienda, purchè debitamente
certificata ai sensi del successivo art. 5, ha valore di credito
formativo nell'ambito del sistema formativo integrato, anche
in vista di eventuali iniziative formative di completamento
dell'obbligo, ed è evidenziata nel curriculum del lavoratore.
Qualora vi sia interruzione del rapporto di apprendistato prima
della scadenza prevista, le conoscenze acquisite potranno essere
certificate come crediti formativi.
(16) Salerno, La nuova organizzazione della sicurezza sui luoghi
di lavoro, in Prevenzione e sicurezza sul lavoro, a cura di
Salerno Bernardini, Padova, 1996, p. 87.
(17) Culotta, Di Lecce, Costagliola, Prevenzione e sicurezza
nei luoghi di lavoro, Milano, 1998, p. 165.
(18) Bettini, Formazione e sicurezza, in Commentario alla sicurezza
del lavoro, op.cit., p. 327.
(19) Galantino, Il contenuto dell'obbligo di sicurezza, in AA.
VV., La sicurezza del lavoro, a cura di Galantino, Milano, 1996,
p. 39.
(20) In questo senso: Culotta, Di Lecce, Costagliola, Prevenzione
e sicurezza nei luoghi di lavoro, op. cit., p. 166, 171.
(21) Nicolini, Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1996,
p. 387.
(22) In considerazione di quanto più sopra esposto circa
la centralità dell'obbligo formativo quale misura generale
di sicurezza sul lavoro, sulla base di una prima analisi della
circolare n. 30 del 5 marzo 1998, sembrerebbe di poter affermare
che, secondo l'interpretazione del Ministero del lavoro, l'obbligo
di formazione, posto ex art. 22 D.Lgs. 626/94 in capo al datore
di lavoro ed al dirigente, veda notevolmente ridotta la sua
sfera di applicazione e, conseguentemente, la sua vincolatività.
Infatti, mentre in virtù dell'articolo in parola il datore
di lavoro è obbligato a fare in modo "che ciascun
lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui all'art. 1, comma
3, riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia
di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio
posto di lavoro e alle proprie mansioni" ed a garantire
che la formazione avvenga in occasione: "a) dell'assunzione;
b) del trasferimento o cambiamento di mansioni; c) dell'introduzione
di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove
sostanze e preparati pericolosi" e, quindi, in circostanze
specifiche e qualificanti della vita lavorativa del tutto innovative
rispetto alla disciplina previgente, alla luce della circolare
più sopra menzionata, si afferma che queste determinate
specifiche occasioni non innoverebbero "le disposizioni
già contenute negli articoli 4 dei regolamenti generali
di prevenzione infortuni e di igiene del lavoro".
Secondo il Ministero, infatti, l'obbligo di formazione previsto
in detti regolamenti generali, presuppone che i lavoratori occupati
prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 626/94, fossero già
stati resi edotti sui rischi lavorativi prima di essere adibiti
alle mansioni oggetto del contratto di lavoro subordinato. Pertanto,
nei confronti di questi ultimi, a suo dire, vigerebbe, esclusivamente,
l'obbligo, contenuto nell'art. 4 sia del D.P.R. 547/55 che del
D.P.R. 303/56, "di rendere edotti i lavoratori dei rischi
specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme
essenziali di prevenzione" ed "i modi di prevenire
i danni derivanti dai rischi predetti".
L'affermazione, basata sull'implicita equivalenza dei due obblighi,
ha, pertanto, quale logica conseguenza, quella di ritenere inutile
la ripetizione di un'attività formativa che, obbligatoria
dal 1955, avrebbe già dovuto essere stata erogata e,
quindi, "per le attività già in corso alla
data di entrata in vigore del D.Lgs. 626/94", non scatterebbe
"automaticamente ed indiscriminatamente l'obbligo del datore
di lavoro di procedere alla formazione di tutti i lavoratori
già assunti a tale data, purché i datori di lavoro
abbiano in precedenza dato attuazione all'obbligo di cui agli
articoli 4 dei regolamenti generali di prevenzione infortuni
e igiene del lavoro".
(23) Soprani, ISL risponde, in ISL n. 1, 1999, p. 53.
(24) Nicolini, Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1996,
p. 387-388.
(25) Culotta, DI Lecce, Costagliola, Prevenzione e sicurezza
nei luoghi di lavoro, op. cit., p. 166.
(26) Selis, Formare alla sicurezza: una riflessione sulla complessità
del processo, in ISL, n. 11, 1998, p. 576.
(27) Nicolini, Manuale di diritto del lavoro, op. cit., p. 389.
(28) Lepore, La rivoluzione copernicana della sicurezza del
lavoro, in Lav. e inf., 1994, p. 22.
(29) Selis, Formare alla sicurezza: una riflessione sulla complessità
del processo, op. cit., p. 578.
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