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L. 46/90 e regolamenti comunali

Antonio Oddo
Paola Nocerino
Studio Legale Oddo - Milano

I rapporto tra regolamenti comunali e leggi dello Stato in materia di impianti a gas continua ancora oggi ad essere uno dei più sofferti e conflittuali che esistano nel nostro ordinamento giuridico e continua a dare vita ad una fitta produzione di sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali che dichiarano la illegittimità delle disposizioni dei regolamenti degli enti locali in contrasto con la legislazione nazionale. In realtà un problema simile non avrebbe dovuto porsi, dal momento che esiste una disposizione di legge che stabilisce il coordinamento tra le varie fonti normative. Si tratta dell'articolo 17 della Legge 46/90, in base al quale "I Comuni e le Regioni sono tenuti ad adeguare i propri regolamenti, qualora siano in contrasto con la presente legge". Lo stesso titolo della rubrica dell'articolo - "Abrogazione ed adeguamento dei regolamenti comunali e regionali" - elimina alla radice qualsiasi ombra di dubbio. Nonostante una così chiara disposizione di coordinamento persistono tuttora in Italia una miriade di regolamenti comunali assolutamente "illegittimi" che contengono prescrizioni in violazione dell'art. 17 della L. 46/90. Ne deriva la illegittimità e la conseguente disapplicabilità dell'ordinanza del Sindaco o, anche, di qualsiasi altro provvedimento che sia emanato dagli uffici dell'amministrazione locale e con cui si pretenda di imporre una prescrizione tecnica basandosi sul regolamento comunale anziché sulla diversa - e confliggente - disposizione di legge. Pertanto, in tutte le ipotesi di eventuale contrasto tra le disposizioni della L. 46/90 e quelle di un regolamento comunale quest'ultimo - a partire dal 13 marzo 1990 (data di entrata in vigore della legge) - avrebbe dovuto essere modificato in conformità a quanto previsto dalla legge statale, indipendentemente dal contenuto normativo della disposizione (scarichi a tetto od a parete, limiti, distanze, ecc..). Così, ad esempio, tutte le volte che - con provvedimento basato sulle disposizioni del regolamento comunale - si è preteso di contestare a vari effetti - la regolarità degli scarichi a parete per gli apparecchi di riscaldamento (peraltro marcati CE) il Tribunale Amministrativo Regionale (v. Sentenza del TAR per l'Emilia Romagna 126/97 e 126/98, nonché Ordinanza del TAR per la Lombardia n. 947/98) si è sempre pronunciato per la illegittimità e, quindi, l'annullamento dei provvedimenti amministrativi che sono stati sempre provvisoriamente sospesi in attesa del giudizio definitivo di "condanna" dei provvedimenti medesimi.
Può risultare utile, a questo riguardo, riportare qui di seguito un brano particolarmente significativo della motivazione di annullamento contenuta nella Sentenza n. 126/97 del TAR Emilia Romagna, il quale ha stabilito che:
"Il Regolamento Comunale di Igiene del Comune di …, datato 13 luglio 1990, non risulta essere stato aggiornato ed adeguato alle vigenti disposizioni di legge sopraordinate, tenuto conto che l'art. 15 del medesimo regolamento impone l'obbligo di scarico in canna fumaria, oltre il colmo del tetto, per tutti gli apparecchi fonti di emissione, senza alcuna distinzione che recepisca la diversa disciplina tecnica valevole per gli apparecchi di tipo …, per i quali le disposizioni prevalenti, citate in precedenza, ne escludono l'obbligo.
Il mancato adeguamento del regolamento comunale va considerato violazione palese dell'obbligo imposto dall'art. 17 della L. 46/90, intitolato "Abrogazione e adeguamento dei regolamenti comunali e regionali".
"I Comuni e le Regioni sono tenuti ad adeguare i propri regolamenti, qualora siano in contrasto con la presente legge".
Questo brano di una sentenza - che, peraltro, contiene sostanzialmente le motivazioni presenti in altre Sentenze ed Ordinanze dei TAR di altre regioni d'Italia - e che riguarda l'annullamento di provvedimenti amministrativi basati su regolamenti comunali - risulta essere non soltanto significativo ma anche "esemplare" per le seguenti ragioni:
- sono moltissimi i regolamenti comunali, non di rado "ispirati" ad un "modello" regionale, ancora non adeguati alle prescrizioni della L. 46/90, pertanto sono moltissimi i regolamenti comunali sulla base dei quali vengono emanati ogni giorno provvedimenti amministrativi annullabili dal TAR.
- Di questa situazione patologica non sembrano tuttora prendere atto né le Amministrazioni comunali né quelle regionali che presumibilmente, dunque, adottano ed adotteranno (salvo ravvedimenti dell'ultima ora) "modelli "di regolamenti regionali e regolamenti comunali destinati a costituire la "fonte" di provvedimenti annullabili.
- Fin quando non ci si incamminerà sulla strada che porta al rispetto dell'art. 17 della L. 46/90 si commetteranno molteplici violazioni di legge.
Infatti i riferimenti legislativi e di normativa tecnica che sono propri della L. 46/90 risultano essere comuni alla L. 1083/71 in quanto ispirati al comun denominatore della regola d'arte e del rinvio alle norme UNI-CIG, quale criterio di presunzione legale del rispetto della regola d'arte stessa.
Da qui pertanto la duplice violazione - della L. 46/90 e della L. 1083/71 - ogni volta che una disposizione del regolamento comunale preveda una prescrizione (divieti, limitazioni o anche, in ipotesi, autorizzazioni) in contrasto con le prescrizioni delle norme UNI-CIG.
Queste ultime, infatti, non sono giuridicamente obbligatorie ma restano pur sempre strumenti legali di presunzione del rispetto della regola d'arte in materia di sicurezza. Né può, in alcun modo, un tale principio di legge essere "intaccato" - con abrogazione o deroga - da una "fonte" di rango inferiore qual è (con tutto il rispetto per le prerogative municipali) il regolamento comunale.
È opportuno a questo riguardo rimarcare come né regolamenti e neanche leggi regionali (neppure nei casi di Regioni a statuto speciale) potrebbero in alcun modo derogare a leggi (speciali) dello Stato quali sono la L. 46/90 e la L. 1083/71 perché la materia della "sicurezza" delle persone - in rapporto ad impianti ed apparecchiature a gas - non costituisce competenza per materia né delle Regioni a statuto ordinario né di quelle a statuto speciale bensì, esclusivamente nell'ambito di rispettivi ruoli e competenze, dello Stato nazionale e dell'Unione Europea.
Non si tratta, in questo caso, di ledere "autonomie" locali bensì di restituire alla materia l'ordine di cui necessita nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e nell'interesse dalla certezza operativa e della sicurezza di tutti. Gli impianti a gas, infatti, rappresentano un settore piuttosto delicato, nel quale affinché il benessere e la sicurezza delle persone (che spesso si traduce nell'utilizzo di impianti a tecnologia avanzata) non si trasformi in strumento di pericolo è indispensabile il rispetto di precise regole di comportamento in sede di progettazione, esecuzione, installazione e manutenzione degli impianti stessi. Per questo motivo vale forse la pena di individuare schematicamente la legislazione di riferimento. Oltre al citato e fondamentale articolo 17 della L. 46/90 occorre considerare, in particolare:
a) l'art. 3 della L. 1083/71 stabilisce che "… le installazioni … realizzate secondo le norme specifiche per la sicurezza pubblicate dall'Ente nazionale di unificazione (UNI) in tabelle con la denominazione UNI-CIG, rispettando tali norme (UNI-CIG) devono considerarsi effettuate secondo le regole della buona tecnica per la sicurezza";
b) l'art. 7 della L. 46/90 prescrive l'obbligo di realizzare "gli impianti a regola d'arte utilizzando allo scopo materiali parimenti costruiti a regola d'arte. I materiali ed i componenti realizzati secondo le norme tecniche di sicurezza dell'Ente italiano di unificazione (UNI) e del Comitato elettrotecnico italiano (CEI), nonché nel rispetto di quanto prescritto dalla legislazione tecnica vigente in materia si considerano costruiti a regola d'arte";
c) l'art. 9 della L. 46/90 stabilisce che "al termine dei lavori l'impresa installatrice è tenuta a rilasciare al committente la dichiarazione di conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di cui all'art. 7";
d) le norme UNI-CIG 7129/92, approvate con decreto del Ministero dell'Industria, Commercio ed Artigianato del 21 aprile 1993, individuano le specifiche regole tecniche applicabili in materia di progettazione, installazione e manutenzione di "impianti a gas per uso domestico alimentati da rete di distribuzione". La sicurezza degli impianti tecnici non rientra fra le competenze istituzionalmente attribuite alle Regioni, infatti è allo Stato che tale competenza è attribuita in via generale ed è stata da quest'ultimo esercitata con la emanazione della L. 46/90, con la conseguenza che la legislazione regionale deve in tutti i casi di contrasto con la legge statale cedere il passo a quest'ultima;
e) l'art. 5, comma 9, del D.P.R. 412/93, in attuazione della L. 10/91, stabilisce che "… gli apparecchi non considerati impianti termici (stufe, caminetti, radiatori individuali, scaldacqua unifamiliari)…" sono esclusi dall'obbligo di scaricare i prodotti della combustione in canna fumaria;
f) l'art. 4 della direttiva 90/396/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas, stabilisce che "gli Stati membri non possono vietare, limitare o ostacolare l'immissione sul mercato e la messa in servizio degli apparecchi che soddisfano i requisiti essenziali enunciati nella presente direttiva";
g) in base all'art. 5 della Direttiva 90/396/CEE si presumono conformi ai requisiti essenziali indicati nell'allegato I della direttiva, che costituiscono condizione necessaria e sufficiente per la circolazione degli apparecchi e dei dispositivi a gas nel rispetto delle esigenze di sicurezza e di salute (anche con espresso riferimento alle modalità di evacuazione dei prodotti della combustione), gli apparecchi e i dispositivi conformi alle norme nazionali che li riguardano e che recepiscono norme armonizzate o alle norme nazionali che pure li riguardano, qualora non esistano norme armonizzate;
h) il punto 3.4.4. dei requisiti essenziali, allegato I alla Direttiva 90/396/CEE, stabilisce che "gli apparecchi di riscaldamento indipendenti per uso domestico e gli scaldacqua istantanei, non collegati ad un condotto di evacuazione dei prodotti di combustione, non devono provocare una concentrazione di monossido di carbonio che possa rappresentare un rischio di natura tale da intaccare la salute delle persone esposte in funzione del tempo di esposizione previsto da tali persone";
i) il D.P.R. 661/96, che recepisce la direttiva 90/396/CEE attribuisce esclusivamente al Ministero dell'Industria la competenza ad adottare "…tutte le misure utili per il ritiro di tali prodotti (apparecchi e dispositivi a gas) o per proibirne o limitarne l'immissione sul mercato…", qualora constati che "…apparecchi o dispositivi, anche se muniti rispettivamente della marcatura CE o dell'attestato di conformità ed usati normalmente, possono compromettere la sicurezza delle persone, degli animali domestici e dei beni…".

Dal quadro legislativo sopra delineato si ricava che la "prassi applicativa" dei regolamenti comunali è offensiva anche in direzione della tanto declamata (ma scarsamente compresa ed applicata) "disciplina europea".
Gran parte dei provvedimenti amministrativi - (ordinanze del Sindaco e di altri soggetti che si sono basati, nell'adozione dei provvedimenti" stessi, sui regolamenti comunali confliggenti con la L. 46/90 e la L. 1083/71) - hanno riguardato apparecchiature a gas "marcate CE" in quanto conformi alle direttive 90/396/CEE e 93/68/CEE, nonché al relativo decreto italiano di attuazione (D.P.R. 661/96). Ne è derivata, anche sotto questo profilo, una doppia forma di illegittimità, amministrativa e comunitaria, per tutti i provvedimenti amministrativi miranti - direttamente o indirettamente - ad impedire la effettiva utilizzazione e "messa in servizio" di apparecchiature a gas liberamente prodotte e commercializzate nel Mercato Unico europeo in quanto "sicure". Né, d'altra parte, una tale "sicurezza" deriva da un qualche "regalo", "sconto" agevolazione o facilitazione di qualsiasi genere. Al contrario la marcatura CE è indicativa della conformità a requisiti essenziali di sicurezza che sono previsti in modo assai rigoroso dalle specifiche direttive comunitarie le quali prevedono, altresì, rigorose procedure di valutazione di conformità per controllare l'effettiva rispondenza delle apparecchiature ai requisiti di sicurezza inderogabilmente prestabiliti. Il settore degli apparecchi a gas, infatti, è stato disciplinato, a livello europeo, in modo particolarmente severo in quanto è stato reso obbligatorio - prima della immissione in commercio - un "esame CE di tipo" ovvero una certificazione di un istituto indipendente preposto alla specifica funzione e senza il cui preventivo intervento il produttore non può procedere alla redazione degli atti (dichiarazione di conformità, fascicolo tecnico, marcatura CE) in cui si articola la procedura di valutazione di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza.
Con una ordinanza il TAR per la Lombardia (Sez. di Brescia, ordinanza 947/98) ha "sospeso" un provvedimento amministrativo con il quale si intimava la "diffida a dotare i radiatori a gas di canne fumarie sfocianti oltre il tetto". Ancora una volta, infatti, con tale Ordinanza si pretendeva di far prevalere sulle disposizioni di legge (L. 46/90 e D.P.R. 661/96, in particolare) una diversa e contrastante disposizione del regolamento comunale peraltro modellato sul "regolamento regionale tipo" della Regione Lombardia.
È particolarmente significativo come, in quest'ultimo caso, l'ordinanza del TAR, pur nell'ambito normale di una succinta motivazione, abbia fatto riferimento agli "indirizzi comunitari" perché l'eventuale applicazione della norma regolamentare comunale avrebbe comportato la violazione, al tempo stesso, della legge "nazionale" (L. 46/90) e della legislazione comunitaria (Direttive 90/396/CEE e 93/68/CEE ed anche D.P.R. 661/96). Tale duplice violazione sarebbe consistita nell'impedimento della (legittima) utilizzazione di un apparecchio progettato e realizzato secondo le più avanzate prescrizioni di sicurezza a livello internazionale ed europeo, nonché installato in conformità alle prescrizioni della L. 46/90 (e della L. 1083/71).
È incredibile come in tempi in cui (quasi) tutti - a proposito o (più spesso) a sproposito - parlano di "Europa" si cerchi ancora, a livello locale italiano, di applicare norme non "nazionali" ma addirittura, regionali o comunali.
Qualcuno potrebbe obiettare che, in realtà, il "pesce puzza dalla testa" perché anche il regolamento nazionale (D.P.R. 412/93, art. 5, comma 10 - in attuazione della L. 10/91) in materia di impianti termici si è fatto "cogliere in fallo "per violazione della legislazione comunitaria sugli apparecchi a gas, come dimostra eloquentemente la recente Sentenza della Corte di Giustizia 25 marzo 1999 nella causa C-112/97.
A tale proposito si noti che è stato recentemente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il D.P.R. 551/2000 (Decreto del Presidente della Repubblica del 21 dicembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 6 aprile 2000) che "vista la Sentenza della Corte di giustizia…" ha modificato il D.P.R. 412/93 per porre fine all'inadempimento dell'Italia agli obblighi che ad essa derivano dalla appartenenza alla Comunità europea. Il risultato è che si è introdotta nuovamente un illegittima forma di limitazione alla "messa in servizio" degli apparecchi a gas di "tipo B" - la cui immissione in commercio è in realtà del tutto lecita in base alle norme comunitarie - e che di fatto ne limiterà fortemente, se non del tutto, la diffusione nell'ambito del mercato italiano.
Ma quest'ultima considerazione non è certo una scusante per la persistente e conclamata situazione di illegittimità dei regolamenti comunali sugli impianti termici. Al contrario è un altro "segno dei tempi" con il quale si dimostra ulteriormente il carattere gravemente arretrato e confusionario di ampi e delicati settori del nostro ordinamento giuridico.
A tutto questo si aggiunga che il citato D.P.R. 551/99 si occupa anche di regolamenti comunali in materia di "scarico dei fumi", introducendo alcune significative modifiche al testo dell'art. 5, comma 9, del D.P.R. 412/93. In particolare, accanto ad una regola generale, secondo la quale lo scarico dei fumi degli edifici deve essere fatto attraverso camini, canne fumarie o, comunque attraverso sbocchi sopra il tetto dell'edificio, il D.P.R. 551/99 prevede la possibilità di derogare alla regola generale, in tutti i casi di adozione generatori di calore a bassa emissione di fumi, vale a dire generatori di calore appartenenti alla categoria meno inquinante prevista dalla norma tecnica UNI EN 297. Infine, l'art. 5, comma 9, prevede la possibilità che esistano delle regole più restrittive "nei regolamenti edilizi locali e loro successive modificazioni", ma anche questa specifica disciplina sullo scarico dei fumi naturalmente dovrà "fare i conti", in quanto "norma secondaria", con le norme primarie e legislative che sono state prima citate e che prevedono soluzioni diverse ed incompatibili.
In conclusione per i regolamenti comunali l'esigenza giuridico-istituzionale di "adeguamento normativo" si pone ormai, in considerazione del momento storico, con riferimento non solo a leggi nazionali (46/90 e 1083/71) ma anche a direttive comunitarie e decreti interni di applicazione.
Sarebbe sufficiente una onesta presa di coscienza del mutamento dei tempi ed una conseguente manifestazione di volontà politica per dare impulso, con l'apporto di autentiche competenze giuridiche e tecniche, alla rielaborazione di norme regolamentari e locali armoniosamente "posizionate" nell'attuale ordinamento giuridico nazionale e comunitario.
In caso contrario continuerà il caos normativo che avvicina gli "impianti a gas" più a criteri (ed interessi) "municipali" che a parametri nazionali ed europei.

 



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