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Vie di esodo in attività a rischio elevato

Mario Abate
Ispettore antincendi - VV.F. Milano

Come noto gli artt. 13 e 14 del DPR 547/55 in materia di vie di esodo nei luoghi di lavoro sono stati oggetto di numerose e successive modifiche. Attualmente l'argomento appare piuttosto confuso e solo il buon senso può aiutare a risolvere problematiche spesso complesse.
In proposito il Ministero dell'Interno ha recentemente fornito una importante interpretazione del disposto dell'art. 14 del D.P.R. 547 in materia di uscite dai luoghi di lavoro.
L'art. 14 del D.P.R. 547/55 stabilisce al comma 2 che: "Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavoratori deve essere apribile nel verso dell'esodo ed avere larghezza minima di m 1,20".
Il superiore Ministero ha risposto ad un quesito del Comando provinciale VV.F. di Treviso, con una indicazione peraltro di ragionevole buon senso.
Afferma infatti che è possibile individuare le lavorazioni con pericoli di esplosione o specifici rischi di incendio con quelle previste come attività a rischio elevato dal D.M. 10.03.98, riportante "Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza nei luoghi di lavoro".
In realtà appare estremamente difficile definire quali debbano essere esattamente le attività per le quali è cogente l'obbligo di avere una porta larga m 1,20 di uscita di emergenza per ogni 5 lavoratori, mancando dei riferimenti o delle indicazioni precise nel D.P.R. 547/55. Anche perché tale criterio potrebbe portare in alcuni casi ad un sovradimensionamento ingiustificato delle vie di esodo.
L'opinione di chi scrive è che, sia pure limitatamente ad alcuni aspetti della sicurezza, il D.P.R. 547/55 sia tecnicamente superato.
Ad esempio (guardando al problema dal punto di vista tecnico e non giuridico) è superato il concetto che l'uscita di emergenza debba sempre e comunque aprirsi nel senso dell'esodo, se è vero quanto affermato dal D.M. 10.03.98 al punto 3.9 dove si evince che fino a 50 persone di affollamento il senso di apertura delle porte nel verso dell'esodo non è obbligatorio (se non fosse vero tale concetto tutti gli uffici con 3-5 dipendenti con porte di uscita che non si aprono nel verso dell'esodo sarebbero fuori norma).
L'art. 14 del D.P.R. 547/55 al comma 6 stabilisce che:
"Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui all'art. 13, comma 5, coincidono con le porte di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all'art. 13, comma 5" (tale caso si verifica sempre quando le attività lavorative sono contenute in un unico ambiente, come ad esempio un capannone industriale).
Il comma 5 citato afferma che le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima di m 2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.
Per normativa antincendio vigente bisogna intendere le disposizioni in materia emanate dal Ministero dell'Interno sotto forma di decreti e CIRCOLARI.
I criteri tecnici di prevenzione incendi in materia di vie di esodo sono sempre in linea di massima desumibili dall'allegato III al D.M. 10.03.98.
Per le attività con obbligo di certificato di prevenzione incendi (una attività ad alto rischio ha sempre l'obbligo del certificato) occorre riferirsi al progetto di prevenzione incendi approvato dal Comando provinciale dei vigili del fuoco.
In sede di esame progetto i vigili del fuoco, ente competente anche alla concessione delle deroghe di cui all'art. 13 del D.P.R. 547/55, potranno legittimamente stabilire e prescrivere il numero e le dimensioni delle vie di esodo, in funzione dell'affollamento, del tipo di lavorazione, del livello di rischio, ecc. in base ai criteri tecnici di prevenzione incendi recentemente esemplificati dal succitato D.M. 10.03.98.
È evidente che il progetto dovrà essere esaustivo e riportare sensi di apertura delle porte e la esatta indicazione della larghezza delle stesse.
In questo senso, le carenze riscontrate dagli organi di controllo in materia di vie di esodo assumeranno rilevanza penale solo nei seguenti casi:
1. uscite di emergenza bloccate o chiuse durante l'attività lavorativa;
2. vie di esodo ostruite o rese difficilmente agibili dal deposito di materiali lungo i percorsi durante l'attività lavorativa;
3. mancato rispetto o incompleta realizzazione del progetto di prevenzione incendi (si pensi al caso molto diffuso nella pratica del titolare dell'attività che inizia la stessa in assenza di certificato di prevenzione incendi e comunque senza avere realizzato tutte le vie di esodo previste dal progetto di prevenzione incendi approvato dal Comando)
Nel caso 1) si configura la violazione dell'art. 13 del D.P.R. 547/55.
Nel caso 2) si configura la violazione dell'art. 32 lett. a) del D.Lgs. 626/94.
Nel caso 3) si configura la violazione dell'art. 4, comma 5, lett. "q" del D.Lgs. 626/94 per la omessa adozione di misure di prevenzione incendi consistenti nelle misure di sicurezza previste dal progetto di prevenzione incendi approvate dal Comando provinciale, nello specifico le vie di esodo.

 



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