Gli
obblighi per il costruttore di attrezzature di lavoro
Antonio
Oddo
Roberto Petringa Nicolosi
Avvocati in Milano
1.
IL CASO
Premettiamo subito che nella presente esposizione verranno omessi
tutti gli elementi idonei ad identificare in qualche modo le
parti coinvolte nella vicenda processuale sulla quale si accentrerà
il contenuto di questo articolo; ciò ovviamente per l'opportuna
esigenza di riservatezza.
Il Pretore di Torino, a conclusione di una complessa ed articolata
vicenda giudiziaria ha ritenuto la penale responsabilità
di diversi soggetti, persone giuridiche, le quali avevano dato
in comodato gratuito attrezzature di lavoro prive di un dispositivo
di sicurezza e ciò in violazione dell'articolo 6 del
Decreto Legislativo 626/94 comma 2 che vieta, tra l'altro, la
concessione in uso di macchine, attrezzature di lavoro ed impianti
non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari
vigenti in materia di sicurezza.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 14 giugno 1999, ha
annullato la sentenza del Pretore, senza rinvio, perché
il fatto non sussiste.
Ecco qui di seguito alcune argomentazioni, fra le più
rilevanti, che la Corte pone a sostegno della sua decisione:
- "La violazione del menzionato articolo 6 è stata
ipotizzata, nel processo in questione, con riferimento specifico
alle prescrizioni contenute negli artt. 4 lett. c) del D.P.R.
n. 303/1956, 20 dello stesso decreto e 62, commi 1,2,3 Decreto
Legislativo 626/94, norme pacificamente rientranti tra le disposizioni
in materia di igiene del lavoro e della tutela della salute
dei lavoratori."
- "La prima impone al datore di lavoro, ai dirigenti ed
ai preposti, di fornire ai lavoratori i necessari mezzi di prevenzione;
la seconda obbliga il datore di lavoro, in alcune particolari
lavorazioni che sviluppano gas o vapori, ad adottare provvedimenti
atti ad impedire o ridurne, nei limiti del possibile, lo sviluppo
e la diffusione; l'ultima, riguardante specificamente la prevenzione
da agenti cancerogeni prescrive, sempre a carico del datore
di lavoro, una serie di cautele per fronteggiare e minimizzare
il detto pericolo, quindi per contenere le esposizioni dei lavoratori".
- "Una prima censura, mossa da molti ricorrenti alla gravata
sentenza riguarda proprio la ipotizzabilità, nel caso
di specie, della contravvenzione di cui al menzionato articolo
6, facendo esso espresso divieto di concedere in uso macchine
o impianti non rispondenti alla normativa in materia di sicurezza,
ma non anche a quella riguardante l'igiene del lavoro. La sentenza
impugnata affronta l'argomento diffusamente e, con articolata
motivazione, ritiene di superare la detta eccezione affermando
che il legislatore, che tutela anche l'ambiente esterno e la
salute della popolazione, certamente con le norme aventi ad
oggetto specificamente l'ambiente interno di lavoro ha inteso
garantire non solo l'aspetto meramente antinfortunistico, ma
anche quello della salute del lavoratore per cui la normativa
in materia di sicurezza, quale genus, comprende sia le species
delle norme antinfortunistiche sia quella delle norme in materia
di igiene del lavoro."
- "Il collegio non condivide tale impostazione. Tale convincimento
riposa, innanzitutto, sul dato testuale della norma e sulla
modifica all'originaria formulazione di essa apportata dal Decreto
Legislativo n. 242/1996, ricordando che canone ermeneutico fondamentale
nell'applicare la legge è che alla stessa non possa attribuirsi
altro senso se non quello fatto palese: a) "dal significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse"; b)
"E dall'intenzione del legislatore (articolo 12, comma
1, disposizioni sulla legge in generale), coinvolgendo necessariamente
l'operazione ermeneutica entrambi i criteri sopra indicati."
- "Sotto il primo profilo, non vi è dubbio che le
categorie della sicurezza e dell'igiene del lavoro siano ontologicamente
distinte e separate, tant'è che, soprattutto in passato,
nella fondamentale legislazione degli anni '50, le norme riguardanti
l'una e l'altra erano addirittura divise per materia facendo
parte di corpi normativi autonomi (D.P.R. n. 547/1955 "norme
della prevenzione degli infortuni sul lavoro"; D.P.R. n.
164/1956 "norme per la prevenzione degli infortuni sul
lavoro nelle costruzioni"; D.P.R. n. 303/1956 "norme
generali per l'igiene del lavoro"). Anche oggi - quantunque
le leggi in materia, come il Decreto Legislativo 277/1991 e
il Decreto Legislativo 626/1994, in una più estesa concezione
della tutela del lavoratore, contengano norme appartenenti all'una
ed all'altra categoria - è innegabile che permane la
diversa connotazione e quindi l'autonomia delle materie di sicurezza
ed igiene del lavoro, sebbene ovviamente limitrofe, tant'è
che lo stesso Pretore non può fare a meno di ritenerle
due specie distinte, se pur appartenenti allo stesso genere.
Ciò premesso appare non convincente l'argomentazione
del giudice di merito secondo il quale, rinviando alle norme
vigenti in materia di sicurezza, il legislatore abbia inteso
riferirsi anche quelle poste a tutela del lavoratore. Ma l'argomento
in tal senso che appare decisivo ed insuperabile a questo Collegio
- e che invece è stato sottovalutato dal Pretore - è
che, mentre nella originaria formulazione dell'articolo 6, comma
2, in questione il venditore, il noleggiatore, il concedente
in uso di impianti e macchinari, erano tenuti ad assicurarne
la corrispondenza "alla legislazione vigente", e cioè
a tutta la normativa disciplinante la materia, la portata di
tale obbligo è stata volutamente - col Decreto Legislativo
242/1996 - da una parte "ampliata", essendo esteso
il riferimento anche alla normativa secondaria ma, dall'altra,
"ridotta", limitandosi il campo applicativo alle sole
disposizioni (legislative e regolamentari) vigenti "in
materia di sicurezza". Merita attenzione, infatti, la circostanza
che col decreto correttivo suddetto è stato modificato
anche il primo comma dell'articolo 6 - relativo agli obblighi
dei progettisti - nel senso che le parole "legislazione
vigente" sono state sostituite con le parole "disposizioni
legislative e regolamentari vigenti"; nel comma in esame
invece, la medesima espressione ("legislazione vigente")
ha lasciato il posto ad una diversa formulazione, ben più
specifica ("disposizioni legislative e regolamentari vigenti
in materia di sicurezza"). Ritiene invece, questo Collegio,
come più specificatamente si dirà tra breve, che
la opzione legislativa sia stata chiara, cosciente e finalizzata
proprio a circoscrivere la responsabilità penale dei
venditori, noleggiatori e concedenti in uso di macchine, attrezzature
ed impianti. Peraltro la modifica in questione acquista maggior
risalto anche perché, nel medesimo contesto dell'articolo
6, i commi 1 e 3 che quindi precedono e seguono quello in esame,
pongono espressamente - a carico di progettisti, installatori
e montatori di macchine - l'obbligo di uniformarsi alla normativa
vigente in materia non solo di sicurezza, ma anche di salute
o igiene del lavoro. È altamente improbabile perciò
che, a così breve distanza, nel corpo dello stesso articolo
il legislatore abbia usato i medesimi termini attribuendo ad
essi significati diversi, e cioè specificando in due
commi che le norme di riferimento sono sia quelle in materia
di sicurezza che quelle in materia di igiene del lavoro e nel
comma centrale, indicando solo le prime, con l'intenzione però
di includere in esse anche le altre."
- "Ebbene, ritiene il Collegio che la ratio dell'art. 6
in esame sia quella di non estendere a determinati soggetti
tutti gli obblighi che gravano su altri protagonisti del rapporto
di lavoro subordinato. Invero, pur mirando pacificamente il
D.Lgs 626/1994 alla tutela e salvaguardia dell'ambiente di lavoro
sotto il duplice profilo della sicurezza e dell'igiene dei lavoratori,
non di meno il legislatore ha inteso porre, a carico dei destinatari
dei precetti, obblighi diversi, a secondo della loro partecipazione
e collocazione funzionale nell'ambito lavorativo. Pertanto ai
c.d. debitori di sicurezza (datori lavoro, dirigenti, preposti,
lavoratori, medici competenti, eccetera), sono affiancati i
debitori esterni di sicurezza (costruttori delle macchine, progettisti,
fornitori, installatori, eccetera) ma ovviamente con obblighi
di diversa, e in genere minore, portata."
- "Del resto appare anche logico, ad esempio, che dal costruttore
della macchina o dell'impianto, mentre debba esigersi l'osservanza
delle disposizioni in materia di sicurezza, perché nessuno
meglio di lui può conoscere le potenzialità offensive
del proprio prodotto e porvi rimedio, non possa pretendersi
il rispetto della normativa in materia di igiene del lavoro,
che riguarda sostanzialmente le macchine e le condizioni di
installazione e di uso della macchina stessa nell'ambito aziendale,
nelle quali non ha in genere alcun potere di ingerenza, e che
quindi deve necessariamente gravare sul datore di lavoro".
2.
QUESTIONI RELATIVE ALLA CONDIVISIBILITÀ O MENO DELLA
DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Da un punto di vista strettamente formale l'impostazione della
Corte di Cassazione ci sembra corretta laddove evidenzia che
tra la formulazione dell'articolo 6 contenuta nel D.Lgs. 626/94
e quella diversa sviluppata nel D.Lgs. 242/96, il nostro legislatore
manifesta palesemente una inversione di tendenza. Tuttavia,
aldilà dell'aspetto formale, sembra ragionevole domandarsi
se una interpretazione strettamente letterale sia compatibile
con le esigenze di tutela della sicurezza e della salute ed
integrità fisica dei lavoratori, e sia compatibile, dunque,
con criteri interpretativi di tipo finalistico e sistematico
nel quadro della legislazione vigente.
Ecco le differenze tra le due diverse formulazioni dell'articolo
6 in discussione.
Nella prima stesura i primi due commi dell'articolo 6 facevano
riferimento all'obbligo di rispettare i requisiti di sicurezza
previsti nella legislazione vigente, mentre il terzo comma menzionava
anche le norme relative all'igiene del lavoro.
Nella formulazione contenuta, invece, nel D.Lgs. 242/96 il primo
comma, quello che riguarda i progettisti, parla di "disposizioni
legislative e regolamentari vigenti"; il secondo comma
amplia il contesto normativo appena indicato con l'aggiunta
delle parole "in materia di sicurezza"; l'obbligo
dell'osservanza dei precetti normativi in materia di "igiene
del lavoro" viene previsto soltanto per gli installatori
e montatori di impianti, macchine o altri mezzi tecnici.
Senza addentrarci compiutamente nei temi interpretativi che
l'articolo 6 in questione, complessivamente considerato, mette
in evidenza, specie per quel che concerne l'obbligo dell'installatore
e del montatore di osservare le norme in materia di igiene del
lavoro, il nucleo centrale delle questioni da affrontare in
questa sede è il seguente:
- se il D.P.R. 303/56 - Disposizioni generali sull'igiene del
lavoro -, contenendo norme anche in materia di tutela della
salute dei lavoratori, possa essere considerato come contenente
(anche) norme di sicurezza;
- se queste disposizioni, anche se riguardano la sicurezza dei
lavoratori, sotto il profilo della tutela della salute, debbano
o meno porsi a carico dei soggetti esterni, in considerazione
esclusivamente del titolo della legge che le contiene e che
si limita a parlare soltanto di "igiene del lavoro";
- se le disposizioni in materia di tutela della salute e, quindi,
come si è appena detto, norme di sicurezza, debbano considerarsi
strutturalmente e ontologicamente norme di igiene del lavoro,
ovvero se tale qualifica derivi dal fatto di essere state incluse
in un contesto normativo il cui "nomen juris" è
relativo soltanto all'igiene del lavoro.
1. Il D.P.R. 303/56, anche se reca il titolo "Disposizioni
generali per l'igiene del lavoro", contiene anche norme
poste a tutela della salute dei lavoratori e cioè, a
nostro avviso, quelle contenute (v. in particolare, artt. 20
e 24) nel capo II° della legge, intitolato "Difesa
dagli agenti nocivi". Il problema che qui si apre è
se le norme in discussione debbano considerarsi norme di sicurezza
o meno. Un primo ragionamento ci porta a considerare il concetto
di "integrità fisica" contenuto nell'articolo
2087 del codice civile che così dispone. "L'imprenditore
è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure
che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza
e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
2. Se per integrità fisica si intende la difesa della
persona non soltanto da eventi traumatici, ma anche contro le
aggressioni patologiche, allora è di tutta evidenza che
anche le norme poste a tutela della salute debbano considerarsi
norme di sicurezza. Più difficile ci sembra ipotizzare
che la salute non faccia parte della sicurezza dei lavoratori.
A sostegno di questa impostazione si possono evidenziare diverse
argomentazioni:
o il D.P.R. 547/55, nel titolo VIII° - Materie e prodotti
pericolosi o nocivi - prevede disposizioni di sicurezza per
i lavoratori contro i rischi derivanti dall'uso di materie e
prodotti infiammabili o esplodenti, materie e prodotti corrosivi
o aventi temperature dannose, materie e prodotti asfissianti,
irritanti, tossici e infettanti. Orbene ci sembra evidente come
queste disposizioni sembrano avere una stretta parentela con
le norme contenute nel D.P.R. 303/56 relative alla tutela della
salute dei lavoratori;
o un'analisi, anche sommaria, perché il fatto è
assolutamente evidente, del D.P.R. 303/56 consente di concludere
che all'interno di tale decreto si trovano sia norme relative
all'igiene del lavoro, sia norme concernenti la salute, e quindi
la sicurezza, dei lavoratori.
o Chi volesse affermare che la salute dei lavoratori costituisce
un concetto collocabile e confinabile all'interno del territorio
dell'igiene del lavoro, dovrebbe evidenziare anche gli argomenti
logici su cui tale tesi si potrebbe fondare, e risolvere le
questioni di segno contrario che la stessa normativa mette in
risalto, come si dirà subito qui di seguito.
o Sul primo argomento si deve rilevare come la sentenza della
Corte di Cassazione non prenda in esame, in alcun modo, la questione;
né ci sembra di ricordare che altri si siano occupati
della questione.
o Per quanto riguarda invece le fonti normative che evidenziano
la qualità di norme di sicurezza, di disposizioni contenute
nella legislazione sull'igiene del lavoro, si osserva quanto
segue:
- il 4° comma dell'articolo 20 del D.P.R. 303/56 - Norme
generali per l'igiene del lavoro - aggiunto dall'articolo 36,
comma 7, D.Lgs. 626/94, così dispone: "Un'attrezzatura
di lavoro che comporta pericoli dovuti ad emanazione di gas,
vapori o liquidi, ovvero ad emissioni di polvere, deve essere
munita di appropriati dispositivi di ritenuta ovvero di estrazione
vicino alla fonte corrispondente a tali pericoli";
- facciamo molta fatica a considerare questa disposizione un
obbligo di igiene del lavoro, tanto più che l'applicazione
dei dispositivi di ritenuta o di estrazione non può che
riguardare, in primissima battuta, il progettista e il costruttore
delle attrezzature di lavoro di cui si discute, anche in forza
del principio ormai consolidato, quale linea di tendenza della
legislazione vigente, che vuole la sicurezza integrata nella
progettazione;
- non si vede infatti come potrebbe un datore di lavoro che
utilizza le attrezzature di cui parla l'art. 20 del D.P.R. 303/56,
senza disporre della necessaria tecnologia progettuale e costruttiva,
dotare un'attrezzatura di lavoro dei dispositivi di sicurezza
di cui si parla. Certamente l'obbligo di cui si discute grava
anche sul datore di lavoro il quale, evidentemente, prima (v.
in particolare, art. 35 del D.Lgs. 626/94) di acquistare una
qualsiasi attrezzatura deve verificare che questa sia dotata
dei necessari dispositivi di sicurezza previsti dalla legge;
- un'altra disposizione contenuta nella legislazione sull'igiene
del lavoro, che integra sicuramente un precetto di sicurezza
e quindi con un implicito rinvio al costruttore, è l'articolo
24 del D.P.R. 303/56, abrogato, praticamente, dall'art. 59,
comma 1, lettera c) del Decreto Legislativo 277/91;
- così disponeva l'art. 24 D.P.R. 303/56: "Nelle
lavorazioni che producono scuotimenti, vibrazioni e rumori dannosi
ai lavoratori, devono adottarsi i provvedimenti consigliati
dalla tecnica per diminuirne l'intensità". Anche
per questa disposizione, nel senso del rinvio ad obblighi che
competono, in primo luogo, a progettisti e costruttori, vale
quanto si è detto più sopra;
- la questione viene definitivamente risolta dall'art. 46 del
Decreto Legislativo 277/91 che stabilisce obblighi a carico
del progettista e del costruttore nei seguenti termini: "La
progettazione, la costruzione e la realizzazione di nuovi impianti,
macchine ed apparechiature, gli ampliamenti e le modifiche sostanziali
di fabbriche ed impianti esistenti avvengono in conformità
all'art. 41, comma 1
". L'art. 41, comma 1, così
dispone: "Il datore di lavoro riduce al minimo, in relazione
alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, i rischi
derivanti dall'esposizione al rumore mediante misure tecniche,
organizzative e procedurali, concretamente attuabili, privilegiando
gli interventi alla fonte";
- quanto detto sin qui consente di affermare che, se la tutela
del lavoratore dai rischi dell'esposizione al rumore nell'ambiente
di lavoro era contenuta nell'articolo 24 del D.P.R. 303/56 che
riguarda, almeno nel titolo, l'igiene del lavoro; se questa
esigenza di tutela viene ripresa dall'articolo 41 del Decreto
Legislativo 277/91, attuativo di direttive comunitarie in materia
di tutela del lavoratore contro i rischi derivanti da esposizione
ad agenti chimici, fisici e biologici, durante la lavorazione;
se l'articolo 46 di questo decreto stabilisce obblighi sanzionati
penalmente in caso di violazione a carico dei progettisti e
costruttori di macchine, ne deriva che le norme che tutelano
la salute dei lavoratori, anche se incluse in un sistema normativo
titolato diversamente, devono considerarsi norme di sicurezza
e, in quanto tali, obbligatorie per tutti i soggetti chiamati
a realizzare la tutela della salute e dell'integrità
fisica dei lavoratori.
o Del resto, per chiudere l'argomento, basti ricordare che il
comma 1 dell'art. 6 del Decreto Legislativo 626/94 stabilisce
che il progettista dei luoghi di lavoro e degli impianti deve
rispettare i principi generali di prevenzione in materia di
sicurezza e di salute dei lavoratori. Ciò vuol dire che
quelle norme contenute nel D.P.R. 303/56, intitolato "Norme
generali in materia di igiene del lavoro", che riguardano
però la tutela della salute dei lavoratori, vanno considerate
come norme di sicurezza e in quanto tali rientranti fra gli
obblighi dei cosiddetti soggetti esterni.
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