La
prevenzione incendi e l'analisi di rischio
Giuseppe
Bogani
Libero Professionista
Il
recente Decreto Ministeriale 10 marzo 1998 relativo a: "Criteri
generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell'emergenza
nei luoghi di lavoro" ha introdotto un nuovo modo di ragionare
ai fini delle valutazioni di sicurezza antincendio.
Sulla base di un'attenta analisi di rischio incendio, si possono
meglio inquadrare i punti salienti che si devono tenere presenti
nelle progettazioni antincendio per sviluppare meglio la preparazione
delle relazioni di progetto delle attività soggette al
controllo dei vigili del fuoco.
Il ragionamento vale anche per tutte le attività non
soggette, poiché la sicurezza antincendio prescinde dall'appartenere
o no alla sfera di competenza dei VV.F. L'esempio primo sono
i numerosi incendi che avvengono in attività di vita
normale e che sono dovuti, in genere, alla cattiva conoscenza
dei pericoli dovuti ai materiali combustibili e/o infiammabili
che ci circondano ed alle relative fonti di possibile loro innesco.
Il D.Lgs. 626/94 ha avuto appunto lo scopo di allargare la sicurezza
(per sicurezza si intende anche quella antincendio) ad un maggiore
numero di aree: tutte quelle con presenza di lavoratori. Il
concetto è ribadito dal Decreto Ministeriale 10 marzo
1998.
I punti salienti, dettati dalla salvaguardia delle persone e
delle cose, ben noti agli operatori del settore, sono:
o sicurezza delle strutture, che devono garantire una determinata
resistenza;
o percorsi di fuga che devono garantire alle persone la possibilità
di raggiungere luoghi sicuri;
o presidi antincendio, che devono garantire un rapido intervento
e/o utilizzo, per eliminare o contenere un eventuale incendio.
I primi due concetti basilari possono essere riportati a due
valori minimi prefissati, riscontrabili nelle norme internazionali
che, a seconda dei casi, possono essere aumentati o diminuiti
sulla base appunto di analisi di rischio o di specifiche normative
di riferimento, a loro volta dettate da tanti fattori di esperienza.
I valori minimi di riferimento che si possono assumere sono:
o Per la resistenza delle strutture, almeno un'ora;
o Per la garanzia di percorrenza delle vie di fuga almeno 30
minuti.
Cominceremo a parlare di questi due fattori determinanti nella
progettazione antincendio, ritornando alla fine sui presidi
antincendio, che sono l'ausilio primo in caso di un evento dannoso.
Per prima riportiamo le principali normative tecniche di riferimento
che danno direttamente i valori da tenere presenti nella progettazione
e che quindi non necessitano di una analisi di rischio incendio,
in quanto la stessa è già stata fatta al momento
della stesura della normativa stessa. Una nuova analisi potrebbe
solamente servire se si volesse aggiungere una maggiore sicurezza
a quella già prevista dalle norme.
I principali decreti, o CIRCOLARI di riferimento, fino ad ora
emanati, sono:
o D.M. 31 luglio 1934 - Regolamentazioni sugli oli minerali,
a cui si fa riferimento anche per le lavorazioni degli altri
infiammabili, rapportabili alla benzina e derivati;
o D.M. 12 gennaio 1971 - n. 208 - Norme per gli impianti stradali
a g.p.l.;
o D.M. 31 marzo 1984 - Norme sulla costruzione dei depositi
di g.p.l. per capacità maggiore di 5 mc;
o D.M. 24 novembre 1984 - Norme tecniche per gli impianti a
gas naturale con densità inferiore a 0,8;
o D.M. 1 febbraio 1986 - Norme tecniche per le autorimesse;
o D.M. 16 maggio 1987 n. 246 - Norme tecniche per gli edifici
civili;
o D.M. 11 gennaio 1988 - Norme tecniche per le metropolitane;
o D.M. 9 febbraio 1989 - Norme tecniche per le centrali termiche
delle serre;
o D.M. 20 maggio 1992 n. 569 - Norme tecniche per gli edifici
storici;
o D.M. 26 agosto 1992 - Norme tecniche per l'edilizia scolastica;
o D.M. 9 aprile 1994 - Norme tecniche per l'industria alberghiera;
o D.M. 13 ottobre 1994 - Norme tecniche per i depositi di g.p.l.
oltre 5 mc;
o D.M. 18 maggio 1995 - Norme tecniche per i depositi di soluzioni
idroalcoliche;
o D.P.R. 30 maggio 1995 n. 418 - Regolamento per gli edifici
storici, archivi, biblioteche;
o D.M. 18 marzo 1996 - Norme tecniche per gli impianti sportivi;
o D.M. 12 aprile 1996 - Norme tecniche per le centrali termiche
a gas;
o D.M. 19 agosto 1996 - Norme tecniche per i locali di trattenimento
e spettacolo.
Oltre a tali decreti sono pure fulcro della normativa di riferimento
alcune CIRCOLARI:
o Circolare 14 settembre 1961 n. 91, relativa ai carichi d'incendio
e alla classe delle strutture, che da alcune tipologie di strutture
classificabili ai fini della resistenza al fuoco in funzione
del carico d'incendio;
o Circolare 29 luglio 1971 n. 73, relativa agli impianti termici
ad olio combustibile o a gasolio;
o Circolare 31 agosto 1978 n. 31, relativa ai motori a combustione
interna accoppiati a macchina generatrice elettrica o a macchina
operatrice.
Nello stesso tempo sono in corso di elaborazione nuovi decreti
che riguarderanno in particolare:
o le attività ospedaliere;
o le attività commerciali, con particolare riferimento
ai grandi magazzini;
o gli impianti ad olio combustibile e gasolio;
o le autorimesse, (aggiornamento di quello in corso, sulla base
delle normative europee);
Fatti salvi i valori fissati dalle normative sopra indicate,
per tutti gli altri casi, non normati, la cui tipologia non
è raffrontabile con alcuna delle norme esistenti, magari
per similitudine, è bene che i parametri fondamentali
per le strutture e per i percorsi di fuga vengano determinati
in sede di analisi del rischio incendio, formulata secondo i
criteri indicati dal D.M. 10 marzo 1998. Si evidenzia che le
norme americane NFPA, specificatamente le n° 101 e 101.A,
sono un ottimo ausilio per tutte queste attività ancora
prive di normative specifiche.
STRUTTURE
La resistenza delle strutture, per una molteplicità di
attività soggette al controllo dei VV.F., è prefissata
dalle specifiche norme di riferimento con appositi decreti del
Ministero degli Interni e/o CIRCOLARI del Ministero, che praticamente
fanno da base alla prevenzione incendi. Tali norme sono quelle
sopra elencate.
Nella progettazione si devono tenere presenti sia le strutture
portanti, che garantiscono per un certo periodo che nessuna
di esse crolli sulle persone presenti, sia le strutture di compartimentazione,
che sono quelle che permettono il contenimento di un eventuale
incendio mantenendolo in un area confinata, determinata appunto
dall'analisi di rischio o da altri parametri costruttivi.
L'analisi di rischio, per ogni compartimento, terrà presente
di massima i seguenti parametri:
o possibilità o meno di formazioni di miscele esplosive;
in questo caso le strutture dovranno essere predisposte in modo
tale che, in caso di scoppio, le stesse non creino danni alle
persone ed alle aree adiacenti. Si dovranno valutare le varie
possibilità delle misure di sicurezza da adottare, che
vanno dalla eliminazione preventiva del pericolo stesso, alla
realizzazione di strutture ad hoc che limitino i danni alle
cose adiacenti e ad eventuali impianti di protezione attiva,
denominati a soppressione di esplosione;
o possibilità di sola presenza, più o meno elevata,
di materiali combustibili in concomitanza di possibili inneschi.
Dall'analisi del rischio si potrà determinare il grado
di resistenza al fuoco che si vorrà dare alle strutture
interessate per evitare allargamenti dell'incendio ad aree adiacenti,
il tutto nel rispetto di costi/benefici;
o possibilità di varie combinazioni di materiali infiammabili
e/o combustibili con i relativi rischi di loro incendio per
la presenza di eventuali inneschi. Anche in questo caso dall'analisi
del rischio si potrà determinare il grado di resistenza
al fuoco che si vorrà dare alle strutture interessate,
sempre in un attenta analisi costi/benefici.
La
classe di resistenza al fuoco delle strutture, determinata dall'analisi
del rischio, potrà essere diminuita in funzione di sicurezze
alternative che si pensa di adottare, quali impianti di spegnimento
automatico, impianti di segnalazione d'incendio, impianti di
raffreddamento ed altri analoghi accorgimenti, quali stivaggio
o isolamento dei prodotti pericolosi in appositi contenitori
o zone di sicurezza. La resistenza prefissata, potrà
inoltre essere aumentata, in funzione dei valori economici intrinseci
dei fabbricati e dei loro contenuti o nella stima degli eventuali
danni indotti nella produzione o nell'immagine aziendale.
Ad esempio, al posto di proteggere dall'incendio tiranti in
acciaio, o altre strutture portanti in acciaio, in ambienti
con carico d'incendio oltre i 30 kg/mq, si potrà prevedere
un impianto di spegnimento automatico, alla dovuta densità
di scarica, con il compito di raffreddare le strutture in caso
d'incendio, oppure adeguate protezioni a schermatura degli elementi
scoperti, in abbinamento anche ad un impianto di evacuazione
di fumo e calore, per abbassare le temperature ambiente in caso
d'incendio e permettere una evacuazione, anche se parziale,
dei contenuti dell'area interessata.
La stessa cosa vale per strutture di resistenza al fuoco limitata,
che possono essere dotate di impianti di raffreddamento ad acqua
(su pareti tagliafuoco, su aperture difficili da chiudersi totalmente),
per elevati carichi d'incendio oppure per materiali che possano
dar luogo a fumi tossici, per il loro abbattimento e/o contenimento,
ecc.).
Anche le norme UNI relative agli impianti di spegnimento automatico,
nei paragrafi che riguardano i magazzini intensivi, se i pilastri
non hanno caratteristiche di resistenza al fuoco sufficienti,
prevedono l'inserimento di erogatori supplementari che tengano
bagnate le strutture portanti verticali (sicurezza alternativa
equivalente).
Diciamo pure che non è detto che un carico d'incendio
elevato (oltre 180 kg/mq di legna standard) sia più pericoloso
di un basso carico d'incendio (al di sotto dei 30 kg/mq) dovuto
a materiali facilmente infiammabili; tali materiali possono
dar luogo a miscele di vapori esplosive con maggiori possibilità
di innesco.
In genere, per carichi d'incendio dovuti ad elevata concentrazione
di materiali, quali legnami, carta, plastiche compatte, ecc.,
si può prevedere una resistenza delle strutture interessate,
compresa fra un minimo di un ora ed un massimo di due ore, in
funzione delle previsioni che si hanno in merito alle segnalazioni
più o meno rapide che si possono avere in caso d'incendio,
alla presenza e collocazione di facile individuazione dei mezzi
antincendio, al loro facile uso, alla impostazione della gestione
della sicurezza antincendio aziendale ed infine al possibile
rapido intervento dei VV.F. Tutto dovrà essere valutato
anche in funzione dei reali valori delle merci interessate.
Esistono merci e strutture di poco valore, altre che invece
hanno valori tanto elevati da giustificare costose protezioni
automatiche e/o strutturali.
Nell'epoca moderna, le aziende dovranno sempre più curarsi
della effettiva efficienza interna dei propri addetti alla sicurezza,
in modo che risultino ben addestrati all'uso dei mezzi di spegnimento,
ottimizzando così le proprie risorse. Oltre il personale
addetto e in un certo senso specialistico, è altrettanto
importante che tutto il personale dipendente sia edotto sulle
misure di sicurezza presenti in azienda, sui piani di evacuazione
e di emergenza interni, con prove pratiche periodiche di evacuazione,
in modo da garantire la formazione della corretta cultura antincendio
e di sicurezza del lavoro: la gestione della sicurezza potrà
sembrare una spesa per l'azienda ma, se fatta bene, porterà
ad un risparmio indiretto.
Tutti gli incendi, se affrontati nella parte iniziale, con mezzi
in efficienza e ben usati, possono essere controllati con rapidità
e certezza, tanto prima quanto più preparati sono gli
operatori addetti.
È compito del progettista avere la migliore cognizione
dello stato delle cose e quindi valutare la presenza o meno
degli idonei requisiti, relativi alla gestione della sicurezza,
sottoponendo al titolare dell'attività la necessità
della loro effettiva utilità.
Fra i vari metodi di analisi di rischio si ricorda quello che
prende a riferimento il carico d'incendio di ciascun compartimento
e, sulla base di alcuni indici correttivi positivi o negativi,
lo riporta a dei valori simbolici che permettono di classificare
le aree valutate, in tre livelli di rischio: basso, medio, elevato.
Tale metodo porta però a considerare sempre elevato il
rischio per quei depositi di materie prime dove lo stoccaggio
specifico è di ton/mq, il che rende ben difficile ridurre
il rischio incendio a valori inferiori, ritenuti accettabili
dal metodo stesso.
Alcuni indici di riferimento, ricavati da letteratura tecnica
e da ulteriori considerazioni ed elaborazioni, possono dare
una prima indicazione sulle riduzione dei valori del carico
di incendio preso a riferimento;
o Rapidità combustione, che può variare tra 1
e 2;
o Pericolosità fumi, che può variare tra 1 e 2;
o Probabilità innesco, che può variare tra 1 e
2;
o Indice affollamento, che può variare tra 0,1 e 2,7;
o L = fattore caratteristiche locale, con valore variabile tra
1 e 0,72;
o P = fattore Procedure operative, con valore variabile tra
1 e 0,70;
o I = fattore prevenzione innesco, con valore variabile tra
1 e 0,685;
o D = fattore protezione/evacuazione, con valore variabile tra
1 e 0,712;
o F = fattore formazione informazione, con valore variabile
tra 1 e 0,74;
o M = fattore manutenzione, con valore variabile tra 1 e 0,748;
o S = fattore segnalazione incendio, con valore variabile tra
1 e 0,58;
o E = fattore capacità estinzione, con valore variabile
tra 1 e 0,56;
o C = fattore controllo sistemi prevenzione, con valore variabile
tra 1 e 0,73;
Tali indici vanno moltiplicati fra loro.
Tutti i valori sopra riportati devono essere variati in funzione
delle esperienze del progettista, sui fattori che possono aumentare
il rischio d'incendio e sui fattori che invece attenuano e permettono
di contenere ragionevolmente tali rischi.
Come esempio pratico, tornando ad aree con elevati carichi d'incendio
per la tipologia delle merci depositate, (rotoli di carta pressata,
granulati di plastica, legnami compatti, ecc.), dove il carico
d'incendio risulterebbe anche superiore alla ton/mq, vuoto per
pieno, la stessa area dovrebbe così essere inquadrata:
o rischio incendio dovuto al materiale combustibile, ma a lento
sviluppo iniziale;
o fonti d'innesco: possibili fiamme vive (da eliminare o limitare
con una sana gestione) oppure impianti elettrici mal fatti.
Come
strutture si possono prevedere strutture resistenti con caratteristiche
non inferiore a due ore (R 120) per quelle portanti e R.E.I.
120 per quelle di separazione con altre aree adiacenti. La presenza
di impianto di evacuazione fumo e calore o di finestre facilmente
apribili, sarà migliorativa ai fini della sicurezza antincendio.
Se si prevedono impianti di spegnimento automatici (sprinkler
o similari), la resistenza delle strutture potrebbe scendere
anche ad una sola ora di resistenza R/R.E.I. 60).
Un incendio di notevoli quantitativi di materiale è difficilmente
affrontabile dopo la prima mezz'ora di sviluppo: più
rapido ed efficace è l'intervento di spegnimento ipotizzabile
e minore resistenza della struttura e delle compartimentazioni
dovrà essere prevista.
VIE
DI FUGA
Per questo valore di riferimento, fatto salvo quanto già
fissato per le attività normate e che sono state precedentemente
elencate, un percorso di fuga deve garantire il raggiungimento
di spazi sicuri, all'aperto, in tempo ragionevole.
La destinazione finale di tutte le persone presenti in un area
interessata da un incendio, in genere, è un area all'aperto.
Quando non fosse possibile per vari motivi, si dovrà
poter raggiungere almeno un area ragionevolmente sicura, come
tappa transitoria per arrivare successivamente nell'area all'aperto,
per passaggi successivi.
In stabilimenti complessi, possono essere considerate sicure
le aree di compartimenti adiacenti a quelli interessati da un
principio d'incendio, da cui transitare, per raggiungere il
punto finale fissato dai piani di emergenza. Queste tappe successive
sono quelle che permettono di determinare la lunghezza del percorso
massimo di riferimento, fissato appunto per ogni tratta da percorrere
per sgomberare il compartimento in analisi.
Pertanto, in funzione della tipologia dei materiali presenti,
dei pericoli a loro connessi, ecc. in una determinata area si
deve fissare la massima lunghezza del percorso per raggiungere
un area successiva e compartimentata. Se per esempio tale distanza
è di 30 metri, sarà quella di riferimento per
quel compartimento. È chiaro che nel nuovo compartimento
dove la persona approda, se è di tipologia diversa, il
suo parametro di riferimento potrà essere differente,
e quindi il passaggio ad un ulteriore settore o compartimento
potrebbe avere percorsi di differente lunghezza, ed il tutto
farà parte del piano di evacuazione generale. Chi non
ne deve soffrire è la persona in fuga che dovrà
essere automaticamente guidata sia dalle indicazioni visive,
che dai percorsi agevoli da farsi, così come riportato
in un chiaro piano di evacuazione, del quale ogni persona dovrà
sempre essere edotta.
Le distanze che devono essere prese a riferimento possono essere
ricavate dall'attenta analisi di rischio, in funzione di normative
vigenti in Italia ed all'estero, e dalla gestione della sicurezza
impostata da parte del titolare dell'attività.
PRESIDI
ANTINCENDIO
I presidi antincendio per le attività regolamentate (decreti
e CIRCOLARI sopra elencati), sono ben definiti e riguardano
in particolare gli estintori, gli idranti ed in alcuni casi
gli impianti di spegnimento automatico e/o di rilevazione ed
allarme e di evacuazione di fumo e calore.
Si possono attingere regolamentazioni tecniche ed indicazioni
da:
o D.M. 10 marzo 1998 - Allegato V, punto 5.2, per gli estintori;
o norme UNI 10779 del 1998, per gli impianti antincendio, rete
idranti.
o norme UNI, CEN, ISO, NFPA ecc., per quanto riguarda gli impianti
fissi, di segnalazione incendio, di spegnimento ed evacuazione
di fumo e calore.
L'impiego
di tali impianti di segnalazione e/o di spegnimento, nei casi
non contemplati dalle specifiche normative, nasce dalle analisi
di rischio che, unitamente alla diminuzione del rischio ed alla
previsione di una migliore salvaguardia delle persone e delle
cose, tenga conto dei ragionevoli costi degli interventi di
protezione previsti o prevedibili.
In generale gli impianti automatici permettono un rapido intervento
e quindi un più facile controllo e/o spegnimento di un
principio d'incendio. In molti casi, gli impianti di spegnimento
possono essere una alternativa ad altre misure antincendio quali
strutture più resistenti al fuoco, sostituzione parziale
di pareti tagliafuoco o di serrande, protezione di percorsi
di fuga, ecc.
Questo è un campo dove il progettista esperto può
adoperare tutta la sua conoscenza e la sua esperienza per trovare
le migliori soluzioni tecnico - economiche.
Emanuele
Pianese
Esperto Qualificato Centro Studi ed Esperienze - C.N.VV.F.
INTRODUZIONE
Da tanti anni ormai in Italia le centrali nucleari sono inattive,
ma continua tuttavia l'uso di sostanze radioattive e macchine
radiogene nell'industria, nella medicina, nella ricerca. L'impiego
delle radiazioni in quest'ultimo settore è assai diffuso,
in particolare per il prezioso, quasi insostituibile aiuto fornito
da tanti isotopi radioattivi agli studiosi e ricercatori nel
campo della biologia.
L'uso di sostanze radioattive avviene in modo sistematico e
continuativo in alcuni laboratori, mentre in altri ha carattere
sporadico; in linea di massima la maggior parte dei laboratori
di ricerca, a prescindere dall'eventuale uso di preparati e
sostanze radioattive, sono caratterizzati da una spiccata variabilità
delle attività che vi si svolgono, nonché dei
prodotti e degli strumenti che vi si impiegano. La mancanza
di una situazione lavorativa routinaria può introdurre
delle difficoltà nella completa individuazione delle
fonti di rischio, nella determinazione della loro entità,
nella definizione delle misure preventive e protettive necessarie
per il conseguimento di un sufficiente grado di sicurezza, e
ciò assume particolare gravità nel caso in cui
sia presente radioattività.
La presente memoria illustra i criteri di progettazione antincendio
per laboratori scientifici con riferimento a quelle attività
che ricadono sotto il diretto controllo dell'autorità
competente in materia (vigili del fuoco) e sono soggette agli
adempimenti di prevenzione incendi previsti dal D.P.R. 37/98
[1,2] in quanto comprese nel punto 75 del D.M. 16.2.1982: si
tratta di "istituti, laboratori, stabilimenti e reparti
in cui si effettuano anche saltuariamente, ricerche scientifiche
o attività industriali per le quali si impiegano isotopi
radioattivi, apparecchi contenenti dette sostanze ed apparecchi
generatori di radiazioni ionizzanti (art. 13 della Legge 31
dicembre 1962 n. 1860 e art. 102 del D.P.R. 13 febbraio 1964
n. 185)".
Vengono poi brevemente presentate, sempre con riferimento ai
laboratori con presenza di radioisotopi, alcune elementari procedure
di emergenza da adottare ed azioni da compiere nel caso in cui
si verificasse l'evento incendio.
Adempimenti
di prevenzione incendi
Il D.M. 16.2.1982 [3] elenca le n. 97 attività soggette
al controllo dei vigili del fuoco e per le quali è obbligatorio
il rispetto di criteri di prevenzione incendi ed il rilascio
del certificato di prevenzione incendi (CPI); tra le 97 attività
figurano anche attività riscontrabili in aree/laboratori
scientifici e di ricerca e che comportano quindi la necessità
per i responsabili dei laboratori di seguire le procedure dettate
dal ricordato D.P.R. 37/98 [4].
Il rilascio del CPI avviene da parte del comando provinciale
VV.F. competente per territorio in seguito al completamento
di un iter tecnico-amministrativo. Tale iter comprende due fasi:
la prima consiste nella redazione del progetto antincendio,
predisposto da un tecnico abilitato, e nella sua approvazione
da parte dell'autorità competente, mentre la seconda
comprende la visita sopralluogo ad opera di ispettori antincendio
per accertare la corretta realizzazione del progetto approvato.
Il progetto anticendi dovrà seguire la normativa specifica
per l'attività in esame (normativa verticale), se esistente,
la quale definisce in modo puntuale i requisiti richiesti; se
tuttavia questa non c'è il progetto dovrà ispirarsi
ai criteri generali di prevenzione incendi. L'obiettivo del
progetto è in ogni caso quello di definire e conseguire
un sufficiente grado di sicurezza contro gli incendi che si
realizza mediante misure preventive, volte a ridurre la frequenza
incidentale, e mediante misure protettive tendenti al contenimento
della magnitudo degli eventi incidentali: un giusto equilibrio
tra misure preventive e protettive consente il corretto raggiungimento
di un sufficiente grado di sicurezza equivalente (fig. 1) [5,6,7].
Le misure preventive sono costituite da accorgimenti che evitino
l'insorgenza dell'incendio (primariamente eliminazione di possibili
fonti di innesco e limitazione del combustibile): in pratica
occorre fare impianti elettrici a regola d'arte, limitare il
carico d'incendio, definire aree a rischio specifico etc. La
protezione può essere di tipo "passivo", che
non richieda cioè una fonte di energia o un intervento
esterno per espletare la sua funzione, ovvero di tipo "attivo".
Fig.
1: Prevenzione incendi e sicurezza equivalente
La
protezione passiva si basa sulla scelta di idonee caratteristiche
costruttive, opportuni materiali, corretti lay-out, corrette
aperture di ventilazione: si tratta di effettuare la compartimentazione,
definire le caratteristiche di resistenza al fuoco delle strutture,
la reazione al fuoco dei materiali, provvedere alla limitazione
del carico di incendio e alla corretta realizzazione degli impianti
tecnologici.
La protezione attiva si basa sui sistemi di rivelazione d'incendio,
sui sistemi di estinzione (automatici e manuali), sull'esistenza
di squadre di emergenza e primo intervento, sull'esistenza dei
piani di emergenza.
LABORATORI
CON IMPIEGO DI RADIOISOTOPI
Il già citato D.M. 16.02.1982 [3] assoggetta agli adempimenti
di prevenzione incendi una serie di attività comportanti
l'uso o la dentenzione o lo stoccaggio o la manipolazione di
sostanze radioattive; in particolare sono dedicati alla radioattività
i punti 75,76,77,78,79,80. Di questi il punto 75 è costituito,
come già detto, da istituti, laboratori, stabilimenti
e reparti in cui si effettuano anche saltuariamente ricerche
scientifiche o attività industriali per le quali si impiegano
isotopi radioattivi, apparecchi contenenti dette sostanze ed
apparecchi generatori di radiazioni ionizzanti, limitatamente
a quelle attività per le quali si applica l'articolo
13 della legge 31 dicembre 1962 n. 1860 "Impiego pacifico
dell'energia nucleare" o l'articolo 102 del D.P.R. 13 febbraio
1964 n. 185 "sicurezza degli impianti e protezione sanitaria
dei lavoratori e delle popolazioni contro i pericoli delle radiazioni
ionizzanti derivanti dall'impiego pacifico dell'energia nucleare"
[8,9]. Più esplicitamente non rientrano nel punto 75
le attività in cui sono detenuti quantitativi di radioisotopi
inferiori a quanto indicato in Tab. 1, né quelle attività
in cui sono utilizzate macchine radiogene con tensione inferiore
a 200 kV; non sono inoltre soggette ai controlli di prevenzione
incendi "i gabinetti medici, i reparti ed ambulatori in
genere ove si impieghino anche saltuariamente a scopo terapeutico,
sostanze radioattive naturali o artificiali, apparecchi contenenti
dette sostanze, apparecchi generatori di radiazioni ionizzanti
e, a scopo diagnostico, sostanze radioattive naturali o artificiali
autorizzati dal medico provinciale a norma dell'articolo 96
del D.P.R. 185/64" [10, 11].
Gruppi di sostanze Ci Bq
radioattive
I 1 x 10-3 3,7 x 107
II 1 x 10-2 3,7 x 108
III 0,1 3,7 x 109
IV 1 3,7 x 1010
Tab.
1: Quantitativi per gruppi di sostanze rientranti nel campo
di applicazione dell'attività 75 del D.M. 16.02.1982
È
bene innanzitutto riflettere sul motivo per cui la prevenzione
incendi coinvolge anche le attività con presenza di radiazioni.
La presenza di sorgenti di radiazioni ionizzanti e la manipolazione
di isotopi radioattivi di per sé non provocano un aumento
della probabilità di insorgenza di un incendio, né
d'altro canto la radioattività viene distrutta o modificata
dal fuoco. La presenza di un incendio tuttavia può cambiare
lo stato di una sostanza radioattiva e renderla più pericolosa
in ragione del rischio di dispersione della sostanza stessa
sotto forma di gas, aerosol o ceneri. Il fuoco inoltre in casi
particolari può portare delle modificazioni nelle strutture
di immagazzinamento delle materie fissili o nelle apparecchiature
studiate per trattare o utilizzare queste materie, che a loro
volta conducano ad un incidente di criticità.
I rischi dovuti alla radioattività possono essere ricondotti
a due distinte situazioni:
- rischio di irradiazione esterna (esposizione esterna)
- rischio di contaminazione (esposizione interna)
In caso di più nuclidi aventi differente radiotossicità,
ed elencati in differenti gruppi, la condizione di applicazione
si verifica allorché la somma dei rapporti tra le quantità
di radioattività di ciascun nuclide e la quantità
limite fissata per ciascuno di essi sia uguale o superiore a
1.
La
prima, in linea di massima meno preoccupante della seconda,
si verifica in caso di danneggiamento o distruzione dell'involucro
di una sorgente (difficilmente prodotto dall'incendio), con
conseguente creazione di campi di radiazioni; in questo caso
occorre tenersi a distanza dalla sorgente, servirsi eventualmente
di schermi protettivi, limitare il tempo di esposizione.
La seconda è più grave ed è legata a:
- sversamento o proiezione di liquidi radioattivi
- dispersione di materie radioattive solide sotto forma di polveri
o pastiglie
- contaminazione atmosferica prodotta da radioelementi in forma
di aerosol, vapori, gas.
L'ultima
circostanza non può mai essere completamente scongiurata
in caso di coinvolgimento di sorgenti in un incendio. Il fatto
che una materia sia radioattiva infatti, come già accennato
non influisce sulle sue caratteristiche fisiche generali e cioè
sul suo comportamento in occasione di un innalzamento anormale
della temperatura come nel caso in cui venga coinvolta in un
incendio. Di conseguenza, nel caso di un incendio questa materia,
a seconda della sua forma fisica iniziale - solida, liquida
o gassosa, - subirà normali trasformazioni vale a dire
fusione, ebollizione, sublimazione, con formazione di prodotti
di combustione radioattivi sotto forma di scorie, ceneri, polveri,
aerosol, vapori o gas. Questi prodotti della combustione sono
in generale più frazionati e meno densi della materia
da cui hanno avuto origine, ed è più facile la
loro dispersione. Ne consegue che, dato che la modificazione
della forma fisica non porta nessun cambiamento alle caratteristiche
di radioattività della sostanza, facilmente si produce
contaminazione in caso di incendio e diventa più difficile
il controllo del rischio radiologico.
L'incendio è in sintesi uno dei principali vettori dell'incidente
radioattivo, in grado di amplificare in modo considerevole la
portata spaziale e l'entità stessa del pericolo; l'assoggettamento
delle attività con uso di radioisotopi ai controlli di
prevenzione incendi appare, alla luce di quanto esposto, doveroso.
Diverso è il caso delle macchine radiogene (escludendo
le macchine acceleratrici di alta energia in grado di produrre
attivazione dei materiali); se ci limitiamo a considerare i
tubi a raggi X occorre osservare che la loro presenza ed il
loro uso non pone in essere alcun rischio di produzione o diffusione
della contaminazione. Il loro eventuale conivolgimento in un
incendio non crea pericoli di tipo radiologico, essendo certa,
in mancanza di alimentazione elettrica alle macchine, l'assenza
di radiazioni. L'assoggettamento previsto dall'attuale assetto
normativo ai controlli di prevenzione incendi delle macchine
a raggi X con tensione superiore a 200 kV, non è giustificabile
dal punto di vista strettamente tecnico, ed appare pertanto
incongruente; viceversa non sembra completamente giustificato
l'esonero dal certificato di prevenzione incendi per le attività
mediche di diagnostica o terapia in cui si faccia uso di sostanze
radioattive naturali o artificiali.
CRITERI
DI PROGETTO ANTINCENDIO
Per quanto riguarda i criteri di progetto antincendi dei laboratori
va preliminarmente osservato che questi sono strettamente legati
ai requisiti radioprotezionistici, per cui risulta talvolta
arduo o comunque superfluo distinguere i due aspetti.
La tabella 2 riporta i criteri generali di radioprotezione delle
zone di lavoro con riferimento alla disposizione delle zone
di accesso, allo stato dei pavimenti e superfici di lavoro,
alla tenuta ed ai sistemi di ventilazione.
Accessi Le zone a rischio più elevato in generale devono
essere circondate da zone a rischio meno elevato in ordine decrescente.
Le zone adiacenti una zona controllata, in particolare se questa
presenta rischio di contaminazione, devono essere da essa separate
materialmente in modo da rendere impossibile l'accesso diretto
e non controllato di persone da una zona all'altra. Il locale
di passaggio da una zona all'altra deve essere munito di mezzi
di controllo della contaminazione individuale, di doccia di
decontaminazione e di abbigliamento speciale.
Gli accessi diretti ad una zona controllata con pericolo di
contaminazione utilizzati eccezionalmente per il passaggio di
materiali, devono essere a tenuta di pressione, chiusi a chiave;
gli stessi non devono essere aperti senza il consenso dell'esperto
qualificato.
Pavimenti I pavimenti, le pareti e le superfici di lavoro devono
essere ricoperti con rivestimenti resistenti ai reattivi e superfici
chimici di cui è prevista l'utilizzazione; gli stessi
non devono essere porosi, devono invece avere buona resistenza
alle abrasioni e graffiature, devono essere facilmente decontaminabili
con i mezzi ordinari normalmente usabili. Non devono in linea
di massima essere usati materiali combustibili privi di adeguata
classificazione di reazione al fuoco.
Tenuta I laboratori dove avvengono manipolazioni di materiali
con radiotossicità molto elevata od elevata ed i locali
adibiti a stoccaggio di materiali radioattivi devono avere le
pareti e gli infissi con una resistenza e tenuta tali da impedire
l'estensione verso l'esterno di una eventuale contaminazione.
Le manipolazioni devono avvenire entro speciali spazi confinati
(scatole a guanti) mantenuti in depressione e muniti di filtri
assoluti.
Nel caso in cui i materiali radioattivi manipolati pongano in
essere rischi di esposizione esterna oltre che di contaminazione,
debbono essere utilizzati schermi di protezione o, se del caso
le manipolazioni devono aver luogo a distanza mediante pinze
o telemanipolatori.
Ventilazione La ventilazione delle zone dove avvengono manipolazioni
di materiali radioattivi e dove esistono contaminanti radioattivi
liberi deve essere tale da assicurare in ogni locale un rinnovo
d'aria sufficiente per mantenere la contaminazione atmosferica
compatibile con le zone alle quali detti locali appartengono.
A titolo indicativo il rinnovo d'aria può arrivare fino
a 5 ricambi ora in una zona sorvegliata mentre può superare
la decina di ricambi ora nelle zone controllate con pericolo
di contaminazione.
In generale le zone controllate, ad eccezione di casi particolari
devono essere tenute in depressione permanente rispetto alle
zone adiacenti e suddivise da queste da locali che permettano
il mantenimento della depressione. I valori di depressione possono
essere dell'ordine di alcuni millimetri di colonna d'acqua.
L'aria in uscita dalle zone sorvegliate può essere utilizzata
per ventilare altri laboratori, previa idonea filtrazione, mentre
l'aria in uscita dalle zone controllate, deve essere direttamente
espulsa, previa filtrazione con filtri assoluti soggetti a periodico
controllo.
Dove il lavoro tende a generare contaminazione dell'aria, si
devono isolare le apparecchiature che ne sono la causa mediante
pareti prefabbricate; dovrà anche essere applicata una
griglia di aspirazione ad alto flusso sopra il punto dove è
prevista la generazione della contaminazione, e l'aria in uscita
deve essere filtrata con filtri assoluti.
Tab.
2: criteri generali di radioprotezione nelle zone di lavoro
Non
esistono normative specifiche antincendio (norme verticali)
per i laboratori con presenza di sostanze radioattive; ne discende
che per la progettazione degli stessi occorre far riferimento
ai criteri base generali della prevenzione incendi, in relazione
ai rischi peculiari derivanti dalla radioattività.
Nel corso degli anni sessanta sono state emanate diverse CIRCOLARI
del Ministero dell'Interno che dettano prescrizioni radioprotezionistiche
e di prevenzione antincendio relativamente al trasporto di sostanze
radioattive; alcune di esse [12] possono essere utilizzate per
avere indicazioni di massima anche per installazioni fisse.
È evidente che la severità dei criteri di progetto
adottati è commisurata all'entità della radioattività
presente: infatti all'aumentare dei quantitativi di sostanze
radioattive impiegate, detenute, manipolate, aumenta anche il
rischio. A seconda dei quantitativi impiegati i laboratori possono
essere distinti in varie classi, per le quali si definiscono
criteri man mano più stringenti. In questa sede ci si
limita ad esaminare i principali aspetti da considerare in un
laboratorio di classe intermedia senza scendere in eccessivi
dettagli; in casi specifici si deve peraltro considerare che
le esigenze possono variare con la particolare natura dei materiali,
con la radiotossicità dei nuclidi impiegati, nonché
con la frequenza del lavoro.
È innanzitutto fondamentale delimitare le zone con presenza
di radioattività: queste debbono costituire uno o più
compartimenti di resistenza al fuoco adeguata al carico di incendio
presente e possibilmente non inferiore a REI 120. A seconda
dei rischi che presentano e della loro distribuzione in uno
o più locali, una installazione può generalmente
essere divisa in zone omogenee (una o più) differenziate
secondo l'ordine crescente del rischio. Possiamo per semplicità
riferirci al caso di un'unica zona. L'accesso al compartimento
deve avvenire da apposito locale filtro che funga anche da spogliatoio;
se il laboratorio è classificato come zona controllata,
nello spogliatoio deve essere presente una barriera fisica per
la separazione della zona "calda" da quella "fredda".
In tale caso, nella zona calda, devono esser presenti oltre
ad attrezzature per il controllo della contaminazione, lavandini
ed eventualmente docce di decontaminazione, con scarichi separati
collegati ai serbatoi per la raccolta dei rifiuti liquidi radioattivi.
È sempre opportuno, anche qualora il laboratorio non
costituisca una zona controlla e non abbia pertanto necessariamente
un accesso regolamentato come sopra specificato, che la porta
di ingresso del laboratorio sia dotata di oblò per ispezionare
l'interno senza necessariamente accedervi.
Per quanto riguarda gli aspetti antincendio dell'impianto di
ventilazione si segnalano i seguenti requisiti:
- l'impianto deve prevedere l'arresto automatico in caso di
incendio, comandato da rivelatori di fumo posti anche nelle
condotte di estrazione;
- le condotte dell'aria ed in particolare quelle che servono
le zone controllate devono essere dotate di serrande tagliafuoco
ad azionamento automatico;
- i filtri devono essere incombustibili, ovvero dotati di prefiltro
di protezione di tipo incombustibile; tale requisito è
richiesto in modo particolare per i filtri assoluti sui condotti
di estrazione delle zone controllate;
- le cappe di estrazione debbono poter essere azionabili anche
dall'esterno delle zone controllate.
I laboratori dovranno essere decontaminabili; a tal fine le
pareti ed i soffitti dovranno essere rivestiti con vernici decontaminabili,
mentre i pavimenti dovranno essere in cemento lisciato ricoperti
di fogli di spoknol (o analogo materiale quale linoleum, purché
resistenti agli agenti e alle sostanze impiegate), saldati tra
loro e raccordati senza spigoli vivi e risalenti in generale
per un'altezza di 20 cm lungo le pareti.
Devono essere previste porte di emergenza per consentire in
caso di assoluta necessità l'evacuazione rapida dell'edificio
senza seguire il normale percorso di accesso.
Debbono esser presenti dispositivi automatici di rivelazione
di incendio, dispositivi acustici e luminosi di allarme, idonei
apparecchi portatili di estinzione (a CO2 ed a polvere).
Si deve tenere conto che in presenza di radioattività
in caso di incendio, una serie di norme "classiche"
nelle operazioni di spegnimento e/o di intervento devono essere
modificate. In particolare occorre considerare che:
- è più importante la protezione del materiale
radioattivo implicato che non la lotta contro l'estensione dell'incendio
a locali con rischi convenzionali;
- l'uso dell'acqua deve essere ridotto al minimo per evitare
l'estensione della contaminazione superficiale (ed in casi particolari
il pericolo di criticità);
- è bene usare acqua nebulizzata per abbattere le polveri
e la contaminazione;
- è preferibile usare estintori a CO2 ed a polvere;
- deve essere organizzata una zona per il controllo del personale
di intervento e per provvedere alla decontaminazione;
- qualora sia previsto lo spegnimento con acqua, i pozzetti
ed i serbatoi di raccolta degli scarichi radioattivi (docce,
lavandini) devono essere dimensionati per poter contenere anche
l'acqua antincendio.
CONCLUSIONI
I criteri di prevenzione incendi sopra illustrati non hanno
la pretesa di costituire una guida tecnica in fase di progettazione
completa di un laboratorio, ma possono fornire utili indicazioni
nel caso di adeguamento di locali ad attività specifiche.
Nel settore della ricerca ove per forza di cose non si svolgono
attività routinarie è particolarmente sentita
la necessità di adattare in itinere le strutture disponibili
alle esigenze contingenti che via via si presentano e che possono
riguardare l'uso di particolari strumenti, macchine, sostanze,
compresi i materiali radioattivi. In questa situazione di possibile
continuo cambiamento è importante che vengano sempre
rispettati i criteri generali di sicurezza: spesso infatti l'amplificazione
di eventi incidentali di piccola entità è dovuta
proprio alla mancanza di requisiti base dei locali, delle apparecchiature
degli impianti; tutto ciò assume particolare rilevanza
ove vi sia o vi possa essere presenza di radiazioni ionizzanti.
Attribuire la giusta considerazione alla prevenzione incendi
consente di ridurre la frequenza degli incidenti e di limitarne
la magnitudo delle conseguenze, mediante l'adozione di misure
preventive e protettive di tipo attivo e passivo. È auspicabile
che la definizione e l'adozione di dette misure di sicurezza
avvenga in modo sistematico, sia in fase di progetto sia con
successivi interventi di adeguamento che debbono accompagnare
le mutate esigenze e condizioni di lavoro. Occorre a tal fine
entrare nell'ottica di idee che "fare sicurezza" non
significa solo operare da un punto di vista autorizzativo, formale,
documentale, cartaceo, ma vuol dire innanzitutto rispettare
la salvaguardia della salute dei lavoratori prevenendo i possibili
eventi incidentali.
Bibliografia
[1] D.P.R. 37 del 12.01.1998 "Regolamento recante disciplina
dei procedimenti relativi alla prevenzione incendi a norma dell'articolo
20 comma 8, della Legge 15.03.1997 n. 59"
[2] Lettera Circolare M.I. prot. N. P796/4101 sott. 72/E del
05.05.1998 "DP.R. 12.01.1998 n. 37 - Regolamento per la
disciplina dei procedimenti relativi alla
prevenzione incendi - Chiarimenti applicativi"
[3] D.M. 82 del 16.02.1982 "Modificazioni del Decreto Ministeriale
27 settembre 1965 concernente la determinazione delle attività
soggette alle visite di prevenzione incendi"
[4] E. Pianese, E. Ragno, E. Ragno "La nuova disciplina
di prevenzione incendi" Bollettino della Prevenzione CEDIS
n. 8 - 98
[5] R. Paciucci, E. Pianese, E. Ragno "Il rischio di incendio
nelle aziende agricole" - Progetto Sicurezza n. 2/98
[6] S. Marinelli "La gestione della sicurezza antincendio"
EPC 1998
[7] L. Corbo "Prevenzione incendi - Corso di sicurezza
nelle costruzioni" ETAS Libri 1992
[8] Legge 31 dicembre 1962 n. 1860 Impiego pacifico dell'energia
nucleare"
[9] D.P.R. 13 febbraio 1964 n. 185 "Sicurezza degli impianti
e protezione civile-sanitaria dei lavoratori e delle popolazioni
contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti derivanti dall'impiego
pacifico dell'energia nucleare"
[10] Lettera Circolare Ministero dell'Interno n. 36 del 11.12.1985
"Prevenzione incendi: chiarimenti interpretativi di vigenti
disposizioni e pareri espressi dal Comitato centrale tecnico
scientifico per la prevenzione incendi su questioni e problemi
di prevenzione incendi".
[11] Lettera Circolare n. 1 MI.SA. (89) 1 prot. 922/4101 del
20/01/1989 "Decreto ministeriale 16 febbraio 1982 punto
75: Chiarimento - Istituti laboratori, stabilimenti e reparti
in cui si effettuano anche saltuariamente ricerche scientifiche
o attività industriali per le quali si impiegano isotopi
radioattivi, apparecchi contenenti dette sostanze ed apparecchi
generatori di radiazioni ionizzanti (art. 13 della legge 31.12.1962
n. 1860 e art. 102 del D.P.R. 13.2.1964 n. 185)
[12] Lettera Circolare Ministero dell'Interno n. 48 prot. 18669/24222
del 19.05.1965 "Trasporti stradali di materie fissili speciali
e di materie radioattive - procedura per il rilascio delle autorizzazioni"
[13] E. Pianese "Metrologia delle radiazioni ionizzanti"
Riv. Antincendio n. 1/99
[14] D.P.R. 27.04.1955 n. 547 "Norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro"
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