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Delega tacita di funzioni e omessa informazione dei lavoratori

Pierguido Soprani
Magistrato

Cassazione penale, sez. IV, 24 marzo 2000
(ud. 17.02.2000), n. 3822.

Infortunio sul lavoro - Lesioni personali - Omessa protezione di una valvola - Ruolo del dirigente e del preposto - Conferimento di delega tacita da parte del datore di lavoro - Valutazione - È questio facti - Mancata informazione del lavoratore infortunato sui rischi specifici della lavorazione - Irrilevanza - Prevalenza del dovere di protezione oggettiva - È tale.

È incensurabile in sede di legittimità l'accertamento di fatto, sorretto da adeguata motivazione, circa la sussistenza di una delega di funzioni tacitamente conferita dal datore di lavoro a suoi dipendenti (dirigente e preposto).
L'obbligo del datore di lavoro di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti investe le sole situazioni di rischio ineliminabili, e quelle comunque residuate all'opera di prevenzione, non anche quelle per le quali sia stato raggiunto un risultato di protezione oggettiva, con conseguente abbattimento totale del rischio.

Nota

Il caso esaminato nella presente pronuncia porta la Corte di Cassazione a valutare il profilo soggettivo di responsabilità per l'infortunio occorso a un lavoratore addetto al collaudo di una valvola, nel caso di specie assimilata ad una macchina pericolosa, non protetta né segregata contro la possibilità di contatti accidentali da parte degli addetti.
Il merito della vicenda processuale non è in contestazione da parte dell'imputato, che, nella sua qualità di legale rappresentante della società datrice di lavoro, aveva peraltro opposto di aver conferito una delega tacita ai suoi subordinati (direttore dello stabilimento e capo reparto) per l'adozione delle misure di prevenzione antinfortunistica.
Subordinatamente il ricorrente aveva rilevato l'illogicità della motivazione della pronuncia dei giudici di appello, con la quale egli era stato da un lato assolto dalla contravvenzione all'obbligo informativo dei lavoratori, ma al tempo stesso condannato per l'evento lesivo.
La Suprema Corte, muovendo dal preliminare rilievo che lo stesso imputato aveva escluso l'esistenza di una delega scritta, ha ritenuto che l'accertamento in fatto, compiuto dai giudici di merito, circa l'inesistenza di una delega tacita (in base alle testimonianze assunte, all'esame dell'organigramma della società, alle accertate circostanze che l'imputato era frequentemente in sede, e che l'azienda, composta di trenta dipendenti, aveva dimensioni modeste), fosse adeguatamente motivato.
In linea generale, sebbene la Giurisprudenza più recente sia orientata in senso tendenzialmente contrario (espressione di tale orientamento sono le pronunce di Cass. pen. Sez. IV, 26 agosto 1999, Bologna; Cass. pen. Sez. IV, 16 marzo 1999, Meggiolaro; Cass. pen. Sez. IV, 10 aprile 1998, Zambonin; Cass. pen. Sez. III, 17 ottobre 1997, Prato; Cass. pen. Sez. IV, 9 dicembre 1996, Briglienti; Cass. pen. Sez. III, 27 maggio 1996, Zanoni e altri; Cass. pen., Sez. III, 20 marzo 1996, Cattaneo), non vi è motivo per non ammettere, tanto più dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 626/94, la legittimità e la possibilità di conferire la delega quale che sia la dimensione dell'impresa, anche se l'ipotesi di fatto più frequente -in quanto determinata e giustificata da condizioni strutturali ed organizzative che si impongono come tali- è quella che si ritrova nelle imprese di grandi e medio-grandi dimensioni. Infatti, anche per le piccole imprese (familiari e fino a 10 addetti, purché classificate "non a rischio"), soggette, in tema di valutazione dei rischi e di adempimento degli obblighi ad essa collegati, al regime della c.d. "autocertificazione", il combinato disposto degli articoli 1, comma 4-ter e 4, comma 11 del D.Lgs. n. 626/94 rivela come il divieto di delega abbia la medesima estensione che è riservata alle imprese di medie e grandi dimensioni.
Quanto alla necessità che la delega di funzioni sia conferita per iscritto, sono significative le pronunce di Cass. pen. Sez. III, 19 maggio 1998, Sodano; Cass. pen. Sez. IV, 11 luglio 1997, Da Rin Spaletta; Cass. pen. Sez. IV, 9 luglio 1997, Ranieri; Cass. pen. Sez. IV, 27 gennaio 1994, Cassarà. L'ammissibilità di delega non scritta trova conforto solo in alcune isolate sentenze di merito, e comunque con riferimento ad imprese di piccole dimensioni (Cass. pen. Sez. IV, 2 novembre 1987, Cagliari). Del resto, pur non essendo astrattamente vincolata ad una forma, si deve convenire che, sul piano concreto, solo la delega scritta permette di potere valutare con serenità e sufficiente certezza di prova i requisiti essenziali di efficacia che la Giurisprudenza richiede. Così è per il requisito di specificità, il quale postula che nella delega i poteri debbono essere precisati (Cass. pen. Sez. III, 30 novembre 1998, Tiragallo; Cass. pen. Sez. IV, 5 settembre 1997, Sidoti; Cass. pen. Sez. III, 27 maggio 1996, Zanoni ), e il requisito di consapevolezza, che richiede che la delega sia portata a conoscenza del soggetto delegato, e da questi esplicitamente accettata (Cass. pen. Sez. IV, 20 settembre 1994, Cairo; Cass. pen. Sez. IV, 23 febbraio 1993, Iacono e altro; Cass. pen. Sez. IV, 18 ottobre 1990, Sbaraglia. Più recentemente Cass. pen. Sez. III, 17 ottobre 1997, Prato; Cass. pen. Sez. Fer. 25 settembre 1997, Mian; Cass. pen. Sez. IV, 14 ottobre 1997, Moscarelli, e Cass. pen. Sez. IV, 11 marzo 1998, Anania. Da ultimo Cass. pen. Sez. IV, 9 marzo 1999, Abete).
Non mancano peraltro pronunce della Cassazione che riconoscono che la delega può essere provata "attraverso la deposizione di un teste" (Cass. pen. Sez. IV, 9 dicembre 1997, Colombo).
Relativamente al profilo di illogicità della motivazione con riguardo alla contestazione di omessa informazione dei lavoratori e di contestuale affermazione di responsabilità per il delitto, la Cassazione precisa che l'obbligo del datore di lavoro di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, investe le sole situazioni di rischio ineliminabili, e quelle comunque residuate all'opera di prevenzione, non anche quelle per le quali sia stato raggiunto un risultato di protezione oggettiva, con conseguente abbattimento totale del rischio.
Vi è da dire che la suddetta statuizione della Suprema Corte è suggestiva quanto singolare, poiché fa leva sulla distinzione tra rischi "esistiti" e rischi "esistenti", circoscrivendo l'obbligo informativo dei lavoratori, previsto dall'art. 4, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 547/55, solo ai secondi.
La particolarità della pronuncia non merita particolare approfondimento, tanto più che essa concerne una norma (il citato art. 4, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 547/55) la quale, limitatamente all'obbligo informativo, deve ritenersi implicitamente abrogata dall'art. 21 del D.Lgs. n. 626/94, per identità di regolamentazione normativa, ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi). Per altro verso il testo del predetto art. 21 del D.Lgs. n. 626/94, prevedendo che ciascun lavoratore riceva un'adeguata informazione sia sui "rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale" [lett. a)], sia sui "rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta" [lett. c)], non lascia margine di dubbio sul fatto che il contenuto dell'obbligo informativo abbraccia ora indistintamente tutti i fattori di rischio presenti sul luogo di lavoro, a prescindere dal grado di loro concreta neutralizzazione da parte del datore di lavoro.

 

 



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