Mancanza
di protezioni alle macchine e tutela oggettiva
Pierguido
Soprani
Magistrato
Cassazione
penale, sez. IV, 8 febbraio 2000
(ud. 01.12.1999) n. 3023
Prevenzione
infortuni - Impianto di avvolgimento di film plastico - Omessa
dotazione con dispositivo di blocco - Trauma da schiacciamento
a lavoratore addetto all'impianto - Lavoratore inesperto - Condotta
anomala del lavoratore - Insussistenza - Responsabilità
del datore di lavoro - Sussistenza.
Il
datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso
all'addetto ad un impianto sprovvisto di dispositivi di blocco
ovvero di ripari o di dispositivi idonei ad impedire offese
al corpo del lavoratore, a nulla rilevando che l'infortunato,
inesperto e privo di specifico addestramento, fosse stato avvertito
dal caporeparto circa la pericolosità delle operazioni
di lavoro. L'inaccessibilità degli organi lavoratori
degli impianti deve essere garantita in modo assoluto, impeditivo
di ogni contatto pericoloso con gli ingranaggi dei macchinari.
NOTA
Il
caso deciso dalla Corte di cassazione riguarda il profilo di
responsabilità del legale rappresentante di una ditta,
per avere colposamente cagionato lesioni gravi a un dipendente
(trauma da schiacciamento dell'arto superiore sinistro con postumi
permanenti), avendo omesso di dotare l'impianto di avvolgimento
di film plastico, con dispositivi di blocco ovvero con ripari
o con dispositivi atti ad impedire offese al corpo del lavoratore,
il quale, intento a togliere con le mani alcune bolle d'aria
formatesi tra il film e la bobina, veniva trascinato dalla bobina
verso il rullo trascinatore, riportando lesioni gravi, consistite
in trauma da schiacciamento, con prognosi di gg. 95 di assenza
dal lavoro, e la sussistenza di postumi permanenti invalidanti.
L'imputato sosteneva che il giudice di merito aveva errato "nel
non ritenere anomala la condotta del lavoratore e nel non attribuire
significativo valore probatorio ai richiami rivolti dal capo
reparto al personale che eseguiva manovre pericolose".
La Suprema Corte, nel confermare la sentenza di condanna, precisa
che la Corte territoriale aveva rilevato in fatto che:
o "era stata omessa la predisposizione di adeguate barriere
idonee ad impedire l'accesso degli operai alla zona pericolosa
in cui vi era la bobina";
o "non poteva considerarsi in alcun modo anomala la condotta
dell'infortunato, il quale aveva utilizzato il macchinario di
lavoro per un'operazione prevista per l'espletamento delle mansioni
affidategli
non potendo certo ritenersi improbabile o imprevedibile
che il lavoratore
in mancanza di adeguati sistemi di protezione,
potesse venire a contatto con la bobina e con il rullo trascinatore";
o "l'imputato aveva omesso di impedire che gli operai si
avvicinassero alla bobina e aveva altresì omesso di vigilare
sull'osservanza di tale divieto".
Quanto all'inosservanza delle contrarie disposizioni impartite
dal preposto, queste in realtà si erano più limitatamente
rivelate essere meri consigli e non ordini di lavoro, come lo
stesso caporeparto aveva confermato al processo; così
stando le cose, poi, la mancanza di una puntuale e completa
informazione era stata correttamente ritenuta dai giudici di
merito "ancor più grave nei confronti del (lavoratore
infortunato) tenuto conto che questi al momento del fatto era
in addestramento in quanto presente in azienda da soli 10 giorni".
In tale contesto situazionale la pronuncia della Cassazione
è ineccepibile, in quanto decisamente improntata alla
logica della tutela c.d. "oggettiva" del luogo di
lavoro, che -con riguardo ai dispositivi di protezione da apporre
sulle macchine- deve essere assicurata prescindendo dai fattori
di variabilità individuale.
La sintesi del pensiero della Suprema Corte è che "l'inaccessibilità
delle zone di imbocco dei rulli dei macchinari, mediante ripari
atti ad impedire la presa o il trascinamento delle mani o di
altre parti del corpo del lavoratore, imposta dall'art. 132
del D.P.R. N. 547/55
, postula una situazione assolutamente
impeditiva di ogni contatto manuale con gli ingranaggi del macchinario".
La tutela oggettiva del luogo di lavoro costituisce da sempre
un principio cardine di tutta la normativa di prevenzione degli
infortuni e di igiene del lavoro. L'ambiente lavorativo deve
essere (oggettivamente) sicuro e salubre finanche con riferimento
ai soggetti estranei all'azienda, che ivi si trovino solo occasionalmente
e per ragioni non connesse con lo svolgimento di attività
lavorativa (Così, tra le altre, Cass. pen., sez. IV,
17 marzo 1989, Carotti; Cass. pen., sez. IV, 12 gennaio 1990,
Bovienzo; Cass. pen., sez. IV, 4 maggio 1993, Moresco; Cass.
pen., sez. IV, 3 giugno 1993, Pusceddu; Cass. pen., sez. IV,
27 settembre 1995, Bardelli e altro; Cass. pen., sez. IV, 10
dicembre 1996, Lucibello e altro). E questo risultato è
raggiungibile solo se si eliminano i "fattori c.d. variabili
di rischio", legati alla condotta dei lavoratori, spesso
inevitabilmente distratta, disattenta, imprudente, ovvero derivanti
dall'assenza di misure di prevenzione e di protezione che siano
indipendenti dall'azione dell'uomo (ad esempio una protezione,
un dispositivo di sicurezza, o condizioni microclimatiche dei
luoghi di lavoro).
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