CAP. VI - L'insegnamento laico.

 

6.1 Cos’é l’insegnamento laico?

Di tutte le definizioni che possono essere date dell’insegnamento laico, la più appropriata è quella che fa diretto riferimento al suo carattere negativo: insegnamento laico equivale - quanto meno - ad a-religioso, all’assenza d'insegnamento religioso.

Di fronte all’insegnamento ed all’educazione religiosa, che cerca non solo d'informare, ma di formare religiosamente gli uomini, facendone dei fedeli cattolici, l’insegnamento laico, invece, resta, teoricamente, al margine della religione: quel che gli uomini saranno sul piano religioso non gli importa. Così, insegnamento laico significa educazione non religiosa.

Precursori dell’insegnamento laico, della scuola laica, sono la tesi della neutralità dell’insegnamento e la scuola neutra, assieme all’insegnamento statale. Si voleva un insegnamento neutrale sul piano religioso: ma la neutralità è impossibile. Oggi, nessuno più sostiene la tesi che l’educazione o l’insegnamento possano essere neutrali, perchè entrambe sono basate su una filosofia, quando non su una religione. Di fatto, la pretesa neutralità presuppone un rifiuto dell’educazione e insegnamento religiosi, il che costituisce già una presa di posizione determinata e assai caratteristica.

In fondo, originariamente, tanto la tesi della neutralità quanto quella della laicità, sono contrarie, attivamente contrarie, alla religione cattolica, nonostante vi sia chi in buona fede lo ignori o non creda che sia così (1). Infatti, sia la scuola neutra, sia quella laica, sono caratterizzate dal rifiuto dell’insegnamento o dell’educazione religiosa; dal vietare all’uomo, nel suo iter formativo, il sentiero per il quale camminare verso Dio senza pericolo, obiettivo finale della religione.

6.2 Argomenti a favore dell’insegnamento laico

In primo luogo, si sostiene che l’insegnamento e la scuola laica non creano divisioni, nè tra gli alunni nè tra le famiglie, perchè ricerca un'unione al di sopra di qualsiasi credo religioso che, questo sì, divide e separa gli uomini (2). In questo modo la scuola e la società funzioneranno perfettamente quando tutti i suoi membri nutriranno vicendevolmente stima e rispetto, convivranno e collaboreranno nelle opere sociali, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose. Diversamente, sorgeranno divisioni, guerre di religione, inquisizioni, rancori e incomprensioni. Infine, la scuola laica andrebbe a costituire l’ideale dell’umanità, unita nei valori comuni delle civiltà. Si tratta solo di dimenticare, nell’educazione, quel che può dividere, e di concentrarsi su quanto può unire.

In secondo luogo, l’insegnamento laico educa nella libertà, è la scuola della libertà, la favorisce e sopprime le costrizioni, non violenta la coscienza del bambino con l’educarlo in modo asettico dal punto di vista religioso: e ciò perchè, successivamente, possa scegliere liberamente, con cognizione di causa, la religione che preferisca o non sceglierne alcuna, se questo è il suo desiderio. Con questo si eviterebbe la repressione, le tare ed i traumi dei tantissimi che hanno patito a causa di una formazione religiosa, dogmatica e costrittiva.

In terzo luogo, l’insegnamento laico dà maggiore obiettività di quello religioso, potendo guardare tutte le religioni e fedi senza apriorismi dogmatici, mentre aiuta a dare a valore a quanto di buono c’è in esse.

In quarto luogo, si favorisce lo scambio fra nazioni, popoli e persone, che così non si guarderanno più con l’antagonismo dovuto alla professione di religioni diverse.

In quinto luogo, si afferma che, in ogni caso, l’insegnamento statale debba essere laico, perchè allo Stato è indifferente la religione professata dai suoi sudditi, a patto che siano buoni cittadini. Quel che conta è l’esistenza di una morale civile, laica, ai margini di qualunque credo o fede religiosa.

In sesto luogo si sostiene, anche nei confronti dell’insegnamento statale, che è ingiusto costringere ad assistere all’insegnamento religioso, cattolico, chi non lo professa o chi, semplicemente, non lo gradisce.

 

6.3 La realtà di tali argomenti

Verso la prima delle argomentazioni segnalate, che ha l’aspetto della moderazione, prudenza e giustizia, si deve dire che alto non è che un allegro ma non troppo canto di sirena. E questo perchè, da un lato, l’unione è possibile solo su di una base comune, prescindendo totalmente da differenze e divergenze. Con questo, la convivenza sociale poggerebbe sui pilastri meno solidi che possa avere (a loro volta sprofondanti nelle sabbie mobili del relativismo), dato che la parte di valori in comune è la minore, e tanto minore quanto più crescono le differenze di convinzioni: per poterle abbracciare tutte, i valori in comune saranno di volta in volta sempre più limitati.

D’altra parte, quali possono essere tali valori comuni? Dio? Evidentemente no, perchè è rifiutato. Sarà forse il rispetto per la vita? Eutanasia ed aborto ci dicono di no. Almeno, esistono tali valori comuni? L’unico valore, ammesso che possa essere considerato tale, è il totale rispetto delle convinzioni altrui e delle loro espressioni, qualsivoglia siano. Il relativismo, che è mutevole per definizione, sarebbe il pilastro comune, il valore fondamentale. Cosa si può fare col molle ghiaccio del relativismo, quando lo stesso può sparire?

Sulla base degli argomenti addotti nella seconda delle argomentazioni favorevoli all’insegnamento laico, la coscienza del bambino non dovrebbe essere violentata neppure per fargli apprendere la "noiosa" matematica, il latino "inutile" o le diverse scuole filosofiche. Qualunque materia dovrebbe essere rifiutata nell’insegnamento finché il fanciullo, divenuto maggiorenne, scelga liberamente quel che più gli piace. Solo così sarebbe davvero evitata ogni repressione, le tare e i traumi dei tanti che hanno sofferto a causa di una formazione matematica, filosofica... dogmatica e costrittiva.

Di fatto, portando alle logiche conseguenze quest'argomento, ogni insegnamento ed educazione dovrebbe sparire: di tutto quanto richiede un apprendistato (cioè di ogni attività, della vita stessa), i bambini dovrebbero imparare solo quel vogliono, liberamente, e che successivamente, da maggiorenni, sceglieranno.

L’insegnamento religioso, l’educazione cattolica, non comporta il disconoscimento delle convinzioni altrui; al contrario, una buona educazione religiosa - mentre riafferma la fede cattolica confrontandola con le altre religioni - non implica che, essendo false, tutti i loro contenuti siano cattivi.

Il quarto argomento è simile al primo perchè, oltre a quanto già detto, ci si deve chiedere se l’ordine internazionale, oggi, sia un esempio di pace e comprensione. Non deve forse invidiare qualcosa all’ordine della Cristianità? Il materialismo è frutto del cattolicesimo? Lo è il razzismo? Il genocidio è conseguenza della dottrina cattolica? Si potrebbe, piuttosto, fare un lungo elenco di atti e situazioni di barbarie, frutto dell’abbandono della Legge di Dio da parte degli uomini.

L’unione più utile, la vera unione e collaborazione fra uomini e popoli, non deriva da convivenze pacifiche, nè da trattati internazionali che si rompono a capriccio, ma dall’unione nella stessa fede: la fede cattolica. La religione cattolica ha evangelizzato, mentre dava la civiltà al mondo. Oggi la barbarie più assoluta tende le sue ali sul mondo, a causa dell’abbandono delle fede dei padri: è l’argomento dei fatti a ritorcersi contro i fautori dell’insegnamento laico.

In quinto luogo - e prescindendo dal fatto che lo Stato non è competente in ambito educativo se non in modo sussidiario (3) -, ci si deve chiedere in cosa consista l’essere un buon cittadino: nel rispettare le leggi? Se così fosse, qualora la legislazione fosse un prodotto dello Stato scritto nell’oblio di un ordine superiore (che per principio è respinto), si deve concludere che l’essere buoni cittadini consiste nell’osservare le leggi dello Stato, qualsiasi esse siano. Se le leggi sono il frutto della volontà generale, che non riconosce un solo ordine superiore a tale volontà, l’essere buon cittadino consisterebbe nell’osservare tali leggi. Se sono il frutto di un uomo, chiunque egli sia, essere buon cittadino vuol dire compiere la sua volontà. In tutti i casi citati, l’essere buon cittadino equivale ad essere uno schiavo. E’ accettare il totalitarismo o la tirannia, che sia di uno, di pochi o della maggioranza. E se tale morale civica, laica, non consiste nell’osservanza delle leggi, dove la si può trovare? In cosa consisterà? Ci ritroviamo nella stessa obiezione già rivolta al primo argomento.

Perchè mai un uomo religioso, cattolico, non dovrebbe essere un buon cittadino? Non è egli un buon suddito? Un cittadino cosciente del rispetto che deve alle leggi, ai suoi simili, ai governanti e a Dio, non è forse un buon cittadino? Quale cittadino e suddito sono migliori del cattolico che vive coscientemente e responsabilmente la sua fede?

Infine, e con gli stessi argomenti, si potrebbe trattare dell’ingiustizia consistente nell’impedire che siano educati religiosamente quanti lo desiderano. Godono forse questi di minori diritti di quelli? Come segnalava Vàzquez de Mella (4), l’insegnamento laico presuppone una diseguaglianza di diritti a favore di quanti non vogliono l’insegnamento religioso e va a pregiudizio di coloro che desiderano i figli educati conformemente alla religione cattolica.

6.4 Scristianizzazione della società

Infine, latente in tutte quelle argomentazioni ed in innumerevoli altre che potrebbero formularsi, c’è il relativismo più assoluto: la negazione dei doveri verso Dio; la negazione dell’esistenza di una religione vera; la negazione della Rivelazione; il rifiuto di una società cristiana in quanto società; l’ateismo diffuso.

E’ proprio quello il suo esito: l’ateismo. Una società atea - passante o meno per uno stadio sincretista - o panteista. In ogni modo da rifiutarsi (5).

Per i cattolici, dunque, l’insegnamento laico è inammissibile: è una questione sulla quale la condizione di cattolici non consente dubbi, nonostante vi sia chi sotto il nome o l’apparenza di cattolico - compresi importanti uomini di Chiesa, laici o chierici, o persino vescovi -, dica il contrario. E’ per questo che il Papa lo ha ricordato e sottolineato senza posa, ogni qualvolta questa situazione si è presentata (6).

 

6.5 Insegnamento laico versus libertà d'insegnamento

Si deve notare che la tesi dell’insegnamento laico viene formulata non già come tipo d'insegnamento per chi lo desidera (in modo che non tocchi quanti la riprovano e desiderano un insegnamento religioso), bensì come un modello d’insegnamento, non migliorabile, che essendo tale deve essere imposto obbligatoriamente. E’ per questo che l’insegnamento laico sopprime la libertà d’insegnamento in qualsiasi dei suoi presupposti.

Così, se la tesi dell’insegnamento laico è formulata con caratteri d’obbligatorietà, vale a dire si sostiene che ogni insegnamento debba essere laico, è ovvio che la libertà per l’insegnamento scompare. Cosa faranno i genitori che desiderano i figli educati nella religione cattolica? Gli alunni che vogliono crescere nel seno della Chiesa? A questi è negata la libertà di imparare la religione nelle scuole; non liberi neppure di creare istituti d’insegnamento in cui questo non sia laico.

Se la tesi dell’insegnamento laico viene formulata con carattere d’obbligatorietà relativamente all’insegnamento statale, è egualmente evidente la scomparsa della libertà per l’insegnamento. E’ chiaro che, se a fianco dell’insegnamento statale coesiste pienamente quello privato, questo potrà essere religioso; così, sembra, all’inizio, che non essendo l’insegnamento laico statale unico, non attenti alla libertà. Ma la faccenda non è così semplice. Così, se l’insegnamento statale esiste per favorire le famiglie, di solito le meno capaci economicamente, ne consegue che si fa più torto ad esse che a quelle non cattoliche. Ciò accade perchè le famiglie cattoliche saranno costrette a mandare i propri figli nei collegi privati, affinchè ricevano un’educazione religiosa, cattolica, dal che deriva che: (a) vengono ad esse chiuse le porte dei collegi di Stato, mentre sono completamente aperte per quanti desiderano la scuola laica; (b) le famiglie cattoliche dovranno pagare due volte per l’insegnamento ai figli: con le imposte, per l’insegnamento statale, aggiuntivamente, per quello privato; (c) si verifica la tremenda ingiustizia per cui quanti vogliono l’insegnamento laico e mancano di mezzi economici sufficienti, saranno privilegiati rispetto a coloro che - nella stessa condizione economica - sono cattolici, godendo di un privilegio totalmente ingiusto.

Secondo la concezione cristiana della libertà, che essendo l’unica vera è la sola che abbia valore per i cattolici, l’insegnamento laico, qualsiasi sia la sua forma o manifestazione, è contrario alla libertà. E questo perchè Gesù Cristo ha detto: "Conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi" (Gv 8,32). Un cattolico deve partire da questa base; ma se si nega la conoscenza della Verità, come nella scuola laica, come sarà possibile la libertà? L’insegnamento laico sopprime, a priori, tutto quel che è relativo a Dio; come cattolici dobbiamo invece rendere la nostra vita dipendente in tutto da Dio, perchè per questo siamo stati creati, per servirlo in questa terra e goderlo in Cielo, essendo Lui "la Via, la Verità e la Vita".

In realtà, la tesi della libertà d’insegnamento è una tesi cattolica, non liberale; i liberali (ed i loro antesignani, gli uomini dell’illuminismo), durante il secolo scorso e quello attuale, non hanno mai difeso la libertà d’insegnamento, bensì la libertà di cattedra, la libertà della scienza. E fecero ciò non in relazione alla libertà di tutti, ma solo per quanti la pensavano come loro, escludendo quanti pensavano in modo diverso, come i cattolici.

Così, il radical-socialista Alvaro de Albornoz, nell’ottobre 1931, alle Cortes esclamava: "L’insegnamento è una funzione ineludibile e indeclinabile dello Stato... La libertà d’insegnamento non è, nè è stata, storicamente, un principio liberale. Condorcet, il grande pedagogo della rivoluzione, proclama il diritto di ciascuno ad insegnare le sue dottrine, ma il diritto di insegnare verità, non d’insegnare dogmi; e Mirabeau, il grande politico della rivoluzione, preconizza un sistema d’istruzione pubblica volto a formare una coscienza nazionale e proibisce l’insegnamento a tutte quelle corporazioni portatrici di interessi particolari. La bandiera della libertà d’insegnamento, è bene dirlo qui e in queste contingenze, signori Deputati, altro non è che una bandiera clericale... La scuola laica, vecchi liberali spagnoli, che non è la scuola empia, nè atea, nè senza Dio, ma è quella che chiedono i grandi pedagogisti, i Gerba, i Pestalozzi e i Froebel, che altro non è che la scuola libera e redenta dall’influsso teocratico che tende a conquistare l’anima del bambino nei suoi primi anni, ad influenzare prima d’ogni cosa e soprattutto l’anima del bambino, depositandovi i germi più fecondi per lo sviluppo futuro della vita nazionale" (7).

Come si evince da questa citazione, non c’è libertà per chi non la pensi come loro; la scuola laica non ne permette un'altra, che non la sia; non è nemica di Dio, nè empia, nè atea, ma impedisce la formazione nel rispetto di Dio, nella pietà e nella fede. Si combattono i dogmi nel nome della libertà, ma - paradosso! - s'impone l’insegnamento laico dogmaticamente. A ragione la voce del popolo diceva, a proposito dei liberali del XIX secolo: "proclamo il libero pensiero ad alta voce, e muoia chi non la pensa come me". E’ un detto che si può applicare anche a quanti si vantano d'essere liberali nel nostro secolo, e cercano d’imporre l’insegnamento laico.

6.6 Tolleranza verso i non cattolici

E’ chiaro che, sino a questo punto della trattazione, si sta facendo riferimento agli obblighi di una società cristiana nei confronti dell’insegnamento. In una società cristiana, cosa accade verso i non cattolici? Devono costoro ricevere obbligatoriamente un’educazione religiosa, un insegnamento cattolico?

E’ utile ricordare che la tolleranza dell’errore (tollerare significa sopportare, e la verità non si sopporta; si sopportano solo l’errore e il male) non è un bene di per sè, ma un male minore che, come tale, deve essere considerato: ed errori sono tanto l’insegnamento laico quanto le religioni non cattoliche. E’ per questo che si parla di tollerare, non potendosi mai ledere i diritti dei cattolici in campo religioso per dare benefici a qualunque altra religione.

Per lo stesso principio, tuttavia, consegue che non si devono obbligare gli acattolici ad assistere a manifestazioni religiose, a venire educati nella religione cattolica (il che non vuol dire che sono esclusi dall’insegnamento, dato che educazione e insegnamento non sono termini equivalenti 8 ) ed anche che, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, si può permettere l’esistenza di collegi in cui non viene impartita la religione cattolica a quanti non sono cattolici.

Facendo questo, non si violenta la coscienza dei non cattolici, che non sono educati nella religione cattolica, e neppure si favorisce la formazione di una società in cui impera il relativismo e l’ateismo, come invece accade con la "soluzione" proposta con l’insegnamento laico.

 

6.7 Un nuovo ideale d'umanità

In realtà, l’insegnamento laico pretende d’essere, attraverso la cultura, il nuovo ideale dell’umanità. Di un’umanità senza Dio, che rifiuta a priori. E la cultura dovrebbe essere questo nuovo ideale.

Marie Claire Gousseau (9), con citazioni degli apostoli della nuova cultura, segnala precisamente quel carattere distruttivo che oggi si vuole dare alla cultura: una cultura nuova, effimera e falsa, anche quando la si riveste di un’apparenza meravigliosa (ma che si contrappone alla vera cultura, alla quale vuole sostituirsi sino a provocarne la scomparsa), così come, nonostante il magnifico aspetto, era falso ed effimero l’usignolo meccanico del racconto di Andersen che sostituì, a causa della cecità degli uomini (come oggi avviene con la cultura), il vero usignolo.

Così, l’ideale dell’umanità consisterebbe in un insegnamento laico, che congiuntamente ad una morale laica, impartirebbe la cultura; esso non si limiterebbe a prescindere da Dio sul piano sociale, in quello dell’insegnamento e dell’educazione e lasciando la religione confinata al terreno individuale della coscienza dell’uomo, bensì, piuttosto, sarebbe destinato a prendere il posto di Dio e della religione.

Come avverte Marie Claire Gousseau "anche se non si considera una nuova religione, la cultura, senza dubbio, tende a svolgere il ruolo religioso verso gli uomini privi di religione... Quell’uomo senza religione, lo ammette lo stesso André Malraux, è un uomo solo, che cerca di sfuggire alla sua solitudine. La cultura gli offre un cadre-force, analogo a quello costituito dalla Comunione dei Santi per i credenti, che gli permetterà così di suscitare nuovi legami umani" (10).

E’ un nuovo ideale d’umanità, ovviamente di una nuova umanità, in cui la religione, specialmente quella cattolica, non trova posto, perchè è considerata come vestigia culturale di epoche remote, ignoranti e superstiziose, che il moderno progresso non può tenere in considerazione; un ideale di nuova umanità che oggi si vuol far tornare a risorgere con argomenti analoghi a quelli usati nel secolo scorso (11). E’ un ideale che non potrà ottenere altro che affondare l’umanità nell’abisso della propria distruzione, privandolo della religione, del legame con Dio, che è l’unico che può davvero dar vita ad un’umanità nuova, nella quale la natura umana viene elevata dal dono soprannaturale della Grazia divina, cosicchè ogni uomo può giungere a Dio per i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo. E’ questa l’unica verità che abbia davvero importanza, ma che quel nuovo ideale d’umanità disfà completamente col sostituire la cultura alla religione: una cultura che, per ciò stesso, risulta falsa ed effimera, nonostante i luccichii dorati con cui si riveste.

 

NOTE

  1. Mi sembra utile aggiungere alcune citazioni che lo ricordano; così, Ferdinand Buisson (collaboratore di Jules Ferry, e uno dei padri del laicismo francese), nel 1905, affermava: "I maestri sono i militanti, i prolungatori dell’ideale laico [...] la neutralità non deve essere un pretesto per annientare la legittima influenza che la scuola laica deve avere in un paese repubblicano. Non accetiamo che la scuola sia neutrale nel senso assoluto e totale di questa parola. Ciò sarebbe una mostruosa esagerazione" (Michel Creuzet, Enseignement-Education, Montalza, Parìs 1973, p. 14). Il socialista René Viviani (uno dei capi del partito socialista, Ministro e Presidente del Consiglio) segnalava: "La neutralità scolastica non è mai stata altro che una bugia diplomatica ed una tartufferie di circostanza. La invocavamo per addormentare gli scrupoli dei titubanti [...] Non abbiamo mai avuto un obiettivo diverso da quello di fare un’Università antireligiosa, ed antireligiosa in modo attivo, militante, bellicoso" (M. Creuzet, Ibidem). Nel 1925, in Francia, un ispettore d’accademia, dichiarava: "Il fine della scuola laica non è quello d’insegnare a leggere, scrivere e far di conto: è quello di formare dei liberi pensatori. Quando a tredici anni, lasciando i banchi di scuola, lo studente laico non ha approfittato dell’insegnamento, continua a essere credente" (M. Creuzet, Ibidem). Il fatto è che, come segnalano Cramer e Browne, dopo la Rivoluzione in Francia, "il proposito dei dirigenti rivoluzionari era di sottrarre tutto il sistema educativo al controllo della Chiesa, perchè ritenevano l’atteggiamento clericale antirivoluzionario ed antirepubblicano" (Educaciòn contemporànea, UTEHA, México 1967; cfr. anche pp. 89 e seg.). Un proposito che continua ad essere realtà.
    In Spagna, come in Francia, la bandiera dell’insegnamento neutro e laico fu innalzata per rimuovere l’influenza della Chiesa sugli uomini, per far sì che accettassero tutte quelle dottrine contrarie alla religione ed all’ordine naturale, in modo da non costituire un ostacolo per la rivoluzione. Così, per la testimonianza non sospettabile d'integrismo di Yvonne Turin, ciò che spinse i liberali (padri dei socialisti e di tutti i rivoluzionari) ad occuparsi della scuola fu la necessità di diffondere le loro opinioni (contrarie alla religione cattolica) perchè la popolazione accettasse la democrazia; si occuparono di scuola per educare al liberalismo, e perciò dovettero sopprimere l’insegnamento religioso introducendo quello laico; l’istruzione avrebbe svolto il ruolo della religione nella futura e nuova società (Yvonne Turin, La educaciòn y la escuela en España de 1874 a 1902. Liberalismo y tradiciòn, Aguilar, Madrid 1967, pp. 35 e segg.; nello stesso senso Marìa Dolores Gòmez Molleda, che segnala la necessità di un cambiamento di mentalità perchè il liberalismo potesse mettere radici in Spagna, Los reformadores de la España contempànea, C.S.I.C., Madrid 1966, p. 18). Era, in verità, la tesi di Jules Simon (Ministro e Capo del Governo), che fu successivamente esacerbata nella Spagna della Seconda Repubblica. Nel corso di questa, non mancarono coloro che, sotto l’apparenza dell’innocuo insegnamento laico, attaccarono morbosamente l’insegnamento della religione cattolica e della Chiesa. Tra costoro fu Rodolfo Llopis, che il 3 giugno 1936 affermò: "Sia soppresso l’insegnamento congregazionale, perchè il peggio che si può fare è lasciare che si continuino a prostituire le coscienze dei bambini" (citato da Mariano Pérez Gallan, La enseñanza en la Segunda Repùblica Española - Cuadernos para el dialogo, Madrid 1975, p. 318 -, un libro nel quale il settarismo raggiunge vette inimmaginabili ma che, nonostante questo, è utile per le citazioni contenute, che dimostrano il contrario di quanto il suo autore, con ogni genere di epiteti peggiorativi, pretende). Lo stesso Llopis, il 20 ottobre 1931, aveva detto: "L’insegnamento laico presuppone soprattutto, se non esclusivamente, rispetto verso la coscienza del bambino [...] Il modo di rispettarla è lasciare fuori dalla scuola ogni specie di dogmatismo [...], la scuola deve essere liberatrice, liberante, e vorremmo avere l’illusione che la coscienza libera, quando possa liberamente decidere, di fronte alla diseguaglianza sociale, di fronte all’ingiustizia sociale, saprà scegliere la sua strada [...]. Costruendo delle coscienze libere, faremo dei socialisti" (citato da M. Pérez Galàn, op. cit., p. 86).
    Le citazioni potrebbero continuare all’infinito, ma verrebbe meno lo scopo del presente lavoro.
  2. Gli argomenti addotti sono quelli che gli stessi partigiani dell’insegnamento laico non hanno cessato di ripetere, tanto in Francia che in Spagna. Sul laicismo nelle sue diverse manifestazioni nelle varie nazioni (francese, tedesco, nordamericano, terzomondiale, spagnolo, italiano ed anche quello dell’ONU e dell’UNESCO) si può leggere il riassunto di Pedro Chico Gonzàlez, La escuela cristiana, Bruño, Madrid 1977, pp. 83-140. Sul laicismo in Francia, si veda M. Creuzet, L’enseignement, Club du livre civique, Parigi 1965, pp. 166-243 ed Enseignement-Education, op. cit., pp. 11-37. Sul laicismo in Spagna nel secolo XIX, si veda il libro di Yvonne Turin già citato; sul laicismo nella Seconda Repubblica spagnola, oltre al già citato libro di M. Pérez Galàn, le recenti opere di Mercedes Samaniego Boneu, La polìtica educativa de la Segunda Repùblica durante el bieno azañista, C.S.I.C., Madrid 1977, e Antonio Molero Pintado, La reforma educativa de la Segunda Repùblica española. Primer bienio, Santillana, Madrid 1977. Sul laicismo della Instituciòn Libre de Enseñanza, soprattutto M. D. Gòmez Molleda, op. cit,, e Vicente Cacho Viu, La Instituciòn Libre de Enseñanza (I. Orìgenes y etapa universitaria), Rialp, Madrid 1962.
  3. Cfr. E. Cantero, ¿A quien corresponde educar y enseñar?, op. cit.
  4. Juan Vàzquez de Mella, Discorso all’Accademia di Giurisprudenza del 17 maggio 1913, nel volume Vàzquez de Mella y la educaciòn nacional, Alcalà de Henares, 1950, p. 76.
  5. "La neutralità della scuola - scriveva Enrique Gil y Robles - è l’ateismo scolastico coperto da un termine - di suo e a prima vista - innocente, che tuttavia esprime tutti gli errori della libertà di coscienza naturalistica. La neutralità presuppone che la società ed il potere civile non siano obbligati ad essere religiosi e fedeli alla vera religione, nonostante i motivi naturali e soprannaturali di credibilità... da ciò l’indifferenza e la passività dello Stato di fronte alle varie religioni positive. La scuola neutra non trova giustificazione neppure per ipotesi, ossia, per ragioni di tolleranza forzosa o di prudenza governativa; anche nella calamitosa condizione di una società divisa in fedi diverse, senza che una sia predominante e ufficiale, siccome lo Stato non è docente di suo, ma compie il suo stretto dovere solo lasciando piena libertà di scelta e funzionamento alle scuole confessionali" (Tratado de derecho politico, Afrodisio Aguado, II ed., Madrid 1961, tomo I, pp. 239-240).
  6. Cfr. ad esempio, Pio IX, Sillabo, dell'8-2-1864, op. cit., proposizione 48; Leone XIII, Nobilissima gallorum gens, dell'8-2-1884, op. cit. n. 4; Pio XI, Divini illius magistri, del 31-12-1929, op. cit., n. 64, e Firmissimam constantiam, del 28-3-1937, n. 29. [Cfr. pure Esortazione Apostolica Familiaris consortio, del 22-11-1981, n. 40: "Se nelle scuole si insegnano ideologie contrarie alla fede cristiana, la famiglia insieme ad altre famiglie, possibilmente mediante forme associative familiari, deve con tutte le forze e con sapienza aiutare i giovani a non allontanarsi dalla fede. In questo caso la famiglia ha bisogno di aiuti speciali da parte dei pastori d'anime, i quali non dovranno dimenticare che i genitori hanno l'inviolabile diritto di affidare i loro figli alla comunità ecclesiale"; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2226 "L'educazione alla fede da parte dei genitori deve incominciare fin dalla più tenera età dei figli", n.d.t.]
  7. Citato da M. Pérez Galàn, op. cit., pp. 75-76.
  8. Ciò equivale a dire, come segnalava Vàzquez de Mella, che l’insegnamento religioso, della religione cattolica, deve essere obbligatorio in tutte le scuole spagnole, purchè sia inteso come materia che viene insegnata e non come obbligo di accettarne i principi. Per amare la nostra Patria - continua Mella -, la Spagna, la si deve conoscere, ma non la si conosce se si ignora la religione cattolica che è così intimamente legata alla nostra storia, all’essere della Spagna, al punto che senza cattolicesimo non si può capire la nostra storia, diversamente che per ogni altra religione (Cfr. il riassunto che intorno a questo tema ha fatto Manuel Rodrìguez Carrajo, El pensamiento sociopolitico de Mella, ed. della rivista Estudios, Madrid 1974, pp. 97-99). Sulla religione cattolica, essenza della Spagna, si veda il meraviglioso "epilogo" di don Marcelino Menéndez y Pelayo alla sua magnifica Historia de los heterodoxos españoles.
  9. Marie Claire Gousseau, La culture et le rossignol, Nouvelles Editions Latines, Parigi 1970, p. 37 e successive.
  10. M. Claire Gousseau, op. cit., p. 38-39.
  11. Su questo tema, iniziato in Spagna da Sanz del Rìo e continuato dagli altri krausisti e dai loro successori, specialmente da Giner e dalla Instituciòn Libre de Enseñanza, si veda l’opera di M. Dolores Gòmez Molleda.