CAP. VII - L'uguaglianza di opportunità e
la democratizzazione dell'insegnamento

 

Una delle caratteristiche più sentite e temibili della società attuale é il processo di massificazione (1) in cui l'uomo vive. In questa prospettiva, e relativamente all'insegnamento, se ne può non soltanto osservare la massificazione, ma anche che si trasforma in un processo di massificazione. Ciò obbedisce, tra altre ragioni, ad una serie di slogan che, senza riflettere, divengono le verità più dogmatiche, contro le quali, frequentemente, il solo cominciare una discussione comporta il rifiuto dell'ascolto. E', propriamente, la fede irrazionale nel movimento della storia.

Tra i motivi, attuati per mezzo dell'insegnamento, che portano al processo di massificazione, occorre segnalare il dogma della democratizzazione dell'insegnamento, quello dell'eguaglianza di opportunità e, ovviamente, quello del monopolio statale sull'insegnamento.

 

7.1 L'eguaglianza d'opportunità

Si dice che l'eguaglianza d'opportunità sia una delle basi su cui si debbano imperativamente fondare l'insegnamento e l'educazione: l'egualitarismo, frutto della Rivoluzione francese, arriva anche all'insegnamento. Per aver confuso istruzione e educazione, e perché l'educazione nel suo autentico significato non può essere che anti egualitaria, accade che l'educazione si riduca a istruzione e l'egualitarismo sia elevato a norma con cui si regola l'insegnamento.
Con l'eguaglianza di opportunità, si pretende che tutti gli uomini abbiano teoricamente le stesse possibilità di istruzione, considerandola come l'unico mezzo - l'unico per farlo in modo degno - di ascesa per raggiungere le posizioni più elevate, quello che apre tale possibilità a tutti.
A tale eguaglianza di opportunità si oppone, di conseguenza, tutto quanto non sia riducibile alla mera capacità dell'alunno di raggiungere i diversi gradi di istruzione, cioè tutto quel che costituisce l'organizzazione sociale naturale: l'ambiente familiare, quello locale, i mezzi economici... Si stabilisce, ad esempio, che per nessuno le differenze economiche debbano essere motivo di diseguaglianza nell'insegnamento, perché si considera ingiusto che tali diseguaglianze si ripercuotano in diversità di insegnamento. In realtà l'eguaglianza d'opportunità potrebbe essere ottenuta solo se il bambino passasse al nido appena nato ed i genitori fossero opportunamente allontanati: tuttavia, anche in questo caso, l'eredità biologica provocherebbe le sue differenze fondamentali.
Ebbene, l'eguaglianza d'opportunità dà realmente corso alle diseguaglianze più terribili e feroci perché, fissandosi su un solo aspetto dell'uomo (e non su quello più importante), tralascia di considerare tutte le altre sfaccettature che lo caratterizzano, innalzando l'eguaglianza al rango che solo la totalità possiede. Con ciò si spezza l'ordine della natura e, dando valore solo ad un aspetto parziale, si sostituiscono le diseguaglianze naturali, non nocive, con altre insopportabili, in quanto artificiali.
L'istruzione e l'insegnamento sono, infatti, un aspetto dell'educazione, e non il più importante: se si tenesse conto di ciò e dell'ordine naturale del quale l'uomo fa parte, la vera e unica eguaglianza d'opportunità (che permetterebbe un maggiore beneficio anche nel campo dell'istruzione), consisterebbe nel rispetto di tutte le sfaccettature delle molteplici differenze degli uomini, per permettere a quanti sono diversi di raggiungere i propri fini in accordo con quelle diversità, delle quali non si può fare tabula rasa senza distruggere ed annientare l'uomo e la società. In altre parole, si deve tenere conto degli uomini concreti e non di una concezione astratta dell'uomo, una costruzione mentale, lontana dalla realtà e alla quale si chiede di adattare tutti gli uomini concreti.
In effetti, l'eguaglianza d'opportunità è difesa sulla base di considerazioni di giustizia, ma é condizione di giustizia il non trattare nello stesso modo quanti sono differenti. In realtà, facendo appello alla giustizia per difendere l'eguaglianza d'opportunità, si é previamente identificata la giustizia con l'eguaglianza più assoluta, con l'egualitarismo. Si ignora la giustizia distributiva (e, soprattutto, la giustizia legale o generale), lasciando soltanto la giustizia commutativa la quale, d'altro canto, viene applicata ad un campo che non le é proprio. Di conseguenza il bene comune scompare e l'ordine sociale si riduce ad un'eguaglianza astratta e meccanica che, per giunta, la é solo in teoria.

L'eguaglianza d'opportunità che, col pretesto delle diseguaglianze economiche, si sta diffondendo (riducendo ogni problema alla "ingiustizia" dei diversi tipi di insegnamento), finisce coll'imporre l'eliminazione d'ogni tipo di diseguaglianze sociali e ambientali naturali: di tutta la complessità e la ricchezza della persona assume come base la sola capacità intellettuale individuale. Con questo, le ingiustizie reali esistenti nella società (giacché essa non é perfetta, né potrà mai esserla) crescono, vengono esacerbate e danno vita a un'enormità di ingiustizie artificiali molto peggiori.
D'altra parte, è il principio stesso, basato sulla capacità intellettuale, ad essere falso in sé stesso: messa di fronte allo stesso tipo d'insegnamento, la persona dotata intellettualmente ha le stesse opportunità negli studi di quella che non la é? E' evidente che non é così: salvo che al momento dell'iscrizione, per l'uno la scuola sarà un disastro, per l'altro no. Chi può restare nel proprio ambiente e chi deve lasciare la famiglia e la località in cui ha amicizie e legami, hanno le stesse opportunità? Neppure: il primo trova l'appoggio dell'ambiente che lo circonda, mentre il secondo deve superare l'handicap della solitudine e, a volte, d'un ambiente ostile o al quale, semplicemente, non riesce ad adattarsi.
L'eguaglianza d'opportunità, invece, esiste realmente quando uno vive e si forma nel proprio ambiente: il diplomato ed il contadino divenuto tale nella sua casa (e dedicatosi ad imparare con amore), o il meccanico che ha vissuto nell'officina (magari sin da bambino, con suo padre, o con gli amici nel piccolo villaggio), avranno successo, seppure in campi diversi. Nessuno di loro sarà un fallito e ciascuno potrà sviluppare la propria personalità. L'educazione non mira alla formazione di un uomo standard, ma all'autentica formazione d'ogni uomo e allo sviluppo della sua personalità, che é differente per ciascuno. E ciò si ottiene con un insegnamento universale ma diversificato (2).
Come scrive Marie Madeleine Martin: "Chi mai segnalerà gli squilibri causati da questi bruschi cambiamenti d'ambiente, sostenuti solo dalla cultura e dall'intelligenza, senza educazione di tutta la personalità? Chi segnalerà i sacrifici delle persone trapiantate, private dell'appoggio del loro gruppo originario, che non possono arrivare rapidamente ad un ambiente superiore, tolte dalla loro sfera, tentate da tutti gli squilibri, spesso sviate? [...]. Il fatto é che l'intelligenza, di tutte le forme sociali, é la meno appropriata per formare una nuova aristocrazia, essendo essenzialmente un privilegio personale [...]. Nella realtà le promozioni saranno più complesse [...]. La natura! ecco quel che contraddice il dogma dell'eguaglianza. L'eguaglianza vorrebbe, a qualunque costo, generalizzare i doni eccezionali, affermare che appartengono a tutti. Orbene, per qualsiasi bambino normalmente dotato, é abbastanza facile (e qui é la trappola) giungere ai primi gradini dei cicli scolastici ed anche ad alcuni abbastanza lontani dal primo. Il difficile, quel che non raggiungono se non le persone di élite (così rare), é riuscire a superare tutti gli ostacoli che si frappongono al risultato stando fuori dal proprio ambiente [...] e provando alla fine che, realmente, si era nati per raggiungere quella vetta" (3).
L'eguaglianza d'opportunità, paradossalmente, produce più danni e diseguaglianze verso i meno dotati o verso quanti non hanno la fortuna di trovare un centro d'insegnamento nella loro località. L'eredità culturale, religiosa e morale che il bambino riceve dalla convivenza familiare è soppressa (soprattutto e con più violenza) per coloro che sono sottoposti al cambiamento maggiore, per tutti quelli che devono abbandonare il loro ambiente per studiare.
E' un'eguaglianza di opportunità che, compendiando tutto all'intelligenza individuale ed escludendo ogni altro aiuto, é più pregiudizievole per coloro che hanno un bagaglio culturale - acquisito nel seno della loro famiglia e località - meno ampio, essendo più facile da radere al suolo di quello di chi lo ha maggiore. D'altronde, col ridurre tutto all'intelligenza, si dimentica che è l'insieme delle condizioni sociali in cui si é vissuti e si é stati educati a permettere all'uomo di capire tutta una serie di problemi che l'intelligenza da sola, staccata dall'ambiente, non potrà risolvere, per quanto grande sia. Si dimentica pure che non é la sola intelligenza a determinare la capacità di studio, ma é la volontà: senza di questa, anche se si é molto intelligenti, nessuno - neppure la natura - può dire osservando la sola capacità intellettuale chi sia capace di dedicarsi allo studio.
L'eguaglianza d'opportunità acceca molti uomini con sogni che non diventeranno mai realtà, veri miraggi, per i quali abbandonano il loro contesto ambientale, con la conseguente distruzione delle élite del multiforme corpo sociale, nonché - con grande e sempre maggiore frequenza -, l'insuccesso dello stesso alunno: questi, divenuto al massimo un funzionario, ubbidirà ed eseguirà ordini senza alcuna responsabilità né idea propria. Inoltre, come osserva Creuzet, "le nuove generazioni di lavoratori cominciano ad inquietarsi vedendo che i "primi della classe" dei villaggi, puntano all'insegnamento ed al funzionariato, mentre gli allievi delle scuole d'agricoltura abbandonano l'attività familiare per la carriera d'agronomo "degli altri", o per l'impiego in un consorzio agricolo", e ciò "nonostante la sentita necessità di élite contadine [...] la stessa reazione si può osservare in certi sindacati operai delle industrie, tra i colleghi di mestiere [...] che i settori della produzione, terra ed industria, debbano restare privi dei migliori elementi della nazione a beneficio del cosiddetto settore dei servizi?" (4).
Julio Palacios, facendo riferimento alla facilità con cui si ottengono le borse di studio e alla proliferazione dei corsi a numero chiuso per limitare gli accessi all'Università, fa risaltare la diseguaglianza che tali studi presupponevano per i meno dotati: "Siccome in ogni democrazia si deve evitare che l'accesso all'insegnamento superiore sia privilegio delle classi benestanti, si verifica il controsenso che lo Stato investa, a spese del contribuente, migliaia di milioni in borse di studio perché vi accedano quante più persone possibile; mentre dall'altra parte spende forse molto di più per impedire che ci riescano. Quel che si ottiene con questo metodo é di fomentare il male cui si vuole rimediare, organizzando una serie di olimpiadi anti sportive alle quali, a forza di propaganda, accorrono giovani di tutte le classi sociali e di tenere in apprensione le famiglie, perché la cosa più probabile é che il ragazzo o la ragazza siano bocciati" (5). Lo stesso fenomeno é stato osservato in Francia da Pierre Gaxotte, che segnala: "La Francia ha troppi studenti. Per pura demagogia si é spinto verso l'insegnamento secondario un gran numero di bambini poco dotati per questa classe di studi, ma adatti per tutti i lavori, proprio quelli per i quali mancano apprendisti, operai qualificati e persino quadri di livello superiore. A causa di ciò, nelle facoltà d'insegnamento superiore si é constatata l'affluenza di studenti che studiano poco, ma che si ritengono danneggiati se dopo tre o quattro anni di frequenza non viene loro fornito un impiego ben retribuito" (6).
E' un'eguaglianza d'opportunità che pregiudica maggiormente i meno dotati: se perdere tempo per un certo numero di anni studiando per un baccellierato, per una carriera che non porterà a termine o che non potrà esercitare (sia per mancanza di capacità che per possibilità di lavoro), é un danno per tutti, é chiaro che chi risulta più danneggiato é colui che possiede meno mezzi economici. Questi é in una situazione peggiore di chi, nelle stesse condizioni d'insegnamento, può disporre di denaro per aprire un negozio, per vivere di rendita, per supplire alla mancanza di conoscenze o per perfezionarsi, dopo aver ottenuto il titolo. Se invece di essersi dedicato per anni allo studio di una materia o di un percorso di laurea (che poi gli darà solo delle ipotetiche soddisfazioni morali, perché in coscienza si sentirà un fallito dovendo lavorare in funzioni inferiori a quelle cui si aspira quando si é ottenuto un titolo di studio), si fosse dedicato ad un impiego o professione, o ad un altro insegnamento medio o inferiore (che é altrettanto degno di quello superiore), avrebbe avuto molte più soddisfazioni e vantaggi. E, in questo modo, si sarebbe nello stesso tempo ottenuto il sorgere delle élite che sono così necessarie in ogni ambiente: élite naturali, non frutto del funzionariato o dell'ordinamento statale.

Il fatto é che la "eguaglianza d'opportunità" (scordando che l'educazione e l'insegnamento devono avere come oggetto l'uomo concreto), parte dalla base sbagliata secondo cui é possibile dare a tutti la stessa educazione e lo stesso insegnamento, e siccome é questo l'ideale, dimentica, come ricorda Emile Planchard, che "se l'educazione é possibile, ha, tuttavia, dei limiti. Questi le sono imposti da condizioni inerenti lo stesso soggetto considerato come uomo e come individuo e da circostanze di tempo e di spazio. L'educazione non può sviluppare più di quel che la natura ha inizialmente dato al bambino. E' impossibile fargli acquisire delle capacità assolutamente nuove" (7).
D'altra parte, il rifiuto e la critica sinora fatta all'eguaglianza d'opportunità, non implica che si auspichi una società ed un insegnamento nei quali ogni persona debba rimanere nella classe, condizione, livello ambiente o luogo in cui nasce. Al contrario, tale rifiuto presuppone una società ed un insegnamento in cui tutti vengono educati ed apprendano, ma non le stesse cose; una società in cui, avendo tutti ricevuto un'educazione ed un insegnamento (non uniforme ma diversificato), si renda possibile il sorgere di vere élite in tutti i campi, gli ambienti, le materie ed i luoghi. Una società ed un insegnamento concordi con la natura, nei quali ogni uomo sia responsabile ed abbia autorità nelle questioni e materie in cui é davvero cosciente e libero perché competente; che rendano ovviamente possibile l'ascesa (ed anche la discesa) ed il cambiamento verso posti e conoscenze diverse, cosa che si ottiene con un insegnamento diversificato.

7.2 La democratizzazione dell'insegnamento

Iniziando a trattare della democratizzazione dell’insegnamento, si deve osservare che l'espressione è principalmente utilizzata in tre sensi: come accesso massivo alle aule; come accesso alle aule proporzionale ai diversi livelli sociali; come partecipazione, cogestione e direzione dei centri per gli alunni.

7.2.1 La democratizzazione come accesso massivo alle aule

La democratizzazione dell’insegnamento come accesso massivo alle aule é una conseguenza dell’egualitarismo e del "principio" dell'eguaglianza d'opportunità, al quale abbiamo appena finito di far riferimento. Essa ignora e rifiuta la pluralità e la diversità d’insegnamento, ammettendo solo la sua universalità: considera, cioè, solo una parte del problema e pretende di fare di questa il tutto: é una visione parziale che, peraltro, si pretende che sia completa. La democratizzazione intesa come accesso massivo alle aule (intimamente connessa con l’eguaglianza di opportunità), produce la massificazione e, di conseguenza, il degrado dell’insegnamento, la confusione tra informazione e sapere, lo sradicamento e il disadattamento e fomenta la burocrazia.
Prima di continuare, osserviamo che rifiutando la democratizzazione non si rifiuta l’universalità dell’insegnamento bensì la sua uniformità, la quale produce inevitabilmente la massificazione e, ancor più, si trasforma in fattore di massificazione. La massificazione non é solo quantitativa ma è, soprattutto, qualitativa, il che é assai più grave: è qualitativa perché occorre già dall’insegnamento medio e da lì passa all’insegnamento universitario.
Affinché la capacità nello studio sia acquisibile dai più, essa dovrà necessariamente diminuire con l’aumentare delle difficoltà dello stesso, non restando altro rimedio che abbassare il livello delle conoscenze in ogni tappa dell’insegnamento: nasce così una spirale inflazionistica che (con la sempre maggiore discesa del livello delle conoscenze e profondità delle stesse) si concluderà con la scomparsa della cultura. Con l’incremento astronomico del numero di alunni, sarà necessario aumentare il numero dei professori e, perciò, a causa della decrescente formazione dei nuovi abilitati (per l’effetto della precedente discesa del livello dell’insegnamento per metterlo alla portata dei più), meno dotati dei loro predecessori, la formazione dei nuovi alunni da parte di questi diminuirà, e così via (8). La conseguenza di tale massificazione e crescente degradazione dell’insegnamento, arriva a sostituire il sapere con l’informazione: l’insegnamento informa su questioni generali ma non approfondisce il sapere, cosa che si può rilevare particolarmente nell’insegnamento universitario.
Di più, da quell’accesso massivo, incontrollato, sorge lo sradicamento, il disadattamento, l’assenza del senso di responsabilità e d’iniziativa e la burocratizzazione: la democratizzazione dell’insegnamento si trasforma in veicolo della massificazione, contraria all’essenza stessa dell’insegnamento, che consiste in formare uomini liberi e responsabili.

In questo senso, Creuzet osserva che "la scolarità egualitaria e sistematica é un argomento demagogico rivolto alle masse. Gli stessi governi non esitano ad adoperarlo" (9), col che "la pianificazione statale conduce alla schiavitù delle masse semi acculturate: esse sono abbastanza istruite per essere sottomesse alla propaganda, ma non lo sono abbastanza per produrre uomini liberi, capi, con lo spirito aperto alla verità" (10).
"La scolarizzazione massiva - continua Creuzet - produce dei ragazzi caporalisés, grandi bimbi di ventitré anni, abituati a non fare un gesto, né scrivere una pagina, né scrivere un libro, senza l’ordine o le indicazioni di un maestro di scuola. Raramente sono capaci di organizzare un lavoro in modo autonomo. Mancano del senso della responsabilità professionale. In un’impresa, quando si interviene inopportunamente si riceve una sgridata, e quando lo si fa spesso, il proprietario vi allontana. A scuola si esce dalla faccenda con una nota in condotta, o con una pagella trimestrale scadente.
"Non parliamo poi del senso dell’azione. In classe, tutto é comandato, spezzettato, predigerito. Nessun rischio, nessuna determinazione per realizzare degli atti liberi, nessuna capacità di "arrangiarsi" nelle difficoltà o di far qualsiasi cosa di propria iniziativa" (11).
Un fenomeno identico, sebbene da un diverso punto di vista diverso, é segnalato da Gerard Wiel, con lo scrivere che "insegnanti e scolari burocratizzati formano cittadini burocratizzati, che scaricano le responsabilità su un lontanissimo Stato-Provvidenza, e che aspettano sempre che l’iniziativa arrivi dall’alto" (12).
Raccogliendo gli argomenti di Claude Harmel e Rafael Gambra (13), Vallet de Goytisolo segnala le seguenti conseguenze - alcune sono già state esposte - della democratizzazione dell’insegnamento medio, intesa come accesso massivo alle aule:
1° "Tra le cause causa della decisione vocazionale, si dimenticano il valore dell’ambiente e dei costumi o abiti acquisiti nella famiglia, dall’eredità, dall’educazione, dall’ambiente in cui si vive, dalle tradizioni o convinzioni in cui il giovane si é forgiato nel focolare.
2° "L’insegnamento non può fornire all’uomo qualità ed attitudini necessarie a molte funzioni economiche e sociali; esse possono, invece, essere acquisite in famiglia o nell’ambiente sociale e lavorativo, ma non a scuola né all’Università, perché essa é fatta solo per formare clercs.
3° "Il dover aumentare il numero dei professori ne abbassa la qualità, ed anche le "code" nelle classi si traducono inevitabilmente in un abbassamento del livello degli studi.
4° "Si tende a fare di ogni professionista un servo dello Stato, giacché da esso viene formato, selezionato, sorvegliato e sovvenzionato.
5° "Imponendo a tutti studi generici fino ad una certa età, si tolgono gli anni migliori alla preparazione in molte arti, laboratori e professioni tecniche. Ci sono tante tecniche ed arti che si possono apprendere bene e con piacere solo se uno vi si affeziona da bambino e le pratica dalla tenera età, coordinandole con una formazione culturale adeguata!
6° "L’eguaglianza d'opportunità finirà necessariamente col creare una società di falliti e risentiti, come lo sono tutti coloro i quali, sempre in numero maggiore, non hanno raggiunto la meta e hanno interrotto degli studi che, incompleti, non possono servire loro a nulla; ciò vale specialmente per quegli studenti che, sviati dall’ambiente familiare, sono autentici sradicati sociali" (14).
Il professor Francisco Puy, da parte sua, segnala come effetto della democratizzazione alcune conseguenze istituzionali, economiche, sociali ed amministrative. A suo giudizio, "il gran cancro che il principio di democratizzazione ha generalizzato dal punto di vista istituzionale, é il disprezzo del principio di gerarchia, che é consustanziale al principio educativo [...]. Inoltre, il mito democratico porta sempre con sé un paio di freni, costituiti dai miti della partecipazione e del dialogo [...]. Quando il primo è in atto, non é più il professore a dire all’alunno quel che deve imparare, ma é il secondo a dirgli cosa deve insegnare. E, quando agisce il secondo, il professore non può più imporre la disciplina all’alunno, ma é l’alunno che - mediante la "contestazione" sistematica - gli impone la sua" (15). Con l’instaurarsi dell’eguaglianza, viene meno l’autorità e, di conseguenza, invece dell’autorità del professore, sorge il potere dello Stato a dirimere lo scontro tra professore ed alunni (16).
Sul piano economico, "accusando la diversificazione qualitativa nell'educazione di essere ingiusta", la si può distruggere solo con una "istituzione pedagogica unica [...] dello Stato". Ed essendo l’insegnamento statale più costoso, per limitarne i costi se ne concentra il servizio, slegando l’educazione dai centri affettivi territoriali e familiari. Lo Stato ottiene così un insegnamento di qualità peggiore ma più a buon mercato, col che "come in tutte le cose in cui si applicano dei provvedimenti socialisti, l’eguaglianza di opportunità educative viene ottenuta sulla base del presupposto che tutti sono uguali perché ricevono un prodotto di assai scarsa qualità in quantità molto scarsa" (17).
Sul piano sociologico produce una favolosa inflazione di discenti (con la conseguente massificazione fondamentalmente qualitativa) e l’aumento incontrollato del numero dei docenti, col che: "il professore si trasformerà, ogni volta di più, da saggio in sofista che potrà parlare solo di "temi d’attualità", di "problemi superficiali", di opinioni e non di verità scientifiche" (18).
Annientata l’iniziativa privata, viene eliminata la libertà di insegnamento per via amministrativa, perché potendosi ottenere finanziamenti solo dallo Stato, questo li concederà solamente a quanti seguiranno le sue direttive: l’insegnamento privato scomparirà sotto il controllo statale (19).
La massificazione produce i suoi effetti sulla stessa cultura: come segnala Vallet de Goytisolo, essa comporta "la perdita della libertà d'opinione, la volgarizzazione ed i fenomeni di compensazioni tipici d'un ambiente di totale razionalizzazione" (20). Con la perdita della libertà di opinione, il proprio giudizio e le concezioni personali sono soppiantate dall’opinione pubblica creata dalla stampa, dalla radio e dalla televisione; si giunge così a colpire anche i saggi, posto che l’opinione collettiva costituisce l’unico giudizio sulla saggezza (21). La libertà d'opinione è sostituita da "luoghi comuni" e dalla "variabilità degli stessi" (22). Dopo il governo dei saggi, viene la volgarizzazione: "la massa si erge a giudice di ciò che non conosce, guidata da un sofista che ignora di essere tale, ma che perciò maneggia gli stessi luoghi comuni" (23). E ci ricorda l’avvertimento di Ortega secondo cui "la caratteristica del momento é che l’anima volgare, sapendosi volgare, ha l’audacia di affermare il diritto alla volgarità e di imporla dove vuole" (24).
Il fatto é che, come evidenzia Juan Antonio Widow, "non si capisce, e non si vuol capire, che l’Università, per la sua finalità e la sua funzione, é essenzialmente selettiva e che, per ciò stesso, é obbligata ad avere delle esigenze rigorose verso coloro che vi entrano" (25). Una democratizzazione che porta alla massificazione, di conseguenza, non é possibile - perché incompatibile col concetto d'Università. Ma non é neppure compatibile con alcun tipo d'insegnamento, perché massificazione e cultura sono termini contraddittori (26).

7.2.2 La democratizzazione come accesso alle aule proporzionale ai diversi livelli sociali

La democratizzazione dell'insegnamento viene utilizzata anche per questo. Facendo appello alla "ingiustizia", propria di una società "classista" e "borghese" (per la quale accederebbero all'insegnamento - specialmente universitario - principalmente i figli delle "classi abbienti"), si pretende che ogni categoria socio-professionale abbia nell'Università la stessa proporzione che ha nella nazione. Come segnala Georges Gurdorf, "tale sentimento egualitario é arrivato a reclamare che il reclutamento nell'Università debba riflettere esattamente la struttura della popolazione e la percentuale delle diverse categorie sociali. Il libero accesso all'Università in un sistema democratico dovrebbe significare, secondo loro, una sorta di numerus clausus corporativo. Ogni anno dovrebbero essere reclutati tanti figli di muratori, tanti di capomastri od operai specializzati. Le classi medie o superiori sarebbero, così, ridotte a proporzione congrua, conformemente alla loro inferiorità numerica nel complesso della nazione" (27).
Ma questo è un reclutamento universitario che incorre negli stessi inconvenienti precedentemente segnalati: sradicamento, disadattamento, riduzione di tutto all'individuo totalmente privo di qualsiasi altro aiuto eccetto quello della propria intelligenza e, soprattutto, eliminazione del sostegno della famiglia.
Come ci ricorda Creuzet, "L'ascesa sociale degli individui avviene attraverso gli ambienti ai quali appartengono: la famiglia, la professione, i corpi intermedi locali" (28).
La democratizzazione dell'insegnamento, nonostante si sostenga il contrario, in realtà ha un profondo disprezzo per la dignità umana. Olivier Féral osserva che "la democratizzazione egualitaria nutre un profondo disprezzo verso la dignità umana. Essa suppone che non vi può essere eguaglianza di dignità se non allo stesso livello di cultura. Ieri legata alla ricchezza, prima ancora alla nascita, il rispetto per la persona oggi dovrebbe dipendere dalla sua istruzione. I privilegiati della cultura, che sono contemporaneamente i partigiani della democratizzazione, cercano di far dimenticare, con surrettizia demagogia, il loro disprezzo per gli ambienti meno istruiti del loro o per quelli che non hanno lo stesso tipo di cultura. Come per ogni concezione egualitaria, la loro democratizzazione vuole l'uniformità ed é alienante: ognuno deve sapere le stesse cose. Questo totalitarismo é ben lontano dalla vera democrazia, che riconosce la stessa dignità alla diversità ed alla diseguaglianza, senza negare per questo né la diversità, né la diseguaglianza" (29).
D'altra parte, se quel che si pretende é l'egualitarismo, quello più assoluto, questo lo si ottiene solo livellando verso il basso, mai verso l'alto: in definitiva, la democratizzazione portata alle estreme conseguenze, suppone la totale assenza di educazione e di cultura, dato che affinché ciascuno sappia le stesse cose degli altri (cioè che tutti sappiano in eguale misura), é necessario che tutti sappiano quanto chi non sa nulla.
In realtà, lo abbiamo già detto, un'autentica democratizzazione può essere ottenuta solo attraverso un insegnamento plurale e diversificato, nel quale (attraverso un ampio sistema di borse di studio erogate dalle imprese, associazioni, corporazioni ed anche istituzioni statali) tutti quelli che possono e vogliono studiare vengano aiutati (30).

7.2.3 La democratizzazione come partecipazione, cogestione e direzione dei centri per gli alunni

Un altro aspetto della democratizzazione é quello che si riferisce all'intervento dei discenti nella direzione stessa dell'insegnamento: essa spazia dai giudizi critici verso professori e cattedratici alla cogestione, alle commissioni miste e ad una partecipazione che finisce con l'essere il governo stesso dell'insegnamento, specialmente nell'Università.
In riferimento a tale questione, nel 1968, il professor Thomas Molnar segnalava che "In Svezia, il programma delle classi universitarie è stabilito collettivamente dal docente e dagli studenti. Questi ultimi eleggono dei delegati che verificano se durante il semestre il professore si attiene al programma convenuto. Questa stessa caricatura dell'insegnamento verrà presto adottata in diverse Università americane, nelle quali gli studenti esigono il diritto alla "cogestione", in particolare per una o più poltrone nella commissione che elabora il programma. Inoltre, gli studenti di ogni corso daranno delle "note" al professore, a seconda che lo trovino accettabile, mediocre o inaccettabile" (31). Si tratta, come osserva Rober Brustein (32), della sostituzione del professionista con lo "amateur", del predominio di questo su quello. "Nella nostra epoca, così intensamente romantica - scrive - in cui si sono politicizzati tanti attivisti ed i giudizi obiettivi si scontrano continuamente con le domande soggettive, lo "amateur", o appassionato, é esaltato come una specie di democratico eroe culturale, non soggetto a norme e restrizioni" (33). "Se l'amateur é uguale - qualcuno direbbe superiore - al professionista, allora lo studente é uguale o superiore al professore, ed il "giovane uomo", come diceva Platone nel suo discorso sulle condizioni che conducono alla tirannia, "é allo stesso livello del vecchio, ed é pronto a competere con lui in parole ed opere". Non più di cinque anni fa, questa tesi sarebbe sembrata impossibile; oggi, virtualmente, é diventata un dogma stabile, e la sua applicazione sta assorbendo gran parte dell'energia dei giovani [...]. Se facciamo un'analogia tra i sistemi politici democratici e la struttura universitaria, gli studenti cominceranno ad esigere voce in capitolo nelle "decisioni che riguardano la nostra vita", comprendenti le regole sul modo di presentarsi in facoltà, i cambiamenti dei programmi, i gradi e la disciplina accademica. Non appena le Università iniziarono ad acconsentire alcune di queste richieste, accettando così la citata analogia, le pretese aumentarono sino al punto che gli studenti oggi insistono per avere voce e voto nell'elezione del Preside di Facoltà, scegliere i docenti ed anche occupare un ruolo nella Giunta del Consiglio dell'Università. Il concetto di professionalità viene svuotato da false analogie, dall'ampliare la critica ad alcuni professori inaccessibili e pedanti fino alla concezione stessa dell'autorità accademica" (34).
"Ciò spiega - continua - l'ostilità di molti studenti verso corsi e lezioni nelle quali una "autorità" comunica i risultati delle sue ricerche, approfondendo i punti oscuri quando lo chiedono le domande degli studenti [...]. A ciò si preferisce, e pertanto lo si sta sostituendo in alcuni dipartimenti, la discussione di gruppo o "sessione congiunta", dove l'opinione dello studente sulla materia riceve più attenzione della materia stessa, ammesso che si arrivi ad esaminare tale materiale. L'idea - così basilare per la sapienza - che esista un organamento di conoscenze ereditarie, che può essere trasmesso da una generazione all'altra, sta perdendo terreno perché mette lo studente in una posizione subordinata che gli riesce inaccettabile, col risultato che il processo d'apprendimento perde terreno nei confronti di una disputa in cui l'opinione dell'uno é tanto buona quanto quella di chiunque altro" (35). E, facendo riferimento ad alcune scuole, "nelle quali gli studenti seguivano un corso chiamato Core - che, secondo quanto esposto, insegnava l'essenza della letteratura, della storia, del civismo, ecc. -, gli studenti sedevano assieme attorno ad un tavolo rotondo, per sottolineare la loro eguaglianza essenziale col docente; il docente - o piuttosto il coordinatore, come veniva chiamato - rimaneva completamente al margine; invece di stabilire la preparazione attraverso interrogazioni o per l'autorità del professore, la si decideva a maggioranza dei voti. Non tardai ad allontanarmi, convinto di aver assistito ad una prova di democrazia totalmente malintesa. Questa cattiva comprensione ha reso inefficienti le nostre istituzioni d'insegnamento superiore" (36).
Thomas Molnar, nel fare riferimento alla "Università critica" che gli studenti hanno deciso di organizzare all'interno della Libera Università di Berlino Ovest, segnala che in essa "non si esigerà il diploma dalle matricole, e vi saranno ammessi "studenti, operai, funzionari e professori". I seminari, i gruppi di lavoro, i colloqui ed i "forum", saranno organizzati solo dagli studenti, che eleggeranno un direttore di corso tra le proprie fila. I veri professori non potranno fare altro che svolgere il ruolo di "specialisti" associati agli studi. Per il semestre 1967/1968 si sono fatte figurare tre sole materie nel programma. 1) Critica permanente delle Università e riforma pratica degli studi; 2)intensificazione dell'azione politica spontanea a partire da centri militanti; 3) preparazione degli studenti alla pratica delle scienze sociali con riferimento alla loro futura professione. E' previsto un centro di studi con questo titolo: "La democratizzazione delle scuole attraverso l'azione politica di alunni e studenti"" (37). E' chiaro che con tale genere di "partecipazione" é impossibile apprendere, conoscere la verità; si tratta, in definitiva, di un'azione politica, della prassi, d'azione politica e prassi rivoluzionaria come può essere verificato in altre esperienze, come quella di Vincennes (38). Quanto é accaduto in Cile, come segnala Juan Antonio Widow, può essere visto come una conseguenza di questo concetto di democratizzazione: "Una distruzione di quanto poteva esservi di autentica gerarchia accademica e dell'autorità, fondata sulla responsabilità e non sui gruppi di pressione" (39).

Questa democratizzazione non é soltanto né principalmente un affare "da bambini", una pretesa di alcuni studenti: essa è fomentata ed incoraggiata dalle stesse autorità, perché altrimenti tali esperienze sarebbero irrealizzabili. E' una democratizzazione che, oltre ad altre precedenti, è incoraggiata dall'UNESCO, secondo il quale, "Il rapporto maestro-scolaro, pietra angolare della scuola tradizionale, può e deve essere riconsiderato ab ovo, soprattutto quando stabilisce una relazione da dominatore a dominato [...]. Nel rapporto maestro-scolaro si collocano da una parte i vantaggi dell'età, della maggiore conoscenza e dell'autorità indiscussa, dall'altra, un atteggiamento di inferiorità e di sottomissione" (40). Il docente deve essere "sempre più un consigliere, un partner nella conversazione, qualcuno che aiuta a cercare in comune gli argomenti a favore e quelli contrari piuttosto che porgere una verità bella e fatta" (41). E, "senza una tale evoluzione di rapporti tra docenti e discenti, non ci potrà essere un’autentica democrazia nella scuola" (42).
Tra le tendenze comuni osservate dall'UNESCO, c'è quella della partecipazione degli studenti nella direzione dell'Università: "la partecipazione degli studenti alla gestione degli istituti e dell'insegnamento tende a svilupparsi" (43); e viene illustrata e raccomandata la partecipazione studentesca: "garantire agli interessati il diritto alla gestione dell’impresa educativa a cui sono associati e la partecipazione a definire la politica scolastica significa anche garantire il pieno esercizio dei diritti democratici [...] possibili competenze sono la determinazione degli obiettivi educativi, la creazione ed organizzazione di istituti, il reperimento delle risorse, la definizione dei contenuti, il dibattito sui metodi pedagogici, il reclutamento e la remunerazione dei docenti, i regolamenti interni delle scuole, il controllo dei risultati" (44).
In una nota a piè pagina ci si spiega che "democratizzazione della scuola non vuol dire solo più scuola per un maggior numero di persone ma vuol dire anche più larga partecipazione alla gestione della scuola stessa", e ciò perché "la scuola tradizionale non si adatta alle necessità di un numero crescente di individui. Occorre rifarla. Ma chi potrà rifarla? Non gli amministratori né i burocrati, ma il popolo. Nessuno meglio del popolo conosce i suoi bisogni e le sue aspirazioni" (45). Tale cogestione, sia degli studenti o del popolo intero, si riferisce a tutti i problemi e questioni che riguardano l'insegnamento. E' una democratizzazione che non si riferisce solo all'insegnamento universitario, ma anche alla partecipazione dei giovani all'organizzazione della loro vita scolastica: "La libertà di scelta degli allievi procede di pari passo con l'accettazione di responsabilità verso se stessi e verso la comunità scolastica". Di cosa si tratta? "I giovani incoraggiati dalla più tenera età a partecipare all'organizzazione della vita scolastica, dovrebbero avere il diritto di discutere i regolamenti interni e di ottenere un graduale ammorbidimento. Lo stesso discorso vale per i contenuti e per il metodo" (Ibid. p. 339).
Nei confronti dell'esperienza di Vincennes, che l'UNESCO presenta come un modello da seguire, è detto che s'ispira, tra l'altro, alla seguente idea: "i contenuti e le prospettive si accordano in gran parte con gli interessi dello studente: l’attitudine e l’impegno ne ricevono più vivo stimolo che non dalla struttura statica dei corsi cattedratici. Così, l’itinerario conoscitivo diventa processo di ricerca più che accumulazione di nozioni" (46).

Nel suo grado estremo, non manca chi reclama per gli alunni il potere nelle scuole e negli istituti d'insegnamento. Questa é la tesi dei marxisti Mendel e Vogt (47), per i quali i giovani costituiscono una classe ideologica, contrapposta a quella degli adulti, cui spetta il potere istituzionale nei centri d'insegnamento ed il rifiuto della "dominazione" di cui sono oggetto nelle scuole da parte degli adulti. Il realtà, con questi sistemi, lo stesso amateur e appassionato vengono ampiamente superati; col pretesto della "ricerca" e della "comprensione", si instaura l'ignoranza (48) - presentata ora come l'autentico sapere - contrapposta alla vera conoscenza, che, spregiativamente, viene qualificata come "semplice accumulazione". E questo benché senza accumulo di conoscenze, in realtà, è impossibile il progresso del sapere e della cultura.

Cosa pensare, pertanto, della democratizzazione? Una democratizzazione come quella che ci viene proposta, in una qualsiasi delle sue accezioni o in tutte e tre assieme, presuppone, in realtà, l'annientamento della cultura e della società.
Se si vuole parlare di democratizzazione, si deve intenderla solo come vita degli uomini e della società degli uomini composta da società infrasovrane o corpi intermedi: in essi ogni uomo, ogni famiglia e ognuno dei diversi gruppi e degli uomini che li costituiscono, partecipa realmente alla vita di un organismo vivo per davvero. La partecipazione (49) é possibile ed é vera solo nella misura in cui è conosciuta e vissuta, in cui esistono vincoli che legano a cose determinate, in cui c'è diversità di funzioni ed ogni uomo partecipa a quanto é di sua pertinenza, venendo responsabilizzato in compiti concreti nei quali la sua iniziativa deve essere risolutiva o di aiuto alla risoluzione.

Ma la partecipazione di tutti a tutto é quanto di più opposto a quanto abbiamo appena descritto, giacché per realizzarsi, tutti e ciascuno devono essere uguali agli altri, col che prevalgono le opinioni sulle conoscenze e le responsabilità sono diluite di fronte al numero di responsabili. Ogni impresa che pretenda di migliorare, edificare, costruire, progredire in qualsiasi campo con tale concezione di partecipazione, è destinata al fallimento.
E mentre si difende quella partecipazione massiva, egualitaria, quantitativa e mostruosa, viene invece impedita la partecipazione autentica: la famiglia ed i corpi intermedi non devono partecipare (né si deve partecipare ad essi), perché sarebbero un freno alla democratizzazione e alla partecipazione. Le loro funzioni, pertanto, vengono sempre più assottigliate sino alla scomparsa ed alla sostituzione con corpi estranei, creati artificialmente dai burocrati e tecnocrati.

 

NOTE

  1. Su questo tema é essenziale l'opera di Juan vallet de Goytisolo, Sociedad de masas y derecho (Taurus, Madrid 1969), specialmente nella sua prima parte, Analisi de la sociedad de masas, in cui é studiato il processo di massificazione del mondo moderno e le sue conseguenze individuali, sociali e politiche (pp. 15-233).
  2. Cfr. E. Cantero, Universalidad y pluralidad en la enseñanza, in Verbo, n. 161-162, gennaio-febbraio 1978; ed il capitolo III di quest'opera.
  3. Marie Madeleine Martin, Les doctrines sociales en France et l'èvolution de la société française du XVIII siècle a nos jours, Editions Du Conquistador, Prigi 1963, p. 269 e successive.
  4. M. Creuzet, L'enseignement, op. cit., pp. 149-150.
  5. Citato da J. vallet de Goytisolo, Sociedad de masas y derecho, op. cit., p. 642.
  6. Cfr. J. Vallet de Goytisolo, op. cit. p. 641.
  7. Emil Planchard, La pedagogia contemporanea, Rialp, VI ed., Madrid 1975, p. 33.
  8. E’ questo un fenomeno generale. Così, per esempio, Mario Laserna lo segnalava in Colombia: "L’enorme domanda manifestatasi negli ultimi anni ha potuto essere soddisfatta solo ricorrendo massicciamente ai professori delle scuole secondarie; in questo modo si é secondarizzata l’Università e si é primarizzato l’insegnamento medio" (Plateamiento y reforma de la enseñanza universitaria, in Universitas, Buenos Aires, n. 4, marzo 1968, p. 12). Per il Cile, Juan Antonio Widow ne ammonisce nell’articolo Un problema fundamental: el de las universidades, in Tizona, n. 46, settembre-ottobre 1973, p. 8. Un’analoga osservazione per il Portogallo è fatta da Guilherme Braga Da Cruz in Reforma do ensino superior. Dois anteprojectos de parecer para a Junta Nacional de Educaçao, Cidadela, Coimbra 1973.
  9. M. Creuzet, L’enseignement, p. 151.
  10. Ibid. p. 158.
  11. Ibid. p. 152.
  12. Gérard Wiel, Educaciòn permanente y educaciòn escolar, in La pedagogìa en el siglo XX, Narcea, Madrid 1977. P. 312. Per questo autore la soluzione va necessariamente cercata nella descolarizzazione (p. 313); la soluzione, tuttavia, non é nella descolarizzazione, ma nell’universalità dell’insegnamento, ma accompagnata dalla sua diversità (cfr. E. Cantero, Universalidad y pluralidad..., op. cit.).
  13. R. Gambra, La democratizaciòn de la enseñanza media, in Verbo, n. 26-27, giugno-luglio 1965.
  14. J. Vallet de Goytisolo, Sociedad de masas y Derecho, op. cit., p. 643.
  15. Francisco Puy Muñoz, La educaciòn ante el derecho natural, in Verbo, n. 109-110, novembre-dicembre 1972, p. 926 e successive.
  16. Ibid. p. 927.
  17. Ibid. p. 928-929.
  18. Ibid. p. 929-930.
  19. Ibid. p. 931-932. Effetti similari, come conseguenza della massificazione, sono stati segnalati - a riguardo dell’insegnamento portoghese - dal professor Braga de Cruz, indicando che il maggior nemico dell’insegnamento é la massificazione e che la struttura dell’insegnamento medio e universitario si concepisce sempre più come cultura di massa. Guilherme Braga Da Cruz, op. cit., cfr. Recensione in verbo, n. 117-118, agosto-ottobre 1973, p. 845 e succ.
  20. J. Vallet de Goytisolo, Sociedad de masas y derecho, op. cit., p. 205 e succ.
  21. Ibid. p. 205-206.
  22. Ibid. p. 205-206.
  23. Ibid. p. 210.
  24. José Ortega y Gasset, La rebelòn de las masas, Espasa-Calpe, Col. Austral, XIX ed., Madrid 1972, p. 42.
  25. Juan Antonio Widow, Un problema fondamentale..., op. cit., p. 11.
  26. E. Cantero, Universalidad y pluralidad..., op. cit.
  27. Citato da J. Vallet de Goytisolo, Sociedad de masas..., op. cit., p. 640. Tale sembra essere, nella nostra Patria, il senso della democratizzazione per José Botella Llusìa, il quale segnala che "l'aprire le porte indiscriminatamente e lasciare che si immatricoli chiunque lo voglia, sia o meno in condizione di farlo, é l'esatto contrario della democratizzazione dell'Università. Un'Università può dirsi democratica quando, con quindicimila alunni al massimo [...] ne ha un 60 per cento o più, che sono figli di lavoratori" (José Botella Llusìa, Universidad de masas y universidad democràtica, in ABC del 10-10-1972).
  28. M. Creuzet, Enseignement-Education, Montalza, Parigi 1973, p. 168.
  29. Olivier Féral, La democratisation de l'enseignement, in Université Libre, n. 7, ottobre-dicembre 1970, p. 15.
  30. Come osserva Pierre Gaxotte: "la vera democratizzazione dell'insegnamento secondario e superiore, dovrebbe essere fatta per mezzo di borse di studio. Sono stato borsista. Parlo con cognizione di causa". Intervista a Pierre Gaxotte, in Université Libre, n. 4, marzo-aprile 1970, p. 12.
  31. Thomas Molnar, La universidad moderna, centro de subversiòn, in Verbo, n. 63, marzo 1968, pp. 231-232.
  32. Robert Brustein, La Universidad: amateur vs. profesional, in Facetas, vol. III, n. 3, 1970.
  33. Ibid., p. 60.
  34. Ibid., p. 60.
  35. Ibid., p. 62-63.
  36. Ibid., p. 64.
  37. T. Molnar, La Universidad moderna..., op. cit., p. 232.
  38. Cfr. Xavier Barrault, Vincennes ad experimentum trois ans aapres, in Université Libre, n. 16, maggio-giugno 1972, p. 21-26.
  39. J. A. Widow, op. cit., p. 11.
  40. Edgar Faure, Rapporto sulle strategie dell’educazione; Unesco, Parigi 1972; ed. it. Armando, Roma 1973, p. 151.
  41. Ibid., p. 151.
  42. Ibid., p. 152.
  43. Ibid., p. 70.
  44. Ibid., p. 152.
  45. Ibid., p. 157.
  46. Ibid., p. 318.
  47. Cfr. Gerard Mendel e Christian Vogt, El manifiesto de la educaciòn, Siglo XXI, II ed., Madrid 1976.
  48. Sull'anarchia intellettuale e pedagogica (che porta al rifiuto della ragione, della scienza e del sapere sugli altari di classi "aperte" - senza prescrizioni né regole, senza neppure dei principi logici -, classi in cui si esprimono opinioni su tutto, da parte di tutti e di ciascuno, perché l'importante non é altro che esprimere opinioni, essendo indifferente il contenuto dell'opinione) si può vedere l'opera di Lucien Morin, Les charlatanes de la nouvelle pédagogie, Presses Universitaires de France, Vendôme 1973 (se ne veda la recensione in Verbo, n. 158, settembre-ottobre 1977, p. 1243 e successive).
  49. Cfr. J. Vallet de Goytisolo, La participaciòn del pueblo y la democracia, in Estudios filosòficos (Valladolid), n. 71-72, gennaio-agosto 1977; o in Verbo, n. 161-162, gennaio-febbraio 1978; cfr. anche E. Cantero, Caracterìsticas de la participaciòn, in Verbo, n. 155-156, maggio-giugno 1977.