CAP. X L'educazione rivoluzionaria.

 

10.1 L'ottimismo naturalista di Rousseau

10.1.1 La diseducazione rousseauviana

Asili, "creatività", autodidattica, tecnica di gruppo, presa di coscienza e educazione liberatrice... Siamo di fronte ad una "educazione" rivoluzionaria che è la negazione dell'educazione (1).

Una delle sue caratteristiche si basa nel rifiutare un'educazione fondata sul reale. Il bambino non deve acquisire l'abito della virtù fin da piccolo; la sua coscienza morale non deve essere educata ed il suo spirito neppure. Raggiungerà tutto ciò quando sarà grande e potrà scegliere da solo ciò che preferirà. E' una "educazione" che si pretende non sia diretta, ma sia frutto della volontà del bambino, che diventa libero poco a poco, mentre cresce, posto che non gli s'impone mai niente: tutto deve essere frutto del suo interesse, delle sue scoperte di fronte al mondo e alla vita.

Una "educazione" puramente "istruttiva", asettica sul piano morale e religioso, nei confronti del quale, al massimo, si afferma che "poi" farà la sua scelta. Ma é pure un'educazione "distruttrice", assolutamente negativistica, che rinuncia ad educare nel periodo dell'infanzia perché si possa educare nell'adolescenza o maturità.

Una "Educazione" basata o influenzata dall'idea rousseauviana del buon selvaggio - che verrebbe corrotto dalla società -, che vuole mantenere il bambino nello stato di bontà naturale: parlargli del bene e del male, di doveri e di verità, di Dio, è perciò cosa dannosa poiché, essendo buono, egli conoscerà il male o la bugia solo quando - contro la sua "natura" - gli si parlerà di ciò, o gli si chiederanno cose che lo faranno mentire o che lo renderanno, addirittura, ateo o idolatra.

Rousseau dice che "la sola abitudine che bisogna lasciar prendere al bambino è di non contrarne alcuna" (2); "nessuno, nemmeno il padre, ha il diritto di ordinare al bambino ciò che non gli è utile" (3) perché "l'esperienza o l'impotenza da sole debbono fare per lui le veci della legge [...] non sappia cos'è obbedienza quando agisce" (4); "mai comandare o proibire qualcosa [...] fino ai dodici anni l'educazione deve essere negativa" (5), perché non si deve esigere nulla dai bambini per obbedienza (6): "é la legge dell'obbedienza a generare la necessità di mentire, perché, essendo quest'obbedienza penosa, ci se ne dispensa in segreto più che si può e l'interesse presente di evitare la punizione o il rimprovero ha il sopravvento sull'interesse più remoto di dire la verità [...] non lo rimproverate, non lo punite mai, non esigete nulla da lui. Perché non dovrebbe dirvi tutto quel che ha fatto con la stessa ingenuità con cui lo direbbe ad un suo compagno di giochi?" (7). "Quanto a noi - continua Rousseau (8) -, che impartiamo ai nostri allievi solo lezioni di pratica e che preferiamo saperli buoni piuttosto che colti, non esigiamo da loro la verità per paura che la travisino" (9).

E' una "educazione" che non educa, basata sul sofisma che si fa il male e si mentisce solo se si conosce la verità o l'errore, il bene e il male: essa si limita a addestrare o istruire il buon selvaggio, come si potrebbe fare con un animale.

Senza dubbio, questa "educazione" negativistica, non imposta, non diretta, si pretende di applicare oggi affinché l'alunno possa scoprire da solo il mondo e da solo procedere a valutarlo, accettandolo o rifiutandolo liberamente.

E' una "educazione" immaginaria, posto che Rousseau crea un alunno immaginario col quale verificherà i suoi principi mediante esperienze ugualmente immaginarie (10): un'educazione, pertanto, a ciò che non esiste, a ciò che non è che il frutto di una mente traviata. Ma, nonostante questo, Rousseau è il precursore di teorie "moderne" come quelle già segnalate.

Si tratta di preparare il bambino alla libertà, si dice, nello stesso modo in cui Rousseau dirà essere necessario "preparare in anticipo il regno della sua libertà" (11). Libertà che oggi consiste, come per Rousseau, in mancare d'attaccamento a qualunque posto, e nel non avere altra legge che quella dettata dalla volontà (12). Come commenta Tremolet de Villers, si tratta di una "libertà negativa, al termine di un'educazione egualmente negativa. E' certamente, l'ideale dello sradicamento integrale" (13).

10.1.2 Il condizionamento per ottenere la sottomissione alla volontà generale

Per Rousseau, senza dubbio, tale "educazione" aveva un fine preciso, che é lo stesso che ha oggi per la Rivoluzione: trasformare la società e non semplicemente riformarla, cambiarla radicalmente. Secondo lui, "tutta la nostra saggezza consiste in pregiudizi servili, tutte le nostre abitudini non sono altro che soggezione, difficoltà, costrizione. L'uomo civile nasce, vive e muore in schiavitù: alla nascita lo si immobilizza nelle fasce, alla morte lo si cuce in un sudario; fin quando conserva volto umano è incatenato dalle nostre istituzioni" (14). Quasi con le stesse parole 1'UNESCO, l'educazione liberatrice e la rivoluzione culturale respingono la società, per formare un uomo libero. Per questo, la "educazione" deve essere asettica. Ma si tratta realmente di formare un uomo libero? Non formerà un uomo, un robot, che accetta e collabora docilmente alla voce del suo padrone per trasformare e distruggere la società?

Quella libertà del bambino, tanto sbandierata, non è altro che la perdita della sua libertà che, iniziando col negargli gli elementi con cui potrà giudicare e discernere (tanto a cuore all'educazione rivoluzionaria), finisce per essere la sua schiavitù. La libertà, il non dirigismo, la creatività ecc. ... sono, come abbiamo visto, più o meno sottilmente diretti dai suoi insegnanti. Come lo stesso Rousseau aveva suggerito, il bambino "si creda sempre il maestro e invece siatelo sempre voi. Non v'è sudditanza più perfetta di quella che conserva la parvenza di libertà; è così che si avvince la volontà stessa. Il povero bambino che non sa nulla, che non può nulla, che non conosce nulla, non è forse alla vostra mercé? Non disponete forse, nei suoi confronti, di tutto ciò che lo circonda? Non siete forse padrone di influenzarlo come più vi piace? I suoi lavori, i suoi giochi, i suoi piaceri, le sue pene, non è forse tutto in mano vostra, senza che egli lo sappia? E' vero, deve fare solo ciò che vuole; ma non deve voler fare se non ciò che voi volete che faccia; non deve fare un passo solo che voi non abbiate previsto; non deve aprir bocca senza che voi sappiate quel che intende dire" (15). Come giustamente osserva Tremolet de Villers, questa "è, certamente, la miglior definizione di tirannia" (16). E, commentando la frase "non deve desiderare che quello che voi desiderate che faccia", segnala che tale "è l'indirizzo di tutta l'educazione senza regole e di quelle che le sono succedute: la dinamica dei gruppi, la autodisciplina ecc." (17).

Tuttavia, a che scopo catturare la volontà individuale?"Semplicemente - continua Tremolet de Villers - perché Émile non andrà a vivere solo. Sciolto dalla sua famiglia, da ogni dovere, dal suo paese, entra nella società degli uomini liberi, non fondata sulla natura o sulla storia, ma sull'accordo delle volontà [...] E la legge di questa volontà è la volontà generale" (18). "Bisognerà, quindi, formare le volontà individuali perché si sforzino di preferire, non il Bello, il Bene o la Verità, ma la volontà generale. Ma chi è il depositario della volontà generale? Chi se non lo Stato? Lo Stato nuovo, lo Stato moderno - continua -, espressione della volontà generale, dovrà controllare incessantemente le volontà individuali per la sua stessa conservazione. Liberata dalle limitazioni sociali della famiglia e dei corpi intermedi, liberata dalla verità e dalla Religione, l'educazione degli uomini finisce per essere un affare dello Stato" (19). O del superstato.

E' un'educazione rivoluzionaria che, mentre impedisce la vera educazione (distrutta dall'ultima manifestazione della sovversione che è la rivoluzione culturale), grazie alle nuove tecniche, trasforma l'uomo in artefice della propria rivoluzione per continuarla e perpetuarla.

10.1.3 La condizione naturale contro la natura

Tale è, in effetti, la conseguenza dell'educazione negativistica di Rousseau, la cui influenza giunge fino ai nostri giorni (20). Così, come spiega Tremolet de Villers (21), il "neodirettivismo" di Rogers o di Lapassade affonda le sue radici nelle idee di Rousseau. Coscienti della necessità di istruire i bambini, non arrivano a respingere tale esigenza, ma rifiutano l'educazione.

Come osserva Tremolet de Villers, "questa è esattamente l'inversione, la sovversione radicale di tutta l'educazione. Trasmettere la tecnica ma non lo spirito. Dare le cose, ma non l'ordine delle cose. E' la scienza senza coscienza, come disse Rabelais; é il male del quale muore questa società dei consumi, nella quale il bambino dispone di tutto, ma senza sapere il fine ultimo di ciò che dispone" (22). Siamo di fronte a una diseducazione che deriva, di conseguenza, dall'educazione rivoluzionaria; a un'educazione distruttiva, che pretende sostituire il vero oggetto dell'educazione con la sottomissione alla volontà del potere, sia questo del maestro o dello Stato, democratico o meno, ma comunque totalitario (23). E' una diseducazione che nasce da Rousseau e da tutte quelle dottrine pedagogiche che ereditano il pesante fardello del di lui ottimismo pedagogico naturalistico e dell'educazione negativistica.

Come indica Dante Morando, "il difetto fondamentale di un’educazione puramente naturale é quello che abbiamo già accennato a proposito dell’educazione rinascimentale: di confondere l’educazione della natura e l’educazione della persona. L’educazione naturale, intesa solo come sviluppo dinamico dell’essere secondo la specifica natura dei suoi istinti e delle sue tendenze, non affronta né risolve il vero problema dell’educazione umana, che é quello che si riferisce all’educazione della persona" (24).

L'errore di base consiste, allora, nella confusione dovuta alla sostituzione della natura con la condizione naturale dell'uomo. La natura, contemplata in tutta la sua ampiezza, comprende tutto l'uomo - con le sue facoltà intellettive e volitive -, mentre lo considera pure un essere sociale e storico; in accordo con ciò, è naturale che l'uomo sia educato in accordo con la sua natura specifica, che è razionale. Conformemente a questo, si deve tendere a che l'educazione si svolga verso tutta quella pienezza e, per ciò stesso, insistere specialmente sulle facoltà intellettuali e morali dell'uomo; fare in modo che egli sia ciò che è in base a ciò che la natura concretamente gli ha dato e, inoltre, ciò che deve essere secondo le sue facoltà spirituali, in accordo con le sue possibilità potenziali: é questo che la natura umana richiede.

Al contrario, la condizione naturale (presociale) da cui parte Rousseau, è qualcosa di immaginario, una mera illusione, qualcosa di non reale. Tale condizione sorge dall'immaginare l'uomo isolato e fuori della storia, nonché dal prendere un elemento considerato come essenziale (nel caso di Rousseau la condizione di libertà) per la cui attuazione si stabilisce il contratto sociale. In questo modo il concetto di natura, identificato con una condizione naturale immaginaria e fittizia, è mutilato perché vengono escluse dalla natura le qualità, i fini ed i rapporti sociali naturali (25).

Per questo motivo già Aristotele aveva segnalato che gli elementi di tutta l'educazione erano tre: natura, abitudine e ragione (26); mentre san Tommaso aveva indicato che il fine dell'educazione é la promozione e lo sviluppo dell'uomo per raggiungere la condizione perfetta nella sua individuale specificità di uomo, costituito dallo stato di virtù (27). Dante Morando (28) osserva giustamente che "l’educazione umana, che é essenzialmente educazione della persona, é un’educazione naturale, non nel senso meccanico e positivista, e neppure nel senso ch’essa si attua per spontaneo dinamismo degli istinti naturali, ma nel senso che non é contro natura, anzi attua ciò che di meglio ha in sé la natura stessa dell’uomo" (29).

Come conseguenza della negazione della natura e per l'immaginare un fittizio stato naturale, l’uomo viene condotto alla schiavitù (30) per mezzo di una diseducazione integrale (31).

10.2 L'educazione marxista

10.2.1 La prassi contro la verità

Il rifiuto dell'intelligenza ha nel marxismo il suo più chiaro esponente.

Per il marxismo, infatti, la pratica ha il primato sulla conoscenza; con il marxismo scompare la contemplazione come fondamento del sapere (32): "non la contemplazione ma l'elaborazione é il fondamento di ogni conoscenza", come affermava il pedagogo socialista Seidel (33). E' la famosa XI Tesi di Marx (34) su Feuerbach, che tutti i discepoli di Marx non hanno esitato di mantenere e che è la base stessa del marxismo. E' il primato della prassi sulla conoscenza, dell'azione sulla dottrina, del fare sull'essere.

Del resto, Marx, nella II Tesi su Feuerbach, aveva detto: "la questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non é questione teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà del pensiero - isolato dalla prassi - é una questione meramente scolastica" (35). Nello stesso senso, Mao affermava che "la conoscenza comincia con la pratica, raggiunge attraverso la pratica il piano teoretico, e deve poi ritornare nuovamente alla pratica" (36); in realtà, "criterio della verità può essere soltanto la pratica sociale" (37). E’ un’inversione completa dell’intelligenza, che Mao ci illustra adeguatamente quando aggiunge "pratica, conoscenza, più pratica e più conoscenza. Questa formula nella sua ciclica ripetizione, é infinita: ma ad ogni nuovo ciclo il contenuto della pratica e della conoscenza si eleva a uno stadio sempre più alto [...] questa é la concezione dell’unità del sapere e di azione propria del materialismo dialettico" (38).

La conseguenza immediata di questa tesi per l'insegnamento, come osserva Octavi Fullat commentando la II Tesi menzionata, è che, per il marxismo, "educare non è porre in contatto con la verità, ma con la pratica" (39). Infatti, come affermava lo stesso Mao, una delle caratteristiche del materialismo dialettico consiste nel ritenere "la pratica più importante della conoscenza (teorica) [...] l’affermazione dell’interdipendenza tra teoria e pratica, l’affermazione che alla base della teoria sta la pratica, e che a sua volta la teoria serve la pratica [...] Il punto di vista della pratica deve essere il punto di vista primo e fondamentale della teoria della conoscenza nel materialismo dialettico" (40).

Come osserva Theo Dietrich "secondo la dottrina marxista, l'uomo può soltanto giungere a conoscere la volontà storica, accordare la sua volontà ad essa e agire in accordo con la necessità storica. Questo accordo della volontà soggettiva dell'uomo con la volontà oggettiva della storia è ciò che costituisce, secondo Marx, la fede nella verità del senso della storia" (41). In accordo con quanto esposto, per il marxismo l'educazione e l'insegnamento devono realizzare praticamente il vincolo dell'uomo col senso della storia; "l'educazione è necessaria - segnala Dietrich -. Il suo significato e il suo compito consiste nel provocare la massima accelerazione del processo storico e nel rendere possibile, ossia far trionfare, la trasformazione della coscienza degli uomini" (42).

10.2.2 L’obiettivo e la tattica

Octavi Fullat osserva giustamente che per il marxismo "educare é inserire l’uomo nella dialettica totale e portare a termine tutto ciò in modo polemico" (43); "l'unico modo possibile di educare consiste nel riprodurre in lui le leggi necessarie della dialettica della materia; ottenere che, coscientemente e liberamente (parliamo di libertà marxista) l'educando si venga realizzando, per mezzo di contraddizioni successive, nella natura e nella storia" (44); insomma, "se l'educazione marxista deve interpretarsi come adattamento [...] esso è adattamento alla situazione rivoluzionaria, progressiva del momento [...] educare è socializzare" (45).

Di conseguenza, come segnala T. Dietrich, "conoscendo la verità ed avendo l’insegnamento come obiettivo quella della trasmissione di tale verità, possiamo dedurre che l'attività autonoma dell'individuo trova posto solo dove può esercitarsi in modo conforme ai fini che assegna l'ideologia. Il giovane deve, in primo luogo, piegarsi all'autorità dell'ideologia, e solo dopo, potrà diventare attivo nel senso fissato dall'ideologia. In base a ciò, non è l'"IO" dell'uomo che si esprime ma si dovrebbe piuttosto parlare di attività autonoma della coscienza ideologica alla quale l'uomo subordina la sua attività. Questo principio esige che l'insegnamento sia in mano a maestri indottrinati ideologicamente. Il maestro svolge un ruolo importante. Deve essere capace di accendere la scintilla della coscienza comunista nei suoi alunni. Oltre a una formazione politecnica adeguata, deve avere, innanzi tutto, una coscienza politica. La scuola e l'insegnamento devono essere permanentemente controllati per evitare che si infiltrino nella scuola residui di concezioni borghesi" (46).

Perciò, oltre all’istruzione e allo studio, la "formazione della coscienza raggiunge la sua maggiore profondità quando vi si accumula la propria esperienza individuale", ma, "gli ambiti in cui si deve portare a termine l’esperienza sono: la lotta di classe, l’oppressione del mondo proletario, il lavoro sociale degli operai e dei contadini, la società comunista. La natura di questi ambiti, fin da subito, non permette altro che un’esperienza molto particolare. Di conseguenza, la coscienza può nutrirsi solo di conoscenze orientate in una direzione determinata [...] Lo spazio in cui si possono portare a termine é, primariamente, la scienza spezzettata nella macina dell’ideologia. Pertanto, secondo Lenin, la scuola ha come missione l’imprimere il sigillo della coscienza comunista per mezzo di un'istruzione ed una formazione sistematica; ma perché tale impronta possa divenire realtà, é altrettanto necessario acquisire un’esperienza personale nel chiuso dello spazio comunista. Per questo motivo, e per mezzo di un programma metodico d’istruzione, sottomette il sapere ereditato al vaglio degli orientamenti generali del comunismo" (47).

Tale è l'obiettivo della educazione marxista: fare coscienze comuniste (48). Ma come si fa? Come lo si ottiene? Il procedimento varia secondo le circostanze. Il fatto che il marxismo sia già al potere oppure che non l'abbia ancora conquistato, non comporta lo stesso genere di tattica. Quando domina nella società, abbiamo visto come agisce. E nell'altro caso?

In primo luogo, deve essere chiaro che esso non si prefigge di migliorare niente: si tratta di trasformare, di cambiare tutto, a causa del carattere dialettico del marxismo. La critica del marxismo ad ogni ingiustizia reale (o a ogni situazione che si presenta come ingiusta o viene fatta passare come tale) non ha come scopo il ristabilimento della giustizia, il cambiare le cose nella direzione più ampia e buona, ma l’inserire l'uomo nella dialettica, l’ottenere che gli uomini accettino di essere vincolati al processo dialettico, che è ciò in cui per il marxismo consiste il progresso (49).

Il piano per l'educazione e l'insegnamento ce lo spiega Maurice Levitas; secondo lui, il marxismo si oppone ai miglioramenti sociali e vuole la rivoluzione sociale (50). Il fatto é che, come Marx aveva segnalato, "la classe dominante è tanto più forte e pericolosa nel suo dominio quanto più è capace di assimilare gli uomini più importanti delle classi dominate" (51); "per questa ragione - sostiene Maurice Levitas -, i marxisti rifiutano di ammettere l'opportunità di miglioramenti sociali come fine di una politica socialista o democratica dell'educazione" (52).

Il fatto é che l'obiettivo del marxismo, quello confessato e reale, è la presa del potere da parte della classe lavoratrice. Tuttavia, come segnala M. Levitas, "questo non vuol dire che non si può fare niente prima che il potere della classe lavoratrice divenga realtà. La lotta per il miglioramento dell'educazione della classe lavoratrice (53) ha questa importanza: senza la dedizione a questa lotta non possono prendere forma e svilupparsi né i mezzi per portare a termine l'offensiva "ultima" e neppure l'ideologia che la sostiene. Inoltre, qualunque vittoria nel progresso educativo (54), può aiutare a sviluppare la coscienza di classe della classe lavoratrice, anche se aiuta gli obiettivi correnti del capitale finanziario" (55). Da ciò l'importanza, per il marxismo, dell'insegnamento nei centri scolastici della società in cui non ha ancora preso il potere. Da qui l'importanza e il pericolo del marxismo nelle scuole, collegi e università del mondo occidentale.

Pericolo molto più importante e reale oggi, posto che 1'eurocomunismo si propone proprio di arrivare allo "stato finale della storia", ossia al comunismo, per mezzo della conquista della società; cosa che renderà possibile, e possibile facilmente, la successiva conquista dello Stato. In altre parole, per usare la terminologia di Gramsci (56): la conquista della società civile come preludio della conquista della società politica.

Una delle modalità con cui preparare e ottenere che la società sia marxista è l'educazione liberatrice, sviluppata da Paulo Freire e dai suoi seguaci, a partire principalmente dagli ambienti impropriamente denominati cattolico-progressisti o cattolici di sinistra, posto che, in realtà, in tali luoghi il cattolicesimo è scomparso.

10.2.3 L’educazione liberatrice

10.2.3.1 Precisazioni concettuali

Per intendere ciò che significa "educazione liberatrice" (57) è necessario conoscere il contenuto di alcune parole ed espressioni che, nella concezione di Paulo Freire, si utilizzano volutamente in forma equivoca.

Conoscere è verificare la natura delle cose, le sue qualità e relazioni. L'oggetto della conoscenza sono le cose: nella misura in cui il nostro giudizio é in accordo con la realtà delle stesse, la nostra conoscenza risulta verace. Inoltre, la conoscenza è connaturale a tutto l'uomo.

Ebbene, per Paulo Freire e l'educazione liberatrice, tutto ciò è falso. Per l'educazione liberatrice, non è la conoscenza della realtà che ci porta a operare secondo un ordine o una finalità che la natura delle cose richiede e che, con l'osservazione di esse, scopriamo, conosciamo e, in conseguenza, attuiamo in accordo con essa. L'educazione liberatrice rifiuta la conoscenza in quanto attività intellettuale: per essa la conoscenza non è altro che la prassi e si identifica con essa in modo che la conoscenza stessa si può solo acquisire attraverso la stessa prassi. Non si può nemmeno ammettere, che l'uomo possa conoscere di per sé stesso: lo può fare solo attraverso una relazione di compartecipazione, di dialogo, dove ciò non è che la prassi stessa, per cui anche la verità scompare trasformandosi (58).

La coscientizzazione - un'altra delle basi su cui si fonda l'educazione liberatrice -, suppone il rifiuto della intelligenza, essendo anch'essa prassi attraverso la quale si opera la trasformazione della coscienza; una coscienza che, inoltre, è "coscienza di classe" perché scompare la persona, l'individuo concreto, per il quale non resta posto in tale concezione. Infatti, per l'educazione liberatrice, la condizione dell'uomo risulta dall'accordo rivoluzionario: è uomo solo chi si impegna nella prassi rivoluzionaria, nell'azione trasformante della realtà. Inoltre, l'uomo non "è" ma si "fa" continuamente nella prassi, visto che non è altro che una parte del tutto collettivo; così, l'umanesimo al quale fa allusione l'educazione liberatrice, non è altro che pura trasformazione, prassi. La liberazione che proclama non è altro che la liberazione dalle strutture di oppressione per mezzo della lotta di classe, per arrivare - attraverso una trasformazione continua - a una nuova società, della quale non si sa nulla se non che viene annunciata come la "via inedita". La libertà dell'uomo scompare davanti un determinismo fatale, che conduce a una società aperta, liberata, critica, nella quale non vi sono strutture di dominazione e oppressione. E' chiaro che Freire non può spiegare come sia possibile che si verifichi la trasformazione delle coscienze (che renda possibile l'apparizione di quella società), dal momento che le coscienze dipendono dalle strutture e queste sono di oppressione e dominazione: la conseguenza logica del pensiero marxista dì Freire, che impregna tutta l'educazione liberatrice, e che egli è radicalmente incapace di spiegare la realtà in modo soddisfacente.

10.2.3.2 Rivoluzione culturale

L'educazione a cui fa riferimento l'educazione liberatrice, non ha nulla a che vedere con il concetto che la parola educazione esprime. Il concetto tradizionale di educazione, basato sull'esistenza di un ordine e di una realtà oggettiva - che è possibile conoscere e in accordo coi quali bisogna agire -, è rifiutato dall'educazione 1iberatrice, giacché tale concetto fa parte della "ideologia dominante" (59), e serve solamente per "integrarsi" (60) nella società che opprime: una tale concezione dell'educazione è una concezione "creditizia" della stessa società, che l'educazione liberatrice rifiuta in pieno e contro cui lancia ogni tipo di critica (61).

Per Paulo Freire, e per l'educazione liberatrice, educare è coscientizzare: l'obiettivo dell'educazione è "rendere possibile (che gli uomini) approfondiscano la loro presa di coscienza della realtà, nella quale e con la quale sono" (62). Tale "approfondimento della presa di coscienza che si fa attraverso la coscientizzazione" (63), "non consiste nello stare di fronte alla realtà assumendo una posizione falsamente intellettuale; la coscientizzazione non può esistere fuori della prassi" (64), "è un compromesso storico" (65) che "implica, necessariamente, un compromesso politico" (66); é, tuttavia, un compromesso politico che porta alla lotta di classe, perché "non vi é coscientizzazione se dalla sua pratica non sorge l'azione cosciente degli oppressi, in quanto classe sociale sfruttata, nella lotta per la loro liberazione" (67). In realtà, l'educazione liberatrice non educa, ma coscientizza. E' uno strumento al servizio dell'educazione rivoluzionaria.

L'educazione liberatrice (forse perché non compresa, o perché compresa fin troppo bene), tuttavia, oggi sta venendo messa in pratica, grazie alla critica che fa all'educazione non liberatrice, all'educazione "creditizia". Senza dubbio, l'educazione liberatrice non ha alcun fondamento nella sua critica all'educazione che non viene ritenuta liberatrice. Questa critica ad alcuni aspetti negativi dell'educazione non liberatrice, è solo un modo di nascondere l'aspetto fondamentale dell'educazione liberatrice, di far dimenticare ciò che essa propone, di ottenere, insomma, che si accetti l'impegno al quale conduce l'educazione liberatrice (68). In realtà, la critica alla educazione non liberatrice, sorge perché la si considera strumento della classe e della cultura dominante, che non libera l'uomo, bensì lo integra nella società, perché è un'educazione integratrice (69).

L'educazione liberatrice e il metodo da essa impiegato si basa nell'azione, nella prassi: è prassi. Attraverso di essa è possibile cancellare la memoria storica - e con essa la tradizione -, e annullare l'intelligenza. Con l'azione, mediante la prassi, si impedisce la contemplazione - che è il fondamento del sapere -, e così si rende possibile la rivoluzione totale, permanente, continua. Si è rifiutata l'intelligenza e si impedisce all'uomo l'esercizio della sua facoltà intellettiva. Il vincolo all'azione, alla prassi, impedisce completamente di pensare, tanto che, alla fine, si pensa e si ragiona come si agisce; siamo ancora di fronte al postulato marxista della azione che precede la dottrina e la conoscenza, essendo la stessa azione la guida di sé stessa (70).

10.3 Il rifiuto dell'intelligenza

Educazione rivoluzionaria significa rifiuto dell'intelligenza. Sebbene l'uomo, per il fatto di essere tale, sia intelligente, dire che l'educazione rivoluzionaria rifiuta l'intelligenza, non vuol dire che l'uomo cesserà di possedere la facoltà intellettiva; non è possibile cambiare la natura umana fino a questo estremo senza distruggerla completamente. L'uomo non può formare uomini che manchino di intelligenza. Ma, in compenso, si può arrivare ad annullare l'intelligenza, impedire l'uso della ragione, ottenere, insomma, di cambiare in modo tale l'intelligenza umana che l'uomo non saprà poi, veramente discernere, pensare da solo. Questo è, in realtà, il risultato dell'educazione rivoluzionaria e in una delle sue manifestazioni, quella marxista, non è soltanto il risultato a cui si giunge inesorabilmente, ma il fine che sin dall'inizio si persegue.

E' respingere l'intelligenza il negare di poter conoscere l'esistenza di una realtà oggettiva, esterna all'uomo, conformemente alla quale dobbiamo operare una volta conosciutala e nella misura in cui la conosciamo. E' una realtà oggettiva esterna che, certamente, può essere in una qualche misura modificata dall'attività dell'uomo, ma che, fondamentalmente, non dipende dall'attività umana bensì ubbidisce alle leggi della natura, é un'attività frutto di un ordine naturale che ubbidisce all'intelligenza del Creatore. Ciò viene negato dall'educazione rivoluzionaria, che non vuole ammetterlo: dalla educazione naturalista e negativistica di Rousseau, alle ultime manifestazioni dell'educazione marxista.

E' ugualmente respingere l'intelligenza impedirne l'uso, il vincolare all'uomo e alla prassi, che ha proprio per obiettivo l'impedire di pensare, per ottenere senza ostacoli tale vincolo. Perciò, si cerca anche di cancellare la memoria storica e in questo modo realizzare ciò che Orwell (71) intravide nella sua Oceania immaginaria, nella quale - a seconda degli interessi del Partito e attraverso il Ministero della Verità - si confezionavano gli avvenimenti storici presenti e passati, perché con la memoria cancellata e le testimonianze scritte falsificate, le pretese del Partito fossero necessariamente accettate, non esistendo più nulla con cui paragonarle.

Per questo, l'educazione rivoluzionaria è qualcosa di totalmente contrario al concetto di educazione. Anche per questo, l'educazione rivoluzionaria è totalmente sottomessa, in ogni aspetto, alle direttive del Partito, dello Stato o del super-stato: per fare un "perfetto" mondo di robot, dove la disumanizzazione sarà totale e permanente.

E' pure la stessa ultima conclusione alla quale porta la rottura con l'ordine della natura, alla cui osservazione e conoscenza dobbiamo sottometterci e operare in accordo con i suoi insegnamenti, così come era stato percepito dal realismo aristotelico tomista. Una rottura iniziata col nominalismo di Ockam (72) e - passando per l'idealismo - conclusasi col marxismo, sia sul piano morale, quanto in quello sociale e politico (73).

 

NOTE

  1. Cfr. Jacques Tremolet de Villers: La educaciòn revolucionaria, in Verbo 119-120, novembre-dicembre 1973, pp. 973 e succ. [http://web.tiscalinet.it/educazione/]
  2. Jean Jacques Rousseau, Émile a cura di Jean Louis Lecercle, Editori Riuniti, Roma 1979, pag. 62.
  3. Ibid., p. 79.
  4. Ibid., p. 80.
  5. Ibid., p. 83-84.
  6. Ibidem.
  7. Ibid., p. 88-89.
  8. Ibidem.
  9. Ibid., p. 90.
  10. Ibid., p. 59.
  11. Ibid., p. 62.
  12. Ibid., p. 57.
  13. J. Tremolet de Villers, op. cit.
  14. J. J. Rousseau, op. cit., pag. 52.
  15. Ibid., p. 97.
  16. J. Tremolet de Villers, op. cit.
  17. Ibidem.
  18. Ibidem.
  19. Ibidem.
  20. Sulla pedagogia influenzata delle idee di Rousseau, cfr. E. Cantero: Alcune innovazioni della pedagogia moderna, Verbo, Spagna. n° 171/172, in questo libro al cap. IX. Come ha recentemente posto in risalto Iván R. Luna, anche Dewey subisce l'influenza di Rousseau: analizzando la libertà di giudizio, il libero arbitrio, segnala che - per Dewey - il soggetto usa adeguatamente della libertà per sua stessa natura - a causa della bontà naturale - e su essa si fonda la morale. Per questo, secondo Dewey, non bisogna correggere il bambino e educare la sua volontà, giacché presupposta la bontà naturale dell'uomo, non é necessario rettificare gli interessi dei bambini, ma solo regolarli: quanti non si adattano al gruppo, non sono altro che eccezioni a questa regola, "casi eccezionali", ai quali non si deve dare troppa importanza (Educaciòn y libre albedrìo, in Filosofar cristiano, Còrdoba-Argentina, n. 2, 1977, pp. 246-249).
    Fra le esperienze attuali nelle quali si riescono a scorgere presupposti ed idee simili (che ciò avvenga in modo cosciente, incosciente o anche senza una influenza diretta) a quelle di Rousseau, è utile segnalare quelle portate avanti da A.S. Neill nella sua scuola di Summerhill, a cui non è ozioso riferirsi per l'importanza che gli si sta concedendo e per la proliferazione delle edizioni delle sue opere. Neill ritiene che la scuola e l'educazione debbano essere per la vita, debbano formare uomini liberi ed insegnare a pensare. Non ci sarebbe nulla da obiettare a tutto ciò, se questo fosse effettivamente il suo proposito e la meta da perseguire. Ma la realtà é ben diversa, principalmente a causa della concezione che Neill ha della vita, dell'uomo, della società, della realtà e della natura. Per Neill - il cui "principale desiderio é la felicità dei bambini" (Autobiografia, Fondo de cultura economica, Madrid 1976, p. 268) -, "il fine della vita è raggiungere la felicità" (Summerhill, Fondo de cultura economica, Madrid 1976, p. 36) e "la felicità può essere definita come la condizione in cui si ha il minimo di repressione" (ibid. pag. 283). "Come si può avere la felicità? La mia personale risposta è: abolite l'autorità, lasciate che il bambino sia se stesso. Non lo spingete. Non insegnategli. Non fategli prediche. Non miglioratelo. Non obbligatelo a fare niente" (Ibid., p. 241).
    Tuttavia, "l'eccessiva libertà diventa licenza. Io definisco la licenza come qualcosa che viola la libertà degli altri" (Hijos en libertad, Granica, Barcellona 1978, II ed., p. 21); "l'autocontrollo implica la capacità di pensare agli altri, di rispettare il diritto degli altri" (ibid., p. 22).
    Per Neill, che sembra considerare tutti i bambini come problematici o difficili, il male é nella società, nel "sistema repressivo" (Autobiografia, op. cit., p. 12), che infonde nei bambini il complesso di colpa e il complesso del peccato (da cui non potranno liberarsi quando saranno uomini) con la repressione provocata dall'autorità: sono specialmente colpevoli la repressione religiosa e la repressione sessuale, cause di tutti i mali. Neill rifiuta, perciò, l'autorità, affermando che la educazione deve essere basata sui sentimenti più che sull'intelligenza, giacché "le emozioni e non l'intelletto, costituiscono la forza che dà impulso alla vita" (Autobiografia, op. cit. p. 143). Secondo lui, "non é possibile insegnare alcunché di importante: non l'amore, né l'essere onorato e neppure l'essere caritatevole; devono invece insegnarsi delle abilità, come ve ne sono nel lavoro" (Autobiografia, op. cit., p. 112). Insomma, "non vi è alcuna necessità di insegnare ai bambini come devono comportarsi. Un bambino imparerà ciò che è buono o cattivo a suo tempo, sempre che non venga condizionato" (Summerhill, op. cit., pag. 210); "la gioventù ne uscirà avendo guadagnato la libertà di decidere da sola ciò che è bene e ciò che è male" (Hijos en libertad, op. cit., p. 106). Inoltre, "la legge provoca il crimine e la censura provoca la pornografia" (ibid., p. 107); ed "è l'istruzione morale che fa male al bambino. Vedo che quando faccio a pezzi l'istruzione morale che ha ricevuto un bambino, questo diventa un bambino buono" (Summerhill, op. cit., p. 207). Il fatto é che, per Neill, "un criminale non può evitare di esserlo; sono l'eredità e l'ambiente che rendono l'individuo buono o cattivo" (Autobiografia, op. cit., p. 298). Per Neill, il criminale, i bambini ribelli, i bambini problema, sono in realtà dei malati, nei quali la volontà non può fare nulla: è sempre il subconscio che opera: "agiamo, ma non sappiamo il perché" (Summerhill, op. cit., p. 206).
    Neill soffre di una vera ossessione nei confronti della religione e del sesso. Nelle sue opere le allusioni all'una e all'altro sono una costante, che induce a credere che da esse derivi ogni male. Una volta liberato l'uomo, il bambino, da ogni senso di colpa, la libertà e la felicità hanno libero corso. Secondo Neill "se si insegna (al bimbo) che certe cose sono peccato, in lui l'amore alla vita può trasformarsi in odio" (ibid., p. 202) ed il fatto è che "la religione postula il peccato dove esso non esiste" (ibid., p. 233). Per questo egli soffre di un'ossessione, che rivela apertamente il suo odio verso la religione e la Chiesa Cattolica "Non mi piace odiare, ma la mia più grave ostilità è verso per la Chiesa Cattolica. Odio una autorità che inculca un sentimento di colpa verso il sesso a cinquecento milioni di persone, un sentimento che le trasforma in vassalli" (Autobiografia, op. cit., p. 179). In realtà, per Neill, l'uomo è naturalmente buono e nella natura umana non esiste alcuna possibilità di cattive inclinazioni, di fare il male, che non sia prodotta dall'autorità, dalla "repressione" religiosa, morale o sessuale. Di fatto, Neill non crede nel bene e nel male, nel cattivo e nel buono oggettivamente considerati: ecco l'origine delle sua affermazioni che abbiamo trascritto. Così, per Neill, "non ci sono cose importanti da insegnare" (ibid., p. 345); "non ci sarà libero arbitrio finché ci sarà la tendenza a formare la gioventù" (ibid., p. 146); e "la cosa più pericolosa é che il maestro trasmetta agli alunni le proprie idee. La missione dell'insegnamento consiste nello stimolare il pensiero, non nell'inculcare dottrine" (Hijos en libertad, op. cit., p. 119).
    Per Neill é la bontà innata dell'uomo quando segue le sue inclinazioni- senza possibilità di alcuna specie di male -, il fondamento dell'educazione e dello sviluppo dell'uomo verso la sua perfezione, verso la libertà. Di conseguenza, nella sua concezione, non c'è ordine naturale, morale o religione. La sua meta é la felicità, una felicità lontana da Dio, ottenuta grazie alla libertà scevra da ogni autorità e disciplina. L'unica cosa che impedisce alla libertà di diventare libertinaggio é, secondo Neill, il diritto altrui. Ma chi determinerà quali sono tali diritti? La democrazia diretta di tutti? E, in questo caso, ciò non produrrà forse quei sentimenti di colpa nei bambini e nelle persone? Nel corso delle sue opere, Neill sembra volere distinguere l'impossibilità della libertà che considera degenerata da quella che concepisce come libertinaggio o licenza, sulla base del rispetto dei diritti altrui, specialmente inerenti la proprietà. Un bambino non deve prendere quel che é di altri, perché non gli appartiene, é di altre persone. Può fare quel che vuole purché non prenda quanto é di altri, non invada il terreno dei diritti altrui. Perché? Forse che la proprietà non genera sentimenti di colpa? Perché la repressione nell'ambito dei diritti altrui, non dovrebbe generare sentimenti di colpa?
    Oltre al fatto di misconoscere la realtà col partire da concezioni erronee relativamente alla religione, alla dottrina della chiesa e soprattutto alle questioni sessuali, che vengono proibite solo in quanto si oppongono all'ordine naturale; del supporre che l'insegnamento e l'educazione soffrano ovunque dei mali da lui descritti che, sebbene siano in parte reali, sono immaginari per gran parte dell'educazione e dell'insegnamento; a parte questo e molte altre cose che si potrebbero dire, Neill soffre davvero di un'autentica ossessione verso il sesso. Persino Erich Fromm sembra suggerirlo quando afferma: "l'autore é legato ai presupposti di Freud e, per come la vedo io, stima un pò troppo l'importanza del sesso, come tendono a fare i freudiani" (Prologo a Summerhill, op. cit., p. 14). Non solo di Freud, ma anche di Wilheilm Reich, che era un vero paranoico (cfr. Enrique Dìaz Araujo, Wilheilm Reich, sexo y revoluciòn, in Verbo, n. 165-166, giugno 1978).
  21. J. Tremolet de Villers, op. cit.
  22. Ibidem.
  23. Ibidem.
  24. Dante Morando, Pedagogia, Morcelliana, Brescia 1951, p. 217.
  25. Cfr. J. Vallet de Goytisolo, Los pactistas del siglo XVII: Hobbes y Locke, in Verbo, n. 119-120.
  26. Aristotele, Etica Nicomachea, Laterza, Bari 1979, II ed., Libro II 1-6, p. 29-40 e Libro VI 13, p. 159-161; IDEM, La Politica, Espasa-Calpe, Austral, 10° ed. Madrid 1965, p. 143.
  27. San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica, Suppl. q. 41a.. 1, Salani, Roma 1972, vol. XXXI, pag. 24.
  28. Dante Morando, op. cit., p. 219.
  29. E continua: "L’equivoco che spesso si cela nel concetto d'educazione naturale é quello di credere contro natura ogni intervento educativo che sembri venire dall’esterno dell’educando, e naturale solo ciò che si sviluppa in lui spontaneamente di momento in momento. Ora l’educazione, proprio per la sua stessa natura di educazione umana, 1) suppone sempre la natura data dell’educando, cui essa si applica; ma 2) non ha affatto il compito di assecondarla in tutte le sue indisciplinate manifestazioni, altrimenti cesserebbe d’esistere come educazione [...] All’educazione spetta pertanto il compito, non già di lasciare le cose al loro stato naturale, ma di potenziare la vita umana, sfruttando le migliori aspirazioni e disposizioni della natura, e costringendo tutti gli impulsi inferiori ad accettare la disciplina imposta dal sorgere dell’autentica personalità, fondata sopra la consapevolezza di finalità superiori, razionali e morali" (ibid., p. 219-220).
  30. Come osserva Jacques Boislevant (Jean-Jacques, pére de la barbarie moderne, in l'Ordre Française, n. 222, luglio 1978), "le tesi di Rousseau sono quelle dell'individualismo assoluto, che non possono fare altro che condurre all'anarchia o alla schiavitù. Ha due elementi che soprattutto lo compongono: il rifiuto d'ogni autorità e l'esaltazione delle passioni [...] Ciò che Rousseau rifiuta completamente è l'autorità di una persona su di un'altra e, di conseguenza, il valore d'ogni istituzione sociale fondata implicitamente o esplicitamente sull'esistenza di una gerarchia.. Ma se Rousseau non può tollerare alcun tipo di tutela sull'uomo, avendolo immaginato senza sostegno, sente molto profondamente la sua debolezza, la sua impotenza di vivere nel corpo sociale, la quasi totale assenza di energia che patisce: lo Stato, questo potere astratto e impersonale, provvederà. Lo Stato totalitario - che preconizzò - risponde a queste due esigenze contraddittorie: essere libero vuol dire, secondo lui, non dipendere da nessuno, e disporre di una protezione superiore affinché i suoi simili non minaccino la sua libertà".
  31. Come indica ancora Jacques Boislevant, per Rousseau, "l'uomo dominato dalle sue passioni non è l'uomo debole che corre verso la sua perdizione, come fino allora si era creduto, ma il giusto che segue la gran voce della sua coscienza e, perciò, raggiunge la verità, posto che la verità si confonde con la sincerità" (ibidem). Moreno, Poblador e del Rìo, da parte loro, segnalano che "é deplorevole la pertinace negazione naturalistica di ogni azione positiva che s'inquadri nell’ordine della natura. Rousseau sostiene che non disponiamo legittimamente dell’educazione umana. L’educazione naturale, come si é detto, é anzitutto negativa. Si limita ad allontanare dal bambino qualsivoglia influenza che possa sviare il normale corso del suo sviluppo" (Historia de la educaciòn, Paraninfo - BIE, Madrid 1974, p. 303).A causa della frammentazione della natura dovuta all'amputazione del concetto di natura, l'ordine naturale di Rousseau e del naturalismo non è altro che la condizione naturale immaginaria e utopistica; é per questo che il corso "normale" dello sviluppo del bambino si rivela, in realtà, uno sviluppo totalmente anormale. E’ per questo che PIO XI, nell’enciclica Divini illius Magistri, condannò il naturalismo pedagogico dicendo: "Falso è perciò ogni naturalismo pedagogico che in qualsiasi modo escluda o menomi la formazione soprannaturale cristiana nell'educazione della gioventù; ed è erroneo ogni metodo di educazione che si fondi, in tutto o in parte, sulla negazione o dimenticanza del peccato originale e della Grazia e quindi sulle sole forze dell'umana natura. Tali sono generalmente quei sistemi odierni di vario nome, che si appellano ad una pretesa autonomia e libertà sconfinata del fanciullo e che sminuiscono o anche sopprimono l'autorità e l'opera dell'educatore, attribuendo al fanciullo un primato esclusivo d'iniziativa ed una attività indipendente da qualsiasi legge superiore naturale e divina nell'opera della sua educazione" (Tutte le encicliche dei sommi Pontefici, Dall'Oglio editore, Milano 1979, V ed., Vol. I., pag. 860). Si osservi, una volta di più, come Rousseau ed il naturalismo mutilino la natura umana. Continua Pio XI: "Se con alcuni di quei termini si volesse indicare, pur impropriamente, la necessità della cooperazione attiva, a grado a grado sempre più consapevole dell'alunno alla sua educazione; se s'intendesse rimuovere da questa il dispotismo e la violenza (quale non è, del resto, la giusta correzione), si direbbe il vero, ma nulla affatto di nuovo, che non abbia insegnato la Chiesa ed attuato nella pratica l'educazione cristiana tradizionale, a somiglianza del modo tenuto da Dio stesso rispetto alle creature, che Egli chiama alla cooperazione attiva, secondo la natura propria di ciascuna, giacché la Sua Sapienza "si estende con potenza da una estremità all'altra e tutto governa con bontà" (Sap. VIII, 1). Ma, purtroppo, col significato ovvio dei termini e col fatto stesso, si intende da non pochi sottrarre la educazione da ogni dipendenza dalla legge divina. Onde ai nostri giorni si dà il caso, in verità assai strano, di educatori e filosofi che si affannano alla ricerca di un codice morale universale dell'educazione, quasi non esistesse né il Decalogo, né la legge evangelica, e neanche la legge di natura, scolpita da Dio nel cuore dell'uomo, promulgata dalla retta ragione, codificata, con rivelazione positiva, da Dio stesso nel Decalogo. E similmente, da tali novatori si suole denominare, come per disprezzo, "eterònoma", "passiva", "superata", l'educazione cristiana perché si fonda sull'autorità divina e sulla sua santa legge. Costoro miseramente si illudono nella pretensione di liberare, come essi dicono, il fanciullo, mentre lo rendono piuttosto schiavo del suo cieco orgoglio e delle sue disordinate passioni, poiché queste, per logica conseguenza di quei falsi sistemi, vengono ad essere giustificate quali legittime esigenze della natura sedicente autonoma".
  32. Cfr. Michele Federico Sciacca, La contemplaciòn como fundamento del saber, in Contemplaciòn y acciòn, Speiro, Madrid 1975.
  33. Cfr. Theo Dietrich, Pedagogìa socialista, Sìgueme, Salamanca 1976, p. 143.
  34. "I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ora si tratta di trasformarlo" in Augusto del Noce, I caratteri generali del pensiero politico contemporaneo. Lezioni sul marxismo, Giuffrè, Milano 1972, p. 227.
  35. Ibid., p. 111.
  36. Mao Tse-Dun, A proposito della pratica, in Scritti scelti, Edizioni Rinascita, Roma 1954, vol. I, p. 427.
  37. Ibid., p. 414.
  38. Ibid., p. 434.
  39. Octavi Fullat, La educaciòn sovietica, Nova terra, Barcellona 1972, p. 69.
  40. Mao Tse-Dun, op. cit., p. 414.
  41. Theo Dietrich, op. Cit., p. 58.
  42. Ibid., p. 65.
  43. Octavi Fullat, op. cit., Ibid., p. 64.
  44. Ibid., p. 65.
  45. Ibid., p. 66.
  46. Teo Dietrich, op. cit., p. 84.
  47. Ibid., p. 228.
  48. Questo è l'obiettivo anche dei pedagoghi sovietici più rappresentativi, come Makarenko e Sujomlinski; vedasi la nota 77 di La educaciòn permanente, in Verbo, n. 169-170, novembre-dicembre 1978.
  49. Non si insisterà mai sufficientemente su quest'aspetto del marxismo e del comunismo. Basato sulla dialettica e sulla prassi, il marxismo non farà mai nulla per procurare l'armonia sociale. Nulla per migliorare le situazioni. Si tratta di cambiare tutto in modo radicale e perpetuamente. Lenin segnala: "Quasi tutti i socialisti di allora, e in generale gli amici della classe operaia, non vedevano nel proletariato altro che una piaga; vedevano con spavento ingrandirsi questa piaga a misura che si sviluppava l'industria. Così cercavano tutti i mezzi per frenare lo sviluppo dell'industria e del proletariato. Marx e Engels al contrario riponevano tutte le loro speranze nella crescita continua di quest'ultimo. Più ci sono proletari maggiore é la loro forza come classe rivoluzionaria, più prossimo possibile é il socialismo" (Lenin, Karl Marx et sa doctrine, Edic. Sociales, Paris, p. 42, cit. da Jean Ousset in Marxismo y Revoluciòn, Speiro, Madrid 1977, pag. 65). Del resto, come non dubita di affermare il comunista Henri Lefebvre, "il marxismo non arreca un umanitarismo sentimentale e piagnucoloso. Marx non si è chinato sul proletariato perché esso è oppresso, per lamentarsi della sua soppressione [...] Il marxismo non si interessa al proletariato in quanto esso è debole - come le persone caritatevoli, certi utopisti, paternalisti, sinceri o no - ma in quanto esso è una forza" (H. Lefebvre, Il marxismo, Garzanti, Milano 1954, pag. 49). Nello stesso senso, già nel Manifesto del Partito Comunista, erano stati criticati i socialisti utopisti, che volevano conciliare gli antagonismi opponendosi alla lotta di classe o cercando di temperarla.
  50. Maurice Levitas, Marxismo y sociologìa de la educaciòn, Siglo XXI, Madrid 1977, cap. 4, p. 66-112.
  51. Karl Marx, Il capitale, citato da M. Levitas: op. cit., p.77.
  52. Ibidem.
  53. Si intenda: per fare coscienze rivoluzionarie.
  54. Si intende: nel fare coscienze rivoluzionarie.
  55. Ibid., p. 89.
  56. Esempio chiaro di sconfitta marxista dovuta al non aver avuto l'egemonia sulla società civile, è quello subìto da Allende in Cile (cfr. Estampas de Chile, Speiro, Madrid 1975). E' da questa lezione subita che data l'uso della tattica detta dell'egemonia.
    Sull'eurocomunismo si può consultare lo studio di Paloma Sànchèz Gòmez (Eurocomunismo, F.E. Horizonte, Madrid 1978, collezione Hoy-Aquì). Come indica P. Sànchèz Còmez, "Gramsci distingue fra la "società civile" e la "società politica": prima di prendere il potere è necessario conquistare la cultura. Una volta realizzato ciò, niente si opporrà all'instaurazione del comunismo. Per questo motivo Gramsci rifiuta la violenza rivoluzionaria - che ammetterà solo in casi estremi - dando più importanza all'educazione guidata dagli intellettuali, che sono il principale fattore rivoluzionario. Egli cerca in questo modo di evitare che la forte consistenza nei paesi occidentali della società civile, reagisca contro il governo rivoluzionario, portandolo allo sfascio" (ibid., p. 13). Deriva da ciò il fatto che, sulla strada del "compromesso storico", si sia proposto (da Enrico Berlinguer all'episcopato italiano, per mezzo di una lettera all'arcivescovo di Ivrea, Mons. Luigi Bettazzi), nel 1977, il cosiddetto "compromesso culturale" (cfr. Giovanni Cantoni: Il compromesso culturale, in Cristianità, n. 31 del novembre 1977). Come segnala Cantoni, tale compromesso si presenta come "una proposta comunista di collaborazione con l'episcopato e con i cattolici, per la costruzione in comune di una società pluralisticamente laicista" (ibid., p. 2). In realtà, come indica lo stesso Cantoni, "perché il cattolicesimo possa essere sconfitto nella sua battaglia contro la perversione comunista della società e dello Stato, il PCI chiede che i cattolici accettino un 'compromesso culturale': accettino cioè di attenuare la professione e la pratica integrali dei principi immutabili della loro dottrina dogmatica e morale - e in particolare quelli della dottrina sociale e politica - fino al punto in cui tale attenuazione permetta di teorizzare, prima e di praticare, poi, una intesa compromissoria, una sintesi, o 'compromesso', tra verità cattolica ed errore comunista" (ibid., pag. 1). E' quanto Gramsci aveva già detto: "l'egemonia politica può e deve esistere prima di ottenere il governo; non è necessario far assegnamento solamente sul potere e sulla forza materiale che questo consente per esercitare la direzione o egemonia politica". Questo concetto è così commentato da Christine Buci-Glucksmann: "non si può essere più espliciti: direzione e dominio non costituiscono due mondi separati, ma la preliminare direzione politica (una politica di alleanza e di massa) é la condizione sine qua non per l'esercizio di un dominio - direzione effettiva - che non si limiti alla sola forza materiale derivante dallo Stato" (Gramsci y el Estado, Siglo XXI, Madrid 1978, p. 83). Sin dal 1916, ci narra la Buci-Glucksmann, "Gramsci condurrà tutta una battaglia ideologica e culturale che renderà la cultura "uno strumento e una forma necessaria all'emancipazione politica di classe"" (ibid., p. 106). Tuttavia, si deve intendere bene il concetto di cultura: "Gramsci rifiuterà - continua la Buci-Glucksmann - tanto il riformismo culturale, che in definitiva subordina la classe operaia ad un'aristocrazia culturale, quanto l'anti culturalismo di Bordiga" (ibid., p. 106); "Gramsci condivide il pensiero esposto da Barbusse: é necessario distruggere il vecchio mondo per instaurarne uno nuovo. Ma per fare ciò é necessario che gli uomini credano a quel mondo nuovo e sappiano come dovrà essere. E' necessario, prima di tutto, fare la rivoluzione nello spirito" (Ibid., p. 108). M. A. Macciocchi lo spiega quando afferma che "è impensabile che una lotta politica possa ottenere veri risultati se non è accompagnata da una rivoluzione, da "una riforma intellettuale e morale", per usare la terminologia gramsciana, se non si cambia la mentalità della gente, e di conseguenza la sovrastruttura" (nella prefazione al libro di Dominique Grisoni e Robert Maggiori: Leer a Gramsci, Zero, Madrid 1974, p. 34). Perciò, "il problema della rivoluzione è anche un problema di educazione" (ibid., p. 37).Si deve procedere alla conquista della società civile per mezzo dell'insegnamento e della cultura, perché essa, secondo Grisoni e Maggiori, é "l'insieme degli organismi sovrastrutturali che permettono la "direzione intellettuale" della società ed ottengono il consenso e l'adesione delle classi subalterne. La società civile é, in accordo con tale criterio, il luogo nella sovrastruttura dove si elaborano e diffondono le ideologie; essa comprende l'ideologia propriamente detta, la "concezione del mondo" che unifica il corpo sociale, la "struttura ideologica" (cioé gli organismi privati che creano e diffondono ideologie), ed il "materiale ideologico" (il sistema scolastico, l'organizzazione religiosa, le case editrici, le biblioteche, i mezzi di informazione)" (ibid., p. 230-231). Infatti, secondo Gramsci, "è necessario che il fatto rivoluzionario appaia non soltanto come un fenomeno di potere. ma anche come un fenomeno di costume, che sembri un fatto morale" (ibid., p.88); per questo, "il fenomeno implica necessariamente una trasformazione radicale delle mentalità" (ibid., p. 88). Da questo deriva che, come rileva la Buci-Glucksman, un punto essenziale in Gramsci é considerare "la cultura come instaurazione di una nuova civiltà" (ibid., p. 101). Ecco spiegato il perché dell'importanza della scuola per Gramsci, nella quale politica, cultura e pedagogia vanno indissolubilmente unite.
    Mario Alighiero Manacorda (El principio educativo en Gramsci, Sìgueme, Salamanca 1977), evidenzia che "Gramsci poneva la scuola al centro della duplice azione egemonica (verso gli intellettuali e verso la massa), sottolineando l'importanza che questa azione ha per il successo di un programma scolastico e di un principio educativo" (ibid., p. 141), nel quale risulta essenziale il conformismo (ibid., p. 307 e seg.), il quale non è altro che l'accettazione e il legame alla filosofia della prassi, al marxismo. Da ciò l'importanza fondamentale dell'azione culturale, a cominciare dalla scuola.
    Angelo Broccoli (Antonio Gramsci y la educaciòn como egemonìa, Sìgueme, Salamanca 1977) ha cercato di edulcorare il totalitarismo, l'indottrinamento, la sottomissione e la totale dipendenza del pensiero e della formazione dell'uomo che il conformismo gramsciano implica. A questo fine distingue tra conformismo imposto e conformismo proposto: soltanto il secondo sarebbe quello difeso da Gramsci e dalla sua prospettiva pienamente marxista, esso consisterebbe e si identificherebbe con la libertà (cfr. ibid., p. 120 e seg. e p. 299 e seg.). Tuttavia, come lo stesso Broccoli indica, "porre i presupposti per il superamento della società attuale, tramite la conoscenza delle contraddizioni esistenti ed il conseguimento di un genuino senso di storicità, sembra essere il fine dell'educazione" (ibid., p. 161) in Gramsci. Quest'ultimo, nella sua lotta per instaurare la società comunista, aveva sostenuto che "conoscere il folklore significa, in coscienza, per il maestro, accorgersi che altre concezioni del mondo e della vita di fatto lavorano per la formazione intellettuale e morale delle generazioni più giovani ed agire affinché siano estirpate e sostituite con concezioni ritenute superiori" (cit. in ibid., p. 170).
    A tale opera si rivolge - come suggerisce Broccoli (ibid., p. 175) - la scuola unitaria di Gramsci, a cominciare dagli asili (a questo proposito è interessante ricordare che già Engels aveva indicato che nell'ordine sociale comunista, "i bambini saranno educati dalla società, in modo tale che resteranno distrutte le due colonne che costituiscono le basi fondamentali del matrimonio: la dipendenza della donna dall'uomo, e quella dei bambini rispetto ai genitori nel regime della proprietà privata" in Marx-Engels: Textos sobre la educaciòn y enseñanza, Comunicaciòn, Madrid 1978). Una scuola unitaria che "compie rispetto ai giovani lo stesso ruolo del partito politico che (è) lo strumento di omogeneizzazione culturale delle generazioni adulte" (ibid., p. 175).
    E' dunque un vano intento, quello di presentare il conformismo gramsciano come condizione di libertà: "superamento della società attuale", "estirpate e sostituite con concezioni ritenute superiori", "l'omogeneità culturale": è questa la cultura, il conformismo e la libertà marxista nei quali è annegata la libertà. Broccoli afferma che Gramsci, come Lenin, era cosciente de "la necessità di "condurre" un processo di direzione in senso politico e culturale, dal momento in cui la sola esplosione delle contraddizione borghesi non fosse sufficiente per assicurare la vittoria del proletariato" (ibid., p. 148). Ma il Gramsci maturo, quello dei Quaderni, sarebbe lontano dal giovane Gramsci, il quale "sembra che abbia diretto all'inizio i suoi sforzi verso l'appropriazione della cultura borghese, anche quando è trasfigurata e nobilitata dal compromesso politico personale" (ibid., p. 40). Invece Gramsci segnala che "esisterà una cultura (una civiltà) proletaria, totalmente differente da quella borghese" (cit. da Broccoli, ibid., p. 63), essendo, anche secondo Broccoli, "il distruggere la presente forma di civiltà l'unica opera veramente necessaria per la costruzione di una cultura operaia" (ibid., p. 63). Tale è, di conseguenza, l'obiettivo perseguito.
    Peraltro, "c'è un altro elemento destinato a svolgere un ruolo fondamentale nell'opera gramsciana: la necessità di organizzare la cultura" (ibid., p. 44), per la quale é essenziale "l'organicità, che é solo il risultato dell'unione di teoria e pratica" (ibid., p. 50), dovendosi "soprattutto organizzare la cultura in maniera completamente nuova" (ibid., p. 52). E' la direzione politica e culturale del proletariato a caratterizzare l'opera di Gramsci (ibid., p. 57 e seg.), il quale "accentua il potere di direzione del partito nei confronti delle masse" (ibid., p. 52), senza escludere la componente culturale dell'esercizio dell'egemonia, data "la necessità di una preparazione culturale delle masse, intesa in modo strettamente vincolato ad un'attività politica concreta" (ibid., p. 83). Per questi motivi, secondo Gramsci, "la diffusione da un centro omogeneo, di un modo di pensare omogeneo, è la condizione principale [...] al fine dell'elaborazione nazionale unitaria di una coscienza collettiva" (cit. in ibid., p. 109).
    Direzione, organizzazione della cultura, centro omogeneo, modo di pensare omogeneo, elaborazione di una coscienza collettiva, conformismo, scuola unitaria: il tutto destinato a imporre e fare in modo che la società civile si assimili la filosofia della prassi, il marxismo. Davvero, alla fine, niente è cambiato. Si tratta di strumentalizzare la cultura e l'insegnamento per conseguire l'obiettivo proposto: la sottomissione dell'uomo per mezzo dell'asservimento della sua intelligenza. In ogni caso, si va verso la scomparsa della vera cultura, insegnamento e educazione, col traguardo finale di disumanizzazione integrale del mondo e dell'uomo, al raggiungimento dello "stadio finale della storia", del comunismo.
  57. Per una maggior comprensione: E. Cantero, Paulo Freire y la educaciòn liberadora, Speiro, Madrid 1975.
  58. Che "la verità é prassi efficace", lo segnala, tra gli altri, J. Carmelo Garcìa nel prologo al libro di Paulo Franco El hombre: construcciòn progresiva. La tarea educativa de Paulo Freire, (Marsiega, Madrid 1975, p. 12). Il che risulta esser una conseguenza logica del suo marxismo. Così, per esempio, Julio Girardi (Para una pedagogìa revolucionaria, Laia, Barcelona 1977) rileva che "c'è un'incompatibilità strutturale fra gli interessi della classe dominante e la verità" (ibid., p. 41); "la verità [...] è da una parte, quella degli oppressi. Esiste un vincolo intimo fra classi, coscienza di classe, lotta di classe. La verità sgorga nel cuore della lotta [...] passa per la presa di coscienza [...] La verità non può conquistarsi che in una lotta contro la cultura dominante" (ibid., p. 104). "Le classi popolari divengono luogo di verità nella misura che accedono all'accordo rivoluzionario" (ibid., p. 106). "La verità fa parte di un processo di liberazione; non esiste che nel trasformarsi e nel trasformare il mondo. Non si definisce soltanto in relazione all'essere, ma anche al non-essere, al progetto" (ibid., p. 110); "La verità è rivoluzionaria [...] non la si può cercare senza farla" (ibid., p. 113).
  59. J. Girardi, ibid., p. 22 e p. 77 e seg.
  60. Ibidem.
  61. L'unanimità nel rifiuto e nella critica è totale, si può riscontrare in Freire, in Girardi, in Adam Curle, in Miguel Marti, ecc.
  62. P. Freire, Extensiòn o comunicaciòn?", Siglo XXI, Buenos Aires 1973, p. 36
  63. Ibid., p. 88.
  64. P. Freire, El mensaje de Paulo Freire. Teorìa y pràctica de la libertad, Marsiega, Madrid 1973, III ed., p. 36.
  65. Ibidem.
  66. Ibid., p. 135.
  67. Ibid., p. 136.
  68. Così, la critica ad un'educazione puramente mnemonica, ad un'educazione o un insegnamento dove l'alunno si limita a ripetere o a imparare a memoria, ad un'educazione che massifica, è una critica fondata e ragionevole. Ma non è questa la cosa principale per l'educazione liberatrice: questi sono soltanto pretesti affinché le sue critiche abbiano un barlume di rispettabilità. Inoltre, non bisogna dimenticare che non tutta l'educazione, né tutto l'insegnamento, incorre nei difetti che vengono segnalati dai suoi avversari, partigiani dell'educazione liberatrice. Né si deve dimenticare che essa non si propone di rimuovere tali difetti negli insegnamenti che li hanno: non si tratta di migliorare l'educazione o l'insegnamento, ma di cambiarli, distruggerli. Come dice Adam Curle (Educaciòn liberadora, Herder, Barcellona 1977, p. 40), non si tratta di perseguire "il miglioramento dell'insegnamento. Io sono interessato a una trasformazione più radicale perché credo che un miglioramento del tipo che lei mi indica [si riferisce ad Anni Stein] si limiterebbe a rafforzare il sistema". Non si può nemmeno dimenticare che, se la critica a quella che viene chiamata educazione influenzata ha il suo punto di forza nel sostenere che essa fa diventare l'alunno un oggetto invece di considerarlo soggetto dell'educazione, questo non deve confonderci, dato che "esser soggetto" nella terminologia dell'educazione liberatrice consiste nell'esser legato al processo rivoluzionario, nel vincolarsi alla trasformazione radicale della società, nell'accettare e lavorare per la rivoluzione.
  69. Per questo motivo è erronea ogni interpretazione dell'educazione liberatrice che la supponga occupata ad insegnare a pensare, a rendere libero e responsabile l'uomo, o in qualunque altra cosa che normalmente ci si aspetta e si pretende dall'educazione. Così, Miguel Marti, partigiano e praticante della educazione liberatrice, sostiene che "l'oppresso deve elaborare il proprio contenuto di sapere liberatore nel tempo successivo al processo di liberazione. Non può fidarsi dei contenuti del sapere, elaborati dalla classe che opprime, che tendono ad assimilarlo per mezzo del sistema della promozione individualista e dell'accumulazione interessata del sapere" (M. Marti e Soler, Por una educaciòn liberadora, Nova Terra, Barcellona 1977, p. 82). Adam Curle afferma che "quasi tutti i tipi di educazione, persino i migliori, i più umani, liberali e intelligenti, sono al servizio del sistema, perché impartiscono conoscenze di cui esso ha bisogno e anche perché fissano delle mete [...] che pure hanno valore per il sistema" (op. cit., p. 37). Julio Girardi spiega che l'educazione non liberatrice, "è quella che ha come fine reale, cosciente o incosciente, di integrare l'individuo nella società, facendo di lui un "buon cittadino", vale a dire, "un uomo d'ordine", per mezzo dell'imposizione dell'ideologia dominante. In questo modo, l'educazione integrante è un fattore fondamentale per la riproduzione della società" (op. cit., p. 37). Quello che preoccupa particolarmente Freire - e l'educazione liberatrice in genere -, non è il fatto che l'educando sia veramente soggetto dell'operazione di apprendimento, bensì la prassi rivoluzionaria. Per questo motivo l'educazione "influenzata" o "integrante" deve essere eliminata, dato che non essendo liberatrice ed avendo un fondamento nella ragione, è radicalmente opposta alla coscientizzazione. Quindi, non siamo di fronte solo al rifiuto di un determinato tipo di criticabile di educazione, ma, in conseguenza di quei principi, a una vera rivoluzione culturale con la quale si cerca di far scomparire ogni residuo di cultura precedente, "integrante", "oppressiva", "dominante" e "influenzata". L'educazione liberatrice è necessaria per cancellare dalla coscienza degli uomini tutto ciò che non é prassi rivoluzionaria: questo è il suo obiettivo. Non è sufficiente cambiare le strutture, ma è necessaria una educazione che riesca a cambiare le coscienze: questo è il ruolo della coscientizzazione.
  70. Cfr. Jean Ousset, El marxismo leninismo, Speiro, Madrid 1967; cfr. J. Ousset, Marxismo y Revoluciòn, Speiro, Madrid 1977.
  71. George Orwell; Millenovecentottantaquattro (1984), Destino, Barcelona 1974, III ed., p. 102. In 1984, inoltre, "l'ortodossia non significa non pensare; non avere bisogno del pensiero. La nostra ortodossia - dice il protagonista - é l'incoscienza". E, "la sua filosofia negava non solo il valore dell'esperienza, ma l'esistenza della stessa realtà esterna. La più grande delle eresie era il senso comune" (ibid., p. 89). Quello che Orwell aveva vaticinato, minaccia già di divenire una realtà, soprattutto attraverso l'educazione e l'insegnamento.
  72. Francisco Puy Muñoz, Il nominalismo: la prima crisi delle idee della Cristianità, in Verbo, n. 104, aprile 1972.
  73. Come scrive Sciacca, "il grande errore del pensiero moderno (é) credere che la ragione umana sia fondamento di sé stessa e che la sua verità sia tutta la verità. Questo principio irrazionale - perché contrario alla natura della ragione - condusse soprattutto gli illuministi, e successivamente l'idealismo trascendentale, a liberarsi dalla tradizione e dai suoi fondamenti metafisici e teologici, considerati come un ostacolo secolare, irritante e pernicioso. Facendo questo essi non credettero di compromettere la solidità né la veridicità dei valori intellettuali e spirituali, ma proprio il contrario. Secondo loro, una volta restaurata l'autonomia del regnum hominis, tali valori sarebbero stati meglio fondati in un'era di progresso infinito. Da allora, un nuovo messianismo laico ed iconoclasta ha continuata a frastornare tutto, annunciando che l'uomo e la società, la natura e la storia sono fondati solo sull'ordine naturale ed umano; che perdendo Dio non si é perduto nulla (lo cristianesimo stesso può essere riconvertito come dottrina morale e sociale, quando fosse spogliato dei suoi "mitici" elementi soprannaturali); che privando ogni valore del suo fondamento lo si riconquista. Per oltre due secoli la ragione autonoma ed autosufficiente si é sforzata di salvare se stessa creando invano il mito della sua assolutezza - l'assoluto costituito dalla scienza, dalla filosofia, dalla natura o dall'umanità - benché ciascuno di questi miti si sia poi rivelato effettivamente tale. La filosofia posteriore a Hegel ha dato l'assalto alla ragione, ha abbattuto la sua mitica assolutezza e con essa la validità oggettiva di ogni valore conoscitivo, morale e religioso. Ed é oggi che ci si rende conto che - demolita la verità che serve da fondamento alla ragione e la trascende; negato l'Essere che fonda ogni altro essere - nessuna verità si salva e non sopravvive alcun valore. Questa coscienza é la crisi del pensiero moderno, perché evidenzia il suo equivoco fondamento, e cioè: cercare di salvare l'uomo negando Dio; credere di aumentare la capacità della ragione privandola della Rivelazione; pensare di garantire la civiltà ed il progresso, la verità ed i valori rinnegando il loro fondamento assoluto e innalzando la ragione umana alla condizione di Dio stesso, in una "elevazione" che l'ha abbassata sino alla negazione di sé stessa e d ogni altro valore spirituale. Ciò é accaduto per una logica intrinseca all'errore: negato il Cielo, tutto é terra e materia, e diviene polvere. Dopo Hegel - che segna l'apice della ragione costituita in verità assoluta da e in se stessa -, Marx sposta l'idea hegeliana nella Storia e trasforma la dialettica dello spirito in dialettica dello "economico" o del "materiale". Così, la rivoluzione del pensiero moderno in nome del valore assoluto, si trasforma, per inesorabile logica interna, in rivoluzione della "materia", che trova il suo assoluto nella struttura dell'economico e relega i valori spirituali nel regno inferiore delle sovrastrutture: l'entusiasmante regnum hominis degrada nel meno entusiasmante e messianico regnum materiae" (Michele Federico Sciacca, Estudios sobre Filosofìa Moderna, Miracle, Barcelona 1966, p. 187-188).