Il Borsacchini Universale (estratto)

Il Borsacchini estratto P-S

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pòrpo (it.: polpo).
Il nome volgare di questo animale marino era correntemente usato in ambito popolare livornese per indicare in modo dispregiativo persona malformata, goffa e talora impedita, specie se manifestantesi in abiti succinti o in costume da bagno.
Si ha notizia di tale Pòrpo di Fiorentina, una sorta di nano deforme che andava in giro su una moto di grossa cilindrata letteralmente abbarbicato al serbatoio, da cui veniva staccato a fatica quando giungeva a destinazione. <Boia che pòrpo!>, costituiva l'apprezzamento più comune nei confronti della propria suocera quando si presentava in approssimative tenute balneari sulla spiaggia del Calambrone.
Di tutt'altro tenore e significato è la locuzione <sape' dove dorme 'r pòrpo> abbastanza nota in area costiera toscana; essa viene tuttora usata per denotare grande scaltrezza e abilità nell'individuazione di occasioni fruttuose e redditizie e non sempre eticamente ineccepibili, mutuata dalla capacità del pescatore nel braccare il polpo nella propria tana. <Lui lo sa dove dorme 'r pòrpo...> si dirà correttamente dell'on. Andreotti.

potta.
Il Devoto-Oli, laconicamente, definisce: sostantivo femminile, regionale triviale = vulva. Il Lotti ne fa ascendere l'etimo all'antica designazione della pentola di terracotta, confermato dall'inglese pot.
Noi non possiamo nascondere la nostra diffidenza nei confronti di chi si ostina a chiamare 'vulva' l'organo genitale femminile, termine parascientifico e foneticamente sgradevole che suggerisce un apparato insidioso e avvolgente come una pianta carnivora; pur non negando una infantile inclinazione per il dolce e morbido topa, evocatore di segreti pelami intravisti tra la coscia e il corpo in epoche pre-consumistiche, dobbiamo riaffermare il potere gnomico e paralizzante, tutto toscano, del lèmma 'potta'.
Ed intendiamo tralasciare i pur consistenti riferimenti classici per andare al nòcciolo della questione: non vi è dubbio che in area livornese il termine sviluppi un portato del tutto peculiare, laddove in altre regioni funge da sinonimo colorito dell'organo genitale femminile o da traslato figurato di esso.
A Livorno la 'potta' è in primo luogo veicolo semantico di ostentazione di sè stessa, assommando nel pube rigonfio e doviziosamente baffuto, pregi e difetti di chi lo possiede.
<<...Boia, che potta!...>>, diversamente da <<<...boia, che fìa!...>>, si pone come un giudizio etico sullo spessore complessivo dell'archetipo femminino piuttosto che come criterio estetico di apprezzamento delle grazie muliebri.
E altresì nostra convinzione che nell'immaginario collettivo dei ceti subalterni livornesi la 'potta' esprima valori fondamentali di conforto e consolazione dalle afflizioni terrene nonchè di laica trascendenza in ambito familiare, quasi fosse un Lare domestico.
Nè si può ignorare che nell'antico e popolare adagio <<Ciribiribin fa candelieri...>>, l'ignoto bardo recita testualmente: <<Ciribiribin fa candelieri, / potte sudicie senza peli / e la donna se la gratta / cazzi di legno potte di latta...>>; questi versi che ci richiamano alla mente il Poliziano e la tradizione dei trovatori, ripropongono 'la potta' anche come tema centrale di una certa letteratura cortese che trova il suo culmine proprio celebre distico <<...la mi' moglie era po' ghiotta / ciabattate sulla potta>>.
A conferma di quanto sopra si vedano i composti e i derivati del termine e le numerose referenze disseminate nel testo dell'opera che formano un fitto e significativo corollario.
Ci sia consentito infine di dare riscontro all'interiezione: <<Potta...!>> come esclamazione di meraviglia e sorpresa che vanta diverse citazioni negli autori classici, quali il Boccaccio, il Macchiavelli, il Tassoni ed altri; evidentemente rappresenta il riscontro femminile del più corrivo <<Cazzo...!>>.

purpetta (it.: polpetta).
Il termine oltre a indicare la ben nota vivanda così diffusa nella fantasiosa cucina toscana, possiede alcuni significati figurati su cui merita soffermarci in quanto partecipi di un gradevole e gustoso spirito popolaresco.
Un tempo - in virtù di una barbara usanza frequente tra gente di basso registro - si era soliti ricorrere all'espediente di ammannire al cane particolarmente fastidioso del proprio vicino di casa, che abbaiasse con insistenza o lasciasse cospique escrezioni corporali davanti all'uscio, una polpetta dall'aspetto appettitoso ma dal contenuto venefico che ne provocava la morte.
Il misfatto venica preceduto da oscure minacce all'indirizzo del quadrupede, proferite solitamente quando, all'uscita da casa, si pestavano gli escrementi suddetti smerdandosi fino allo stinco; si racconta che lo stesso George Byron, durante il suo soggiorno, essendo miopissimo, abbia pestato reiteratamente la merda gialla della cagnetta Fuffy, di proprietà della sua amica Lady Hamilton e, pulendosi la suola dello stivale sul pelo immacolato dell'animaletto, abbia sussurrato: <... popo' di troia te e la tu' padrona, ma domani te lo dò io la purpetta> (V.O.kaata, George Byron questo sconosciuto, Portoferraio 1937).
Per traslato quindi la locuzione <avere una purpetta> o <prendersi una purpetta> è passata a significare: un colpo, una grave collera, e anche subire un terribile spavento.
<M'hai fatto piglia' 'na purpetta!...> escalmerà il gentiluomo livornese all'amico burlone che gli ha sottratto il portafoglio e poi glielo restituisce perchè dentro ha trovato solo una cambiale; <Alla mi' socera n'è preso 'na purpetta...> commenterà con malcelata soddisfazione il medesimo gentiluomo parlando della madre della propria consorte colpita da infarto; <M'ha fatto piglia' tante purpette!> dirà l'amorosa mamma labronica illustrando la carriera scolastica del figlio adolescente.

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quello che mi caò sull'uscio.
Locuzione composta di origine incerta, assai diffusa in area livornese, possiede qualche riscontro in area pisana e lucchese. In realtà si tratta di una parte di un modo di dire popolarissimo che suona: <...mi sembri quello che mi caò sull'uscio e poi la rivoleva!...> e trattasi di una delle più rare e preziose forme di non-sense rinvenute nel nostro linguaggio, che designa persona dalle richieste assurde ed esose.
E' senza dubbio una delle tante creazoni, gustose ed originali, che il genio labronico ha saputo forgiare sfruttando la naturale inclinazione all'iperbole ed all'accostamento surreale di fatti quotidiani; infatti se il <caàre sull'uscio a qualcuno> rappresenta atto di offesa di sapore tribale ed oscuro, il <rivolerla indietro (la cacca)> lo fa diventare pretesa quotidiana e naturale, provocando nel contrasto un eccelente effetto comico. <Mi sembri quello che mi caò sull'uscio e poi la rivoleva...!> dirà il gentiluomo livornese all'artigiano che esige un anticipo sulla riparazione dello scaldabagno.

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ribòtta.
Termine di area toscana con ampie referenze livornesi. Sta a indicare scampagnata, gita, escursione ma con una marcata connotazione di crapula gastronomica. L'etimo è incerto anche se appare chiara l'iterazione della parola 'botta', forse nel senso di colpo riuscito, andato a segno, e quindi ripetutamente gratificante.
Le mete classiche della 'ribòtte' livornesi erano, in epoca aurea, il santuario di Montenero, con intento devozionale, e gli archi dell'Acquedotto il pirmo maggio, con intento laico. In ambedue i casi si poteva verificare il fenomeno dello 'stranguglione' provocato dall'ingestione di quantità spropositate di cibo, tipo bombolotti sui fagioli, cacciucco, zerri sotto il pesto, e altre delicatezze labroniche, la cui natura e consistenza potevano essere saggiate nell'esame delle numerose vomitate di cui risultavano fiancheggiati i principali percorsi.
Durante le 'ribòtte' non era raro che giovini garzoni intraprendenti si fermassero ad amoreggiare con le giovinette coetanee nelle radure e nei boschetti, tanto che qualcuna ne tornava a casa ingravidata; al che il padre recavasi a casa del giovinotto a pronunciare la frase rituale: <Ora se questo tegame 'un la sposi ti spacco tutti l'occhi, popo' di caàta!>, dopodichè i due erano da considerarsi ufficialmente fidanzati.

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settepotte.
Locuzione composta dal numero sette e dal sostantivo 'potta' che notoriamente designa l'organo genitale femminile.
Con questo termine si attribuisce a qualcuno (meglio a 'qualcuna') boria ed ostentazionedi rango e di importanza, quale dovrebbe derivare appunto dal possedere un apparato sessuale molto dotato. E' l'equiva- lente femminile dell'avere 'tre palle', espressione in uso un pò in tutta Italia.
<E' arrivata Settepotte!...> è stata una locuzione molto usata in ambienti mercantili livornesi (piazza Cavallotti, piazza XX Settembre) per commentare argutamente l'emancipazione delle commercianti di piazza, quale veniva usualmente espresso attraverso eccessive manifestazioni di opulenza (gioielli, abiti vistosi, auto fuoriserie, etc.).
tratto da: "Il Borsacchini Universale" di Giorgio Marchetti edizioni Ponte Alle Grazie 1996

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