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LA TERAPIA CONVENZIONALE DEI LINFOMI NON HODGKIN A BASSO GRADO DI MALIGNITÀ

Autori: Francesco Angrilli, Donato Natale
Unità Operativa di Chemioimmunoterapia Oncoematologica
Dipartimento di Ematologia e di Oncologia Ospedale Civile di Pescara
Data creazione documento: 27/05/1999

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I linfomi non Hodgkin (LnH) a basso grado di malignità comprendono, secondo la classificazione di Kiel, il linfoma linfocitico, l'immunocitoma linfoplasmocitico-linfoplasmocitoide, il linfoma centroblastico-centrocitico follicolare e/o diffuso. A tali istotipi corrispondono nella successiva Working Formulation, le categorie A, B, C.
La recente Real Classification, infine, individua come LnH indolenti, i linfomi follicolari, il linfoma linfocitico/LLC, il linfoma linfoplasmocitoide e il linfoma della zona marginale (1). Si tratta di un gruppo di LNH eterogeneo per sede di origine, caratteristiche immunofenotipiche e genetico-molecolari.
Sono accomunati da un lento decorso, spesso indolente, caratterizzato da ripetute recidive e/o da trasformazione in istotipi aggressivi. Esordiscono in stadio avanzato nell'80% ed oltre dei pazienti; interessano per lo più fasce di età media o avanzata, anche se i casi in età più giovanile cominciano ad essere più frequenti. Le casistiche presenti in letteratura sono composte per lo più da LnH follicolari, data la loro maggior frequenza e miglior categorizzazione, in associazione a quote variabili degli altri istotipi.

La terapia convenzionale in questi LnH impiega, da sola o variamente associate, la radioterapia, la monochemioterapia con alchilanti, la polichemioterapia con o senza antracicline.

I pazienti in stadio I e II sono stati generalmente trattati con radioterapia a campi più o meno estesi, a dosi comprese tra 3.000 e 4.000 rads. La sopravvivenza nei vari studi oscilla, a 10 anni, dal 50% all'80% e la sopravvivenza libera da malattia tra il 35% e il 70% (Tab. 1). Le recidive di malattia sono state osservate, in genere, in sedi non irradiate con predilezione per i casi al II stadio, per i casi bulky e per i pazienti anziani.
Al fine di migliorare tali risultati, alla radioterapia è stata variamente associata la monochemioterapia o la polichemioterapia (2,3). 
L'analisi di studi retrospettivi o prospettici, condotti in tal senso, ha evidenziato un miglioramento della sopravvivenza libera da malattia, ma non della sopravvivenza globale; ciò probabilmente per la buona risposta alla chemioterapia nelle recidive dopo sola radioterapia. Attualmente la radioterapia "extended field" sembra il trattamento di scelta per i pazienti al I e II stadio non bulky con meno di tre stazioni linfonodali. Alcune recenti segnalazioni hanno evidenziato la possibilità del solo trattamento chirurgico nei casi in I stadio (4,5).

Negli stadi avanzati di malattia, gli approcci terapeutici appaiono ancor più diversificati, con atteggiamenti iniziali astensionisti o con l'impiego già all'esordio di mono o polichemioterapia, da sole o associate alla radioterapia.
A favore dell'astensione iniziale dal trattamento giocano un intervallo libero da terapia, la minor selezione di cloni neoplastici resistenti, la possibilità di regressioni spontanee di malattia. A sfavore depongono l'ansia correlata al non curare la malattia, la possibile evoluzione istologica in forma aggressiva, l'ulteriore estensione della malattia. È sicuramente una valida opzione nei confronti dei pazienti anziani con malattia indolente e con lunga storia di linfoadenomegalie. 
I vari trattamenti monochemioterapici o polichemioterapici (con o senza antracicline), impiegati da soli o in associazione alla radioterapia, hanno fornito differenti percentuali di risposta iniziale e di sopravvivenza libera da malattia, a vantaggio degli schemi più aggressivi; tuttavia non si sono differenziati in modo significativo in termini di sopravvivenza globale (Tab. 2). L'ampia variabilità dei risultati ottenuti, anche con schemi terapeutici simili, risente di una serie di fattori tra i quali i diversi criteri di arruolamento ed i tipi istologici ammessi agli studi. Infatti, se alcuni studi riguardano solo i linfomi follicolari, in altri sono stati arruolati anche altri istotipi, in particolare i linfomi linfocitici. Inoltre il numero dei linfomi linfocitici, oggi riclassificati come linfomi mantellari, ha sicuramente influenzato in negativo i risultati globali, data la prognosi meno favorevole di tale istotipo. Alcuni studi, infine, hanno compreso i linfomi follicolari a grandi cellule, definiti dalla W.F. ad intermedio grado di malignità e che tendono ad un comportamento più affine all'alto grado che non al basso grado di malignità, in termini di risposta al trattamento.
Per il futuro, data la sempre più precisa caratterizzazione dei vari sottotipi istologici a bassa malignità e l'identificazione nel loro ambito di nuove forme, grazie anche al contributo della Real Classification, sono auspicabili studi prospettici sui singoli istotipi, finalizzati allo sviluppo di strategie terapeutiche per le singole entità. Questi studi hanno comunque permesso di individuare una serie di variabili prognostiche capaci di influenzare i risultati. Di recente, è stata ripetutamente dimostrata l'applicabilità dell'International Prognostic Index anche nei LnH a bassa malignità, anche se il numero dei casi con indice prognostico elevato risulta limitato. Secondo il GELA hanno significato prognostico sfavorevole la presenza di uno o più fattori quali la massa bulky (>7 cm.), l'interessamento di tre o più stazioni linfonodali, i sintomi B, la massiva splenomegalia, la leucemizzazione, la citopenia periferica, l'impegno delle sierose, delle meningi o dell'orbita (6).

Negli ultimi anni numerosi studi hanno impiegato l'alfa-IFN nel trattamento dei LnH a bassa malignità, sia in concomitanza della chemioterapia, sia come mantenimento. Per quanto riguarda la prima modalità di somministrazione, in due trials l'alfa-IFN è stato associato a monochemioterapia con clorambucil o ciclofosfamide e confrontato al trattamento con il solo alchilante previsto nel braccio di controllo (7,8). In questi studi l'alfa-IFN non ha comportato alcun vantaggio significativo. In altri due trials, rispettivamente dell'ECOG e del GELA, i pazienti sono stati randomizzati tra il trattamento con polichemioterapia contenente antracicline versus lo stesso schema polichemioterapico più alfa-IFN (9,10). In entrambi gli studi si è osservata una migliore sopravvivenza, globale e libera da malattia, nel braccio che prevedeva l'alfa-IFN. Per quanto riguarda l'impiego dell'alfa-IFN come terapia di mantenimento, nel trial dell ' EORTC, i pazienti sono stati randomizzati tra l'associazione CVP + radioterapia sulle sedi bulky versus la stessa polichemioradioterapia + alfa-IFN di mantenimento per 12 mesi (11). Non si sono osservate differenze significative, sia in termini di sopravvivenza globale che di PFS (Progression Free Survival) (Tab. 3).

Infine, nel trial del Gruppo Cooperatore Tedesco, ancora in corso, i pazienti sono stati randomizzati tra il solo trattamento chemioterapico con CVP o Prednimustine/Mitoxantrone versus la stessa chemioterapia e alfa-IFN in mantenimento fino a progressione (12). In questo studio sembra che vi sia una migliore sopravvivenza libera da malattia nel braccio che prevede l'impiego di alfa-IFN. 

L'analisi di questi studi permette alcune considerazioni sul ruolo dell'alfa-IFN nel trattamento dei LnH a bassa malignità. In primo luogo, il fatto che i migliori risultati siano stati ottenuti con l'associazione dell'interferone alla polichemioterapia, con o senza radioterapia, sembra indicare che l'alfa-IFN sia più efficace quando la massa neoplastica è ridotta. In secondo luogo, sembra esservi una relazione dose-effetto, in quanto sono risultate significativamente utili dosi non inferiori a 5-6 MU. Inoltre, l'efficacia sembra limitata al solo periodo di impiego. Nonostante la possibilità di migliorare, con l'alfa-IFN, la durata della sopravvivenza globale e libera da malattia, l'andamento clinico della malattia continua ad essere caratterizzato da continue recidive.

Per quanto riguarda la ns. esperienza, abbiamo proposto e condotto, in collaborazione con il GISL, uno studio sui Linfomi non Hodgkin follicolari, categorie B e C della Working Formulation. Il protocollo di terapia è stato differenziato a seconda dell'estensione della malattia; negli stadi I e II sono stati somministrati 4-6 cicli BACOP e radioterapia I.F. (3.600); negli stadi III e IV 6 cicli BACOP e radioterapia su massa residua o bulky (3.600 rads) (13). Abbiamo arruolato 67 pazienti, di età compresa tra 24 e 70 anni, con mediana di 58. La malattia si presentava in stadio I-II in 32 pazienti e avanzata negli altri 35. Era presente localizzazione extranodale del 17% nei casi e massa bulky nel 3%. A conclusione del programma terapeutico, abbiamo ottenuto la remissione completa in tutti i pazienti in stadio I e nel 69% dei casi con malattia avanzata. La percentuale di risposta sale al 94% negli stadi II-IV se si considerano anche le risposte parziali. La sopravvivenza globale e libera da eventi, a 8 anni, con un follow-up mediano di 44 mesi, sono rispettivamente pari al 100% e 85% nel I stadio; negli stadi II-IV, invece, sono rispettivamente 85% e 33%.

Dalla revisione della letteratura, come anche dalla nostra esperienza, si evidenzia chiaramente come tutti gli approcci terapeutici convenzionali impiegati, alfa-IFN compreso, non siano in grado di modificare la storia naturale dei LnH a bassa malignità. Infatti, se si escludono i casi con malattia localizzata, in cui le curve di sopravvivenza tendono al plateau dopo 10 anni, negli altri il decorso è costellato di recidive precoci e tardive e, infine, i pazienti muoiono di linfoma.
In effetti i LnH a basso grado di malignità sono neoplasie a basso indice proliferativo e con modello di crescita legato non tanto alla proliferazione cellulare, quanto all'inibizione dell'apoptosi, fattori che determinano una sensibilità sub-eradicante nei confronti della chemio-radioterapia convenzionale.

Il fenomeno dell'inibizione correlata al gene bcl-2 è ben conosciuto ed oggetto di studi attivi nei linfomi follicolari; oltre l'80% di questi linfomi presenta una overespressione di questo gene e nelle patologie linfoproliferative a piccoli linfociti, esso è presente fino a 25 volte di più rispetto alla controparte cellulare normale. All'inibizione dell'apopotosi, inoltre, appare collegata l'insorgenza di farmacoresistenza.

Con l'acquisizione di queste conoscenze, soggette a continuo sviluppo, sta emergendo sempre più l'interesse nei confronti di modalità terapeutiche complementari e/o alternative ai convenzionali approcci chemio-radioterapici.
In tal senso, le nuove prospettive terapeutiche, in fase più o meno avanzata di sperimentazione, nei LnH a basso grado di malignità comprendono l'impiego di nuovi farmaci, di approcci trapiantologici, di terapie biologiche.

È di particolare interesse e stimolo il fatto che con l'impiego di tutte queste modalità terapeutiche siano state segnalate remissioni anche molecolari di malattia (14,15,16). 

Tra i nuovi farmaci, due nuovi analoghi delle purine, la fludarabina e la 2CdA, sulla scorta del loro peculiare meccanismo di azione, capace in sintesi di indurre l'apoptosi, hanno dimostrato buona efficacia in monochemioterapia (17,18,19).
La fludarabina, in particolare, ha comportato percentuali di risposta dell'80% e del 52% nella LLC, rispettivamente in prima e seconda linea di trattamento (20,21). Nei linfomi follicolari pretrattati e non, le percentuali di risposta sono state del 50-65% (20,21,22,23,24). La fludarabina, inoltre, in associazione a mitoxantrone o ciclofosfamide, ha fornito risultati significativi.

In uno studio randomizzato di trattamento di I linea, lo schema FND, seguito da alfa-IFN, è stato confrontato con uno schema a 11 farmaci, l'ATT. I risultati, pur preliminari, evidenziano una efficacia sovrapponibile dei due bracci, sia in termini di remissioni cliniche che molecolari, lo schema FND è risultato però meno tossico e pertanto preferibile (25).
In un altro studio su pazienti con LnH a basso grado di malignità e bulky disease, è stato eseguito trattamento alternante CHOP-FND; i risultati preliminari mostrano un elevato numero di remissioni cliniche e molecolari (26).

Presso il nostro Centro di Chemioimmunoterapia, dal gennaio ’95 al settembre ’97, abbiamo impiegato la fludarabina in seconda-quarta linea di trattamento, in 18 pazienti di età compresa tra 40 e 75 anni, affetti da LLC/linfoma linfocitico (7 casi), HCL (1 caso), linfoma linfoplasmocitoide (5 casi), linfoma centroblastico-centrocitico follicolare (5 casi). Il farmaco è stato impiegato in monochemioterapia in 8 pazienti e in associazione a mitoxantrone e desametasone negli altri dieci. Sono stati somministrati da un minimo di 4 ad un massimo di 8 cicli. Abbiamo ottenuto 10 RC e 5 RP, tre pazienti non hanno risposto al trattamento e due di essi sono deceduti per progressione di malattia. Dei pazienti responsivi, uno ha avuto recidiva di malattia dopo 10 mesi dalla terapia ed è deceduto per progressione di linfoma. Gli altri 14 pazienti sono in RC o RP stabile, dopo un periodo variabile da 7 a 26 mesi (mediana 14). Il trattamento è stato generalmente ben tollerato; in 6 pazienti l'interciclo è stato allungato per tossicità ematologica (grado 2 o 3 WHO) e in due di essi è stato impiegato G-CSF. Come complicanze infettive, si sono verificati un episodio broncopneumonico acuto ed un caso di Herpes Zoster. Un paziente, in quarta linea di trattamento, ha sviluppato tossicità neurologica, verosimilmente cumulativa, con parestesie agli arti inferiori (grado 2 WHO) e ipoacusia mista bilaterale. Non si sono, infine, riscontrati episodi di citopenie autoimmuni.

Il GISL ha avviato uno studio nel gennaio 1998, per il trattamento in prima linea dei LnH follicolari in stadio II-IV, articolato in una prima fase di debulking con 2 cicli BACOP a cui segue la somministrazione di 4 cicli FND. I pazienti responsivi vengono randomizzati tra osservazione e mantenimento con alfa-IFN e desametasone. Lo studio prevede la valutazione della risposta anche in termini molecolari.
L'uso della fludarabina, infine, appare promettente nell'ottica di un successivo approccio trapiantologico, almeno in determinate categorie di pazienti (27).

Il trapianto di midollo osseo autologo, con o senza purging midollare, e in minor misura il trapianto di midollo osseo allogenico, sono stati impiegati nel trattamento dei LnH a bassa malignità, in pazienti ricaduti o refrattari, dimostrando una efficacia superiore a quella dei trattamenti convenzionali di seconda e terza linea (28). Più recentemente, trova sempre più largo impiego, la terapia sequenziale ad alte dosi con reinfusione di cellule staminali da periferico. In studi pilota monocentrici condotti su pazienti non pretrattati, i risultati appaiono nettamente superiori a quelli dei trattamenti convenzionali, tuttavia essi sono da considerarsi ancora preliminari data la lunga storia naturale di questi linfomi (15). Sono auspicabili studi policentrici randomizzati, finalizzati al confronto di tale metodica con i standard.

Per quanto riguarda le terapie biologiche, infine, grandi potenzialità sembrano offrire l'impiego di anticorpi monoclonali, quale il chimerico anti-CD20 (IDEC C2B8), di oligonucleotidi antisenso tipo anti-bcl-2 e di vaccinoterapia (29,30,31).
Con l'IDEC C2B8, sono in corso studi policentrici finalizzati alla sua valutazione nel trattamento della malattia residua dopo polichemioterapia CHOP, nel purging in vivo prima della raccolta di cellule staminali periferiche, nel trattamento dei linfomi follicolari in recidiva in associazione all'alfa-IFN.

In conclusione, per oltre un ventennio si è accettato con disappunto che i LnH a basso grado di malignità sono ineluttabilmente inguaribili. Tale assunto ha spesso condizionato orientamenti terapeutici più o meno conservativi, finalizzati al miglior controllo possibile della malattia, con la minor incidenza possibile di effetti tossici. In questi ultimi anni, invece, vari approcci terapeutici, innovativi nel loro meccanismo d'azione, inducono ad un cauto ottimismo, facendo intravedere possibilità eradicanti nei confronti di questi linfomi. Ciò a vantaggio di tutti i pazienti e, in particolar modo, di quelli più giovani, per i quali anche sopravvivenze nell'ordine di un decennio non possono costituire un obiettivo sufficiente.

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Tab.1: Risultati del trattamento radiante nei LNH a bassa malignità, stadi I e II

Autore

N° pazienti

Sopravvivenza globale (%)

5aa               10aa

Sopravv.  senza malattia (%)

5aa           10aa

 Gospodarowicz (1984)

190

 75                   58

55                  53

Paryani (1983)

124

84                    68

62                 54

Mc Laughlin (1986)

42

*                      *

*                    37

Mc Manus (1996)

177

*                       70

*                    45


Tab.2: Risultati terapeutici nei LNH a bassa malignità in stadio III-IV

Autore

N° pazienti

Terapia

Sopravvivenza globale (%)

5aa       10aa

Sopravvivenza  senza malattia (%)

5aa     10aa

 Kennedy (1978)

53

MonoCT

CVP

25           *

55           *

20           *

55           *

Rosemberg (1976,81,85)

 

97

MonoCT

CVP

CVP+TLI

*            42

*             48

*            30

*           33

*            17

*           30

Mc Laughlin (1993)

96

CHOP-B

63            *

38           *

Paryani (1984)

66

TLI+CVP

50            *

40          *

Mc Laughlin (1987)

74

CHOP+B+RT (solo III stadio)

75            *

52          *


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Tab.3: Risultati dei principali Trials di trattamento dei LNH a bassa malignità con l'associazione di polichemioterapia ed alfa- IFN

Trial

N° pazienti

Terapia

Sopravv. Globale (%)

2aa      3aa

DFS (%)

2aa  3aa

PFS (%)

3aa

ECOG (1992) 249 COPA (8cicli) ogni 28gg.

79             *

46          *

*

COPA (8 cicli) + alfa- IFN 6mU/m2 (22°-26° g.) 87             * 71          *

*

GELA (1993) 273 CHVP (12cicli)

*           69

*          29

*

CHVP (12 cicli) + alfa- IFN 5MU (3 volte sett. X 18 mesi) *             86 *          45 *
EORTC (1998) 347 CVP (8 cicli) +/- RT

*           90

*          *

38

CVP (8 cicli)+/-RT+ alfa- IFN 3Mu (3 volte a sett.per 12 mesi) *             85 *           *     44

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BIBLIOGRAFIA

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