Il Castello di Carini

 

   

      Il Castello di Carini, edificio che racchiude in se quanto meglio può restare dell'arte arabo-normanna, del '400 e del '500 catalano e rinascimentale e del '700, e' oggi in avanzata fase di restauro;  posto su di una rupe a 170 metri circa sul livello del mare, e' sorto per volere di Rodolfo Bonello il normanno, fra il 1075 ed il 1090, ma la struttura definitiva si e' avuta alla fine del secolo XVI.
 
    Ad una prima elaborazione araba ne seguì una seconda svevo-normanna che preparò l'assetto definitivo nel perfetto stile rinascimentale. Il primo vero restauro si ebbe al tempo di Vincenzo II La Grua. 
 
   Lo documentano: -la data 1562 incisa nello stemma marmoreo dei La Grua che segna il compimento di un intervento edilizio nel castello (Gioacchino Lanza Tommasi "Castelli e Monasteri Siciliani" pag.7); -la scritta "RECEDANT VETERA" riportata sulla trabeazione della porta che immetteva nella stanza della baronessa Laura; -e la scritta "ET NOVA SINT OMNIA" sul portale di ingresso alla foresteria.

 

     Ci sono diverse tesi sul significato della frase "ET NOVA SINT OMNIA"; secondo la tesi di Gioacchino Lanza Tommasi, la frase assumerebbe un significato di rinnovamento culturale in campo sociale ed architettonico, incisa prima che avvenisse "l'eccidio della baronessa"; secondo la tesi di Don Vincenzo Badalamenti, tale scritta e' posteriore all'eccidio della baronessa e che il barone Vincenzo La Grua avrebbe preteso "la cancellazione di ogni presenza che potesse rimanere legata al ricordo della moglie infedele."    
 
    Ultimo restauro si ebbe verso la fine del '700, quando era Principe di Carini Vincenzo IV La Grua ed Arciprete Don Carlo Ballerini, suo amico e collaboratore.
 
     Si accede al Castello per due grandi porte risalenti al XII secolo: la prima posta di fronte la Chiesa di S. Vincenzo, con arco a sesto acuto; da questa si accede alla seconda, che rappresenta la vera porta del Castello, tramite una rampa semicircolare pavimentata con ciottoli.  In questa ultima si possono ammirare lo stemma che porta le armi dei La Grua e dei Talamanca, che sono rispettivamente la gru ed il leone rampante sulle onde disposte a scalinata.

 

      All'interno, attraverso un atrio quattrocentesco, si evidenzia la parete principale con la scalinata a sinistra, anche essa del '400, con i bellissimi portali della Foresteria e del Salone delle Feste, con le due grandi finestre e con il doppio arco classico a destra che immette nella Cappella.
 
    A sinistra si notano varie porticine che immettono nelle stanze riservate alla servitù, alle scuderie ed una fontanella con puttino di marmo a muro.  A destra due scalette, attraverso un corridoio stretto, portano una nel bastione e l'altra nelle torri esterne.  

 

 

     Particolare menzione merita il piano terra in cui si trovano la Cappella e la Biblioteca. La prima, almeno nel suo restauro più recente, risale al 1690. Il portale e' cinquecentesco ma privo di fregi; sulla porta c'e' un coretto da cui i Signori del Castello partecipavano alle Sacre Liturgie. L'altare e' in legno ed e' sormontato da una piccola statua in marmo dell'Immacolata con fregi d'oro realizzata dal Mancino nel 1509.  

 
     A sinistra si trova la Biblioteca; doveva essere una grande stanza adorna di una ricca pinacoteca e contenente migliaia di libri rilegati in carta pecora, di cui oggi ne rimangono poco meno di un migliaio.  

 

 

     Dalla bella scalinata si arriva al primo piano, a cui si può accedere, tramite due porte: la prima introduce nell'appartamento per ospiti (nel vestibolo si può notare la volta tutta elaborata in archi incavati formanti un disegno bellissimo, esemplare unico dell'arte ispano-catalano del '400) e la seconda immette nel Salone delle Feste, maestoso nella sua linea rinascimentale.

 

     Le pareti una volta dovevano essere ornate di pitture e quadri, mentre la volta e' tutta un ricamo, divisa da tre architravi, in tre parti dove in quella centrale e' ripetuta l'espressione "IN MEDIO CONSISTIT VIRTUS" e nelle due laterali sono disposti gli stemmi delle due famiglie. Questa volta ricorda la Cappella Palatina in Palermo e la Cattedrale di Monreale.  

 

 

     Dalla porta laterale sinistra si entra nella stanza tanto cara alla Baronessa di Carini poiché‚ luogo degli incontri con l'amato. Proseguendo sulla destra si accede alla stanza riservata alla Baronessa e da quest'ultima al bastione che domina tutta la pianura di Carini. Attraverso una scaletta si arriva alle torri merlate, di cui una sola conserva il vecchio stile, poiché l'altra, quella campanaria, e' stata rifatta nel 1930 a causa di un fulmine che l'aveva distrutta. 

 
     Il sotterraneo, che non si può ricostruire nei dettagli, e' distribuito in vari settori, prigioni, cucine, dispense, lavatoi, ecc.  
 
      Il 4 dicembre 1999, il dott. Salvino Leone, uno degli attuali eredi La Grua, ha graziosamente donato al Castello, l'Horus egizio, la Madonna del Mancino che era posta nella Chiesa del Castello, il Puttino della fontana del cortile ed alcuni libri facenti parte della Biblioteca. In attesa di restauro, sono attualmente esposti nella Chiesa Madre, ultima cappella della navata di sinistra.

  
  

Laura Lanza, baronessa di Carini  

   

     Da quando, sul finire del secolo XVI, il poemetto "LA BARUNESSA DI CARINI", di ignoto autore, vide la luce, scrittori, critici, poeti, musicisti e registi si sono ispirati "all'amaro caso" per ricordare la fine di una delicata creatura che, nella sua giovane vita circondata da tanto amore fu poi stroncata così tragicamente.  

 

     Il poemetto parla di una donna uccisa dal padre per salvare l'onore della famiglia ma, per libera interpretazione, molti pensarono ad una donna uccisa dal marito. Studi più recenti hanno dato piena luce al fatto. 
 
    E' importante una pubblicazione del prof. A. Pagliaro che accenna a tre documenti di protocollo dai quali risulta che il Vicere' di Sicilia, all'epoca informa la Corte di Spagna che il Barone Cesare Lanza aveva ucciso la figlia Laura ed il Vernagallo e che l'avvocato Grimaldi ne aveva occultato il fatto. 

 

      Questo documento costituisce un elemento sicuro che avvalora l'atto di morte della Baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell'archivio della Chiesa Madre di Carini. Quindi, contro ogni interpretazione si rileva che Cesare Lanza di Trabia, connivente e complice con il genero, uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura, moglie di Vincenzo II La Grua ed anche se non di propria mano, lo stesso Ludovico Vernagallo (quest'ultimo fu ucciso da uno sgerro di Vincenzo La Grua, tale Francesco Musso). Troviamo infatti nel registro della Parrocchia, gli atti di morte della Baronessa e del suo amante, ucciso lo stesso giorno e scritti nella stessa pagina.  
 
    Il Barone Vincenzo II La Grua, il 4 maggio del 1565 convola a nuove nozze con Ninfa Ruiz e rinnova alcune parti del Castello che potevano ricordare la Baronessa di Carini. Intanto il Barone Cesare Lanza, forte delle sue influenze presso la corte di Spagna, riesce a far archiviare il caso, mentre il popolo terrorizzato e' obbligato al silenzio.  

  

     Il perché di questo orrendo delitto e' inconcepibile, Laura era una donna di grandi virtù e di grande fascino, ed il popolo l'aveva come un angelo. Fin dalla sua prima infanzia ebbe modo di frequentare sia i La Grua che i Vernagallo, con i cui figli frequentò scuole di musica, danza e canto. Sorse tra loro una grande amicizia alimentata da incontri, battute di caccia, ricevimenti ed altro. Ad un certo punto subentrò l'interesse delle famiglie.
  
     Laura era una ragazza che poteva dar lustro sia ai La Grua - Talamanca che ai Vernagallo, ma i La Grua bruciano i tempi la chiedono in sposa per il figlio Vincenzo. All'età' di quattordici anni, il 21 dicembre 1543 viene celebrato il matrimonio.  

 

     Non era possibile farsi precedere dai Vernagallo, anche se era nota a tutti la grande tenerezza di Laura per Ludovico. Tuttavia il fatto, almeno in apparenza, non turbò l'amicizia fra le famiglie. Infatti, nonostante tutto, Ludovico era considerato come uno di famiglia. 

 
        A poco a poco però, gelosie e vecchi rancori emersero fra i La Grua, Lanza e Vernagallo, ed ecco le insinuazioni, le calunnie ed infine il tragico evento.  

 

     Nessun documento esiste nell'archivio di famiglia o nella tradizione del popolo che possa offuscare la nobiltà della figura della Baronessa di Carini. La sua era stata un'amicizia che nulla aveva avuto di lussurioso o di cattivo, e quanto si dice degli otto figli di Laura che avrebbero avuto per padre Ludovico Vernagallo, e' pura fantasia.  
  
       Purtroppo la fantasia di coloro che in seguito si sono ispirati all'evento, presentarono i fatti sotto molteplici aspetti. Il vero studioso e' stato Salvatore Marino il quale, nella prima edizione del 1871, raccolse la recita del contadino cantastorie carinese, Giuseppe Gargagliano. Ma nel 1872 lo stesso Marino presentava una seconda edizione ritoccando fatti poeticamente importanti, della prima. Nel 1913, infine, presentava il poemetto in una edizione che lui stesso chiama storica.

 

                Memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della figlia Laura.  

        Sacra Catholica Real Maestà,  
        don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini suo genero molto alterato perché avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno li detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoy ammazzati

don Cesare Lanza conte di Mussomeli             

 

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