CHIESA DELLA VISITAZIONE DI MARIA VERGINE

 A S. ELISABETTA IN LOCALITA' VALINOTTO

 

 

 

GUIDA ALLA LETTURA

 

 

La chiesa del Valinotto dall'esterno

 

La cappella della Visitazione di Maria a S. Elisabetta sorge sulla strada che da Carignano porta a Virle P.te, in aperta campagna. Essa fa parte di quelle strutture di culto tipiche del XVII-XVIII secolo, annesse a grandi cascinali o nel centro di borgate, che costituivano un importante momento di aggregazione e di fede per i borghigiani. Spicca con il bianco del suo intonaco tra il verde della campagna circostante; alle spalle, nelle giornate limpide, si può scorgere la splendida cornice del Monviso. L'impianto scenico naturale valorizza ancor più le belle linee esterne del santuario. Esso risulta  una vera sintesi della mentalità barocca (infinito, retorica, natura, religione, classicismo)

La Chiesa attuale fu edificata sul terreno di un cascinale, appartenente ai padri Agostiniani di Carignano, poi pervenuto al banchiere Antonio Faccio. Egli fece edificare la parte nuova della cappella su disegno dell'architetto Bernardo Antonio Vittone (1738), "per i contadini del suo fondo", lasciando con la funzione di sacrestia una parte dell'antica cappella intitolata alla Madonna della Neve. Il Faccio dotò la cappellania di un fondo considerevole, che includeva anche lo stipendio per il cappellano - il quale doveva essere nominato dal Faccio stesso o dai suoi eredi, preferibilmente tra sacerdoti della parentela; tale cappellano doveva celebrare messa tutti i giorni, confessare e fare il catechismo "da S. Croce a S. Giovanni". I borghigiani non gradirono né la chiesa ricostruita né il nuovo cappellano, tant'e che continuarono a frequentare la messa del precedente cappellano "eletto con trattenimento fisso". Dovette intervenire il parroco di Carignano, don Peiretti, che notificò ai contadini la proibizione fatta dal card. Cavalchini di celebrare due messe festive nelle cappelle campestri; la causa non si estinse: i borghigiani insorsero, forti  del privilegio loro accordato nel 1621 dall'abate di S. Michele card. Maurizio di Savoia. Infine il vicario capitolare concesse la celebrazione delle due messe festive e la vicenda si accomodò da se, alla morte di uno dei due cappellani. La cascina e i suoi diritti furono venduti dal Fricchieri, erede del Faccio, al conte Balbo, con la clausola che lo stipendio del cappellano fosse pagato in futuro per metà dal conte e per metà dal Fricchieri. Quest'ultimo legò tale dovere all'Ospizio di Carità (testamento del 1750). La cappellania fu soppressa dalle leggi Rattazzi nel 1868, ma su intervento del parroco Capriolo, fu reintegrata. L'ultimo cappellano fu don Giovanni Carlevris (fino al 1955). Dopo la rinuncia fatta dal Conte Balbo (1881), la cappella passò definitivamente all'Ospizio, che ancora oggi ne cura la manutenzione.

La cappella o Santuario è una delle prime opere note di Bernardo Antonio Vittone, di poco posteriore agli altari di Lanzo T.se e di S. Croce a Caramagna, e alla parrocchiale di S. Maria della Neve a Pecetto.

Pur dichiarandosi allievo dello Juvarra, il Vittone - appena rientrato da Roma -  è ispirato dai grandi architetti barocchi del '600, in particolare dal Guarini. Infatti, il Vittone, curò nel 1737 la pubblicazione dell'"Architettura Civile" di Guarino Guarini. Secondo lo storico carignanese Rodolfo, l'anno seguente il Vittone avrebbe riprodotto nel Vallinotto la cupola guariniana di S. Lorenzo a Torino.

La pianta della chiesa è circolare; al suo interno è inscritto un esagono: l'architetto adoperò in seguito questa pianta per la chiesa di S. Chiara a Vercelli e nella parrocchiale di Grignasco in Valsesia. Esternamente l'edificio, che dal pavimento alla sommità del cupolino ha un'altezza di 23.28 metri, alterna sei convessità e altrettante concavità, e si presenta a tre piani. La cappella è coperta da tre volte, sovrapposte, traforate ed aperte. Su sei piloni di base, girano archi a pieno centro. Sul tamburo circolare sorge la cupola, sormontata da un cupolino. Dall'imposta della cupola partono sei archi a fasce che s'intrecciano, formando un esagono, e un'altra cupola emisferica, che si apre su una cupola esterna e sul cupolino.

 

Il progetto del Vittone

La luce piove da numerose finestre ovali, circolari, rettangolari, distribuite con abilità dal Vittone, il quale sfrutta con grande suggestione il sistema del controluce, della fonte di luce nascosta. Il problema della luce all'interno della cappella viene risolto inviando la luce stessa sulla superficie interna della cupola, che la riflette in basso filtrata da un fantasioso intreccio di archi in funzione di controcupola. Il visitatore che si posiziona al centro della cappella non scorge le finestre del secondo ordine, ma percepisce solamente la luce discendente, che era un tempo accompagnata da raggi in segno dorato (ne resta solo uno, sopra l'altar maggiore).

Durante i lavori di restauro dei tetti, sotto le tegole, fu ritrovato un bellissimo manto di piastrelle in teccacotta maiolicata dai vivaci colori (giallo, rosso, verde, arancione). Questa scoperta rivela che l'edificio fu originariamente costruito con quasi assoluta fedeltà al progetto vittoniano, pubblicato nel 1766 nelle "Istruzioni diverse contenenti l'officio dell'Architetto civile". L'utilizzo di terracotta maiolicata è estranea a questa parte del Piemonte, sia per il clima sfavorevole, sia per la mancanza di tradizioni artigianali locali adeguate. Forse sul Vittone pesava il ricordo delle coperture policrome dell'Italia meridionale (l'architetto era appena tornato da un soggiorno romano) oppure della vicina Liguria (esperienza filtrata dall'alessandrino e dal basso cuneese). La modifica della copertura e della cupola avvenne in epoca imprecisata, probabilmente per dare maggior sicurezza alle strutture dell'edificio, visto che la copertura, ormai deteriorata, permetteva infiltrazioni d'acqua piovana.

 

La cappella conservava sino a pochi anni addietro l'intero apparato decorativo, perfettamente integro e contemporaneo all'epoca della realizzazione dell'edificio. Purtroppo alcuni furti hanno depauperato questo patrimonio rilevante. Gli affreschi delle volte sono attribuiti al pittore Pierfrancesco Guala. Gli affreschi raffigurano l'Empireo con le varie gerarchie degli angeli e dei santi. Secondo le indicazioni del Vittone, tali pitture dovevano essere in degradazione prospettica, ma poiché il Faccio premeva per una conclusione veloce dei lavori, l'effetto scenografico fu raggiunto solo in parte. Sull'altar maggiore, realizzato in marmi preziosi, oggi c'è  una copia del quadro dipinto dal Guala (Visita di Maria Vergine ad Elisabetta). I curiosi confessionali (aperti e con basamento a forma di piede caprino) sono copie di quelli del '700 rubati. Il tabernacolo, attribuito al grande ebanista di corte Pietro Piffetti, oggi è conservato al sicuro da mani rapaci; esso rappresentava un tempietto con gli angeli in adorazione dell'Eucarestia ed era realizzato in legni rari, madreperla ed avorio.

Prima della cappella Vittoniana, esisteva una chiesetta intitolata alla Madonna della Neve. Lo storico carignanese Giacomo Rodolfo suppone che essa fosse posta non lontana da una strada romana che, partendo da Carignano, passava per Vigone e poi proseguiva per la Val Chisone, giungendo sino al Monginevro. Della primitiva Chiesa resta un muro, che attualmente è parte della sacrestia.

In questo ambiente, in funzione di pala d'altare è posto un affresco, protetto da un vetro; esso raffigura la madonna nell'atto di allattare il Bambino. Quest'opera, forse del XVI secolo è stata attribuita dagli a studiosi ad un pittore vicino a Macrino d'Alba, ad esempio Jacopino Longo, specie per le mani grandi della Madonna e il bimbo roseo e dorato. La Madonna siede su di una cattedra, quasi un'esedra rinascimentale, il suo manto è ricoperto da graffiti antichi come "Jacobinus Namonus de Podverini (Poirino) fecit hodie 16 De Augusti 1582 (o 1562)" "Johannes Mayno de Podvarino " "A Lannes Spinola" "Ludovicho Re". Il Bambino tiene in mano il Mondo, segno del suo dominio sul Creato.

Il famoso affresco della Madonna del latte

In passato la Madonna del Latte era venerata affinché intercedesse contro le malattie polmonari, ma in particolare contro la pertosse. In tutta Europa, la reliquia del latte della Vergine, che si presumeva conservata in molte chiese, era considerata una valida difesa contro le malattie infettive.

 

Un altro interessante affresco (non visitabile) si trova in una cascina presso la cappella. Esso risale al XVI secolo e raffigura una Madonna Annunziata. Dagli studiosi di storia dell'arte è attribuito allo stesso autore della Madonna che allatta, per via di certe somiglianze: ad esempio, la Vergine ha i capelli trattenuti da un nastro con un fermaglio di perle, come nella figura della cappella: entrambe hanno lunghe mani e dita affusolate. L'inginocchiatoio con il panno bianco e il libro aperto su di esso, sono simili a quelli dell'Annunziata della chiesa di San Giovanni a Villafranca Piemonte; simile all'affresco di Villafranca e a quello della cappella del Valinotto anche il tessuto rosso disteso dietro la Vergine.