IL BENESSERE NELLE MANIFESTAZIONI CON ANIMALI

RELAZIONE PRESENTATA AL CONVEGNO "DALLA COLOMBA ALLA CORRIDA,
istruzioni PER UN CORRETTO DISUSO" ORVIETO, 20 NOVEMBRE 1999

IL MEDICO VETERINARIO E LA VALUTAZIONE DEL BENESSERE - O DEL MALESSERE -

Se si concorda sul fatto che si dovrebbe offrire agli animali la possibilità di vivere in una condizione di benessere, ne discende che la norma specifica sull’argomento non può che essere l’articolo 727 c.p. così come modificato dalla legge 473 del 93, il quale afferma che, per giudicare del maltrattamento, ci si deve basare sulla "natura" degli animali, "valutata secondo le loro caratteristiche anche etologiche". Questo per esclusione, perché quando si impone il malessere viene meno il benessere e pertanto se la valutazione del malessere va fatta secondo determinate direttrici , le stesse devono valere anche per il suo contrario, ovvero la valutazione del benessere. Quindi la legge traccia i confini per poter valutare il maltrattamento, e il benessere, e pertanto dovremo affrontare il problema entro questi ambiti.

Definire il benessere

Per benessere in base alle definizione dell’OMS si intende "lo stato di completa sanità fisica e mentale che consente all’animale di stare in armonia con il suo ambiente".

In questa definizione, tra le molte proponibili, sono indicati gli elementi basilari per giudicare del benessere degli animali: l’aspetto clinico, quello mentale e psicologico e l’ambiente.

Parlare di benessere, quindi, porta a considerare quello di cui l’animale ha bisogno ed è pertanto diventato usuale parlare del benessere a partire dai bisogni, cioè delle condizioni che è indispensabile garantire agli animali.

Questi bisogni sono stati sintetizzati sotto il nome delle "cinque libertà", dal Brambell Report nel 1965, da garantire agli animali, che sono elencate di seguito:

  1. dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione
  2. di avere un ambiente fisico adeguato
  3. dalle ingiurie
  4. di manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche normali
  5. dal timore

Come si misura il benessere

Come dice anche lo stesso articolo più volte citato occorre fare riferimento agli studi etologici, che, studiando il comportamento degli animali, sono in grado di definire quali siano i bisogni essenziali da garantire e nello stesso tempo sono in grado di capire se si è in presenza di un malessere o un disagio, e quanto profondo questo sia.

La misurazione del malessere dovrà pertanto basarsi non sulle nozioni fisiologiche, che sono alla base del vecchio modo di dire che "l’animale sta bene se mangia o cresce", bensì occorrerà avvicinarsi di più all’animale e guardare, osservare i suoi comportamenti e in base ad essi giudicare se in quel momento gli stiamo fornendo le possibilità di soddisfare i suoi bisogni, totalmente oppure solo parzialmente o per niente, e quindi se stiamo generando un malessere, e quanto profondo. Lo scopo dell’etologia dovrebbe proprio essere quello di "mettersi nei panni" degli animali per giudicare delle condizioni di vita a partire dalle necessità dell’animale, senza il filtro dell’interesse economico, della abitudini e delle convinzioni soggettive, più o meno errate. Solo così si riuscirà a valutare in maniera oggettiva quali siano le condizioni di vita naturali o normali degli animali.

Il giudizio etologico è, tutto sommato, abbastanza semplice da realizzare: si tratta di valutare se l’animale si esprime in modo naturale o se manifesta segni di stress e di comportamenti non naturali per sapere se l’animale sta bene o se soffre. Quando l’animale è in una situazione di benessere o almeno neutra, infatti, non manifesta quegli atteggiamenti che sono appunto indice di malessere; vi sono però dei casi in cui per la valutazione occorre fare un percorso intellettuale più elaborato. La difficoltà nasce laddove non è possibile che l’animale esprima nessun comportamento o atteggiamento, ed è questo il tipico caso delle mostre, fiere, ecc. Nelle quali sovente l’animale è costretto ad assumere una posizione e non la può cambiare. In tale condizione chiaramente non potrà esprimere nessun movimento nemmeno quelli che indicherebbero il malessere. In questi casi è ovvio che la valutazione andrà fatta prendendo come riferimento le cinque libertà sopra ricordate. Poiché il rispetto di esse permette di offrire una condizione di benessere agli animali, ne discende che la mancanza di una o più di esse causerà una situazione di malessere più o meno profondo.

Chi misura il benessere: veterinari, etologi...

Solo un approccio che tenga conto dell’etica può dare luogo a professionisti preparati alle nuove esigenze, altrimenti non ci saranno evoluzioni positive; veterinari, etologi e filosofi sono le personalità che possono intervenire su questo dibattito, considerando che comunque la professionalità, di per sé, non è indice di un certo tipo di visione e che ci si potrà confrontare sia con etologici che accettano piani di eradicazione di qualche specie, senza utilizzare le loro conoscenze per cercare soluzioni meno cruente, sia veterinari che preferiscono tutelare gli interessi umani anziché difendere il diritto alla non sofferenza degli animali.

I veterinari potrebbero aspirare ad essere giudici "imparziali e compassionevoli", come è stato scritto, se, nel valutare le condizioni di vita degli animali in base alle conoscenze etologiche e fisiologiche, faranno adeguare gli allevamenti ai bisogni di questi. A questo può puntare la figura del veterinario "bioetico", che può diventare il vero anello congiungente tra le conoscenze teoriche e la possibile applicazione pratica.

In altri termini: se si conoscono i bisogni degli animali per raggiungere un benessere soddisfacente non sarà realizzata una soluzione eticamente corretta finché non si saranno garantite tutte le condizioni individuate come necessarie. Questo punto è veramente un discriminante tra un atteggiamento etico ed uno produttivistico. La verità richiede che, chi vuole lavorare per un fine morale si ponga come unico fine il benessere degli animali.

Qualsivoglia figura professionale sarà interessata nei nuovi compiti di tracciare le coordinate da rispettare per garantite il benessere degli animali, dovrà farlo a partire dai reali bisogni degli animali e non da quelli degli uomini che con questi animali vivono o lavorano o si divertono.

La valutazione nelle manifestazioni con utilizzo di animali

La difficoltà della valutazione del malessere laddove gli animali sono utilizzati nelle fiere, nei palii, nelle esposizioni o negli spettacoli, urta innanzi tutto contro la diversa sensibilità delle persone, tra le quali ve ne sono molte che non capiscono perché non riescono a "mettersi nei panni" degli animali oppure hanno una troppo scarsa considerazione dell’altro essere. Considerazione che, in ogni caso, tende a diminuire quanto più gli animali diventano "piccoli" e sono lontani empaticamente dagli esseri umani, come se gli animali più piccoli non possano soffrire. Si può anche comprendere che in alcuni esseri umani vi sia ancora una visione fortemente antropocentrica che porta a ritenere gli animali troppo lontani dalla nostra realtà e non degni di considerazione. Se consideriamo gli eventi che coinvolgono gli animali, vediamo che non sempre e non tutte le persone riescono a capire il problema che vi è insito.

Che cosa può unire un asino in mongolfiera ad una colomba sparata nel cielo legata ad un filo, o ancora una corsa di piccoli maiali, o qualsiasi altro evento che imponga comportamenti innaturali, se non l’imposizione di situazioni utili solo per l’uomo, per il suo svago e divertimento?

Come possiamo misurare l’eventuale malessere?

Possiamo, innanzi tutto, basarci sulle condizioni etologiche degli animali, cioè valutare le loro abitudini comportamentali tipiche della specie e confrontare le situazioni cui li sottoponiamo per verificare quanto siano vicine o lontane le due realtà, oppure possiamo ricercare negli animali i segni "clinici" dello stress e del malessere, quali l’aumento della frequenza del battito cardiaco o l’aumento degli ormoni corticosurrenali o altri indici.

Per misurare il malessere secondo le conoscenze etologiche, così come ricorda l’art. 727 del codice penale, poichè in queste occasioni agli animali non è permesso di manifestare alcun atteggiamento in quanto sono obbligati a comportamenti imposti dall’uomo ci sono solo due possibilità di valutazione: o si cercano i segni clinici dello stress o si adotta il metro di verificare il rispetto delle cinque libertà sono ricordate.

In questo secondo caso non è molto difficile stabilire che l’utilizzo gli animali in queste manifestazioni configura sempre un non rispetto delle cinque libertà, di tutte o in parte.

Libertà di avere un ambiente fisico adeguato. Nessuno potrà neanche pensare che nelle nella maggioranza delle feste e delle altre manifestazioni che prevedono l’utilizzo di animali si possa rispettare questo bisogno. L’ambiente in cui sono costretti è lontanissimo da quello in cui hanno diritto a vivere, solo per citare qualche esempio l’asino in mongolfiera, i grilli nelle gabbiette, la colomba appesa al filo non possono certo fruire di un ambiente adatto a loro.

Libertà dalle ingiurie. Anche la libertà dalle ingiurie è molto compromessa, poiché non potrà non essere ingiuria l’essere obbligati in condizioni che sono gravemente contrarie alle caratteristiche peculiari degli animali: se pensiamo agli esempi precedenti, come potrà non essere ingiuria costringere un asino su di una mongolfiera, cioè su di un mezzo assolutamente sconosciuto all’animale e nei confronti del quale non ha potuto elaborare naturalmente nessuna conoscenza comportamentale? Queste ingiurie si possono riconoscere in tutti questi eventi.

Libertà di esprimere il comportamento specie-specifico. Viene loro negata anche la possibilità di esprimere un comportamento specie specifico normale, perché sono obbligati a esprimere comportamenti imposti dall’uomo e non naturali. Si tratta sempre di fare qualcosa che in natura essi non farebbero mai e che possono solo subire.

Libertà dal timore. Sicuramente la libertà dal timore è sempre e del tutto travalicata dal momento che gli animali sono costretti a convivere in estrema vicinanza con le persone, situazione che li mette a disagio già di per sé. Sono inoltre obbligati ad atteggiamenti, comportamenti che sono lontanissimi da quelli per loro naturali, lontanissimi dalle loro abitudini, a cui si avvicinano senza aver elaborato precedenti esperienze personali e dalle quali sono terrorizzati. La realtà che sono costretti a vivere, le voci, il rumore, sovente insopportabile per le loro caratteristiche uditive, danno luogo ad uno stato di sicuro timore, solo e semplicemente per il fatto di costringerli a situazioni del tutto diverse da quelle abituali. Più questi elementi diventano forti più cresce il disagio. Pensiamo, per esempio, ad una colomba, abituata al silenzio dei cieli, che viene obbligata a subire rumori assordanti per le sue orecchie, spari, campane, ecc.

Praticamente si può dire che l’unica libertà che viene mantenuta è quella legata all’alimentazione e alla abbeveramento, che, in precedenza dovrebbero essere avvenuti.

Come è facilmente verificabile non è dubbio che quasi tutte, per non dire tutte, le manifestazioni con animali inducono situazioni che, se valutate in riferimento alle loro caratteristiche etologiche, procurano sicuramente un malessere, in quanto non permettono di esprimere il comportamento normale ma costringono ad accettare o subire eventi per loro innaturali e che pregiudicano più o meno gravemente la loro psiche e la loro sensibilità.

La misurazione clinica del malessere è possibile ma certamente più problematica. Infatti se è molto facile la rilevazione dell’aumento della frequenza cardiaca, diventa più indaginosa la ricerca delle risposte ormonali, in entrambi i casi, però, è molto difficile la valutazione dei dati raccolti. È infatti noto che la semplice manipolazione può spaventare l’animale che risponde sia con un aumento del battito cardiaco sia con una variazione del tasso ormonale. Questa variazione sottolinea una volta di più lo stress cui sottoponiamo gli animali nel corso di queste manifestazioni: se già in condizioni di maggiore tranquillità l’animale risponde ai maneggiamenti umani con una alterazione, ancora maggiore sarà tale condizione stressante quando l’animale sia costretto a vivere realtà che lo costringono a condizioni così profondamente alterate. L’evidenziazione clinica del malessere si presenta quindi più difficoltosa e in fondo diventa un supporto alla valutazione etologica.

Se si accetta la definizione dell’articolo 727 del c.p., non è dubbio che feste, fiere, manifestazioni, spettacoli configurano un maltrattamento chiaro e facilmente verificabile poiché risulta inequivocabile che non si rispettino i bisogni etologici degli animali e in conseguenza esse configurano un maltrattamento degli animali. Per tutti, si deve dire, da quelli più grandi e più vicini all’uomo fino al piccolo grillo .

Tutto questo però rischia di non esser sufficiente, ed infatti gli animali continuano ad essere sottoposti a situazioni per loro innaturali e causa di stress e di malessere, perché il problema principale è proprio quello dell’applicazione dell’articolo relativo al maltrattamento animale.

L’applicazione dell’articolo 727.

L’articolo 727 si presenta più avanzato di quanto non lo siano altre leggi sugli animali. Infatti l’articolo del codice penale prevede che gli animali debbano essere mantenuti in maniera corrispondente alla loro natura giudicata secondo i bisogni etologici. In questa dizione sarebbe compresa, se fosse applicata in maniera integrale, l’abolizione della maggior parte delle attività con le quali l’uomo coinvolge gli animali: non sono naturali le condizioni negli allevamenti intensivi, come non lo sono i trasporti, gli spettacoli, le fiere, ecc. Ogni attività che l’uomo fa travalica i bisogni degli altri esseri e impone atteggiamenti e comportamenti che sono solamente consoni a quello che lui desidera ottenere.

L’articolo in sé presenta comunque alcuni problemi, il primo è una insufficiente pena per i trasgressori, che possono in ogni caso patteggiare e quindi pagare una cifra neanche troppo elevata per ottenerne l’estinzione.

In secondo luogo vi è una particolare aggiunta nella formulazione che, come spesso accade nelle leggi italiane, può dare modo alla ridda delle interpretazioni. Infatti nell’articolo vi è la specificazione "senza necessità", prevista che per chi "incrudelisca "sugli animali.

A questo proposito sarebbe interessante già solo stabilire chi è la persona autorizzata a giudicare della necessità o meno di "infierire" sugli animali. Se infatti alcune situazioni inducono maltrattamento degli animali, ma vi è la necessità umana di far sopportare tale maltrattamento, ecco che, letta in altre parole, la formula giustifica quello che vorrebbe impedire.

Questa aggiunta introduce nell’articolo 727 l’aspetto antropocentrico della visione degli animali perché proprio l’uomo diventa l’artefice della misura e permette di dare valutazioni secondo i propri interessi.

Nel futuro un obiettivo basilare diventa pertanto il miglioramento dell’art.727, sia dal punto di vista dell’aumento delle pene previste per chi incorre nel reato del maltrattamento, sia dal punto di vista della sua applicabilità.

Questo obiettivo deve essere perseguito attraverso la costruzione di un diritto certo che inequivocabilmente sancisca che le caratteristiche etologiche, e solo quelle, devono essere il metro di misura per il malessere degli animali, che vi debbano essere valutazioni oggettive e che il rispetto delle ormai conosciute cinque libertà devono diventare il metro di misura per giudicare del benessere e del malessere degli animali.

Per fare ciò occorre che sia eliminata dalla formulazione dell’articolo l’aggiunta "senza necessità" che diventa intollerabile per quanti di battono da anni per la difesa dei diritti degli animali o almeno per il rispetto dei loro bisogni etologici.

Per quanto concerne sia le manifestazioni di cui stiamo parlando sia l’applicabilità in genere dell’articolo ricordato, è necessario però compere un ulteriore passo e "costruire" una giurisprudenza, perché la formulazione così com’è lascia ancora troppo spazio alle interpretazioni e non sempre si riesce a collegare la valutazione del malessere con l’etologia, non sempre si può ottenere che i superamenti delle condizioni etologiche siano sanzionate per legge. Per ottenere una maggiore efficacia della legge, e una sua maggiore applicabilità, occorrerà quindi da un lato promuovere e approfondire più momenti di confronto e di dialogo tra le varie personalità che vogliono partecipare alla elaborazione sull’argomento etologico e dall’altro valutare la possibilità di promuovere cause pilota che possano dar luogo ad una giurisprudenza sull’argomento. Questo si può fare individuando situazioni o manifestazioni particolarmente significative, anche per non disperdere le nostre forze, e quindi proporre delle azioni legali, dopo aver naturalmente raccolto elementi fondati di sostegno alle nostre tesi. In questo modo si costruirà nel tempo una giurisprudenza, ovvero una serie di sentenze che metteranno le basi per una migliore interpretazione della legge in quel senso animalista che essa vorrebbe avere ma che non è sempre e da tutti riconosciuto.

Si dovrà anche operare per l’approfondimento scientifico delle conoscenze etologiche relativi a questi eventi, raccogliendo molto materiale (filmati, diapositive, fotografie, ricerche e studi) per realizzare sia una vera mappa di quanto viene imposto agli animali e per poter avere più strumenti che permettano di evidenziare il contrasto tra i bisogni degli animali e le realtà che si impongono. Questi materiali serviranno anche per le azioni legali sopra ricordate.

Una ulteriore possibilità di intervento, sarà la proposizione di testi legislativi che, di volta in volta, recepiscano le istanze avanzate nel corso degli studi e degli approfondimenti, per emettere leggi che vadano a legiferare in materia quando non a mettere fine o imporre la trasformazione di quelle manifestazioni che inducono stress o dolore o sofferenza negli animali.

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