RELAZIONE PRESENATTA AL CONVEGNO:

A 20 anni dalla dichiarazione dei diritti degli animali 
TORINO- 24.10.1998 -

 

Sono presente come veterinario del Servizio pubblico e rappresento anche una piccola associazione di veterinari pubblici; piccola perché ci poniamo in modo alternativo rispetto alle tematiche veterinarie tradizionali e pertanto siamo scomodi. I veterinari sono figure onnipresenti, quando si parla di animali, ma, secondo la mia personalissima opinione, il veterinario è un referente dell’uomo e non il professionista che "difende" gli animali. Egli li cura solo e sempre nell’interesse dell’uomo, che è il suo vero riferimento. Gli Ordini veterinari, da quando sono sorti, regolano sempre e soltanto i rapporti tra il professionista e i padroni degli animali, che in questa accezione rappresentano proprio i proprietari non gli affidatari, come ci ha spiegato il Professor Pocar.

Che cosa è cambiato in questi 20 anni successivi alla dichiarazione dei diritti degli animali? Quello che è maggiormente cambiato è forse la speranza che il futuro sia migliore del passato, perché in campo veterinario, dal punto di vista pratico-applicativo, non è cambiato molto. Ad esempio la categoria non ha mai dibattuto approfonditamente il tema dei diritti degli animali, e sono stati i filosofi ad iniziare questa tipo di riflessione. Prima i veterinari non si erano mai preoccupati del significato del loro lavoro per gli animali; questi venivano curati, anche con amore e con attenzione, ma sempre operando nell’interesse dell’uomo che ne è il proprietario.

La speranza è invece legata al possibile collegamento del lavoro veterinario con la bioetica. Se noi riflettiamo su quali diritti siamo disposti a garantire, agli animali, come li garantiamo, se noi riflettiamo su questi argomenti comprendiamo che i veterinari possono fare qualcosa. Se si pone come obiettivo iniziale un diritto per gli animali ad una vita senza sofferenze e rispettosa dei loro bisogni, capiamo che in questo senso un professionista preparato può fare molto, perché potrebbe in questo caso essere l’anello di congiunzione tra i bisogni dell’ambiente produttivo e quelli dell’animale. Naturalmente, la scelta perseguita fin qui dal veterinario, di stare con la parte produttiva, ha determinato il fatto che egli non si sia mai preoccupato del benessere degli animali, nel campo degli allevamenti specialmente, ma che abbia sempre curato il loro malessere, perché questo significa un danno per l’uomo. Tra i moltissimi esempi possibili possiamo ricordare due semplici situazioni. Gli Ordini tempestano gli iscritti di lettere in cui dicono cosa si deve fare per i rifiuti, per le scorie degli apparecchi a Raggi X, per le insegne, per non fare concorrenza sleale tra colleghi, però non ricordano mai che occorre far rispettare le leggi sul maltrattamento degli animali. Poiché in quasi tutta Italia esistono leggi sulle caratteristiche del mantenimento dei cani quanto a lunghezza della catena, sarebbe logico attendersi un rispetto di tali norme, invece la quasi totalità è ancora mantenuta in condizioni di insufficiente rispetto dei bisogni minimi. E dobbiamo comunque ricordare che qualche metro di catena in più non significa certo uno stato di benessere per gli animali, ma solo un semplice miglioramento della loro situazione. Purtroppo i veterinari entrano nelle aziende agricole, vedono i cani ma sembrano girare con i paraocchi. E gli Ordini, che dovrebbero essere gli organismi che si preoccupano anche delle regole morali, non trovano il tempo di ricordare questo dovere ai loro iscritti.

Un altro esempio che si può proporre è relativo agli allevamenti intensivi. In questi, che rappresentano una vera concentrazione di dolore, vi sono milioni e milioni di animali allevati, ma pochi sanno vedere oltre l’apparenza. La visione produttivistica può far sì che un allevatore affermi con molta soddisfazione che tutte le sue strutture, che producono il suo annuale reddito multi milionario, siano la conseguenza di un lavoro iniziato molti anni prima allevando una scrofa sotto una tettoia di latta e di legno. Ma nelle sue parole non vi è certo un minimo pensiero per le migliaia di animali da lui allevati in condizioni tali per cui le scrofe vivono sempre in spazi ristretti siano box in cui sono pigiate siano le gabbie di ferro in cui non possono neanche rigirarsi, o perché gravide o perché hanno i maialini e non devono schiacciarli coricandosi. I veterinari quando si recano in questi allevamenti trovano tutto normale, perché non badano al benessere degli animali, ma ne curano il malessere quando si presenta. Così se i suini, pigiati nei box si mordono e si provocano dei traumi, non c’è nessun problema: basta calare una gomma usata di copertone di automobile, che non costa nulla, e i maiali, mordendolo, sfogano il loro stress e non si provocano danni. Certamente non si cura il disagio generato da un sistema di vita lontanissimo dalle loro abitudini etologiche e fisiologiche, ma si risolvono i problemi economici per l’allevatore. Non passa il malessere che genera l’aggressività, semplicemente questa viene deviata su un oggetto esterno. Il problema della produzione economica è quello che domina su tutti gli altri nel campo dell’allevamento, perché, come è stato sottolineato anche in precedenza, gli animali sono inseriti in un discorso economico veramente enorme, che finora ha prevalso su tutti gli altri. La zootecnia italiana vale 25mila miliardi l’anno, sui circa 70mila che vale tutta l’agricoltura italiana. E questa agricoltura, che esprime queste cifre, è anche quella stessa che ha aiuti dallo Stato per 25mila miliardi l’anno. Quindi la speranza e l’impegno per il futuro è di far coagulare una visione forte che, a partire dai diritti degli animali, riesca a far passare un discorso che sembrerebbe ovvio, ovvero quello della contropartita. Se si accetta che ci sia questo giro di aiuti, si vorrebbe almeno che i sistemi di allevamento non facessero soffrire gli animali e che le sofferenze non fossero giudicate dai proprietari/allevatori ma da giudici preparati e compassionevoli, come è stato detto.

Se proprio allevamento deve essere, che non vada a infliggere sofferenze e dolore agli animali. Questa credo possa essere una strada su cui muoversi, per diffondere maggiormente le nostre idee. Noi oggi siamo molto contenti perché ci troviamo qui tra persone con cui condividiamo le nostre idee, e siamo anche in molti; però basta uscire per vedere che il nostro percorso è difficile. E’ sufficiente pensare alla pubblicità e alla realtà dei Mc Donalds, con tutto quello che sappiamo esserci dietro, anche per quanto riguarda la necessità discendente di allevamenti intensivi, per comprendere come sarà difficile portare più benessere negli allevamenti. Noi ci troviamo a lottare continuamente contro questa impostazione del mondo occidentale. E i giovani sono i più facilmente conquistabili dai fast-food. Anche mia figlia di 15 anni, pur amando moltissimo gli animali, non resiste alla tentazione dei Mc Donalds, forse anche un po' per sfida nei miei riguardi.

Per terminare come avevo iniziato, parlando dei veterinari, bisogna dire che se la categoria vuole intraprendere un tipo di rapporto nuovo con gli animali ha la possibilità di fare qualcosa di alternativo. Sicuramente ricorrono alcune condizioni favorevoli, innanzi tutto la preparazione, quella universitaria e scientifica, alle quali vanno se ne devono necessariamente sommare delle altre, se si crede in un nuovo approccio nei confronti degli animali: occorre aggiungere un nuova volontà di lavorare con gli animali "PER" gli animali e non per gli uomini e una formazione più aperta alle tematiche più vicine agli animali. Questa associazione sta lavorando con l’Università di Torino per cercare di dare vita a corsi di Bioetica per Medici veterinari. Inoltre, come Associazione, per quanto possiamo, andiamo nelle scuole per proporre dei corsi, agli insegnati e agli allievi, sui problemi degli allevamenti e le tematiche collegate dell’alimentazione e degli allevamenti intensivi.

Questo nuovo approccio al mondo animale richiede un veterinario diverso; se i veterinari non sapranno essere diversi non potranno proporsi come i professionisti che si pongono anche l’obiettivo di tutelare e rappresentare i diritti degli animali.

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