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EDITORIALE

     È acquisito che il configurarsi dell’identità personale del bambino/dell’uomo, di una sua corretta dinamica relazionale, della sua ricchezza affettiva, del senso di sicurezza nella libertà da inutili ansie sia da attribuirsi anche all’assimilazione delle appartenenze socioculturali.

     Nella vitale acquisizione di un ‘simbolico’ comune — certamente da condividersi criticamente — va infatti integrandosi sempre più la personalità, si delinea sempre meglio l’IO, che inevitabilmente e opportunemente non può essere ‘scardinato’, ‘sradicato’ pena l’emergere di insicurezze a seguito della mancanza di punti di riferimento ‘ambientali’, e perciò anche ‘storici’.

     Del resto, l’IO non va prendendo coscienza di sé nel e per il rapporto con l’Altro, e perciò anche con Coloro che ci hanno preceduto?

     L’istanza ‘co-municativa’, propria dell’uomo, va esplicitata in rapporto non soltanto all’ambito umano ‘contemporaneo’, bensì anche nel confronto con gli Uomini del passato, col ‘munus’ che Essi ci hanno consegnato e che noi da Loro accogliamo: esperienze, ricerche, riflessioni e interpretazioni del mondo e della vita; città, case, strade, ‘monumenti’ molteplici, istituzioni sognate, organizzate, affidate ai posteri.

     C’è insomma, oltre ad una comunicazione ‘orizzontale’, anche una ‘continuità’, e pertanto una comunicazione ‘temporale’.

     Dai secoli che ci hanno preceduto, ossia dagli Uomini che hanno operato prima di noi, va dunque accolto — appunto — un ‘munus’, che è ‘dono’ e ‘compito, che si fa eredità ed arricchimento delle nuove generazioni, incremento di ‘umanità, stimolo a tesoreggiare esperienze, a valorizzare istituzioni, all’impegno nella Società, a costruire il Futuro — certamente nel superamento, frutto di grave discernimento, di taluni momenti del Passato, ma comunque nel confronto con Esso e, per alcuni rilevanti aspetti, assecondando valide piste già tracciate — così da consegnare, a nostra volta, un ‘munus’ ai Posteri.

     Ebbene, se il Territorio sud-orientale della Sicilia (della cui memoria storica si fa portatrice anche questa rivista, e del cui rilevante assetto ‘comitale’ quest’anno si celebra una scadenza pluricentenaria) si caratterizza per un lunghissimo itinerario, degno di essere in gran parte riscoperto per la molteplicità delle proprie istituzioni scolastiche, sanitarie, giudiziarie, benefiche, religiose, e per un retaggio di civile convivenza — pur fra ombre, cedimenti, soste —, si pone, nella ricerca storica, anche la consapevolezza educativa di ‘aprire gli occhi’ delle giovani generazioni su un contesto storico che le sostenga (e le può sostenere vigorosamente ...) nella costruzione della loro ‘identità’, non certo per ‘chiudere’ entro limitati confini, bensì per indurre, a partire da un serio e robusto impianto ‘culturale’, ad aprire poi (o nello stesso tempo) mente e cuore a problematiche e mondi ampi ed universali, a concretizzare un ‘dialogo fra civiltà’, che si fa unità della molteplicità: non mai, pertanto, uniformità ed omogeneizzazione dei popoli.

     Insomma, l’albero espande i propri rami a partire da un radicamento profondo.

     Mancare a tale impegno pedagogico equivarrebbe al misconoscimento, all’oblìo, alla dispersione di una grande ricchezza; a costruire personalità che non si caratterizzerebbero come ‘cittadini del mondo’, bensì come cittadini del nulla, come solitudini senza profondità, come zattere vaganti e disperse in un oceano, come foglie al vento. Avremmo uomini e donne senza consistenza ‘culturale’ e perciò senza volto: ingenuamente illusi di cominciare da zero e pertanto inevitabilmente destinati ad una presuntuosa mediocrità. Indurremmo i giovani a bloccarsi nel presente immediato, e pertanto a partecipare a quell’oblìo dell’essere che attraversa la nostra cultura, troppo spesso superficiale perché, obliterando il passato e non progettando fondatamente il futuro, si appaga (o non si appaga ...) in una sorta di ‘zapping’.

     Non invitando responsabilmente a cogliere la complessità degli eventi umani, le molteplici dimensioni dell’Uomo — e del loro esplicarsi nel corso delle varie esperienze lungo i secoli, a partire da quelle concretizzate nel contesto ambientale in cui si sviluppa il percorso evolutivo —, non si costruiscono né le Città né la grande Comunità universale degli Uomini, ma si alimentano il nichilismo, l’evasione dalla realtà, la strumentalizzazione più banalmente utilitaristica della ragione, la prevaricazione dell’uomo sull’Uomo e delle Comunità umane fra loro, l’irrequietezza, l’angoscia sottesa al frenetico agitarsi che non costruisce con robustezza la vita dell’Umanità.

Giorgio Colombo