ritorna alla pagina precedente

 

 

Note sul restauro del convento di S. Maria del Gesù in Modica

di Emanuele Fidone*

 

 

     Il convento di S. Maria del Gesù, dell’Ordine dei Minori Osservanti, in Modica è uno dei monumenti superstiti dell’architettura del Quattrocento siciliano tra i più rilevanti e meno conosciuti. La sua destinazione a carcere, avvenuta dopo l’Unità d’Italia, ha determinato un mutamento d’uso e di ‘senso’ isolandolo totalmente dalla vita urbana della Città.

     Esso venne costruito a partire del 1478[1] nell’area extra moenia nominata ‘Vicaria’, nei pressi della parte alta della Città, in un luogo dove oltre alla presenza di sorgenti e pozzi di acqua preesisteva, forse, una piccola chiesa[2]. Fino alla fine dal XIX° secolo il convento, modellato su un poggio, rimane isolato dalla Città, con notevole effetto scenografico, nel rispetto di una norma, emanata nel 1597, che impediva la costruzione di edifici «nel gran piano del Convento sino allo spianato ... presso la chiesa di San Giovanni Evangelista»[3].

     Il complesso religioso era collegato alla Città con un’interessante sistemazione urbana — forse risalente all’epoca degli interventi seicenteschi promossi da Alfonso Henriqez — : “intorno alla chiesa e al convento vi era la grandiosa piazza di S. Maria del Gesù e vi si accedeva da un lungo viale che, ai lati, era ornato da statue di Santi e di Frati dell’Ordine ...; sui pilastri o plinti di sostegno erano scolpiti dei versi religiosi”[4].

     Ma a partire dalla fine dell’Ottocento il viale monumentale viene gradualmente demolita[5] e trasformato in una strada di accesso al nuovo quartiere popolare del Gesù.

     La realizzazione, nella piazza antistante la chiesa, degli uffici carcerari dotati di un’alta recinzione e le recenti costruzioni di un grande edificio scolastico e di altri modesti edifici di abitazioni hanno ulteriormente degradato e dequalificato l’area.

 

 

Le fasi costruttive

 

     L’indagine — limitata finora alla chiesa e alle cappelle — iniziata con il rilievo, è stata ampliata e approfondita durante le varie fasi del restauro, condotte parallelamente alle ricerche storico-archivistiche curate da Marco Nobile.

     Da questo lavoro sinergico emergono nuovi dati che consentono una rilettura del monumento, che contrasta con le vecchie ipotesi tipologiche, basate spesso solo su intuizioni e casuali ritrovamenti.

     Dall’analisi emergono numerose fasi costruttive (Fig. 1), una sorta di narrazione continua che per semplicità di lettura suddividiamo in quattro fasi principali di trasformazione:

     A - la fase iniziale di costruzione dell’impianto quattrocentesco;

     B - le trasformazioni seicentesche;

     C - la ristrutturazione chiesastica successiva al sisma del 1693 completata nella seconda metà del Settecento;

     D - gli adattamenti a carcere successivi al 1865.

     Dell’impianto originario quattrocentesco (fase A) rimangono quasi integri il chiostro quadrato a doppio ordine, la facciata della chiesa e i resti delle strutture di cinque cappelle laterali.

     L’ipotesi ricostruttiva di M. Nobile farebbe intravedere un programma compositivo rigido e attuato parzialmente: “Il corpo di fabbrica del convento corrisponde pressappoco ad un quadrato (con lato di circa 18 canne siciliane), mentre la chiesa ha un rapporto dimensionale di circa 1:3, consentendo una copertura con tre crociere ...; sul fianco destro, a ogni campata corrispondevano due cappelle che hanno un passo dimensionale costante”[6].

 

     Il gruppo delle cappelle laterali dovette essere completato entro i primi decenni del XVI secolo; mentre interventi decorativi vengono condotti anche successivamente. Nel 1544 lo scultore Vincenzo Raimondi è impegnato nella realizzazione di un bassorilievo con ‘Madonna e Demonio’[7]. Nel 1583 il pittore Bernardino Niger — detto ‘il greco’ — esegue gli affreschi della cappella di S. Anna per conto del milanese Cristoforo Riva[8].

     Nei primi decenni del Seicento (fase B) si intraprendono diverse opere di trasformazione volute dal conte Giovanni Alfonso Henriquez.

     A questa fase appartiene sicuramente la riconfigurazione della decorazione interna della cappella ‘F’ (Fig. 1) con un altare che reca nell’archivolto la data del 1625 e probabilmente anche la costruzione della cappella ‘G’, che insieme alla cappella ‘A’ non presentano tracce di coperture a crociera.

     Seicentesca sembra anche la costruzione o rimodellazione della zona absidale ad andamento retto, caratterizzata da una decorazione composta da grandi lesene e illuminata da due finestre circolari laterali, ancora in parte visibile dietro le strutture settecentesche.

     Nuove indagini potranno inoltre verificare se la nuova ala del convento, costruita verso ponente, possa essere stata progettata in questo periodo. Le massicce strutture murarie larghe circa una canna siciliana (2.064 mt) sono molto diverse da quelle dell’area absidale e farebbero pensare a un intervento successivo al sisma del 1693[9].

     Non sono documentati finora i danni provocati dal grande terremoto del gennaio del 1693[10], che provocò nella Città danni ingenti e numerose vittime; ma possiamo supporre che l’impatto maggiore si sia verificato nelle strutture più deboli come le volte in muratura della chiesa e delle cappelle.

     L’intervento post-terremoto (fase C) si conclude nella seconda metà del Settecento, ed è caratterizzato dalla scelta di separare le cappelle laterali dalla navata della chiesa; le vecchie aperture vengono murate con grandi tampognamenti, per ammorsarvi i nuovi altari, e le cappelle rese fruibili attraverso un corridoio che le taglia trasversalmente.

     La navata della chiesa viene scandita dal ritmo delle arcate degli altari laterali e dalle lesene binate corinzie. La decorazione a stucco è d’impronta tardo barocca, in uso in area iblea a partire dagli anni sessanta settanta del XVIII secolo. Sempre in questa fase il coro viene ridefinito nella sua forma che, da andamento retto, viene trasformato a semicircolare, segnato da lesene e controlesene d’ordine ‘bastardo’. Viene anche realizzata una nuova copertura con volta leggera a botte lunettata e un endonartece che sostiene la cantoria, delimitata da un doppio ordine di tre arcate su colonne.

     La nuova configurazione, data dagli interventi settecenteschi, rimane pressoché inalterata fino al 1865[11], anno in cui l’edificio viene scelto dal nuovo Governo Unitario, come sede del nuovo carcere della Città.

     A seguito di questa traumatica variazione d’uso il convento subisce una serie d’interventi di adattamento (fase D), che riguardano soprattutto tramezzature interne e il tampognamento di due lati del chiostro[12].

     Vengono successivamente creati nuovi contrafforti esterni in muratura e si procede al rifacimento del fronte principale del convento — forse ai primi del secolo —, mentre si assiste al progressivo abbandono della chiesa e delle cappelle. Nel 1915[13] crollano gran parte delle coperture della chiesa e delle cappelle; anche la parte superiore del muro della chiesa verso ponente e i due archi dell’abside vengono demoliti e inizia il fenomeno di ruderizzazione che prosegue fino ad oggi.

 

     A partire dal 1920[14] si registrano alcuni piccoli interventi di consolidamento da legare all’attenzione suscitata dagli studi storici del Mauceri[15] e agli interessi artistici di una certa élite locale.

     Evitata l’ipotesi di destinare la chiesa a laboratorio per i detenuti, dopo il 1949[16] iniziano una serie di interventi paralleli condotti da una parte dalla Soprintendenza che cerca di salvare quanto resta della chiesa e delle cappelle, dall’altra parte dal Genio Civile per quanto riguarda l’aspetto funzionale del Carcere evidenziando il distacco conflittuale tra le esigenze pratiche della struttura carceraria e quelle di tutela del monumento.

 

 

Il restauro

 

     La prima fase dell’intervento del recupero in corso riguarda il restauro della chiesa e delle cappelle laterali. Queste ultime, prive di coperture, erano ridotte ormai allo stato di rudere e usate come discarica del carcere.

     L’obbiettivo primario dell’intervento è quello di sottrarre all’oblio un edificio, che trattiene fra le sue strutture stratificate un palinsesto di cinque secoli di storia, per destinarlo a spazio espositivo e sala polivalente.

     Il progetto, pensato in continuità con la storia stessa dell’edificio, parte da una lettura delle molteplici stratificazioni e sovrapposizioni, intervenendo in modo leggero ed essenziale, quasi icastico, conservando le parti originarie nella loro integrità materica.

     Con la creazione di una nuova copertura per la chiesa, si è cercato di evocare la spazialità barocca originaria, realizzata con arcate in legno lamellare e rivestita esternamente con lamiera grecata in rame ossidato.

     L’antica loggia che sovrastava l’endonartece sarà ripristinata — come necessaria chiusura formale e spaziale della navata — non più in pietra ma con una struttura leggera in legno chiaro d’acero che riprende in modo , astratto la geometria delle forme originarie.

     I ruderi delle cappelle laterali sono stati ricomposti, nella loro complessità, da un nuovo elemento d’unione costituito dal sistema di copertura realizzato con una serie di strutture in acciaio a otto falde che rimandano al disegno delle originarie volte gotiche a crociera. La superficie di copertura in lastre di rame ha assunto; dopo l’ossidazione forzata, una colorazione grigioverde. Una nuova muratura rivestita in cocciopesto, unifica la parte disomogenea sommitale delle vecchie strutture delle cappelle. Un taglio lineare — soluzione di continuità tra strutture murarie e coperture — permette la penetrazione di luce diffusa indiretta che illumina dall’alto le cappelle, fondendosi ai fasci di luce solida provenienti dalle antiche finestre laterali.

     Per le pareti interne delle cappelle e della chiesa è stato utilizzato un diverso trattamento delle superfici, che permette una lettura filologica delle diverse fasi temporali. Per le lacune e le parti manomesse in epoca recente si è adoperato un intonaco in cocciopesto chiaro, come superficie astratta e neutrale.

     Rimuovendo le macerie e i materiali ammassati tra le pareti delle cappelle abbiamo ritrovato e catalogato numerosi elementi di spolio di un certo interesse. Tra essi, oltre alle colonnine decorate tolte dal chiostro negli anni ‘60, tre elementi architettonici particolarmente interessanti. Si tratta di chiavi di vota di grandi crociere alte circa 60 cm. e larghe 45 cm., due delle quali riutilizzate come recipienti, forse acquasantiere.

     Abbiamo ipotizzato, insieme a Marco Nobile, che possano essere le chiavi delle tre grandi volte a crociere che dovevano coprire originariamente la chiesa.

     Una di esse (Fig. 2) presenta, nella parte inferiore, una decorazione centrale raffigurante S. Bernardino da Siena e sul bordo, a forma ottagonale, una scritta poco leggibile e una datazione “M....CCCXXIII» forse riferite alla storia dell’ordine o alla fabbrica della chiesa se letta come “MCCCCCXXIII”.

     Durante i lavori abbiamo ritrovato e messo in evidenza numerose tracce della prima fase quattrocentesca; il rinvenimento più sorprendente e iconograficamente interessante è avvenuto, nelle ultime fasi dei restauri, in una delle cappelle più antiche.

     Nella cappella ‘D’ o “dei volti” sono riemersi, quasi intatti, i peducci dell’originaria volta gotica a crociera, con un’interessante e inedita decorazione di fattura pregiata. Nella parte destra tre volti maschili barbuti, uguali, si fondono insieme, formando un’unica figura, un’inquietante maschera con quattro occhi (Fig. 3); analogamente nell’altro angolo fa da contrappunto una maschera simile ma formata da volti femminili. Un tema decorativo intenso, che rimanda a modelli tardo-antichi[17] con molteplici significati simbolici, usato raramente.

     Nonostante le notevoli distruzioni sono state ritrovate, nella zona absidale destra, alcuni frammenti della pavimentazione settecentesca che era formata da mattoni in pietra calcarea tenera bianca e in pietra pece posti a scacchiera e ruotati di 45°.

     Delle cripte delle cappelle e della chiesa, più volte citate dalle fonti, non sono state purtroppo ritrovate che tracce esigue con evidenti segni di recenti manomissioni distruttive.

     Le tracce dei graffiti incise dai carcerati, sparse sui muri della chiesa, documentano il trapasso dei valori racchiusi nel destino del monumento, il suo oblio e le cesure della cultura repressiva, e segnano il passaggio da luogo di meditazione spirituale e studio a luogo di espiazione di colpe legate alla miseria umana.

 

     Il progetto finora realizzato è solo una parte di un più vasto intervento che prevede, tra l’altro, il restauro conservativo della facciata, il ripristino del chiostro, di eccezionale bellezza e unicità, la sistemazione dell’antico giardino laterale alle cappelle, la demolizione della recinzione e la creazione di una rampa che ripristini la relazione diretta tra la Chiesa e lo spazio urbano antistante, ora interrotta dalle strutture carcerarie.

     Il recupero totale del monumento quattrocentesco dovrà essere, a mio parere, il fulcro di un articolato sistema culturale della Città e momento di riappropriazione di un bene culturale, e dei valori ad esso connessi, negato a tante generazioni di cittadini.

     Ma tale recupero contrasta con il mantenimento della struttura carceraria che andrebbe trasferita altrove.

     Già dal 1952 il Ministro della Pubblica Istruzione On. Segni[18] ne chiedeva il trasferimento perché incompatibile con la tutela e la fruizione del monumento definito di notevole importanza artistica, un’ipotesi ciclicamente ribadita anche in sede locale[19] che dopo quarantaquattro anni ci auguriamo non venga nuovamente allontanata dall’indifferenza e dall’apatia di amministratori e burocrati.

 

 

 

 



 

 

NOTE

 

 

     * (Modica, 1957). Si laurea in Architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia nel 1984.

     Ha realizzato diversi progetti, prevalentemente di restauro, nei centri storici di Ragusa, Siracusa e Modica; da citare il restauro del ‘Ponte Vecchio’ di Ragusa (1990-94) e il progetto di recupero dell’ex Mercato di Ortigia a Siracusa come ‘Polo di servizi turistici’ (1996). Svolge anche attività di studio e ricerca sulla storia dell’architettura, curando diverse pubblicazioni. Partecipa, con riconoscimenti, a concorsi di progettazione nazionali e internazionali.

     Attualmente conduce, insieme all’Arch. Bruno Messina - Ing. Capo Arch. Fulvia Caffo - il restauro del complesso architettonico di S. Maria del Gesù in Modica.

     Vive e lavora a Siracusa.

 

     [1] L’insediamento dei Francescani Osservanti a Modica nel 1478 è testimoniato dal Wadding, Annales Minorum, tomo III, 1478, f. 75.

 

     [2] F.L. Belgiorno, Modica e le sue chiese, Modica 1953, pp. 117-126.

 

     [3] Placido Carrafa, Prospetto corografico istorico di Modica, trad. Modica 1869, p. 80. Il divieto .di costruzione potrebbe avere anche motivazioni di difesa militare della città; il convento si trovava infatti nella direzione del collegamento che portava da Modica a Ragusa e a Noto (cfr. M. Nobile, Relazione storica “restauro della chiesa e del convento di S. Maria del Gesù a Modica”, Soprintendenza di Ragusa).

 

     [4] F.L. Belgiorno, Modica ..., op. cit., p. 123. Dalla ricostruzione dell’antica organizzazione del sito affiorano simbologie che presuppongono un programma progettuale legato alla celebrazione dell’Ordine francescano.

 

     [5] Una delle statue del viale viene conservata presso il Museo Civico di Modica (fig. 4).

 

     [6] M. Nobile, Relazione storica ..., op. cit..

 

     [7] Ibidem, M. Nobile cita il documento: Archivio di Stato di Modica, fondo notai defunti, vol. 171/2, f. 153r., ipotizzando che questo scultore possa appartenere alla stessa dinastia locale di quel Raimondi che lascia la sua firma sulla facciata della chiesa.

 

     [8] Ibidem, documento ivi citato: Archivio di Stato di Modica, fondo notai defunti, vol. 175/32, ff. 359r. e v., 1 settembre 1583.

 

     [9] M. Nobile, Relazione storica ..., op. cit.

 

     [10] Il 17 gennaio 1693 il Procuratore generale del Conte di Modica, Federico Federici, dettava proprio da questo convento le prime istruzioni per i soccorsi post-terremoto, si suppone quindi che l’edificio non abbia subito gravi danni; notizia pubblicata da G. Morana in Dal piano di Santa Teresa della distrutta città di Modica, Ragusa 1992, pag. 9.

 

     [11] Relazione dell’Ing. S. Mangano del Corpo Reale del Genio Civile, 14 agosto 1917, Archivio Soprintendenza di Siracusa.

 

     [12] Come si evince dall’esame della pianta catastale (1870c.), mettendo in discussione la attendibilità — per quest’area — della planimetria della città redatta dall’Arch. Toscano nel 1839.

 

     [13] Relazione dell’Ing. S. Mangano ..., op. cit..

 

     [14] Perizia dei lavori di riparazione delle parti pericolanti della chiesa diruta di S. Maria del Gesù di Modica, Corpo Reale del Genio Civile di Siracusa, 22 febbrafo 1920, Archivio Soprintendenza di Siracusa.

 

     [15] E. Mauceri, La chiesa e il convento di Santa Maria di Gesù in Modica, in L’Arte, XII° (1909), VI°, pp. 467-468 e La contea di Modica ne l’arte, in L’Arte, XVIII° (1914), II°, pp. 120-134.

 

     [16] Nel 1949 restauro della chiesa e del campanile; nel 1950 lavori di consolidamento del portico (Genio Civile); nel 1952 restauro della facciata della chiesa; dal 1964 al 1966 restauro del campanile e cappelle; nel 1976 costruzione recinto esterno prospiciente la piazza; nel 1979 lavori di “manutenzione” del chiostro condotti dal Genio Civile di Ragusa; nel 1982 rifacimento della pavimentazione del secondo ordine del portico del chiostro (Genio Civile RG).

 

     [17] Un simbolo ambiguo descritto da J. Baltrusatis, in Le Moyen Age fantastisque, Paris 1972 (tr. Ita.1977) pag. 58-60, di origine greco-romana, comunemente il genio trifronte, rappresenta nel medioevo la Trinità cristiana — “Trinitatis Imago” —; Dio padre stesso che crea il Mondo è talvolta rappresentato con un triplice volto (cfr. R. Pettazoni, The pagan origin of the threeheaded representation of the cristian Trinity, in Jornual of the Warburg and Courtauld institutes, IX, 1946. pp. 135-151). Ma può anche rappresentare Satana dalla tripla maschera che si identifica con l’Anticristo.

     La presenza contemporanea, poi, di due triplici volti femminili e maschili nella stessa cappella rende più complessa la lettura del significato iconografico e l’individuazione dell’ambito culturale dei suoi artefici e della committenza.

 

     [18] Lettera del Ministro Segni al Ministero di Grazia e Giustizia, Roma 12 maggio 1952. Già nel 1950 con un voto espresso al VII Congresso Nazionale di Storia della Architettura si chiedeva un intervento immediato di restauro.

 

     [19] Giorgio Buscema “Il mirabile chiostro di Modica negato alla vista dei turisti” in La Sicilia 12 luglio 1973; interrogazione parlamentare del Sen. Concetto Scivoletto del 22 dicembre 1993 indirizzata al Ministro di Grazia e Giustizia e al Ministro per i Beni Culturali e Ambientali.