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Una prima notizia sulla chiesa rupestre

di Santa Venera a Modica

di Annamaria Sammito*

 

 

     1. La chiesa rupestre di Santa Venera è ubicata all’interno del quartiere della Catena o Porta di Anselmo, uno dei più vasti quartieri rupestri del centro abitato di Modica, disposto lungo il versante occidentale della cava Pozzo Pruni.

     La zona presenta una nutrita stratificazione archeologica, che comprende testimonianze relative al periodo preistorico, protostorico e tardoromano[1].

     Le evidenze archeologiche si riferiscono alla presenza di aree necropolari, con escavazioni nella roccia ripetutamente manomesse per riadattamenti . L’area in cui sorge la chiesa di Santa Venera costituisce l’esempio più tangibile di queste continue occupazioni. Infatti è possibile distinguere nella parete di fondo del vano contrassegnato dal n.c. 7 di via G. Cannizzaro, adiacente a quello che ospita la chiesa, una grotticella a forno di età preistorica riutilizzata come arcosolio bisomo in età tardoromana con l’escavazione di due loculi sul piano di deposizione (tav. I). Le tracce più cospicue della necropoli preistorica e protostorica si seguono nella parte settentrionale del versante fino alla zona del Quartiriccio, mentre le testimonianze della necropoli tardoromana sono concentrate nella parte meridionale, nel quartiere dello Sbalzo. La chiesa rupestre di Santa Venera si è impiantata in questa area necropolare ed ha potuto sfruttare escavazioni funerarie precedenti.

 

 

     2. La fonte più antica riferibile alla presenza della chiesa è costituita dalle Rationes Decimarum, in cui i collettori papali registrano i proventi delle chiese di Modica per gli anni 1308-1310. Dalle somme fornite la chiesa di Santa Venera risulta fra le più povere, non disponendo di grosse entrate[2].

     Molte testimonianze la localizzano nei pressi della sacra cappella di San Giuseppe, a cominciare dalla erudita ricostruzione di P. Carrafa. Egli ricorda, in basso alla torre poligonale del Castello che fiancheggia la chiesa di San Giuseppe, “due tempietti divisi che si veneravano ai tempi del gentilesimo, uno a Vulcano, eretto sotto la pendente rupe in un antro, divenuto abitacolo della gente meschina e l’altro a Venere che poscia nel cristianesimo fu dedicato a Sant’Anna, e Santa Venera o Santa Veneranda”[3]. La chiesa è inserita nell’elenco delle chiese minori di Modica, ancora attive al tempo del Carrafa. Nel 1869 F. Renda la dice già distrutta[4], e P. Revelli la segnala fra le “caverne della città al presente non abitate”[5]. S. Minardo, riportando il passo del Carrafa, afferma che “del tempio esistono solo pochi frammenti”[6], ma non ne fornisce l’esatta ubicazione. Un tentativo di localizzare la chiesa fu fatto da F.L. Belgiorno, il quale la collocava alla fine del II vico Santa Venera, e segnalava un “santuario cristiano di IV-V sec” al numero civico 9 di via G. Cannizzaro[7].

     Recenti indagini hanno portato alla identificazione della chiesa nell’ambiente contrassegnato dal numero civico 8 di via G. Cannizzaro (tav. I).

     La chiesa, che versa attualmente in un pietoso stato di degrado, mostra di avere avuto, fra i continui rimaneggiamenti, almeno due fasi principali: una prima fase, caratterizzata da ambienti ricavati nella roccia, documentata dalla registrazione dei collettori papali, ed una seconda fase, integrata da strutture murarie, attribuibile al XVII -XVIII sec., con fasi intermedie, l’ultima delle quali è quella conservata. Agli inizi del nostro secolo gli ambienti furono riutilizzati per abitazioni civili, attualmente abbandonati.

 

 

     3. Della prima fase non è possibile determinare con esattezza le caratteristiche originarie, a causa di un vistoso crollo che ha interessato la parte anteriore dell’ingrottamento che ospitava la chiesa e delle successive integrazioni in muratura. Il carattere rupestre di essa rimane soltanto in un ingrottamento aperto ad occidente ed attualmente ripartito da una struttura muraria in due ambienti contrassegnati dai numeri civici 8 e 9.

     Nel primo ambiente, che accoglierà la chiesa di XVII sec., si conservano le pareti orientale e settentrionale, opportunamente appianate, relativamente a quelle parti in cui vennero stesi gli affreschi. Questi sono concentrati nella zona angolare compresa fra la parete orientale e quella settentrionale, che presenta fessurazioni carsiche: per il resto le rimanenti superfici delle pareti non mostrano tracce di pittura e non sono state nemmeno appianate[8]. Questo ambiente poteva accogliere la zona presbiteriale del santuario rupestre e parte dell’aula. E’ ipotizzabile una pianta rettangolare con piccolo ingresso preceduto da un vestibolo aperto ad occidente, come fa pensare lo svasamento della parete settentrionale attualmente occupato da un forno. Nell’attiguo ambiente semirupestre, recante il numero civico 9, sono presenti sulla parete orientale di fondo due nicchiette a profilo arcuato (la prima, a sinistra, è larga 0.70 m., profonda 0.30 m. e alta 0.73 m.; la seconda è larga 0.80 m. e profonda 0.40 m.; una terza nicchietta quadrangolare è posta più in alto ed è profonda 0.21 m. ed alta 0.28 m.). Questo ambiente difficilmente poteva far parte originaria dell’aula, in quanto la parete di fondo è più arretrata rispetto a quella della zona presbiteriale e poteva, pertanto, svolgere una funzione connessa con quella della chiesa (parekklésion) con ingresso laterale alla zona presbiteriale della chiesetta (forse anche con ingresso autonomo?)[9].

 

     4. Per quanto riguarda l’apparato decorativo, gli affreschi si conservano solo nella zona presbiteriale.

     Sulla parete orientale, all’angolo settentrionale, vi era collocato un pannello devozionale (misure max 0.98 x 1.50 m.) deturpato nella parte più settentrionale da una fenditura naturale apertasi successivamente e dalle forti incrostazioni calcaree. Il pannello, inquadrato da una cornice rossa marginata da una filettatura bianca, reca una figura femminile stante su fondo ripartito in blu superiormente e giallo inferiormente. Essa appare gravemente danneggiata nella parte destra, non si conservano il braccio né gli attributi del volto. La Santa, con aureola gialla marginata di rosso, reca sul capo una corona a due registri finemente decorata da rosette in rosso perlate, sotto la quale scivolano ciocche di capelli raccolti sulla nuca[10]. Indossa una tunica verde decorata da un motivo finemente ondulato in rosso e un mantello di colore rosso cupo decorato da rosette in giallo. Regge con la mano sinistra una grande palma[11]. Fra le pieghe del mantello, in basso, si nota il volto proteso in alto della figurina di una devota con coroncina sul capo per trattenere la lunga chioma e braccia incrociate sul petto[12]. L’identificazione più probabile è con la Santa titolare delia chiesa[13].

     La cura rivolta per gli ornamenti della veste e della corona della Santa, nonché il tipo di acconciatura trova riscontri nel gusto della grande pittura del periodo angioino e della prima metà del XIV sec.[14].

     Altre tracce di affreschi rimangono sulla parte più orientale della parete settentrionale, che è stata demolita per creare l’attuale nicchia, funzionale all’uso abitativo dell’ambiente, con la conseguente asportazione di gran parte della pittura murale. Si è conservata soltanto la parte superiore di essi fortemente annerita dall’ingrommatura dei fumi causati da una rudimentale cucina che è stata impiantata nella nicchia. Questa parete doveva accogliere due pannelli devozionali, realizzati ad un’altezza minore del precedente, stesi su uno spesso (0.10 m.) strato di intonaco che fu utilizzato per appianare la parete rocciosa. La larghezza della superficie occupata è di circa 2 m. Di essi rimane soltanto traccia della cornice superiore in rosso e parte di quella laterale in rosso marginata da fasce gialle. Della figura del pannello più orientale rimane parte della testa coperta da un velo grigio-azzurro incorniciato da un nimbo giallo; del volto è leggibile soltanto il particolare dell’occhio sinistro leggermente inclinato, su fondo giallo pallido. Allo stato attuale l’identificazione più probabile è con una Madonna con Bambino del tipo Eleoúsa[15].

     Stilisticamente gli affreschi si possono inquadrare in quella corrente a carattere bizantineggiante che, dopo il periodo svevo, si afferma in Sicilia “con un linguaggio ripetitivo e povero per lo più determinato da esigenze i culturali devozionali”[16]. Si tratta di espressioni artistiche sclerotizzate in cui incominciano ad evidenziarsi elementi occidentalizzanti che tendono verso una raffigurazione più realistica dell’immagine.

     Anche per la pittura rupestre troviamo gli stessi caratteri con esiti talora meno colti, più legati ad una committenza di estrazione popolare e ad una realizzazione artistica affidata a freschisti locali o, in qualche caso, anche agli stessi monaci[17].

     Nel panorama della pittura rupestre finora censita nell’ambito della Sicilia orientale, gli affreschi della chiesa di Santa Venera, si inseriscono fra le espressioni ancora più tenacemente legati a schemi bizantineggianti, in cui cominciano a comparire le didascalie latine, come i pannelli di XIII sec. di San Nicola a Modica o del polittico di San Leonardo nella Grotta del Crocefisso a Lentini, e la maniera più stanca e semplificata di questa corrente in cui sono stati annoverati gli affreschi della Grotta dei Tre Santi di Lentini e quelli della Grotta dei Santi di contrada Pianette a Palazzolo Acreide (XIV sec.), eseguiti con figure sommarie o larghe pennellate.

 

     5. Non conosciamo la data di fondazione della chiesetta, ma a giudicare dai resti pittorici non palinsesti e dai dati raccolti sembra plausibile collocarla verso la fine del XIII sec., non lontana dalla data di registrazione nelle Rationes Decimarum.

     La chiesa di Santa Venera partecipa poi pienamente del revival secentesco per il culto in grotta, che a Modica appare particolarmente rappresentato con la fondazione non soltanto di chiesette ed edicole, ma anche di monasteri[18].

     In questa fase la chiesa presenta una pianta rettangolare (5.5 m. x 4.10 m.) con altare probabilmente addossato alla parete di fondo, del quale però non rimane alcuna traccia. Una parete in muratura in cui si apre un arco a tutto sesto in pietra divide l’aula dalla zona presbiteriale. Si mantengono le pareti orientale e settentrionale con gli originari affreschi; la parete meridionale è in muratura e mostra diverse fasi di edificazioni, testimoniate dalla sovrapposizione di muri[19]. Non si è conservata la parete occidentale della chiesa in cui si apriva l’ingresso. Attualmente vi è una doppia paretina, eseguita con lastre di calcare del tipo poroso-giallastro, spesse 8 cm., costruita, molto probabilmente, in funzione della separazione degli ambienti civili, sullo stesso allineamento di quella originaria[20]. L’ingresso della chiesetta doveva essere decentrato rispetto all’asse dell’aula, come suggerisce una finestra, successivamente tampognata, al di sopra dell’arco, sulla zona più meridionale della parete, creata per illuminare l’area presbiteriale. La precipite parete strapiombante sulla chiesa creava infatti una ampia zona di ombra e l’unica fonte di luce proveniva dall’ingresso. Si conserva sulle pareti dell’abside quadrangolare, inclusi anche i conci d’imposta dell’arco, un motivo decorativo a zig-zag in blu marginati superiormente da una fascia rossa ed inferiormente da tre fasce di colore giallo, rosso e blu, con un motivo pendulo in rosso all’interno. Questo motivo decorativo, non accuratamente eseguito, ricorda quello che decora internamente la nicchia della parete di fondo della chiesa di ‘San Giuseppe ‘u Timpuni’ sulla collina dell’Itria datata al XVII sec.[21].

     Attiguo alla chiesa il vano con n.c. 9, che attualmente si presenta nella sua ultima destinazione a carattere abitativo con soppalco in legno e piccole paretine divisorie con mensole, e che in questa ultima fase, aveva una chiara destinazione di sacrestia-alloggio per l’officiante con ingresso separato dal corpo della chiesa.

     Questa fase di XVII sec. è testimoniata da un documento d’archivio datato al 1649, dove viene citata la chiesa in occasione di lavori da effettuarsi nel quartiere della Porta d’Anselmo[22].

     La chiesa di Santa Venera dovette iniziare lentamente il suo declino determinato sia dalle rendite molto modeste ed anche dalle sue anguste dimensioni non certo paragonabile a quelle della vicina chiesa di Santa Maria della Catena dalla quale fu definitivamente soppiantata.

 



 

NOTE

 

     * (Modica, 1965). Ha conseguito la laurea in Lettere classiche - indirizzo archeologico presso l’Università di Catania.

     È specializzanda presso la Scuola di Archeologia classica della medesima Università; attualmente è catalogatrice-archeologa presso la Sovrintendenza BB.CC.AA. di RG.

     Risiede a Modica, via Lantieri, 45.

 

     [1] A. M. Sammito, Elementi topografici sugli ipogei funerari del centro urbano di Modica, in Archivum Historicum Mothycense, n.l, Modica 1995, pp. 26-35 per la necropoli tardoromana ed ivi segnalazione di quella preistorica e protostorica (p. 35 nota 11).

 

     [2] P. Sella, Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sicilia (Studi e Testi, 112), Città del Vaticano 1944, p. 90, al n. 1169 vengono menzionate le chiese dei santi Nicolai (San Nicolò Inferiore), Raynerii (?) et Veneris. Per la chiesa di San Nicolò Inferiore v. G. Di Stefano, La chiesa di San Nicolò Inferiore a Modica, in Sicilia Archeologica 82, 1993, pp. 43-53 e da ultimo A. Messina, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo 1994, pp. 41-46.

 

     [3] P. Carrafa, Motucae illustratae Descriptio seu Delineatio, Panormi 1653, volgarizzato da F. Renda, Prospetto corografico istorico di Modica, Modica 1869, rist. anast. Bologna 1977, p. 30 e p. 84.

 

     [4] Idem, p. 176 nota 41.

 

     [5] P. Revelli, Il comune di Modica, Palermo 1904, p. 184 nota 1.

 

     [6] S. Minardo, Modica antica. Ricerche topografiche archeologiche e storiche, Palermo 1952, rist. anast. Sant’Agata li Battiati 1983, p.135 in nota.

 

     [7] F.L. Belgiorno, Modica e le sue chiese, Modica 1953, pp. 198-199, da cui dipende anche G. Di Stefano, Recenti indagini sugli insediamenti dell’area ragusana, in La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà mediterranee, a cura di C. D. Fonseca, Atti del VI Convegno Internazionale di Studio sulla civiltà rupestre medievale nel mezzogiorno d’Italia (Catania - Pantalica - Ispica, 7-12 settembre 1981), Galatina 1986, pp. 264-265. A. Messina, op. cit. 1994, p. 47, ha invece proposto di identificare la chiesa con il vano contrassegnato dal numero civico 9 di via G. Cannizzaro.

 

     [8] Appare evidente una forte intenzionalità per la posizione angolare dei pannelli, in prossimità della fessurazione carsica, che potrebbe trovare una giustificazione negli elementi che caratterizzano il culto di Santa Venera in Sicilia, rappresentati da grotte con acque rese salubri dal corpo della vergine martire. (O. Gaetani, Vitae Sanctorum Siculorum, Palermo 1657, vol. II, p. 30-31 e p. 86).

 

     [9] Questi ambienti di servizio sono relativamente comuni nelle chiese rupestri, cfr. La chiesa di Santa Lucia di Mendola a Noto con vasto ambiente di servizio aperto sul lato destro dell’abside (A. Messina, Le chiese rupestri del Siracusano, Palermo 1979, p. 122) o la chiesa di Licata in cui l’ambiente è collocato sul lato sinistro vicino all’ingresso (E. De Miro, Civiltà rupestre dell’Agrigentino. Esempi dalla Preistoria al Medioevo, in La Sicilia rupestre.... op. cit., p. 244, tav. XLIV).

 

     [10] Lo sfondo del pannello trova numerosi confronti nella pittura rupestre; il riscontro topograficamente più vicino è rappresentato dai pannelli di XIII sec. dell’abside della chiesa di San Nicolò Inferiore a Modica, mentre la decorazione della corona si confronta, soprattutto per il registro inferiore, con quella di Santa Caterina di Alessandria raffigurata nella Grotta dei Santi di Cava Ispica (A. Messina, op. cit. 1994, p. 73, fig. 21, n. 26).

 

     [11] La grande palma del martirio non è molto raffigurata nella pittura rupestre, in genere prevale nelle raffigurazioni dei martiri il ramo di palma tenuto in mano. Per la grande palma cfr. la tavola del Maestro dei Santi Placido e Benefacto, conservata al museo di Messina e datata agli inizi del XIV sec. (F. Zeri e F. Campagna Cicala, Messina. Museo Regionale, Palermo 1992, p. 50, n. 10).

 

     [12] Le figurine di devoti raffigurate ai piedi dei santi sono abbastanza frequenti nella pittura murale, ma difficilmente inquadrabili cronologicamente, v. C. D. Fonseca, Civiltà rupestre in terra ionica, Milano - Roma 1970, pp. 39-40; figurine di devoti genuflessi si trovano nella grotta di Santa Lucia a Lentini, datata tra XIII e XIV sec., e due figurine maschile e feminile stanti nella grotta dei Santi di c.da Pianette (XIV sec.), v. A. Messina, op. cit. 1994, p. 30 nota 36.

 

     [13] Pur godendo di una grande popolarità in Sicilia (v. la carta degli agiotoponimi siciliani redatta da D. Novembre, Sul popolamento epigeo ed ipogeo della Sicilia nei secoli XIII e XIV, in La Sicilia rupestre.... op. cit., pp. 324-325, fig. 1) la Santa è poco rappresentata nella pittura rupestre: ricordiamo la raffigurazione tarda in formelle laterali con scene di vita, sovrapposta ad una Mater Domini, nella Grotta dei Santi di Castelluccio a Noto (A. Messina, op. cit. 1994, p. 152); un pannello con Santa Venera è anche documentato per la Grotta di Santa Maria della Scala sempre a Noto (Id., p. 152, 33). Nell’Italia meridionale ricordiamo una Santa Parasceve di XII sec. nella chiesa di San Nicola a Mottola, raffigurata con velo e con la croce in mano (v. N. Lavermicocca, Il programma decorativo della cripta di San Nicola a Mottola, in Il passaggio dal dominio bizantino allo stato normanno nell’Italia meridionale, Atti del II Convegno Internazionale di Studi sulla civiltà rupestre (Taranto - Mottola 31 Ottobre - 4 Novembre 1973, Taranto 1977, p. 330, fig. 24).

 

     [14] F. Bologna, I pittori della corte angioina di Napoli (1266 - 1414), Roma 1969, p. 56 ss. e per il tipo di acconciatura cfr. con Santa Caterina d’Alessandria della SS. Trinità di Venosa datata intorno al 1354.

 

     [15] Il confronto più immediato è con la Madonna con Bambino della chiesa di San Nicola di cava Ispica, v. A. Messina, op. cit. 1994, p. 65 e p. 67, fig. 17c.

 

     [16] F. Campagna Cicala, La cultura figurativa a Messina dal periodo normanno alla fine del Quattrocento, in Messina. Il ritorno alla memoria, Palermo 1994, p. 219.

 

     [17] Nell’iscrizione in greco della chiesa di San Nicolicchio a Pantalica compare il nome del monaco Timoteo, oltre a quello della dedicante Eraclia con figli, che è stato indicato come l’esecutore degli affreschi (v. A. Messina, op. cit. 1994, p. 151).

 

     [18] Per questo fenomeno tardo v. in particolare A. Messina, op. cit. 1994, pp. 25-26. A Modica ricordiamo come chiese rupestri tarde la chiesa di San Giuseppe ‘u Timpuni, la chiesa di Santa Maria della Provvidenza e la chiesa di Sant’Orsola (?) sulla collina dell’Itria, la chiesa di San Nicolò Inferiore, la chiesa di Sant’Alessandra sulla collina della Giacanda e le edicolette rupestri sulla dorsale del Monserrato; anche il Monastero delle Suore Teresiane della Raccomandata, con l’annessa chiesa, fondato nei primi decenni del XVII sec. mostra caratteri semirupestri.

 

     [19] Questi evidenti rifacimenti dell’apparato murario sono riferibili, con ogni probabilità, al periodo pre e post terremoto della fine del XVII sec.

 

     [20] Queste pareti eseguite con lastre di calcare giallastro poroso, di spessore variabile dai 6-8-10 ai 12 cm., sono molto frequenti negli ambienti rupestri, utilizzate o perimetralmente alle pareti di roccia contro la forte umidità o come pareti divisorie. Furono in uso nel periodo post terremoto v. Tecnica edilizia ed attrezzature usate dai maestri muratori ragusani dal terremoto del 1693 al 1954, a cura dell’Assessorato cultura città di Ragusa, Rosolini 1991, p. 33.

 

     [21] A. Messina, op. cit. 1994, pp. 48-49.

 

     [22] Il documento è compreso fra le Lettere Patenti vol. VII f. 123 dell’archivio della Contea, Modica, Archivio di Stato. Devo questa informazione alla cortesia del Prof. Raniolo, che sentitamente ringrazio.