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Il Castello di Modica prima del 1693, secondo Placido Carrafa*

 

Unica descrizione del Castello di Modica, prima della rovina causata dal terremoto del 1693 (e successiva asportazione di materiali, ostruzione di grandi grotte, costruzione di edifici nell’area del Castello e sulle fondamenta delle torri e nei luoghi prima occupati dai bastioni), è quella di Placido Carrafa.

In mancanza attualmente di altra ricerca da parte di Studiosi, riferiamo quanto Carrafa ci ha tramandato.

 

 

Il castello.

Noi dicemmo di questo Castello, che magnifico e ben difeso torreggia nella parte media della Città, sul ciglione d’una rupe. Riguardevole edificio è desso sì per la sua ampiezza, che per la vetustà delle mura ancora esistenti, a grandi spese e con troppo arte costruite.

Il superbissimo palazzo del Governatore e molte altre case di paesani vi sono, per lo servizio de’ quali vi stanni tre Chiese dedicate a dei Santi.

Nella prima di queste sotto il nome della Vergine Maria, soggetta e Coadiutrice alla Chiesa Maggiore, dodici preti addettivi dal Conte con annuo pinguissimo assegno hanno l’uffizio di amministrare i Sagramenti e celebrare i divini Riti.

Delle altre due l’una è sotto titolo di S. Cataldo, chiesetta o Cappella del palazzo del Conte, fabbricata da’ Caprera come addimostrano gli stemmi dipinti al fronte della porta.

L’altra è sotto il titolo di S. Leonardo per comodo dei prigionieri, che in quelle carceri si custodiscono da una scelta truppa di militi.

E’ pure colà un luogo detto della tortura per i prevenuti di gravi reati, sopra cui sta una convenevole e ben guardata Cittadella.

La porta di questo presidio era un tempo alla parte di tramontana, guardando la piazza più antica della Città, che or chiamasi di S. Giuseppe, dove fu poscia fabbricata una torre poligona di forma mirabile per altezza e magnificenza. Di recente è stata costruita a ponente per essere più circonvallata e più munita. V’era un ponte che dava nell’entrata, e trovasi al presente atterrato (1).

Nel suo ampio e spazioso Cortile a’ tempi degli avi nostri si rinchiudevano diverse razze d’animali. Vi si vedevano un verziere, un giardino, ed un ampio vivaio custoditi da stipendiati guardiani.

 

Il tempio del Sole.

In questo Castello è posto il tempio del Sole o di Apolline, ed ancora oggi si vede bellamente costruito, come può dirlo chi il vide attentamente.

Esso è di forma quadrata di eguale lunghezza e larghezza da qualunque parte si guardi, d’un tiro di de lance militari, avente tutti e quattro i lati di pari angolatura.

Patent intus, quasi in ampla aula, undique septemtrionem versus a dextris, et sinistris duo parva deambulatoria, et unum in medio altum, et orbiculare per diametrum ad ianuam australem, quae per directum progreditur ad Arcticum (2).

Una mirabile Cappella quadrata s’alza nel giusto mezzo del delubro, non sinuosa, dove dicesi posto a quei tempi il sacello del Dio, che profferiva le sorti ed i futuri destini di [co]loro che ne chiedano i vaticinj, non meno autorevoli presso i nostri credenti, di quelli del Delfico Apolline.

S’è ritrovato presso all’ara un piccolo fonte di pietra rotto bensì, che noi opiniamo destinato per lo lavacro del Sacerdote del tempio, leggendo in antichi libri esser costume religioso la lustrazione delle mani del sacro ministro.

Guardano la Libia verso l’occidente (3) le finestre del bello ed ammirabile fatidico soggiorno, fabbricato tutto di vive pietre dal pavimento, da’ lati fin sopra.

Al di dentro qui e là oro purissimo risplende, lavorato con arte, che finora in parte rimane, non ritenendo i Modicani divoti al Nume dicevole a lui la rozzezza; malamente però lo smalto dell’oro si vede nelle pietre intagliate.

L’ampie finestre ancor mantengono il nome dal Dio e diconsi le finestre del Sole.

Sovra queste nel dentro del tempio eran collocate certe statuette dalle braccia aperte in istrette nicchie, le quali per zelo dell’illustre e religioso cavaliere Gerosolimitano Francesco Echelbez (4), acciocché dai credenti il vero Dio colà per caso passando non si adorasse(ro), a dispetto de’ prischi tempi furono rovesciate, e all’aperto giaccion neglette a documento solo d’antichità ...

 

Le porte.

Oltre il Castello sacro al Sole, forti mura (5) difendono Modica, parte di cui rimangono di molte porte fornite.

Una di queste situata all’oriente, che si conserva, dicesi di Anselmo forse per il nobile vicino casato di tal nome oggi estinto...

Altra vecchia porta da qui a pochi anni fu a bella posta diruta, che tortuosa stava verso Mezzogiorno sopra la nuova Chiesa di S. Pietro.

Nella parte occidentale eravene una, che interamente si tolse mutandosi in pubblica via, presso le case della chiara famiglia Danieli (6).

 

 

Le torri.

Tutta la Città fu a’ lati precinta e munita di spesse torri.

Posterna in lingua nostra una si chiama, che anticamente sopra l’altezza d’una rupe s’alzava sublime...

Un’altra torre di cinque faccie angolate era posta sopra quella vasta montagna, ove le Francescane del terzo ordine hanno uno educandario di pietose fanciulle accanto alla Cappella di San Giuseppe, sotto cui si veggono le terrestri Isole del Drago (7); ma essendosene costruita un’altra (8), fu questa torre da molto tempo distrutta...

Dagli antichi si fa ricordanza che altra torre nel monte della Pietà esisteva, e dicesi da molto tempo distrutta, sorgendovi oggi il Monistero sotto la regola di S. Teresa denominato la Raccomandata...

Né tralasciar voglio di dire della vasta torre da’ ruderi scoverta, la di cui inespugnabile fermezza addimostrano le vestigia dei suoi fondamenti, su ci stanno le antiche case dell’egregio nostro vecchio Diego Cannizzaro (9).

 

 

Col termine ‘rocca’ non va intesa soltanto un’emergenza fisica bensì anche a fortificazione avente una complessa tipologia con permanenza e di forze armate e - specie in Italia dal sec. XIV, ma già precedentemente con Federico II - della residenza del Signore, oltre a cappelle, magazzini, caserme e prigioni. Non manca talvolta, come a Modica, un giardino e frutteto di federiciano riferimento.

La difesa del territorio non era certo affidata esclusivamente al castello.

Muniti presidi e attrezzati punto di riferimento per i commerci marittimi erano le grandi torri sui ‘caricatoi’ o ‘scari’ a mare. Di esse, più rilevante, nella Contea di Modica, l’«ingens et magnifica» (Fazello) torre di Pozzallo.

Componente del sistema, anche difensivo, erano i ‘fani’, ossia quelle alte costruzioni cilindriche che, situate in luoghi elevati e secondo una direzione coordinata, avevano funzione di trasmissione di segnali visivi. Uno di questi fani è tuttora ben evidente a Modica sulla collina dell’attuale quartiere Dente (‘O Renti = Oriente).

Possono considerarsi parte dell’insieme difensivo anche quelle ‘torri’, impropriamente dette, sparse per la campagna, ossia case padronali turrite con ‘baglio’ e ampi magazzini per il raccolto agricolo. (G.C.)

 

 

 

 

 

 

 

* (Modica 1617 - 1674). Dopo essere stato avviato agli studi letterari, filosofici, teologici e giuridici, con fondata supposizione, nello ‘Studium’ dei PP. Francescani Osservanti a S. Maria del Gesù, prosegue i suoi studi giuridici presso l’Università di Catania.

Giureconsulto egregio e Giudice sia presso le Corti giudiziarie della Contea che presso il Tribunale dell’Inquisizione di Modica, si interessa anche di storia della Sicilia, di Messina, di Modica, di cui pubblica, nel 1653, Mothucae illustratae descriptio seu delineatio, che costituisce un riferimento documentale, certamente credibile per i dati di cui l’Autore è direttamente testimone.

Tale opera fu tradotta e pubblicata nel 1869 (Tip. M. La Porta, Modica) da F. Renda col titolo: Prospetto corografico istorico di Modica (ristampa anastatica dell’Ed. Forni, Sala Bolognese 1977), da cui abbiamo tratto le pagine che seguono benché abbiamo rinvenuto, presso un’antica biblioteca siciliana, copia e del testo originario (stamperia Bua di Palermo, 1653) e dell’edizione critica dell’opera, pubblicata a Lione dall’Ed. P. Wander nel 1725 nel vol. XII del ‘Thesaurus Antiquitatum et Historiarum nobilissimarum insularum Siciliae Sardiniae...’.

Infatti, avendo potuto consultare solo rapidamente, al momento di andare in stampa, i testi in latino, manteniamo provvisoriamente (in attesa di futura nuova traduzione dell’opera intera del Carrafa) la traduzione di F. Renda, pur modificando parzialmente la punteggiatura ottocentesca e qualche più rilevante impropria ed equivoca versione. (G. C. Le Note che seguono sono del curatore della rivista)

(1) meglio: “ricolmato di terra”. E’ pertanto da ritenere che l’attuale inizio di via Catena e forse parte del sito oggi occupato dalla chiesa di S. Giuseppe costituissero un vallo, successivamente colmato di terra.

(2) “All’interno, come in un’ampia corte, si aprono verso nord, a destra e a sinistra,due piccoli ambulacri, ed uno, nel mezzo, alto e con arco a tutto sesto [si apre] verso la porta australe, che si volge direttamente a nord”

Secondo tale interpretazione (provvisoria) dell’archeologo Vittorio Rizzone, i tre ambulacri, allineati, si volgono tutti verso nord. La porta su cui si apre il terzo (più alto), finisce quindi per essere a sud (australe) del suo orientamento verso settentrione (l’Artico).

Altra interpretazione vede invece il terzo ambulacro (passaggio?) insistere su una porta, situata nella parte meridionale dell’ambiente; tale porta è orientata in linea retta verso nord (ossia esattamente sull’asse sud-nord).

 

(3) cioè, sono rivolte a sud-ovest (“cernunt Libiam versus occasum”)

(4) Francesco Echebelz vive ancora certamente intorno al 1630; pertanto è coevo almeno agli anni giovanili del Carrafa. Ne segue che, sia pur accogliendo con riserva la descrizione di tutti i particolari dei resti di tale antico edificio di culto (l’attribuzione di dedica al Sole-Apollo è fortemente discutibile; la descrizione particolareggiata sembra riferita dal Carrafa come a lui comunicata, forse non del tutto ma in parte, da altri), la testimonianza dello Storico può considerarsi sostanzialmente accettabile.

(5) La cinta muraria, in cui si innestano le torri, secondo le indicazioni del Carrafa non va immaginata come aderente o prossima alla rocca (eccetto che per il lato a Nord), ma si sviluppava a Sud (in connessione con la torre ‘Posterna’ o ‘Posterla’) e, da qui, lungo il versante occidentale della collina così da snodarsi-articolarsi anche in prossimità dell’attuale chiesa di S. Pietro, per risalire poi fino all’attuale chiesa di S. Giuseppe, nei cui paraggi si apriva, verso oriente sul versante della Catena, la Porta d’Anselmo o Anselma.

(6) La famiglia Danieli è certamente residente, nei secc. XVI e XVII (almeno fino al 1630), nell’ambito della parrocchia di S. Giorgio. Al momento attuale non è possibile indicare con esattezza documentata il sito delle ‘case’.

(7) da situarsi nella vallata sottostante l’alta rupe (borgo Salinitro-Catena).

(8) Tale seconda torre poligonale è quella di cui attualmente permangono le poderose ben visibili fondamenta all’inizio superiore di via Catena.

(9) Il sito di questa torre forse può individuarsi nel luogo ove ora trova il grande Palazzo Cannizzaro, in via Cannizzaro (cioè in prossimità del lato sinistro della chiesa di S. Pietro). Deduciamo ciò, non certo esclusivamente dal nome della Famiglia, bensì da fonti orali di Persone viventi, che hanno abitato quel palazzo fino a pochi anni fa e che mantengono tale ‘tradita’ memoria.

Non ci sembra, peraltro, doversi aprioristicamente escludere che il palazzo Cannizzaro sia stato edificato con gli stessi materiali della pregressa torre, dal momento che un’altra casa, “la grande casa Cannata” (sull’attuale via Guerrazzi?), fu, di fatto, costruita utilizzando pietre di un’altra torre. (A.S.M.)