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STUDI*
Le
‘liberalità’
di
Antonino Cataudella**
Per connotare le
‘liberalità’ rispetto agli atti a titolo gratuito si suole far capo e all’arricchimento e allo spirito di liberalità.
Ora, dato che la
‘donazione’ va certamente annoverata tra gli atti di liberalità, ed anzi è
l’espressione maggiormente significativa di questi (v. art. 769 “La donazione è il contratto col quale, per
spirito di liberalità...”; art. 770 co. 1° “E’ donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza...”; art.
770 co. 2° “Non costituisce donazione la
liberalità che si suole fare...”; art. 809 “Le liberalità...”), il vaglio di queste due connotazioni va
centrato sull’art. 769, che, appunto, sembra
caratterizzare la donazione con l’‘arricchimento’ di una delle parti e lo
‘spirito di liberalità’ di chi dona.
Certo, l’incremento patrimoniale è conseguenza
normale della donazione. Non costituisce
però connotazione essenziale della stessa. Ne è prova l’art. 793 co. 2° (“il donatario è tenuto all’adempimento
dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata”): se lo fosse,
l’onere dovrebbe essere ridotto, per configurare una donazione, al di sotto del
limite del valore della cosa donata.
La considerazione
svolta induce a concludere che la nota dell’arricchimento,
considerata dall’art. 769 caratterizzante la ‘donazione’, non può essere intesa in senso oggettivo ma deve essere intesa in senso soggettivo, come prospettazione
e volontà, comune alle parti, che l’assetto di interessi realizzato col
contratto comporterà un incremento patrimoniale del donatario, o perché
(donazione pura e semplice) questi non è tenuto a prestazione alcuna o perché
(donazione modale) la prestazione del donante non trova la sua ragion d’essere
nella prestazione cui il donatario è tenuto.
La connotazione della
donazione, indicata dal legislatore col riferimento allo spirito di liberalità, a prendere l’espressione alla lettera, sembrerebbe riferita ad una sola parte, il
donante, e costituire un motivo del suo agire.
A prescindere,
peraltro, dalla singolarità della individuazione della nota caratterizzante il
tipo in un motivo, seppure comune, basta a respingere tale orientamento la
considerazione dell’art. 794 c.c., il quale ammette che l’onere (e perciò non lo spirito di liberalità) possa costituire “il solo motivo determinante” alla
donazione.
Ma vi è di più. Il ‘puro’ spirito di liberalità, come C.A.
Jemolo ha autorevolmente sottolineato, è cosa
rara, e non si va certo alla ricerca dello stesso per ammettere l’esistenza
d’una donazione. Del resto, lo stesso legislatore (art. 770 co. 1°) ha
inquadrato tra le donazioni quelle fatte “per
riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale
rimunerazione”, nelle quali il donante non è certo mosso da puro spirito di
liberalità.
Ampia è la gamma
degli orientamenti dottrinali che
tendono a svalutare lo ‘spirito di
liberalità”, talora negandone l’autonomia rispetto alla causa o rispetto alla
volontà, talora riducendolo al dato negativo della mancanza di costrizione.
Nello stesso senso, in maniera sempre più decisa, anche la giurisprudenza.
A mio modo di vedere,
invece di essere ridotto a ‘spontaneità’, lo spirito di liberalità, trattandosi
di un contratto, deve essere
considerato come intento, comune alle
parti, di realizzare un assetto di interessi volto a produrre un arricchimento
del donatario.
Così come la
valutazione della corrispettività delle prestazioni compete ai contraenti, la
valutazione di non corrispettività o di gratuità delle stesse deve essere
demandata alla loro valutazione
soggettiva.
E’ evidente, per
tutto quanto prima si è detto, che lo ‘spirito di liberalità’, se viene inteso
come ‘puro motivo benefico’ che
induce alla liberalità, si configura assai di rado negli atti di liberalità.
Inteso diversamente, in maniera anche assai riduttiva, come “coscienza di conferire ad altri un
vantaggio patrimoniale senza corrispettivo” (così Maroi), non profila, per
i c.d. atti di liberalità, un atteggiamento soggettivo diverso da quello
proprio delle parti di un ‘atto a titolo gratuito’, e perciò non può essere
utilizzato per segnare la distinzione tra gratuità e liberalità.
Parte della dottrina,
per connotare le liberalità rispetto agli atti a titolo gratuito, ha ritenuto
di poter far capo alla circostanza che all’atto consegua, o meno, l’arricchimento di una parte e l’impoverimento
dell’altra. Ma l’arricchimento,
inteso come vantaggio patrimoniale, consegue anche ai contratti gratuiti
diversi dalla donazione. Dall’uso della cosa senza corrispettivo il comodatario
trae indubbio vantaggio patrimoniale, in quanto evita l’esborso che avrebbe
dovuto sostenere per acquisirlo, e la stessa cosa va detta nell’ipotesi di
mutuo senza interessi; pure il mandato gratuito e la prestazione di lavoro gratuita
comportano, per chi se ne avvale, il vantaggio patrimoniale costituito
dall’aver evitato esborsi che, altrimenti, avrebbero dovuto essere effettuati.
L’impoverimento del donante, che per
la verità non è dal legislatore indicato come carattere essenziale della
donazione, non manca nei casi richiamati, inteso come rinunzia agli incrementi
patrimoniali e, comunque, alle utilità che avrebbero potuto essere tratte dal
bene dato in comodato, dalla somma mutuata, dallo svolgimento dietro compenso
di attività lavorativa.
Le difficoltà che si
incontrano, dopo l’analisi svolta sul senso da attribuire al richiamo che il
legislatore ha fatto allo spirito di liberalità ed all’arricchimento, nel
segnare chiare note distintive tra ‘gratuità’ e ‘liberalità’, inducono a dubitare dell’opportunità di costruire, in
astratto, una categoria degli atti di liberalità, nella quale ricomprendere
la donazione e da contrapporre agli atti a titolo gratuito, ed a chiedersi se
non sia più proficuo prendere le mosse
dall’interesse che ha indotto il legislatore a prendere in considerazione,
nell’ambito delle regole dettate per la donazione, fattispecie alla stessa, per certi versi, assimilabili.
La finalità perseguita con l’art. 809 c.c.
nel fare richiamo a liberalità risultanti “da
atti diversi da quelli previsti dall’art. 769” è stata di assoggettare
queste fattispecie a talune delle norme dettate per la donazione: precisamente
a quelle che regolano la revoca delle donazioni per ingratitudine e per
sopravvenienza di figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per
lesione di legittima.
Si tratta di una pluralità indeterminata di casi, nei
quali, con atti diversi dalla donazione ed aventi una loro autonoma funzione,
si realizza un vantaggio patrimoniale per
un soggetto. In questi casi, date le finalità che le norme applicabili
perseguono, non può bastare l’oggettivo
prodursi di un vantaggio patrimoniale ma occorre anche l’intento soggettivo di produrre il vantaggio:
‘intento’ che però, non rientrando il vantaggio nella funzione propria
dell’atto posto in essere, non può essere elevato, diversamente da ciò che
avviene nella donazione, a profilo soggettivo della causa, ma costituisce motivo, al quale peraltro l’art. 809
c.c. attribuisce rilievo al fine di rendere applicabili le norme richiamate. In
tal senso depone, oltre alla ratio della
normativa da applicare, anche la circostanza che l’art. 809 c.c. non fa
richiamo all’arricchimento prodotto dall’atto ma alla circostanza che sia stato posto in essere un atto qualificabile come liberalità.
Gratuità (se
si tratta di donazione semplice) e non
corrispettività (se si tratta di donazione modale) costituiscono le note essenziali della funzione donativa.
Però non solo di essa.
La funzione del
‘comodato’ è caratterizzata in modo analogo e analoga funzione può essere
svolta da ‘contratti’ il cui tipo non è connotato necessariamente dalla
onerosità: mandato, deposito, mutuo ecc..
La distinzione tra la
donazione e questi schemi contrattuali va operata facendo leva sulla diversa natura delle prestazioni con le
quali si realizza l’arricchimento, ed
escludendo dall’ambito della previsione dell’art. 769 le prestazioni rientranti
in schema contrattuali descritti dal legislatore.
Con riguardo, invece,
alle c.d. ‘liberalità non donative’ (che possono - tra l’altro - essere attuate
con rinunzie, contratti a favore di terzo, assicurazioni a favore del terzo,
adempimenti del terzo, delegazioni ecc.) la distinzione trova la sua ragion
d’essere nella circostanza che l’attribuzione
gratuita non è attuata, diversamente dalla donazione, per realizzare la
funzione tipica dell’atto ma è solo una
conseguenza dello stesso.
Non costituisce
liberalità non donativa ma donazione parziale la ‘donazione mista’, proprio
perché qui la liberalità non è motivo dell’agire
ma funzione parziale del contratto
posto in essere.
Non costituiscono
donazione ma ‘contratti’ con prestazioni
corrispettive le figure, singolari ma frequenti, di vendite di
partecipazioni azionarie o di impegni che l’acquirente assume in merito alla
continuazione dell’impresa, al mantenimento dei posti di lavoro,
all’adempimento di obblighi vari facenti prima capo al venditore: impegni che,
nella prospettiva del venditore, rendono il trasferimento meno oneroso di quanto lo sarebbe la continuazione dell’attività o
la messa in liquidazione della società.
NOTE
* ... “Accanto a tali ‘sezioni’ che tendono a
tenere viva la memoria storica, si è ritenuto dare notizia di alcune opere dei
numerosi Docenti della nostra area culturale, operanti presso Atenei italiani.
Non si tratta quindi di studi aventi necessariamente carattere storico, ma di
pubblicazioni che, per il loro livello scientifico, esprimono il nobile
prosieguo di una tradizione di studio nei diversi campi del Sapere; tali opere
non possono restare non segnalate o sconosciute a Quanti operano di fatto a
livello culturale in questo Territorio. A ciò si aggiunga il dovuto
riconoscimento dei Concittadini ed il desiderio di invitare i nostri Docenti
universitari a mantenere costanti rapporti con la loro città natale.
La presentazione di qualcuna di tali opere è affidata
agli stessi Autori, che ne redigono un’ampia sintesi”. (Dalla ‘Presentazione’
di ‘Archivum Historicum Mothycense’,
n.1/1995, pagg. 3-4).
** Dopo avere studiato
a Modica presso il Ginnasio e Liceo classico ‘T. Campailla’, si è laureato in
Giurisprudenza nel 1956 presso l’Università di Roma, perfezionandosi
successivamente nell’Università di Francoforte sul Meno.
Negli anni 1966 e
1967 ha insegnato Diritto civile presso l’Università di Siena. Dal 1968 al 1974
è stato Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto privato nell’Università
degli Studi di Macerata, ove è stato anche Preside della Facoltà di
Giurisprudenza e poi Rettore.
Attualmente è
titolare della cattedra di Diritto Civile nella Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma.
E’ anche avvocato
cassazionista dal 1971.
E’ autore di quattro
monografie: Sul contenuto del contratto;
La donazione mista; La tutela civile della vita privata (tutte presso l’ed.
Giuffré, Milano); I contratti - parte
generale (ed. Giabichelli, Torino), e di numerosi scritti minori, buona
parte dei quali raccolti nel volume Scritti
giuridici (ed. Cedam, Padova 1991).
Risiede a Roma
(studio legale in via A. Gramsci, 36).
Il corsivo e le virgolette sono della Redazione.