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Di Tommaso
Campailla e dei suoi tempi
Gli studi pubblicati nel presente fascicolo su Tommaso
Campailla (Modica, 1668-1740) si pongono nella direzione di una rilettura della
Sua opera: di una lettura, che, pur senza l'intento di una programmata
‘rivalutazione’, non ripeta però un sommario del Suo pensiero o giudizi,
espressi talvolta enfaticamente oppure, al contrario, riducendo sbrigativamente
l'interpretazione della Sua produzione letteraria e filosofico-scientifica
secondo prospettive (storiografiche, ideologiche, antropologiche) pregiudiziali
ed anacronistiche, o misurandosi con essa sotto l'influsso di soggettive
‘impressioni’ psichiche, o, ancora, ripetendo stancamente luoghi comuni
relativi alla Sua vita.
Altro limite interpretativo ci sembra quello di volere ad
ogni costo costringere Campailla dentro le coordinate delle vicende (e delle
‘ricerche di fortuna’) della cultura siciliana del '700. Non che tale raccordo
debba essere escluso. Ci sembra però che lo Studioso proceda autonomamente,
guardando, dal suo osservatorio all'ombra della rocca del Castello di Modica,
con costante attenzione ed interiore disponibilità intellettuale - sempre
critica, poiché Egli non intende assecondare ‘mode’ - alle diverse esperienze
culturali europee: il Suo sguardo, benché fisicamente strabico, è aperto ben
oltre l'orizzonte dello Stretto; la Sua tensione relazionale - anche se vissuta
(ma fino a qual punto?...) dentro una stanza surriscaldata, e gravata dalle Sue
(reali o esagerate?) condizioni precarie di salute -, è davvero incondizionata,
oltre che espressa operativamente e per molti anni come giurato. Né è da
omettere il Suo avvertire l'impegno culturale degli Studiosi italiani - e
perciò anche il Suo - in funzione della “maggior gloria della nostra
Italia”1.
Pregnante, poi, di equivoci, storici ed
interpretativi, ci sembra una lettura di Campailla quasi di un uomo tout-court
‘ipocondriaco’ e a tratti ‘delirante’, dentro un ‘alpestre’ contesto
urbanistico-ambientale, nonché vivente ed operante in un periodo di vita della
Contea in cui il dominio sabaudo in Sicilia sarebbe stato (purtroppo) ‘breve’!2
Ebbene, quanto alla descrizione, a dir
poco ‘inquietante’, di Modica nel primo '700, effettuata da S. A. Guastella, ci
corre l'urgenza di esprimere una nostra riserva dinnanzi alle pur preziose
ricerche del barone chiaramontano: questi registra magistralmente usi contadini
e feste popolari, ma ci sembra che non penetri sempre in profondità nella
cultura locale, perché Egli non attende con cordiale partecipazione a quella
realtà, né coglie ‘tutti’ i fattori che la caratterizzano; a ciò è da
aggiungere il suo auspicio, sull'onda dei movimenti politici e scientifici
ottocenteschi, per decisi (e necessari) rinnovamenti sociali: cosa che talvolta
lo induce ad anacronistiche valutazioni storiche ed a presuntuosi giudizi
dottrinali3.
In merito al periodo storico
attraversato da Campailla, va ricordato che anche i 19 anni di ‘ parentesi comitale’ (non di ‘fine’ della Contea), a
seguito del rapporto diretto di Modica, prima con i sovrani di Spagna (1713-20:
non pertanto propriamente di ‘governo’ sabaudo) e dopo con quelli di Austria
(1720-29), costituiscono un periodo intenso nella vita culturale cittadina:
pienezza dello sviluppo, di livello universitario, del Collegium Mothycense;
impegno di ricerca scientifica di quel gruppo denominato ‘Scuola Medica
modicana’; studio della botanica (“scienza che, venuta meno in Messina.. e
in Catania.., continuò a reggersi a Modica”4); sviluppo
dell'Accademia degli ‘Affumicati’ e del salotto letterario di Girolama
Grimaldi; rapporto con orientamenti architettonici d'Oltralpe in funzione
dell'imminente esplosione edificatoria secondo il tipico barocco; vigore delle
istituzioni giudiziarie, sulle cui amplissime competenze non si ha alcun
cedimento da parte dei primi Responsabili politici; ripresa della vita
cittadina dopo il sisma del 1693; forte consapevolezza, da parte di un robusto
ceto dirigente, circa le autonomie istituzionali della Città, al cospetto del
lontano ed ‘estraneo’ apparato burocratico sabaudo (tendente inutilmente a
ridurle)5.
Può essere opportuno, peraltro,
evidenziare - ai fini di una lettura del contesto ambientale - che i caratteri
istituzionali di Modica, se ovviamente erano determinati dallo status comitale
come andò configurandosi lungo i secoli XIV-XVIII, finirono gradualmente per
non essere del tutto vincolati ad esso nell'assetto ‘culturale’, e perciò nel
tessuto della vita sociale.
Infatti, la non residenza dei Conti a
Modica non fu - come talvolta sembra accennarsi quasi con rammarico da qualche
Studioso - un fatto negativo o riduttivo per la vita e l'immagine della Contea.
Al contrario, l'assenza dei Conti e perciò di un loro sguardo assillante e
feudale; la presenza di saggi Governatori; lo sviluppo di ‘consuetudini
improprie’ (leggi locali); le note concessioni enfiteutiche (dal 1550, ma in
qualche modo avviate già prima); l'operosità plurisecolare di attivi operatori
agricoli; l'innesto - analogamente a quanto avvenne a Palermo - di validi
operatori del commercio e del prestito pervenuti da Genova e da altre Città
italiane e di maggiorenti spagnoli che qui si radicavano, consapevoli di essere
ormai divenuti a pieno titolo cittadini di Modica6; l'ampia presenza
di giureconsulti; la presenza costante di dotti Ordini religiosi e delle loro
Scuole superiori (almeno dalla fine del sec. XIV); il dialogo culturale con
altre realtà italiane ed estere; la qualificazione professionale di molteplici
maestranze artigianali; il consolidarsi di una classe dirigente, sempre più
idonea ad amministrare e programmare con alto senso della Città, furono, tutti,
fattori del formarsi - almeno dal '500 in avanti - di una Società, che si andò
progressivamente strutturando autonomamente:
secondo un'autonomia, di fatto riconosciuta, anzi agevolata e sostenuta in
quelle scelte amministrative, di arredo urbano, di istituzioni scolastiche...
che potevano favorire lo sviluppo civile e, ad un tempo, il prestigio dei
lontani Conti, conferendo alla Città il volto di piccola ma vera capitale.
Quell'autonoma consistenza, radicata nel
‘sentire’ diffuso - pur ovviamente vissuta ed espressa, com'è nella vita dei
popoli, fra alterne vicende e flussi di toni più o meno alti -, finisce per
proseguire anche dopo la fine giuridica della Contea (1812/16), nell' ’800 e
nei primi decenni del ’900, nel contesto di una articolazione di reciproci
positivi influssi, di varia natura, fra i Comuni del territorio già comitale.
Studi organici dell'opera di Campailla erano stati avviati
alcuni anni fa dal compianto prof. Carmelo Ottaviano. L'acutezza speculativa ed
il vigore analitico di quest'altro storico e teorico Filosofo modicano (del
quale ripubblichiamo in questo stesso fascicolo un lontano studio sulla Visita di Giorgio Berkeley a Campailla a Modica, nel
1717-18), nonché la Sua particolare conoscenza e del pensiero cartesiano e
del contesto culturale locale, avrebbero certamente garantito approfondite
riflessioni sul pensiero di Campailla.
Nell'auspicio, pertanto, di futuri studi
che entrino nel merito delle singole opere, ed a cui s'intende invitare anche
con il contributo di questo numero di Archivum
Historicum Mothycense - in cui diamo largo spazio alla figura di T.
Campailla -, ci asteniamo da premature valutazioni circa valenza e limiti delle
Sue composizioni poetiche, e, soprattutto, delle sue riflessioni
filosofico-scientifiche.
Emerge tuttavia, sia pur
provvisoriamente, specie dall'Epistolario
Muratori-Campailla - di cui in particolare si occupa il saggio del giovane e
attento studioso Giovanni Criscione e che viene pubblicato nel presente
quaderno - la consonanza di Campailla col ‘sentire’ dei Suoi tempi. Ciò
va rilevato anzitutto per il Suo porsi ancora, come i Suoi grandi
contemporanei, nella tensione ad un sapere ‘unitario’.
Il Suo stesso convinto riferimento a
Cartesio - il "gran Renato" "de'
Filosofi il Principe più degno" (Adamo, canto V, stanza 76) - si
muove sulla lunghezza d'onda del Pensatore francese, del suo “divisamento...
di fondere la filosofia e la fisica (nelle sue innumerevoli branche,
dall'astronomia alla medicina) in una sola intuizione e di dare così origine ad
una meravigliosa totalità unitaria dello scibile”7.
Del resto, implicito e sotteso a tutte le
‘compatte’ sistematizzazioni del pensiero, del sapere (della ‘scienza’, assunta
spesso simul e come teoria filosofica e come
sapere scientifico) del XVII e del XVIII secolo, permane - condiviso o meno il
pensiero di Cartesio - il riferimento alla ‘lezione’ gnoseologica cartesiana:
da Malebranche a Spinoza a Leibniz, da Hobbes a Locke, da Berkeley a Hume,
razionalismo ed empirismo si richiamano reciprocamente (nonostante
contrapposizioni). Contestualmente, ogni rinnovamento filosofico (e Campailla
si pone in tale direzione) è, più o meno, segnato dall'antiaristotelismo
filosofico e fisico (o contro gli aristotelici?). Financo le modalità di
conservatorismo in politica appaiono arcte connexae con ogni residuo
permanere di Aristotele8.
Al di là della diretta conoscenza - da parte del Campailla -
di questa o quell'altra ‘scuola sperimentale’, Egli insomma coglie il clima
europeo ed orientamenti culturali diversi (forse affascinanti, benché talora
anche evasivi o riduttivi di talune notevoli questioni logiche e metafisiche).
Campailla è poeta?
Per una valutazione, frutto di analisi
delle Sue opere letterarie, proponiamo di attendere anzitutto ai criteri
indicati dal Muratori circa la natura della poesia nel trattato ‘Della perfetta poesia italiana’ (Modena 1706), che,
per Campailla, costituisce un preciso riferimento normativo, un ‘precetto’9.
Occorre cioè verificare la valenza letteraria alla luce della ‘poetica’ assunta
dal Campailla.
Troviamo, poi, affrettati taluni
generici giudizi in merito a ‘pesantezze barocche’, ed invitiamo a prendere
atto della rivalutazione critica del ‘marinismo’, e, comunque, del barocco,
secondo cui ‘virtuosismi’ verbali e ‘artificiosità’ potrebbero essere letti
come espressione, nell'Uomo del ’600, d'una interiore esperienza
dell'inquietudine e della drammaticità del vivere, nonché come ricerca
tecnico-espressiva sempre sperimentale quale si manifesta in assonanze, giochi
verbali, rifiuto di regole compositive - classicisticamente codificate -, in
variazioni e combinazioni linguistiche: fattori, tutti, analoghi a quelli della post-modernità. Né, del resto, i canoni
della classicità possono costituire criteri assoluti di giudizio estetico.
Campailla, peraltro, si trova a muoversi
dentro una conflittuale situazione culturale, che Egli avverte in virtù della
sua intelligenza e dell'estrema ‘finesse’
di sentire: da una parte il retaggio del seicentismo - cui si è accennato -;
dall'altra le sollecitazioni della prima Arcadia e i nuovi impulsi ad una
poesia ‘impegnata’, e che perciò tende a farsi veicolo di contenuti anche
scientifici, così da rendersi ‘utile’ oltre che ‘dilettevole’. Da
ciò il Suo intento di ‘ammaestrare’, che certamente, se dovesse
prevaricare sulle immagini, sulle emozioni, sul lirismo, Campailla per primo
rifiuta. Ed Egli, a tal proposito, si difende da affrettate osservazioni,
espresse dallo stesso Muratori in merito ai Suoi poemi (all'Adamo), anzi
tiene a precisare che non ha inteso imitare Lucrezio, dal momento che questi ha
fatto un poema ‘narrativo scientifico’, poiché "il sortir
questa specie di poemi poco dilettevole, chi così scrive non si lucra il titolo
di poeta ma di versificatore". Né vuole, però, al contrario, incidere
nell'affabulazione ad oltranza10.
Secondo tale complessità dell'Uomo e dei
Suoi tempi riteniamo debba volgersi un "
savio e sincero giudizio sulla materia poetica"11
(poemi maggiori e componimenti poetici minori). Peraltro lo studio, pubblicato
alcuni anni fa, di G. Finocchiaro Chinnici su ‘La dama in Parnaso’ di
Girolama Grimaldi12 - allieva ed interlocutrice poetica di
Campail- la -, c'induce ad essere prudenti.
Tale prudenza dinnanzi ad un'operazione
culturale cospicua, per non pochi aspetti, dell'ingegno e dell'impegno del
Campailla, e l'invito ad attendere ponderatamente anche alle ‘ragioni’ espresse
dallo stesso Poeta, guidano Daniela Di
Trapani, che nel suo studio ci fornisce alcuni elementi in funzione di una
rilettura critica delle due opere poetiche maggiori oltre ad una motivata
indicazione delle numerose fonti di ispirazione delle medesime.
Ma
Giovanni Criscione, che ha pure curato un'accurata rassegna delle opere del
Campailla e ne ha direttamente frequentato più d'una, c'invita a riflettere sul
fatto che lo Studioso modicano è interessato prevalentemente a ‘problemi
naturali’, ossia a questioni di anatomia, di psicologia fisiologica, di
fisica...: insomma, a studi scientifici.
E però - sostiene fermamente Campailla nel suo dialogo con
Muratori - le ipotesi interpretative della realtà naturale devono costituire un
insieme coerente: altrimenti viene meno il sistema
interpretativo universale13, oppure questo finisce per essere
internamente contraddittorio.
In forza di tale rigorosa convinzione,
Campailla si àncora ai princìpi esplicativi generali, proprî del meccanicismo
cartesiano, secondo cui tutti i fenomeni naturali vengono spiegati ricorrendo a
quantità e movimento. Tale forte riferimento non è però fideistico o acritico.
Il Suo colto Interlocutore, peraltro, lo aveva avvertito circa il fatto che i
modelli quantitativo-meccanici (nonostante le resistenze di alcuni scienziati)
presentavano già non poche crepe. Campailla, da parte sua, tiene a precisare
che, ove possibile, Egli si discosta dal Francese: Cartesio è soltanto il
Pensatore che “fra tanti valentuomini”, che hanno “fondato
princìpi di scienza universale”, gli è sembrato “migliore”14.
Di fatto, quei princìpi ‘esplicativi’
saranno, per Campailla, piuttosto princìpi ‘direttivi’ delle sue riflessioni
biologiche, psicologiche...
Dunque Campailla sembra avere la
consapevolezza che la ‘visione’ ed interpretazione cartesiana non è la sola possibile del mondo fisico, ma soltanto
un ‘appoggio’ per una coerente interpretazione dei fenomeni
naturali, ‘rigorosa’ certamente, ma pur sempre probabile e valida in un certo
momento dello sviluppo della scienza (e del pensiero scientifico), e perciò -
come osserva Criscione - ‘provvisoria’: insomma, è una ‘teoria’.
Di più: dichiarando ciò, e tenendo presenti (“sposando”, Adamo,
c. XV, st. 28) i princìpi cartesiani in
funzione specificamente delle proprie interpretazioni di problemi naturali,
Campailla, nonostante la Sua concezione di ‘filosofia’, manifesta
l'implicita intuizione che il ‘fisico’ non dà una visione dell'essenza metafisica
del mondo fisico: il fisico - di per sé - non è un filosofo della natura;
infatti le operazioni e proposizioni di quest'ultimo, benché debbano tener
presenti interpretazioni scientifiche, si pongono ad un livello ulteriore,
massimo, di lettura della intelligibile struttura della realtà. Le varie
interpretazioni ‘metafisiche’, poi, anche se non verificabili, non sono
tuttavia per Campailla - come sembra emergere dal discorso filosofico (questa
volta - lo diciamo noi - in senso stretto) di cui anche restano pur tuttavia
pervase le sue opere - ‘prive di senso’.
Va pure evidenziato che Campailla, il quale, sia con proprie
‘congetture’ sia, ove possibile, con la verifica sperimentale, tende a
descrivere fenomeni cosmologici, non intende procedere sul solco di Newton15,
poiché lo riconosce come ‘matematico’, ma non come ‘fisico’, dal momen-to che
il grande Inglese - a Suo parere - non si propone di individuare la ‘cagione
fisica’ dei fenomeni naturali. Permane, cioè, in Campailla la ferma
convinzione che la fisica, se è autentica ‘scienza’, non può limitarsi a ‘descrivere’,
ma deve anche individuare le ‘cause’, ossia deve ‘spiegare’.
In breve: per Campailla le teorie
scientifiche cartesiane sono le più affidabili: da una parte, sono più rigorose
e ‘verosimili’, in quanto, per così dire, pregnanti di maggior contenuto
empirico, dall'altra orientano ad una ‘lettura’ coerente dei fenomeni.
Muratori non vede - come acutamente
rileva Giovanni Criscione - il ‘significato’
che Campailla conferisce ai ‘princìpi’ cartesiani: non lo vede sia per la stima
che Egli ha per lo Studioso modicano (che potrebbe lavorare “tutto da se
stesso”...), ma anche perché - come prima accennato - Muratori avverte che
non tutto, nella natura, è interpretabile meccanicisticamente; inoltre, a suo
parere, l'attività psichica umana non è del tutto riconducibile alla ‘ragione’
(questione dei ‘sogni’).
L'epistolario, il dialogo - pregnante di stima reciproca - fra i due
Studiosi evidenzia pertanto il riconoscimento della ‘relatività’ delle verità
scientifiche, ma, nello stesso tempo, la tensione a non bloccarsi in un
apriorismo ideologico e nel ‘relativismo’, bensì a ricercare un terreno
‘comune’ nel riferimento continuo alla realtà concreta.
Da quanto detto, emerge la condivisione di fondo, da parte
di Campailla, del sistema cartesiano: tuttavia - ci sembra - come quadro contestuale-linguistico-metodico-teorico
scientifico.
Non però - ci sembra - come teoria ‘filosofica’,
almeno da condividere con esclusività.
Infatti Campailla, mentre ribadisce la necessità
di fare riferimento ad un “sistema universale a
cui corrispondano gli scioglimenti di tutti i particolari fenomeni della natura”16
- ed in ciò Egli si àncora (sia pur non ad oltranza) a Cartesio -, vive
di fatto, come possiamo dedurre da quanto Egli va esponendo nell'Adamo
oltre che dal Suo apprezzamento della vasta schiera di Pensatori (e di
scienziati, di ‘fisici sperimentali’, di letterati...) celebrati, perché a Lui
noti, nella ‘Biblioteca’ (canto V), l'influenza di teorie
filosofiche diverse, quali, anzitutto certamente quella cartesiana, quella
agostiniana nonché pure, tendenzialmente, perfino l'ilemorfismo aristotelico (“Forma
spiritual l'umana mente...”; “Mentre che il corpo suo l'anima
informa...”17.
T. Campailla è insomma testimonianza del
fatto che Platone, Aristotele, Tommaso e Cartesio - o qualunque altro filosofo
- “restano in qualche modo contemporanei
per ogni uomo che pensa... Così, anche quando rifiutiamo di seguire quella
certa filosofia..., l'uomo entra in consonanza con essa, nelle sue più segrete
aspirazioni, nel suo movimento spirituale”18.
Tale tensione fra molteplici influenze e
l'assimilazione di paesaggi filosofici diversi non equivale tout-court ad ‘eclettismo’.
Certo, sembra doversi rilevare in Campailla - peraltro
interessato prevalentemente a ‘problemi
naturali’ - una commistione (o non adeguata distinzione) fra ‘teoria
filosofica’ e ‘teoria fisica’.
Tale prospettiva non è esclusiva di Campailla, tant'è che,
com'è noto, i filosofi di quei secoli - nonostante Galilei - ritengono che la
stessa migliore comprensione del mondo naturale sia possibile cambiando
filosofia (da qui, il rifiuto di Aristotele): “la fisica non era considerata un
sapere diverso dalla filosofia, ma un tipo di sapere filosofico che si occupava
di un settore particolare della realtà, cioè del mondo dell'esperienza”19.
La
‘diversità’ veniva posta soltanto nel grado di universalità e di certezza (“Chi
vuol dire solo il certo, poche cose potrà dire - scientificamente
- della natura”, osserva Campailla20); la ‘comunanza’,
nello ‘scire per causas’ e nel carattere ‘speculativo’ (e non
utilitaristico) del sapere filosofico, matematico e fisico.
L'avvertenza di tale interazione ed interfunzionalità resta
condividibile anche oggi, dal momento che la filosofia è pur sempre “fra le
pieghe della scienza”, anche se non è riducibile fra le pieghe della scienza
sia perché tende ad una spiegazione radicale e ad una visione complessiva del
mondo sia perché si propone di cercare risposte ai problemi supremi ed ineludibili
dell'uomo (sempre che questi, autenticamente tale, cerchi una comprensione di
sé, e perciò anche del mondo): Dio, la permanenza dell'Io, il valore del
linguaggio umano, la natura e le condizioni del comprendere, la scientificità
della storia, il problema del tempo, il senso della vita, il fondamento del
diritto, la natura della politica, le motivazioni valoriali, la libertà
umana...
Nello Scienziato sono tuttavia da
riconoscere ‘precomprensioni’ ed ‘interessi’ (di rilevanza addirittura
metafisica), paradigmi e convinzioni (criticabili, ma non falsificabili) circa
la ‘lettura’ della realtà; resta, inoltre, immanente all'impresa scientifica
un'intenzionalità profonda, segnata dalle ‘idee del vero e del bello’ (P. Ricoeur).
In realtà, scienza sperimentale e filosofia,
si fecondano reciprocamente, ferma restando la diversità di angolazioni e di metodi nel
guardare la realtà: esse si rimandano reciprocamente l'una all'altra, dando
vita ad una sorta di ‘filosofia cumulativa’21. Permane in
definitiva la valenza dell'organicità del Sapere e del carattere
pluridimensionale della ragione umana.
Si coglie nello Studioso modicano,
quella misura intellettuale, tutta italiana
- e di quest'angolo sud-orientale della Sicilia -, secondo cui non si
assolutizza alcun sistema filosofico, non si radicalizza alcuna ‘teoria’, non
ci si scosta ideologicamente dalla fiducia nel senso comune, nella possibilità
della conquista - o riconquista - del reale (pur, ovviamente, attraverso tutti
i filtri e le mediazioni dell'esperienza, della riflessione e del linguaggio),
bensì, pur nella personale assunzione critica di un ‘nerbo’ teorico di
fondo22, si tende a valorizzare, a subsumere (ove possibile)
e a far dialogare fra loro contributi dell'umana riflessione lungo i secoli, non
certo - come si è prima accennato - accostandoli estrinsecamente ed
ecletticamente, bensì esprimendo, nella misura possibile, una coerente ‘sintesi’ teorica.
Di più: in T. Campailla, espressione
letteraria, filosofica, teologica, scientifica significano, senza enfasi anzi
umilmente, ma chiaramente, la coerenza-raccordo, ancora viva nell'uomo autenticamente colto del sei-settecento, fra
interesse letterario, filosofico, scientifico e fede religiosa23.
In tale sintesi vitale dell'Uomo - di
aspetto fisico brutto e di animo ansioso, e però di gentile attenzione alla
bellezza femminile, naturalistica e poetica24; attento,
e partecipe, alle sofferenze fisiche ed alle inquietudini della ‘mente’ umana; animato dalla sinfonica visione di un
cosmo in movimento e biblicamente culminante nell'emergere di Adamo, in cui
l'universo immenso si fa consapevolezza e
voce -, degno di rilievo è pure l'intento
promozionale culturale - il Sapere non ristretto elitariamente dentro la
cerchia degli Studiosi -, che muove Campailla a scrivere la ‘Filosofia
per príncipi e cavalieri’, nonché il Suo impegno civico di ‘giurato’,
svolto - non certo come un ambìto svago25 o un vanitoso
traguardo - a servizio della Sua Città.
Giorgio
Colombo
NOTE
(1)
Lettera a Muratori del 2-1-1731.
(2)
Cfr. S. Grillo, Introduzione a T. Campailla, Del disordinato discorso
dell'uomo, Ed. Lussografica, Caltanissetta 1995, pag. 20 con riferimenti a
S. A. Guastella, Di T. Campailla e de’ suoi tempi, Ed. Pro Loco
(ristampa), Modica 1976.
(3)
Le modulazioni ‘alpestri’ del luogo, unitamente al corteggio di
animali vaganti per le vie cittadine - di cui Guastella tratteggia un quadro
non certo esaltante, anzi cupo, aggravato dal mortorio (e perché non anche
animato dal concerto di campane per i festini o dalla luminosità della vallata
e del prossimo altopiano?...), e che, per l'autorevolezza del Chiaramontano,
viene sovente ripreso da altri autori - sono certamente funzionali a ‘chiudere’
il Personaggio entro burroni ambientali e psichici. Può essere pertanto
opportuno annotare - sincronicamente - che, nel medesimo secolo XVIII, anzi
fino ai primi decenni del nostro secolo, le vie principali di Roma erano
pacificamente attraversate da greggi dei Colonna e degli Orsini; e le strade delle
più rilevanti città italiane ed europee erano in gran parte, fino al secolo
scorso, veri pantani!...
Fra
gli Studiosi (più recenti) non modicani che hanno ‘letto’ con acume e non
secondo stereotipi questa Città, possiamo ricordare A. Narbone, P. Revelli, L.
Sciascia, G. Bufalino.
(4)
D. Scinà, Prospetto della storia letteraria in Sicilia nel sec. XVIII,
ristampa Ed. Regione Siciliana, Palermo 1969, vol VIII, pag. 113.
(5)
Cfr. G. Poidomani, La Contea di Modica nel periodo del governo sabaudo in
Sicilia (1713-1720), in Archivum
Historicum Mothycense, n. 3/1997, pagg. 33-44.
(6)
Cfr. lo studio di G. Raniolo sulla Famiglia De Leva (o Leyva),
pubblicato in questo stesso fascicolo.
(7)
C. Ottaviano, L'unità del pensiero cartesiano, Ed. Muglia, Catania 1962,
pagg. 11-12.
(8)
Bersaglio di questo attacco sono in particolare i Gesuiti, laddove, per quanto
riguarda gli Studiosi di filosofia docenti nei collegi siciliani, C. Dollo
rileva che le loro opere manifestano apertura “alle esperienze che venivano
accumulandosi nel campo della matematica, della fisica e delle ‘scienze medie’,
con l'introduzione di tematiche cosmologiche e di meccanica, assenti non solo
nelle opere dei più qualificati docenti dell'Università catanese come Simone
Porzio e Lorenzo Bolano, ma anche nelle erudite fatiche di studiosi formatisi
nel Veneto ed in Campania”; Corrado Dollo, La cultura filosofica e
scientifica dei Gesuiti siciliani nel '600, in Atti del Convegno su
Scienziati siciliani gesuiti in Cina nel sec. XVII, Roma 1983, pag. 185;
cfr. anche pagg. 190-191.
Per
il fondatamente presumibile dialogo culturale, poi, fra Campailla ed i Docenti
del Collegio gesuitico modicano, ricordiamo che fu proprio il P. Francesco
Saverio Sammartino, docente di teologia scolastica (o dommatica) nel grande
Collegio locale (idoneo a conferire i gradi accademici ‘uniformiter’
alle più rinomate Università europee) a tenere l'orazione funebre per lo
Studioso modicano.
(9)
Lettera a Muratori del 30 - 3 - 1730. Cfr. inoltre Adamo, c. V, st. 124:
"Al buon metodo fian da te (Muratori) ridutti / il bello, e il
fior d'ogni scienza, ed arte, / e dal giudizio tuo retto, e profondo, / pender
vedrassi il letterario mondo".
(10)
Ivi.
(11)
Ivi.
(12)
Ed. Tringali, Catania 1983.
(13)
Lettere a Muratori del 30 - 3 - 1730.
(14)
Ivi.
(15)
Ivi.
(16)
Ivi.
(17)
Cfr. Adamo, canti 15, 16, 19.
L'atteggiamento
di Campailla nei riguardi di Aristotele appare articolato. Di alto apprezzamento per l'acutezza e
profondità di analisi metafisica: "Non mai dei metafisici lo stile /
vedrà ingegno più acuto e più sottile" (Adamo, c. V, st. 33).
Di condanna dura della concezione
aristotelica di Dio e della Sua (non) ‘cura’ del mondo: "con empia
d'ateistica ombra infedele" (ivi, c. V, st. 34 e segg.). Di non
profonda attenzione al carattere di ‘intelligibilità’ della ‘materia
prima’ (che non va equivocata né con la materia ‘seconda’ né con la
‘quantità’) e della ‘forma sostanziale’, che, secondo Aristotele, sono
costitutivi metafisici della sostanza estesa, e, pertanto, solo ‘intelligibili’
(e nient'affatto immaginabili o scientificamente verificabili, tanto più se
Campailla avesse tenuto presente che si tratta di entia quibus e non di entia
quae), così da potersi dare una - condividibile o meno, benché
possente - interpretazione della natura di tale ente e della strutturale
possibilità di mutazione sostanziale.
Tale
lettura del pensiero di C. su Aristotele, va poi correlata alla Sua valutazione
(Adamo, c. V, st. 38) più sfumata - e positiva - della ‘militante’
revisione critica del pensiero dello Stagirita, operata da Tommaso d'Aquino
(peraltro, non esclusivamente aristotelico...).
Dell'
‘anima’, se certamente cartesiana - e fragile - ne è in definitiva la
concezione campailliana, appare tuttavia singolare la ritornante denominazione
di ‘forma’ (la ‘entelécheia’ aristotelica?) nonché il
riconoscimento del suo carattere di ‘compimento’ del ‘composto umano’,
ossia - propriamente - di fattore ‘determinante’ (e ‘specificante’) l'unità
sostanziale: "L'alma de l'uom, forma immortal creata, / semplice spirto,
dal suo Dio sovrano, / compie l'uman composto..." (Adamo, c.
XV, st. 28).
Sulla inevitabilità - ancora nel sec. XVIII - del
misurarsi, con ardui ma apprezabili tentativi di coerenza e di organicità di
pensiero, con l'ilemorfismo aristotelico, perché ancora idoneo a spiegare (nella
prospettiva di una cosmologia filosofica) l'unità della sostanza
fisica, rimandiamo al nostro Collegium Mothycense degli Studi Secondari e
Superiori (Modica, 1630-1767; 1812-1860) - saggio storico -, Ente
Liceo Convitto, Modica 1993, pagg. 173-176; cfr. anche, ivi, pagg.
113-126.
(18) M.-D. Chenu, Le Saulchoir, Ed. Marietti, Roma 1982,
pag. 75.
Del
resto, “è assodato dai lavori di grandi storici (della filosofia) ...che
non si può comprendere la genesi del pensiero moderno senza risalire al
medioevo... Gilson (Index scolastico-cartesien, Alcan, Paris 1913) ha
studiato il vocabolario cartesiano... ed ha scoperto che non è assolutamente
vero... che Descartes avesse rivoluzionato la filosofia cominciando da zero...;
non si possono comprendere né Descartes, né Melebranche, né Leibniz, né Locke,
né Hume e neppure Kant, senza risalire alle fonti medievali...”; F. Van
Steenberghen, Sigieri, Tommaso e la filosofia nel sec. XIII, in AA. VV. Invito
al Medioevo, Ed. Jaka Book, Milano 1982, pagg. 24-25.
(19)
E. Agazzi, Il problema epistemologico, in AA. VV., Studio ed
insegnamento della filosofia, vol 1, Roma 1966, pag. 108.
(20)
Lettera a Muratori del 30 - 3 - 1730.
(21)
Emanuele Barone, in La Pagina (periodico), Modica 12-5-92, pag. 4.
(22)
Lettera a Muratori del 30 - 3 - 1730.
(23)
“Forse oggi la società avrebbe bisogno di persone veramente abili nel
riconoscere i collegamenti tra problemi apparentemente lontani dell'analisi,
dell'algebra, della geo-metria, della fisica, dell'informatica, dell'economia,
dell'ingegneria, ecc... Naturalmente... non conviene incoraggiare la
superficialità di chi pretende parlare di tutto con presunta competenza.
Conviene piuttosto studiare con impegno alcuni problemi senza rinunciare al
dialogo con chi ha interessi culturali e professionali, all'attenzione ed al
rispetto verso tutti i rami del sapere...
Penso
che queste idee siano da tutti accettate in linea di principio, ma molto spesso
trascurate, in pratica, per una esasperata ricerca di specializzazione...”; E. De Giorgi,
matematico e Membro di Prestigiose Accademie, in Ricerca, n. 1/1998,
pag. 24.
(24)
Cfr. Adamo; Apocalisse di Paolo; scambio di Sonetti con
Girolama Grimaldi.
(25) Lettera a Muratori del 2 - 1 - 1731.