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La concezione di
‘filosofia’ di T. Campailla.
Dall'Epistolario
Campailla-Muratori
di Giovanni Criscione*
Palermo, ultimi mesi del 1726. Il regio consigliere Giuseppe
Prescimone1 invia al
Bibliotecario di Rinaldo I d’Este in
Modena, Ludovico Antonio Muratori (col quale da tempo corrispondeva), due
libri, per richiederne un giudizio. I libri in questione sono i “Problemi
Naturali” e l’ “Adamo” di Tommaso Campailla. Muratori faceva così, grazie al Prescimone,
la conoscenza di Tommaso Campailla, col quale negli anni seguenti si terrà in
contatto e che sarà prezioso termine di confronto, in particolare sull’argomento
‘dei sogni’.
Nel seguente contributo confronteremo le diverse posizioni
filosofiche e metodologiche di Campailla e Muratori, anche per mettere in luce
la cauta, ma funzionale opera di rinnovamento sulla cultura filosofica
siciliana, operata dal Primo.
Muratori non fu propriamente un filosofo. La sua posizione
era caratterizzata dall’attenzione al particolare - al di fuori di una visione
filosofica organica -, dal rifiuto della metafisica e di tutto quanto non
rispondesse immediatamente all’esigenza di ricerca pratica: scienza e filosofia
dovevano porsi, secondo il Muratori, su un piano di sperimentalità. Questa
impostazione dipendeva dal fatto che la sua attività di studio era indirizzata
principalmente alla storia, intesa come ricostruzione e delucidazione dei
fatti: ciò implicava la sacralità del fatto ed esigeva una prospettiva
pragmatistica.
Le fonti per stabilire un confronto fra Campailla e
Muratori sono essenzialmente le lettere che i due studiosi si
scambiarono. Tali rapporti si inseriscono nel fitto tessuto di trame
intellettuali e scambi epistolari che, com’è noto, univano il Bibliotecario di
Modena con corrispondenti di ogni regione d’Italia e d’Europa. Nell’epistolario
del Muratori2, che comprende oltre 20.000 lettere, dei suoi 2093
corrispondenti una trentina furono siciliani. Il Muratori tenne
corrispondenza, dal 1718 al 1749, in particolare con le Accademie del Buon
Gusto3, dei Geniali, degli Ereini4 , e con eruditi,
letterati e giuristi5, che, per la maggior
parte, erano appartenenti alla piccola nobiltà, al patriziato o all’alto clero,
erano aperti alle suggestioni culturali
d’oltralpe e svolsero di fatto un ruolo notevole nell’ambito della
riorganizzazione della cultura, direttamente o indirettamente, col loro
mecenatismo illuminato, fondando
biblioteche o impiantando nuove tipografie. A questo ambito Campailla
apparteneva e per legami di parentela con nobili famiglie locali, e per il suo
ruolo di filosofo impegnato - solo in parte consapevolmente - sul fronte del
rinnovamento culturale in Sicilia.
L’epistolario Campailla-Muratori consta di sei lettere6, lungo gli anni 1730-1733. A queste lettere,
per avere un quadro completo, occorre aggiungerne altre che Muratori scrive al
Prescimone, al Leanti e Grillo, al De Aguirre ed al Pantò7 in cui si
parla di Campailla. Proprio queste lettere, scritte con una maggiore
serenità di giudizio che non quelle inviate al diretto interessato, danno
l’esatta misura della stima di Muratori per Campailla, e mostrano come la sua
ammirazione vada all’erudito e al filosofo (seppure con comprensibili riserve
dovute alle diverse posizioni), meno al poeta 8.
L’epistolario si muove all’inizio su un duplice binario: si
toccano argomenti di carattere letterario9 circa l’inventio e la forma poetica
dell’Adamo, e si discute di metodo nella ricerca filosofica. Ma, subito dopo,
l’interesse del Muratori si sposta sui ‘sogni’ e volentieri egli avrebbe
letto una trattazione più dettagliata
sull’argomento, che non quella contenuta nell’Adamo e nei Problemi
Naturali. Il Muratori da tempo si andava chiedendo come potesse darsi
discontinuità nelle immagini offerte dai sogni (per cui alcune ap-paiono ben
ordinate, mentre altre “non sanno di ragione”) se l’anima sempre
pensasse. Tale discontinuità - ipotizza il Muratori - dipenderebbe dal fatto che, quando si allenta
la continuità del pensiero vigile, prenderebbe il sopravvento la potenza
materiale della fantasia. Dunque non sarebbe vero che la mente (in quanto ‘res
cogitans’) sempre pensa . Questa affermazione, se svolta in tutte le sue
implicazioni, comportava infatti che alla mente pensante o res cogitans
si attribuisse una qualche latitanza. Questa latitanza della mente pensante,
sia pur in questo e in simili casi (ad es. in tutti gli intervalla insaniae,
negli ubriachi, nei matti, nei fanciulli) era a fondamento del dubbio
anticartesiano di Muratori. Qui stava la differenza col Modicano.
Nella lettera del 30 marzo 1730 Campailla, comunicando al
Muratori di voler stendere una dissertazione sui sogni, anticipa che lo
sviluppo della sua riflessione sarà basato sul presupposto secondo cui è pur
sempre la res cogitans ad operare (quindi anche nei casi eccezionali
considerati dal Muratori): la mente umana ha la certezza che fuori di sè vi
siano altre cose. Tale certezza dipende
dalle idee che si formano a seguito delle impressioni veicolate dai
sensi esterni. La mente, vedendo tali idee dentro di sè, non può non crederle
presenti anche nella realtà fuori da sè, come avviene ad esempio quando noi, vedendo
in uno specchio delle immagini, non possiamo non credere che esse siano
prodotte dal riflesso di qualche oggetto10. I sogni non sono dunque deliri di fantasia,
bensì deliri della mente che crede essere vero quello che le “fantasme”
cioè le impressioni che si formano nella mente, veicolate dai sensi, figurano.
Quale sia la causa di questo inganno della mente, Campailla, cercherà di spiegare nel
ragionamento “Come la mente umana è delusa a sentire, discorrere, giudicare
pazzamente”, che già nei primi mesi del 1732 doveva essere compiuto,
dedicato proprio al Muratori (e poi inserito negli “Opuscoli Filosofici”, Palermo, Gramignani, 1738)11. A lungo però
il Muratori dovette attendere prima di leggerlo: spedito per il tramite del
Prescimone nel 1732, non giunse a destinazione per la improvvisa morte di
questo (agosto 1732); ancora nel 1738
lamenta di non averlo ricevuto. Il Vecchi scrive che Muratori non potè avere
quel discorso che tanto desiderava. Riteniamo invece che, sia pur con notevole
ritardo, lo ricevette, anzi vi meditò lungamente sopra, se nel discorso “Della
forza della fantasia umana”12
(cap. IV e VI ) ne discute ampiamente , citandolo, per poi criticarne i
contenuti ed esporre le proprie tesi.
Al di là del giudizio letterario (valutazione che esula
dall’oggetto del presente contributo) secondo cui il Muratori, nella risposta
al Prescimone del 27 Gennaio 1727, definisce Campailla “Lucrezio Cristiano
ed Italiano” per la sua capacità di mettere in versi “tutta la filosofia
e spiegare sì chiaramente tante notizie naturali, anatomiche, meccaniche,
chimiche”, quello che qui strettamente ci interessa è che, nella
stessa lettera, diffondendosi a parlare della dottrina del poema, egli tocca
l’altro punto che ci siamo prefissi di confrontare: Muratori ritiene che il
Campailla pensatore sia troppo legato a Cartesio, al punto che “non osa fare
un passo senza seguir lui”. Avvertendo che la filosofia cartesiana “oggidì
è calata di pregio oltra monti”, egli avrebbe preferito che Campailla
avesse “lavorato di sua testa” e si fosse documentato sul metodo dei
filosofi inglesi. Passando a punti specifici del poema, mostra come le
esperienze del Redi abbiano confutato le credenze circa la ‘pietra cobros’13;
lo invita ad informarsi circa le esperienze sulle api14, raccolte
negli Atti dell’Accademia di Parigi, e a leggere il “Trattato dei colori”
di Newton. Rileva poi, divertito, la singolare contraddizione del nostro che,
dopo essersi dichiarato copernicano, affermava che la terra è immobile.
Complessivamente tuttavia l’opera ha suscitato il suo interesse e Muratori
d’ora in poi si dirà suo “grande estimatore”.
La medesima lettera del 1727 per il tramite del Prescimone
giungeva, dopo molto tempo, al Campailla. Questi il 30 marzo del 1730 scriveva
al Muratori, rispondendo punto su punto. Per quanto concerne la sua eccessiva
dipendenza da Cartesio, egli anzitutto giustifica la propria scelta di seguire
il sistema cartesiano (che assegna sempre una “cagione fisica” ai
fenomeni); poi ne difende la
sistematicità e rileva l’incoerenza e la disarmonia di chi procede unicamente
spiegando i vari fenomeni “or con uno or con un altro principio”. Il
Muratori (18 maggio 1730)15 replicava dicendo che “non sono meno
da lodare gli altri che se la passano senza sistemi, attenendosi unicamente al
certo per le esperienze e alle infallibili leggi del moto e della meccanica”.
La lettera successiva del Campailla (19 giugno 1730), fondamentale tra l’altro
per comprendere la genesi poetica dell’Adamo, contiene una interessante risposta:
“Io poi non intendevo privare della meritata somma lode quei che non dicon
se non cose certe, nè condanno quei che se la passano senza sistemi: dico che
questi si espongono al pericolo di incoerenza e quei poco possono dire: ma se
taluno vuol parlar del mondo tutto, è necessitato a dir molte cose, che pur
veramente son verisimili; se io avessi voluto poetare solo delle cose certe
pochissime al certo ne avrei detto della creazione del mondo e sarei caduto in
altro difetto maggiore”. Tuttavia nella seguente lettera del 2 Gennaio 1731
Campailla prega il Muratori di inviargli “una nota di autori inglesi di quei
che mi scrisse che in filosofia non dicono se non quel che è certo”. E
aggiungeva “non può V. S. illustrissima concepire quanto qui si penuria di
tali buoni moderni libri”. Campailla aveva toccato un punto cruciale16.
Merito riconosciuto di Muratori nei confronti di Campailla fu
quello di averne divulgato e fatto conoscere le opere17. E però, se
fu grazie al Bibliotecario di Modena che la fama del Campailla varcò i confini
della Sicilia, tuttavia Egli non si rese
conto del significato che assumeva per Campailla l’accettazione del
sistema cartesiano (e del resto lo stesso Campailla, credo, non ne fu del tutto consapevole). Tale significato va
individuato, oltre che nel ruolo storico assunto dal cartesianesimo nell’Isola,
nella valenza che il nostro dava alla filosofia.
La preferenza per il sistema cartesiano rispetto ad altri,
infatti, è motivata da ragioni inerenti alle direttrici di ricerca di Campailla.
Privo di uno spirito propriamente speculativo e di interesse per i problemi
metafisici, egli intendeva la filosofia piuttosto come una serie di spiegazioni
scientifiche, di studi naturali e fisici, in una parola di “problemi
naturali”. Ebbene, Campailla trovava nella dottrina cartesiana non solo
l’assegnazione della “cagione fisica” dei fenomeni, ma anche un sistema
provvisorio per il coordinamento delle ricerche scientifiche allora slegate, in
funzione quindi di una visione organica, a suo avviso necessaria.
Che quella sistemazione scientifico-filosofica considerata da
Campailla, fosse provvisoria è provato dal fatto che egli su alcuni
punti si allontana da Cartesio18 e si serve di ipotesi tratte da
Gassendi, da Bayle, Boyle, Huygens, Mayows, ed è disponibile a seguire i
consigli bibliografici di Muratori. Il sistema cartesiano, di conseguenza, in
alcuni suoi aspetti di natura prevalentemente scientifica, ne risulta
sensibilmente modificato ed aggiornato alla luce dei più recenti risultati delle
scienze. E le congetture, necessarie “laddove la natura non lascia
penetrarsi”19, trovano così giustificazione nei presupposti
stessi del sistema, e consentono un
passaggio graduale dal vero al verosimile.
Viceversa, la frammentazione delle spiegazioni scientifiche, attente solo al certo ed immediatamente verificabile - propugnata dal Muratori - avrebbe reso possibile che la falsificazione d’una teoria operante entro una disciplina restasse un fatto isolato, le cui conseguenze in particolari casi potevano sì implicare la ristrutturazione d’una area anche ampia del pensiero scientifico, ma non avrebbero comportano il collasso di una struttura come l’aristotelismo, dominante in Sicilia. “Vivendo nell’isola - ha scritto il Dollo20 - alla fine del secolo XVII, non era possibile scompaginare il consolidato insegnamento scolastico se non opponendogli una concezione generale del mondo, una ipotesi totale di spiegazione che potesse organizzare su nuove basi l’intero orbis intellectualis, senza suscitare un aprioristico rifiuto in nome dell’ortodossia religiosa, delle ineliminabili presenze dell’anima, della libertà e di Dio. Le possibilità di manovra che la dottrina di Cartesio offriva erano, da questo punto di vista, grandiose ed affascinanti”. Campailla ne aveva subito il fascino.
NOTE
*
Cfr. Saggio: ‘Produzione scientifica e letteraria di T. Campailla’.
(1)
Giuseppe Prescimone, giurista, poeta, letterato, dilettante di scienze naturali
e mecenate, munifico patrono della prima edizione integrale dell’Adamo (1728).
A lui sono dedicati i Problemi Naturali.
(2)
Cámpori M., L’epistolario di L. A. Muratori, Modena, Aedes Muratoriana,
1898 - 1922, 14 voll.
(3)
L’Accademia del Buon Gusto (1718) nacque qualche anno dopo la pubblicazione
delle “Riflessioni sopra il buon gusto”, quando alcuni letterati
palermitani, riunitisi nella casa del
principe Filangieri di Santa Flavia, fondarono un’Accademia che si modellò
sullo schema proposto da Muratori.
(4)
Muratori fu socio dell’Accademia degli Ereini col nome di Accademo Larisseo.
(5)
Tra questi Agostino Pantò, giurista e
letterato; Giovan Battista Caruso, storiografo; Antonino Mongitore, storico,
autore della “Bibliotheca Sicula” (Panormi, 1714), Francesco Testa,
Giacomo Gravina, Arcangelo Leanti e Grillo, il conte Ventimiglia, il marchese
di Camporotondo, il principe della Cattolica, e Tommaso Campailla.
(6)
Quattro inviate da Campailla e due dal Muratori. Queste lettere furono
pubblicate per la prima volta dal Sinesio in appendice all’edizione siracusana
dell’Adamo (1783), insieme ad altre di illustri personaggi, e poi nell’
epistolario muratoriano (Campori M., op. cit). Cfr. anche
Schiavo-Lena A. , “Lettere inedite [ ! ]di L. A. Muratori,
Francesco De Aguirre e Andrea Lucchesi”, in Arch. Stor. Sic. Orient., III,
1907 e Id. ,“Relazioni letterarie tra Muratori e Campailla” in Arc.
Stor. Sic. Orient., VI, 1909 (con qualche incongruenza cronologica); Alberto
Vecchi “Lettere di Campailla a L. A.
Muratori”, Modena, Aedes Muratoriana, 1956.
(7)
Riporto di seguito le lettere, cui farò riferimento con l’indicazione relativa
alla fonte:
Lettera
a Giuseppe Prescimone in Palermo (27 gennaio 1727) n. 2567 Campori.
Lett.
ad Agostino Pantò in Palermo (20 gennaio 1730) n. 2881 Campori.
Lett.
a Campailla (18 maggio 1730) n. 2918 Campori.
Lett.
di Campailla a Muratori (30 marzo 1730) n. I Vecchi.
Lett.
di Campailla a Muratori (19 giugno 1730) n. II Vecchi.
Lett.
di Campailla a Muratori (2 gennaio 1731) n. III Vecchi.
Lett.
a Giuseppe Prescimone in Urbino (20 aprile 1731) n. 3013 Campori.
Lett.
di Campailla a Muratori (10 febbraio 1733) n. IV Vecchi.
Lett.
a Campailla (23 aprile 1733) n. 3239 Campori.
Lett.
a Francesco D’Aguirre in Milano (23 aprile 1733) n. 3240 Campori.
Lett.
ad Agostino Pantò in Palermo (2 marzo 1736) n. 3620 Campori.
Lett.
ad Agostino Pantò in Palermo (12 ottobre 1736) n. 3701 Campori.
Lett.
ad Antonio Pantò in Palermo (7 dicembre 1736) n. 3720 Campori.
Lett.
ad Arcangelo Leanti e Grillo in Palermo (4 gennaio 1737) n. 3738 Campori.
Lett.
ad Arcangelo Leanti e Grillo in Palermo (1 maggio 1739) n. 4044 Campori.
(8)
Lett. ad A. Leanti e Grillo (1 maggio 1739) ove si dice disposto a favorirlo “se
per avventura avesse voluto aspirare a qualche cattedra di filosofia in una di
queste università”.
(9)
Non va dimenticato che opere del Muratori quali “Della perfetta poesia
italiana” e“Le riflessioni sopra il Buon Gusto” avevano largamente
influito sull’Adamo del Campailla.
(10)
Lettera al Muratori (19 giugno 1730). “Quando noi dormiamo - scrive il
Campailla in un’altra lettera - è l’anima ragionevole che sente e immagina e
discorre: e se si inganna pensa; e s’inganna con ragione senza sua colpa. Ella
è certa che fuor di lei e del suo corpo siano corpi fisici esistenti; perchè ne
vede e ne sente le idee nel senso comune; d’altra maniera non può dire esservi
cose fuor di sè. Quando le vede nel senso comune non può far di non crederle
cagionate da obbietti esterni come l’occhio che non può non credere ciò che
egli obbietta. Figuriamoci un uomo in una camera oscura necessitato a
certificarsi delle persone che sono e passano nell’anticamera, dalle immagini
che ne vede entro un opposto specchio: non è dubbio che quest’uomo dalle forme
e simulacri che osserva in esso, discorre, giudica ed è mosso. Se vede un
obbietto amato vorrebbe correre ad abbracciarlo, se amico ed assalito viene
eccitato al soccorso, se nemico alla propria difesa di modo che è determinato
da quegli spettri a varie passioni come se li mirasse direttamente.
Or
se fosse possibile in questo specchio che si rappresentassero imagini delle
medesime persone senza che le loro persone fossero nell’anticamera, chi dubita
che della stessa maniera sarebbe quest’uomo eccitato a discorrere, giudicare ad
operare e che avrebbe la stessa credenza e certezza che ne avrebbe quando què
simulacri erano riflessi di quegli oggetti reali ed esistenti nell’anticamera?
Ma allo stesso punto chi l’osservasse così giudicare ed operare senza che
sappia nulla di quelle immagini a lui rappresentate in modo straordinario, non
è anche dubbio che le crederebbe un folle delirante sognante: e pure egli è lo
stesso uomo discorsivo non meno ragionevole di prima, ma che s’inganna deluso
da quelle false immagini”.
(11)
Recentemente ripubblicato in T. Campailla , Del disordinato discorso
dell’uomo, Caltanissetta, Lussografica, 1995 con introduzione di S. Grillo.
(12)
Il trattato vide la luce a Venezia, per i tipi di G.B. Pasquali nel 1745.
(13)
Cfr. Problemi Naturali, Della virtù attrattiva, pr. XIV.
(14) Cfr. Adamo, c. XII, v.54.
(15)
Lett. al Muratori (5 marzo 1730) I, p. 15 ed. Vecchi e p. 354, in Schiavo -
Lena, op. cit., 1909.
(16)
Sulla cultura siciliana nel settecento si sono avute due opposte tesi: una di
Giovanni Gentile , svolta ne “Il tramonto della cultura siciliana”,
Bologna 1917, che, partendo dal pregiudizio di una Sicilia “sequestrata”,
cioè tagliata fuori dal movimento della cultura europea, ne inferiva “una
forma di cultura indigena e tutta schiettamente siciliana, che pur dopo
l’unificazione era fiorita in Sicilia, ma
che s’era venuta spogliando del suo carattere regionale sulla fine del
secolo” (pag. ); l’altra opposta,
volta a dimostrare la vivacità della cultura e la circolazione europea di
idee (Cfr. ad esempio: Di Carlo Eugenio, Per la storia della cultura
siciliana nel Settecento, “il Circolo Giuridico”, 1961; Giarrizzo Giuseppe,
Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, “Rivista
storica italiana”, 1967). Questa seconda tesi - a mio avviso preferibile perchè
fondata su una ricostruzione minuziosa del milieu storico, sociale e
culturale - evidenzia l’esistenza di una
Sicilia decentrata (e Campailla sconta i disagi che ne derivano), ma
sicuramente non tagliata fuori dal movimento della cultura europea.
(17)
Lett. al Prescimone (20 aprile 1731), ove si dice disponibile ad inviare copie
delle opere del Campailla ai suoi corrispondenti nelle varie città italiane ed
europee. Li ricevettero, fra gli altri, il Conti a Londra, e la redazione delle
Novelle letterarie della repubblica di Venezia che ne pubblicò una
recensione. Inoltre Muratori fece ascrivere il Campailla all’Accademia degli
Assorditi di Urbino e lo mise in contatto con altri dotti.
(18)
Lett. al Muratori (30 marzo 1730): “... nell’ammettere i corpi primi atomi,
nella produzione e soggetto della luce e de’ colori, nella attrattiva della
calamita, nel veicolo delle sensazioni, nelle ipotesi del senso comune e sede
dell’anima che quei vuol essere nella ghiandola pineale; nel moto ed azione del
cuore ed in molte altre opinioni”.
(19)
Lett. al Muratori (30 marzo 1730).
(20) Dollo C., Modelli scientifici e filosofici nella Sicilia spagnola, Napoli, Guida, 1984, p. 229.