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Nuovi  dati  sulla  ‘tarda  architettura  rupestre  di  carattere  sacro

a Modica *

di V.G. Rizzone e A.M. Sammito

 

 

Nel corso del ’500 e del ’600, nel Val di Noto, dopo il grande fiorire degli insediamenti rupestri, si assiste ad una continuazione ed anche ad una ripresa del culto praticato nelle grotte. Per la spiegazione del fenomeno si possono indicare due componenti: una è di carattere naturale ed è connessa alle condizioni geofisiche del territorio: ne è testimonianza il fatto che l’“architettura ottenuta per via di levare” ha qui una lunga tradizione che affonda le sue radici nell’età preistorica ed ha manifestato vitalità fino a non molti decenni fa1. Non è estranea, però, anche una seconda componente: il revival nello spirito controriformista: nonostante si tratti molto spesso di espressioni di devozione popolare - episodi minori, ma non per questo trascurabili -, le tarde chiese rupestri si inseriscono anch’esse nel quadro del grande fervore della edilizia sacra dei secoli XVI e soprattutto XVII2.

 

In particolare, nel sito dell’attuale centro urbano di Modica, si può distinguere, fra antiche chiese rupestri che vengono opportunamente ristrutturate, quasi sempre con l’adattamento di parti in muratura, e chiese rupestri e semirupestri che vengono impiantate ‘ex novo’.

 

Rientrano nel primo caso le chiese di Santa Venera e San Nicolò Inferiore.

La chiesa rupestre di Santa Venera3, nel quartiere Porta d’Anselmo (Catena), la cui documentazione più antica risale agli inizi del XIV secolo, subì rifacimenti certamente nel corso del XVII secolo dovuti, molto probabilmente, ad un distacco della roccia della ripida scarpata nella quale è scavata la chiesa4. In seguito al crollo vennero costruite in muratura le pareti meridionale ed occidentale, mentre vennero mantenute le pareti orientale e settentrionale tagliate nella roccia con gli affreschi della Santa titolare e della Mater Domini della fase originaria. La chiesa seicentesca presenta una pianta rettangolare di m. 5,50 x 4,10, con abside quadrangolare rivolta ad Est ed ingresso ad Ovest non in asse con l’invaso della chiesa. Un arco a tutto sesto in muratura distingue l’aula dalla zona presbiteriale costituita dal vecchio antro; per illuminare questa parte recondita fu aperta nella parete in muratura, che sovrasta l’arco, una finestra in asse con l’ingresso. Sulle pareti venne steso uno strato di intonaco; nella parete meridionale e occidentale del  presbiterio, nei piedritti e nei conci di imposta dell’arco di trionfo, in particolare, venne maldestramente eseguito a mano libera sull’intonaco un motivo decorativo a triangoli fra filettature rosse e gialle. Un ambiente attiguo, già parte dell’originario ingrottamento, venne quindi utilizzato, molto probabilmente, come alloggio-sagrestia e comunque come vano di servizio della chiesa con nicchie sulla parete di fondo che svolgevano la funzione di repositoria.

Riguardo a Santa Venera, ancora, una notazione merita la titolatura: secondo Carrafa la chiesa fu dedicata “a Sant’Anna e Santa Venera o Santa Veneranda”5, associazione forse nata dalla comune data del giorno festivo fissato al 26 luglio6; la notizia non è altrimenti confermata, ma è certo che nel 1649 si stava per costruire una nuova chiesa dedicata a Sant’Anna “nello quartiere di Porta d’Anselmo et in contrata di S. Venera”7, della quale si è però poi persa la memoria.

Anche per San Nicolò Inferiore - o Santo Nicolella, per distinguerla da San Nicola a Modica Alta - la prima documentazione certa risale agli inizi del XIV secolo, ma ci sono valide ragioni per datare il suo impianto originario se non già alla fine dell’XI secolo, almeno nel XII secolo8.

Quantunque nel 1577 la Parrocchia, per mancanza di rendite, fosse soppressa ed aggregata a quella della vicina Chiesa di San Pietro9, l’ambiente, fra il XVI ed il XVII secolo, subì una serie di interventi radicali che la trasformarono in una chiesa semirupestre: forse in seguito ad un crollo che interessò la parte avanzata dell’aggrottamento, soltanto l’area presbiteriale rimase ipogeica; la parte superstite del soffitto roccioso fu puntellata con due pilastri, ulteriormente contraffortati in un secondo momento; venne costruita una navata in muratura le cui pareti parzialmente obliterarono la roccia con le pitture parietali; ad Est, a fianco dell’abside, venne scavata una nicchia rettangolare che taglia gli affreschi della seconda fase; sulle pareti furono stesi altri affreschi: quello di San Giacomo nel presbiterio e delle formelle nel muro di destra10. Nella quarta fase, si rinuncerà a mantenere qualsiasi parte scavata nella roccia, e si costruirà, piuttosto, una nuova chiesa in muratura11. Non risulta altrimenti che, come dice il Belgiorno12, qui si sia trasferito il culto dello Spirito Santo dopo il 1693; forse la notizia è nata da un’erronea interpretazione di un altro documento riferito dal Belgiorno: il testamento di don Giuseppe Grimaldi, del 23 giugno II Ind. 1634 con codicilli del 26 giugno: il testatore fonda messe di lunedi e di giovedi nella cappella dello Spirito Santo, dove vuole peraltro essere seppellito in una tomba da poco preparata: ma nella chiesa di Santa Maria del Gesù !13.

Un documento del 27 maggio 1835, infine, si rivela interessante per la menzione della grotta attigua alla chiesa in muratura e la conferma della sua identificazione: è una lettera con la quale il proprietario, Antonino Rizzone, offre all’Amministratore Generale dell’Opera di San Pietro di "locare la casalena dell’abolita Chiesa di Santo Nicolella, che confina colla grotta di essa Chiesa attualmente possessa da Maestro Rajmondo Lorefice, e due pubbliche vie previa la trasformazione in abitazione: voltarci il dammuso, alzare le fabbriche per formare una casetta con diverse stanze di sopra, aprire dei finestroni e farci la porta d’entrata in mezzo la strada che conduce al Castello, o di rimpetto al portone della casa del Sig. Don Pasquale Denaro, opure in quel luogo che sarà più commodo per abitare la casetta indipendente al dammuso"14.

Non dissimilmente modifiche occorsero anche in una chiesa che dovrebbe, in realtà, essere inclusa fra quelle di nuovo impianto in quanto le trasformazioni si verificano a distanza di breve tempo dalla fondazione: si tratta di Santa Maria della Provvidenza, nella periferia settentrionale dell'attuale sito urbano: nel 1662 l’Università di Modica decide di impiantare la chiesa in un antro che faceva da pendant alla vicina chiesa di San Rocco ed in cui preesisteva una miracolosa raffigurazione della Madonna fra San Filippo e Sant’Orsola15; in un periodo non molto successivo, che forse si può riportare a dopo il terremoto del 1693, viene costruita una chiesa mononave, il cui presbiterio è separato dall’aula con un arco di trionfo che delimita il precedente antro; quest’ultimo viene foderato da cortine di muratura che però risparmiarono l’affresco miracoloso di cui si è detto16.

Santa Venera, San Nicolò Inferiore e Santa Maria della Provvidenza sono tre casi di trasformazioni: esse sono accomunate dal fatto che le precedenti chiese rupestri divengono zone presbiteriali, il fulcro di nuove chiese costruite, per il resto, in muratura; è il caso anche di Santa Maria la Cava e San Sebastiano a Spaccaforno, di Santa Maria della Rocca a Caltagirone e di Santa Maria Adonai presso Brucoli17.

Prima di passare alle chiese rupestri e semirupestri di nuovo impianto, occorre dire di Santa Alessandra nella vallecola dell’Ufra, della quale qui si presenta uno schizzo planimetrico (fig. 1): questa, nota per la prima volta grazie a S. Minardo18, per via della titolatura è stata assegnata al XVII secolo19, ma per la sua articolazione planimetrica - semplice aula di m. 4 x 7 circa, con abside rialzata in uno dei lati corti ed ingresso da uno dei lati lunghi, in prossimità dell’abside - confronti si possono istituire con quelle di chiese rupestri già assegnate al XIV secolo circa: San Nicola o Grotta della Madonna a Cava Ispica, la citata Santa Maria la Cava a Spaccaforno e Santa Febbronia a Palagonia20. A ciò si aggiungano l’assenza nel novero delle chiese modicane del Carrafa (1653), che però è un argumentum ex silentio, ed il fatto che la stessa titolatura sia incerta: “detta di Santa Alessandra”, riferisce il Minardo. La trasformazione in cisterna, così come nella chiesa di Sant’Elia ad Avola Antica21, ha comportato l’obliterazione dell’ingresso originario, lo sfondamento del soffitto di roccia sostituito da una copertura a doppia falda, lo scavo di una rampa di gradini lungo il lato sud-orientale per assicurare un nuovo accesso e la perdita degli affreschi, minime tracce dei quali, però, si riscontrano laddove si è scrostato lo spesso strato dell’impermeabile intonaco idraulico che ha rivestito la cisterna.

 

Fra le chiese rupestri e semirupestri di nuovo impianto ricordiamo (oltre alla citata Santa Maria della Provvidenza), nella collina di Monserrato, tre sacelli (fig. 2) disposti, a breve distanza l’uno dall’altro, lungo il viottolo che dal santuario della Madonna delle Grazie conduce in cima, a Santa Maria di Monserrato, grosso modo lungo un tratto del limite della fiera della Madonna delle Grazie22: si tratta, molto probabilmente, di espressioni di devozione popolare collegati al miracoloso rinvenimento del quadro della Madonna nel 1615 o all’itinerario-pellegrinaggio verso Santa Maria di Monserrato.

Il più alto (fig. 2,3), rovinato dai crolli e da una latomia ed in parte interrato, ha l’unica parete apprezzabile per intero modulata sull’unità di misura del palmo siciliano: la parete di fondo è otto palmi, corrispondenti ad una canna (m. 2,08); l’ingrottamento è fornito, nella parete sinistra, di un piccolo repositorium (alto m. 0,26, largo m 0,22 e profondo m. 0,14) già munito di sportello in legno del quale restano gli scassi per i cardini. Nella parete di fondo è un pannello palinsesto alto m. 1,20 e largo m. 1,34, di cui si conservano frustuli: lo strato più antico è inquadrato da una fascia rossa e con ripartizioni interne delimitate da filettature e fasce rosse e gialle e con motivi fitomorfi in rosso su fondo giallo23, e presenta al centro la Madonna con il Bambino monocroma in rosso vinaccia; lo strato più recente è marginato in alto da una fascia di colore nero; del soggetto mariano sono riconoscibili i nimbi dorati ed alcuni dettagli (incarnato delle labbra) del volto del Bambino.

Il secondo sacello (fig. 2,2) è alquanto rovinato: sono crollati il soffitto roccioso e la parte avanzata, sostituita poi da tampogno in muratura; è stato ampliato verso Est ed attualmente è in parte interrato; quel che resta dell’impianto originario è la parete di fondo larga m. 2,50 circa e parte della parete occidentale conservatasi per una lungheza di m. 1,60 circa. Nella parete meridionale restano tracce di un grande pannello pittorico, esteso quanto la parete originaria, ormai pressoché illegibile: si distinguono forse almeno due nimbi, due mani di cui una stretta a pugno e l’altra che regge un oggetto non identificabile (rotolo, chiavi ?), tracce di un panneggio verde con ombreggiature delle pieghe rese con colore nero; il pannello è delimitato a destra e a sinistra da larghe cornici di colore marrone con motivi vegetali sovraddipinti in bianco e superiomente è delimitato da una triplice fascia rossa, bianca e grigia; nella parete occidentale, il pannello pittorico è caratterizzato come secondario: mancano le complicate cornici sostituite da semplici filettature rosse ed anche il soggetto è reso in maniera più semplificata; esso è, però, chiaramente distinguibile: un santo vescovo con il pastorale e con il pallio decorato con croci sovraddipinte in bianco; restano tracce, inoltre, di un secondo pannello.

Il terzo ipogeo (fig. 2,1) si conserva integralmente (m. 4 x 4 circa), e all’interno, nella parete di fondo, rimangono solo tracce di un pannello pittorico palinsesto alto m. 1,05 e largo m. 0,90 circa: cornice gialla marginata da filettature nere su uno strato più antico del quale resta solo traccia di colore rossastro.

Si segnalano, ancora, lungo lo stesso percorso, due edicole: una, in alto, alla fine del viottolo, quasi sul pianoro di Monserrato, è larga m. 1,16, alta m. 1,10 e profonda m 0,50; la seconda, fra il primo ed il secondo sacello, è alta m. 0,6, larga m. 0,90 e profonda m. 0,50, e nella parete di fondo ancora conserva tracce di un pannello pittorico inquadrato da una fascia rossastra marginata da filettature nere; ai lati dell’edicola sono presenti due canalette di sgrondo.

Inserita nel declivio della stessa collina, ma nel versante del torrente San Liberale, sull’attuale via Nazionale  che sale verso il quartiere Sacro Cuore, è la chiesa rupestre della Madonna delle Grazie, di cui, nonostante le manipolazioni occorse nel 1921, è possibile leggere ancora parte dell’originaria articolazione planimetrica (fig. 3): si tratta di un camerone ipogeico a pianta quadrangolare di circa 6,5 m. di lato, con altare a nicchia - alta m. 1,60, larga m. 1,64 e profonda m. 0,63 - nella parete di fondo, davanti alla quale dobbiamo supporre addossato un banco di legno; non si conserva alcuna traccia di affreschi alle pareti.

Risalenti alla data citata, riportata nel concio di chiave dell’arco di ingresso che regge al colmo una croce, sono le modifiche apportate successivamente: il prospetto in muratura in linea con la sistemazione della via Nazionale e l’ambiente in muratura con l’altare che accoglie il gruppo della Madonna con il Cristo, forse già collocato nella nicchia parietale, copia ridotta della versione originale del noto gruppo in cartapesta conservato nel Santuario della Madonna delle Grazie. Soltanto un angusto ambulacro, in qualche modo illuminato dalla luce proveniente da due finestre sul prospetto, è stato risparmiato dalla costruzione realizzata all’interno della grotta24.

 

Carattere semirupestre ha anche il Monastero della Raccomandata edificato nella zona una volta denominata Monte di Pietà, laddove precedentemente si elevava una delle torri della cinta muraria della città25.  Venne istituito dalla nobildonna Margherita Ferraro26 con atto rogato presso il notaio Francesco Rizzone del 5 gennaio 162827: monasterium in honorem dei construere cum ecclesia sub titulo Sancte (sic !) Bonaventure et regula Sancte Clare seu alterius regule, ma cambiò ben presto titolatura se in un documento del 9 ottobre 14a Ind. 1630 si legge “pro ven. eccl. S.te Marie Montis Pietatis sub titulo della Ricomendata”28 e nel testamento della fondatrice del 23 maggio 1635 si legge: monasterium edificandum in hac civitate Motuce in dicta ecclesia Sancte Marie Recomandate sub titulo Sancte Terese cum observantia ven. Sancte Clare, locum per ipsam testatricem electum pro edificando dicto monasterio vigore potestatis sibi reservate [...] in actis notarii Francisci de Rizzone die 5 Januarii XIe Ind. 162829. Il monastero risulta ancora da costruire in documenti del 10 e del 12 gennaio XIII Ind. 164530.

Dietro le fabbriche, più volte ristrutturate31, vi sono degli ambienti ipogeici (fig. 4), ai quali si accede dalla lavanderia dell’attuale Istituto di Suore, in gran parte invasi da detriti, fra i quali si segnalano diverse membrature architettoniche della chiesa seicentesca. L’ultimo ambiente rupestre, per quanto foderato da una cortina di muratura (cfr. nn. 6 e 7 in pianta), costituiva una cappella della chiesa del primo terzo del XVII secolo; si segnala la presenza di una grande pittura parietale stesa sulla muratura della prima chiesa seicentesca, purtoppo non completamente visibile per via della fabbrica dell’attuale chiesa costruita nel 185432.

 

Un discreto numero di chiese rupestri e semirupestri sono od erano presenti nel quartiere Cartellone; queste chiese potrebbero essere state impiantate dopo il 1492, ovvero dopo l’espulsione degli Ebrei, ma non è esclusa una loro preesistenza a questa data, tanto più se si considera che il toponimo può essersi esteso con l’ampliarsi della città, ad includere aree periferiche che verosimilmente non erano occupate da Ebrei33.

In primo luogo ricordiamo una chiesa rupestre la cui titolatura è tramandata in diverse varianti: “Santa Maria della Concezione sotto il titolo dello Xaudo”, “Sancte Marie Consolationis sub titulo di lo Xaudo”, “Nostra Signora dell’Audientia”, “Santa Maria Xaudi”, “Esaudiente”, “Exaudi nos”, o, ancora, "grotta dello ‘Sciauru’ nel versante montagnoso dell’Itria, assai rinomata per il suo frequentatissimo oratorio detto Exaudi-nos, già da tempo distrutto"34; da osservare soltanto che nell’appellativo ‘Sciauru         (= Xaudo dei documenti d’archivio) deve riconoscersi una storpiatura volgare di ‘Exaudi nos’.

La prima menzione della chiesa risale al 1620, allorquando essa rappresenta un punto di riferimento del perimetro della fiera della Madonna delle Grazie appena istituita: ...da decta chiesa (Nostra Signora dell’Itria) per linea recta per insino alla Chiesa di Nostra Signora dell’Audientia; e da decta chiesa per linea recta per insino alla Chiesa del serafico S. Francesco d’Assisi...35, ma verosimilmente doveva essere stata impiantata da tempo; infatti abbiamo notizie di rifacimenti subìti grazie ad un documento del 25 giugno VII Ind. 163936: poiché Ecclesia Divae Mariae Conceptionis... sub titulo de lo Xaudo his diebus preteritis elapsis cecidit... - tali Blasco Di Fede e Corrado Di Stefano - ...ad eorum expensas pro anima et eorum devocione illam fabricari fecerunt plus longitudinis, largitudinis et altitudinis: si tratta evidentemente di una chiesa semirupestre che viene ampliata con parti in muratura. All’interno vi era un altare dedicato al SS. Crocifisso37.

Per quanto riguarda l’esatta ubicazione ricordiamo che in una pianta del 1839 risulta posizionata fra la fine della via Turbazzo e la chiesa di Santa Maria dell’Itria38, per quanto indicata come già diroccata. Forse si trovava nell’ambiente semirupestre con l’attuale n.c. 31 della via Exaudi nos; qui, sull’architrave dell’ingresso, è stato inserito il busto ad altorilievo di un San Giuseppe certamente di riutilizzo. Sopralluoghi condotti all’interno, tuttavia, hanno dato esito negativo. Essa compare nel novero delle chiese distrutte anche nei documenti dell’archivio dell’abate De Leva39 e nel Renda40.

Carattere semirupestre ha la chiesa di San Rocco (prossima a quella di Santa Maria della Provvidenza), anteriore al 1553, recentemente illustrata, della quale, però, non conosciamo l’impianto originario.

Non dissimile era l’impianto di San Filippo extra moenia41, presso il quartiere Francavilla, ora distrutta.

 

Alle spalle del Motel è un complesso rupestre con ampi e numerosi cameroni disposti su due livelli, di cui quello inferiore è all’altezza del greto dello Janni Mauro; esso è stato recentemente identificato con Santa Maria della Purificazione o della Candelora42 menzionato da Carrafa fra i “religiosi eremitaggi” di cui già al suo tempo si mantenevano solo vestigi di antichità43. Tale identificazione, però, è tutt’altro che certa44. In via ipotetica si può proporre che in uno di questi ambienti, recentemente murato, in cui è stata riconosciuta una chiesa, vi fosse il culto di Sant’Orsola, sulla base della ubicazione del culto in questa zona da parte di Belgiorno45, localizzazione avvalorata dalla tradizione orale, dal soggetto del pannello pittorico della vicina chiesa di Santa Maria della Provvidenza46 e dal fatto che nella zona vi fosse la presenza di concerie47.

Procedendo sul sentiero che s'inerpica nella parte settentrionale della collina dell’Itria, si trova la chiesa rupestre di San Giuseppe ‘u Timpuni, sufficientemente nota e spiegata come espressione di devozione popolare del XVII-XVIII secolo48 (fig. 5). Qui si aggiunge che si riconoscono almeno due strati di decorazione dipinta lungo i margini dell’edicola: infatti si riscontra uno strato più antico con fascia rossa delimitate da filettatura nera. Il motivo a triangoli o a zig-zag della parte alta della nicchia, d’altro canto, trova confronto in quello analogo presente nelle pareti del presbiterio e nei conci d’imposta dell’arco di trionfo di Santa Venera.

 

Ricordiamo, infine, due chiese rupestri, entrambe nella vallata del Pozzo dei Pruni, San Silvestro e San Pancrazio, ora distrutte, per le quali non si hanno finora a disposizione documenti che possano aiutare a risalire alla loro origine, ma che certamente erano in funzione ancora nel XVII secolo, allorquando vengono registrate fra le chiese minori ancora in funzione dal Carrafa49.

La grotta di San Silvestro de Silva, nell’omonima contrada (vanella S. Silvestro, n.c. 1; proprietà Salvatore Iabichino), sulla via che porta al Mauto, sorta in un’area cimiteriale tardoromana a giudicare da un arcosolio bisomo risparmiato dalle successive escavazioni rupestri, è stata recentemente trasformata in modo deleterio e nulla resta degli affreschi (quadretti nella parete di fondo, Madonna con Santi) dei quali dà qualche confuso cenno F.L. Belgiorno50; di essa si può dire soltanto che era aperta ad Oriente.

Non è più nota, invece, l’esatta ubicazione della grotta di San Pancrazio che doveva trovarsi nella zona dell’omonima fontana51. Che la chiesa fosse in una grotta ci viene detto da Padre Agostino da Alimena52.

 

 

NOTE

 

* Esprimiamo i nostri ringraziamenti al prof. Giuseppe Raniolo per averci agevolato nella lettura di alcuni documenti di archivio, all’architetto Fortunato Pompei per gli schizzi planimetrici delle figure 1, 2, 4 e 5, e al geometra Salvatore Rabbito per quello della fig. 3. (Gli Autori).

 

(1) A. SCIVOLETTO, Una questione meridionale. Le grotte abitate di Modica, Milano 1973.

(2) Cfr. G. COLOMBO, Collegium Mothycense degli Studi Secondari e Superiori (Modica 1630-1767; 1812-1860), Modica 1993, pagg. 41-46.

(3) A.M. SAMMITO, Una prima notizia sulla chiesa rupestre di Santa Venera, in Archivum Historicum Mothycense, 2, 1997, pagg. 41-48.

(4) Relativamente alla chiesa seicentesca vi è un atto di fondazione di messe rogato presso il notaio Egidio Ragusa (non Pietro Conte, come indicato da F.L. BELGIORNO, Modica e le sue chiese, Modica 1953, pag. 198), da parte del canonico Francesco Ciaceri, per il quale v. Archivio di Stato, Modica (d’ora in poi abbreviato in A.S.M.), Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II), ff. 861-862; non viene, però, indicata la data.

(5) P. CARRAFA, Motucae illustratae descriptio seu delineatio, Panormi 1653, volgarizzato da F. RENDA, Prospetto corografico istorico di Modica, Modica 1869, rist. anast. Bologna 1977, pag. 30.

(6) v. R. JANIN, Santa Parasceve, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, vol. X, Roma 1968, col. 330.

(7) A.S.M., Lettere Patenti, vol. VII, f. 123/R.

(8) Su San Nicolò Inferiore, v. G. DI STEFANO, La chiesetta rupestre di San Nicolò Inferiore a Modica, Modica, 19962; IDEM, L’insediamento rupestre di Modica. Prime indagini, in Sicilia Archeologica XXIX, 1996, pagg. 182-183, e A. MESSINA, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo 1994, pagg. 41-46.

(9) P. NIFOSI’, Due chiese tardobarocche. San Pietro di Modica e San Michele di Scicli, Modica 1979, pag. 38.

(10) V.G. RIZZONE - A.M. SAMMITO, Notizie preliminari sulle chiese semirupestri di Santa Maria della Provvidenza e San Rocco a Modica, in Archivum Historicum Mothycense 3, 1997, pag. 48, nota n. 8.

(11) Dal testamento di Don Pietro Rizzone del 30 marzo II Ind. 1709 si è a conoscenza della presenza di un altare dedicato a San Francesco: A.S.M., notaio Giambattista Giuca (252), vol. 11, ff. 496/R-498/V. Nel testamento di Don Francesco Rizzone del 23 novembre 1a Ind. 1722 è menzionato un altare del Santissimo Crocifisso della stessa chiesa: v. A.S.M., notaio Francesco Paolo Lantieri (260), anni 1722-1723, ff. 135/R-138/V e, in particolare, f. 137/R: “missa quotidiana in dicta eccl. Sancti Nicolai in altare S.mi Crucifixi”. Per altre fondazioni di messe e benefici dal 1667 a1 1712, v. Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II), presso A.S.M., ff. 586/R e 587/R-V.

(12) BELGIORNO, Modica e le sue chiese, cit., pagg. 171-172, da cui dipende G. DI STEFANO, La chiesetta rupestre..., cit., pagg. 10 e 23.

(13) A.S.M., notaio Giacomo Radosta (204), vol. 44, ff. 817/R-819/R e ff. 859/R-863/R., atti dei quali si riportano i passi più significativi per l’argomento: “meum fragile cadaver sepeliri et humari intus ven. eccl. Sancte Marie Jesus huius predicte civitatis Motuce in fovea mea noviter facta in una cappella sub titulo Sancti Spiritus” (f. 859/V); “duas missas singula hebdomada in altare de cappella Sancti Spiritus unam in die lunis aliam in die iovis” (f. 862/R); “disposuisse et mandasse quod heres... celebrari facere iure servimenti et non beneficii duas missas qualibet hebdomada unam in die lunis et aliam in die iovis in altare cappelle dicte de Grimaldis in Ecclesia Sancte Marie Jesus” (f. 817/V); “corpus suum... sepeliri et humari velle intus ven. eccl. Sancte Marie Jesus huius civitatis Motuce in eius cappella sub titulo Sancti Spiritus” (f. 818/V). Quanto all’altro atto menzionato da Belgiorno e riportato da Di Stefano, si tratta di una fondazione di messe nelle chiese dello Spirito Santo e di San Nicolò Superiore da parte di donna Antonia Grimaldi, vedova del predetto Giuseppe, con testamento dell’11 novembre 1644, per il quale v. A.S.M., notaio Lorenzo Giardina (225), vol. 15, f. 128/R et seqq.; e Archivio de Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II), f. 836. Anche la vedova Grimaldi vuole essere seppellita nella cappella della chiesa di Santa Maria del Gesù.

(14) A.S.M., Archivio de Leva, parte Vicariato, vol. 40-42 (VII); la chiesa compare anche nella Nota di tutte le chiese destrutte di questo ambito di S. Pietro dell’Abate De Leva, per la quale, v. ibidem.

(15) In modo simile la chiesa di Santa Maria della Pietà a Noto Antica venne impiantata, nel 1498, laddove era una grotta con le immagini della Vergine, di Cristo, di San Giovanni Evangelista e di Santa Venera (V. LITTARA, De rebus netinis, Panormi 1593, ed. a cura di F. BALSAMO, Storia di Noto Antica, Roma 1969, pag. 89; v. anche F. BALSAMO, La pittura rupestre della Madonna della Scala alla luce delle fonti e della critica storica, in Atti e Memorie dell’ISVNA XVI, 1985, pagg. 31-38.

(16) Per i dettagli rinviamo al citato RIZZONE - SAMMITO, Notizie preliminari... Ai documenti riportati si aggiunga A.S.M., Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II), “Chiese, Cappellanie e Benefici di Modica”, Modica, ff. 494 e 495, relativamente a fondazioni di messe fino al 1712.

(17) Per Santa Maria la Cava v. M. TRIGILIA, La Madonna della Cava di Ispica, in Pagine del Sud, anno X, n. 2, giugno 1994, pagg. 18-21; MESSINA, ...Val di Noto, cit., pagg. 80-83; per San Sebastiano, ibidem, pag. 83; per Santa Maria della Rocca, ibidem, pagg. 131-132; per Santa Maria Adonai v. G. AGNELLO, L’architettura bizantina in Sicilia, Firenze 1952, pagg. 236-242, figg. 148-151, dis. 48, e A. MESSINA, Le chiese rupestri del Siracusano, Palermo 1979, pagg. 86-87.

(18) MINARDO, Modica antica..., pagg. 146-148.

(19) MESSINA, ...Val di Noto, cit., pagg. 49-50.

(20) Per San Nicola a Cava Ispica v. MESSINA, ...Val di Noto, cit., pagg. 65-68; per Santa Febbronia, ibidem, pagg. 117-124.

(21) MESSINA, ...Siracusano, cit., pag. 147; IDEM, ...Val di Noto, cit., pag. 153.

(22) G. RANIOLO, Introduzione alle consuetudini ed agli istituti della Contea di Modica, vol. II, Introduzione agli istituti, Modica 1987, pag. 133.

(23) Per i motivi floreali in rosso su fondo giallo, cfr. quelli della chiesa semirupestre di San Rocco, per cui v. RIZZONE-SAMMITO, Notizie preliminari..., cit., pag. 53.

(24) V.G. RIZZONE, Un’anonima chiesa rupestre nell’agro modicano, Modica 1995, pag. 13.

(25) CARRAFA, Prospetto corografico..., pag. 30. Nonostante i dubbi espressi da RENDA, ibidem, pag. 175 nota nr. 36, il toponimo è confermato da un passo del testamento di Rocco Zacco del 10 novembre 1646: A.S.M., notaio Giacomo Radosta (204), vol. 53, f. 73/R: “voluit ipse testator et vult quod ... celebrantur tot misse ... intus ven. eccl. Dive Marie Racomandate sub titulo Pontis (sic !) Pietatis in altare S.ti Antonii de Padua...”, in un documento dell’A.S.M., Archivio De Leva, Parte Vicariato, vol. 46 (II), f. 550: “Chiesa della Madonna della Pietà seu Raccomandata” ed in un terzo citato appresso. Per altre fondazioni di messe, v. A.S.M., Archivio De Leva, Parte Vicariato, vol. 43-44 (2-3), (1540-1840).

(26) CARRAFA, Prospetto corografico..., cit., pag. 77.

(27) A.S.M., notaio Francesco Rizzone (209), vol. 31, ff. 171/V-184/V.

(28) A.S.M., notaio Egidio Ragusa (223), vol 2, ff. 229/R-230/R.

(29) A.S.M., notaio Lorenzo Giardina (225), vol. 5, ff. 917/R-923/R; nello stesso volume, sullo stesso argomento, vv. ff. 905/R et seqq.; 925/R-927/V; 993/V-999/R; v. anche BELGIORNO, Modica e le sue chiese..., cit., pagg. 157-158.

(30) A.S.M., notaio Lorenzo Giardina (225), vol. 15, ff. 215/V-216/R e ff. 217/V-218/R; in questi documenti risulta ‘procurator monasterii construendi’ Giambattista Pullara, in luogo di Vincenzo Pullara nominato nel 1635 dalla stessa Margherita Ferraro.

(31) Ricordiamo, in particolare, le trasformazioni su progetto dell’ing. S. Toscano, per cui v. Statuto e documenti per l’Asilo Infantile di Modica, Modica 1878, pagg. 17-18.

(32) Per la data di costruzione dell’attuale chiesa vedi V. AMICO, Dizionario Topografico della Sicilia, tradotto dal latino e continuato sino ai nostri giorni per G. DI MARZO, vol. II, Palermo 18592, pag. 151.

(33) Per l’estensione del quartiere Cartellone, v. RIZZONE-SAMMITO, Notizie preliminari..., cit., pagg. 47 e 53, nota n. 18.

(34) MINARDO, Modica antica..., cit., pag. 136, nota 1; v. anche P. REVELLI, Il Comune di Modica, Palermo 1904, pag. 205, nota 1: “Sciauru: entro la grotta sorgeva una piccola chiesa, ora rovinata, detta di Exaudi-nos, a cui traevano i fedeli, specialmente del q.re Cartellone”.

(35) RANIOLO, Introduzione..., cit., pag. 133.

(36) A.S.M., notaio Egidio Ragusa (223), vol. 8, ff. 394/R-395/R; per altri documenti relativi alla chiesa rogati presso lo stesso notaio nel 1644 e 1645, vedi vol. 9, f. 95/V; f. 353/R-V.

(37) BELGIORNO, Modica e le sue chiese..., cit., pag. 152, e A.S.M., Archivio de Leva, parte Vicariato, vol. 45 (I), f. 316, citano un atto del 13 dicembre 4a Ind. 1650, dello stesso Corrado Di Stefano rogato presso il notaio Pietro Calabrese, che non è stato possibile ritrovare. Per un’altra fondazione di messe, v. il testamento di don Pietro di Mauro del 25 novembre 1699: A.S.M., notaio Giambattista Giuca (251), vol. 2, ff. 57/R-74/V; nel documento, peraltro, la chiesa è menzionata “extra menia” (f. 59/R) e come esistente “in q.ta de lo Turbazzo” (f. 65/R); tale fondazione di messe venne trasferita, l’11 giugno 1855, dalla “chiesa rovinata sotto il titolo di Sa Maria Esaudiente, nell’Oratorio, o Chiesetta di queste Carceri di Modica”, per cui v. A.S.M., Archivio De Leva, vol. 40-42 (VII), (1665-1860). Su Santa Maria di Exaudinos, v. ancora A.S.M., notaio Francesco Paolo Lantieri (260), vol. anni 1722-1723, f. 54/V, per un documento del 27 maggio I Ind. 1723.

(38) Pianta topografica della Città di Modica dell’architetto Salvatore Toscano da Catania, del 21 settembre 1839, conservata presso il Museo Civico “F.L. Belgiorno” di Modica; v. anche nota precedente.

(39) Oltre al documento citato alla nota nr. 37, v., inoltre, A.S.M., Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. VII: “Nota delle chiese distrutte dell’ambito di San Pietro”, s.d., ma anteriore al 1857.

(40) RENDA, Prospetto corografico..., cit., pag. 177, nota 41.

(41) Per San Filippo, v. RIZZONE - SAMMITO, Notizie preliminari..., cit., pagg. pag. 47 nota n. 7;  per San Rocco, v. ibidem, pagg. 51-56; ai documenti ivi citati si aggiungono il testamento di don Gaspano di Fede del 7 luglio XIII Ind. 1645, il quale lascia agli eredi il compito di far celebrare duas missas die dominico, unam intus ven eccl. Sancti Rocci prope hanc Civitatem, aliam [...] die dominico in ven. eccl. Sancti Philippi huius predicte civitatis, per il quale v. A.S.M., notaio Giacomo Radosta (204), vol. 52, ff. 1217/V-1218/R; ed un documento senza data, ma verosimilmente di poco o immediatamente successivo al 1830, inerente una controversia con l’Amministrazione di San Pietro per l’esazione della rendita di San Rocco, che si intende impiegare per ricostruire la chiesa “quasi destrutta”; per esso, v. A.S.M., Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. 40-42 (VII) (1665-1860).

(42) MESSINA, ...Val di Noto, cit., pagg. 47-48; Santa Maria della Purificazione era stata ubicata da Belgiorno (Modica e le sue chiese, cit., pagg. 138-140) nel casolare Buffa, nel quale gli scriventi hanno invece riconosciuto le chiese di Santa Maria della Provvidenza e di San Rocco, per cui v. RIZZONE-SAMMITO, Notizie preliminari..., cit. e  supra.

(43) CARRAFA, Prospetto corografico-istorico..., cit., pag. 75.

(44) RIZZONE - SAMMITO, Notizie preliminari..., cit., pag. 46, nota nr. 2.

(45) BELGIORNO, Modica e le sue chiese, cit., pag. 172.

(46) RIZZONE - SAMMITO, Notizie preliminari..., cit., pagg. 47-48.

(47) La Santa è patrona dei negozianti di panni: v. J.E. GUGUMUS, Orsola e compagne, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, vol. IX, Roma 1967, col. 1259; cfr. MESSINA, ...Val di Noto, cit., pag. 48.

(48) G. DI STEFANO, Recenti indagini sugli insediamenti rupestri nell’area ragusana, in Atti VI Convegno Internazionale di studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia, Catania - Pantalica - Ispica, 7-12 settembre 1981, a cura di C.D. FONSECA, Galatina 1986, pag. 265; MESSINA, Val di Noto, cit., pagg. 48-49.

(49) CARRAFA, Prospetto corografico-istorico..., cit., pagg. 32 e 83.

(50) BELGIORNO, Modica e le sue chiese, cit., pagg. 191-192.

(51) CARRAFA, Prospetto corografico-istorico..., cit., pagg. 31, 75 e 83, registra la chiesa distinguendola dal noto monastero di Cava Ispica ormai non più attivo. Attribuisce a San Pancrazio di Modica le notizie relative a San Pancrazio di Cava Ispica, invece, BELGIORNO, Modica e le sue chiese..., cit., pagg. 184-186.

(52) P. AGOSTINO DA ALIMENA, Per la storia municipale della città di Modica: antichità del Cristianesimo, in Siciliana, Siracusa, aprile-maggio 1927, pag. 64; purtroppo non è stato finora possibile trovare l’articolo, citato da AGNELLO, L’architettura bizantina..., cit., pag. 146.