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Nuovi dati sulla ‘tarda architettura rupestre’ di carattere sacro
a Modica *
di V.G. Rizzone e A.M. Sammito
Nel corso
del ’500 e del ’600, nel Val di Noto, dopo il grande fiorire degli insediamenti
rupestri, si assiste ad una continuazione ed anche ad una ripresa del culto
praticato nelle grotte. Per la spiegazione del fenomeno si possono indicare due
componenti: una è di carattere naturale ed è connessa alle condizioni
geofisiche del territorio: ne è testimonianza il fatto che l’“architettura
ottenuta per via di levare” ha qui una lunga tradizione che affonda le sue
radici nell’età preistorica ed ha manifestato vitalità fino a non molti decenni
fa1. Non è estranea, però, anche una seconda componente: il revival
nello spirito controriformista: nonostante si tratti molto spesso di
espressioni di devozione popolare - episodi minori, ma non per questo
trascurabili -, le tarde chiese rupestri si inseriscono anch’esse nel quadro
del grande fervore della edilizia sacra dei secoli XVI e soprattutto XVII2.
In
particolare, nel sito dell’attuale centro urbano di Modica, si può
distinguere, fra antiche chiese rupestri che vengono opportunamente ristrutturate,
quasi sempre con l’adattamento di parti in muratura, e chiese rupestri e
semirupestri che vengono impiantate ‘ex novo’.
Rientrano nel
primo caso le chiese di Santa Venera e San Nicolò Inferiore.
La chiesa
rupestre di Santa Venera3, nel quartiere Porta
d’Anselmo (Catena), la cui documentazione più antica risale agli inizi del
XIV secolo, subì rifacimenti certamente nel corso del XVII secolo dovuti, molto
probabilmente, ad un distacco della roccia della ripida scarpata nella quale è
scavata la chiesa4. In seguito al crollo vennero costruite in
muratura le pareti meridionale ed occidentale, mentre vennero mantenute le
pareti orientale e settentrionale tagliate nella roccia con gli affreschi della
Santa titolare e della Mater Domini della fase originaria. La chiesa
seicentesca presenta una pianta rettangolare di m. 5,50 x 4,10, con abside
quadrangolare rivolta ad Est ed ingresso ad Ovest non in asse con l’invaso
della chiesa. Un arco a tutto sesto in muratura distingue l’aula dalla zona
presbiteriale costituita dal vecchio antro; per illuminare questa parte
recondita fu aperta nella parete in muratura, che sovrasta l’arco, una finestra
in asse con l’ingresso. Sulle pareti venne steso uno strato di intonaco; nella
parete meridionale e occidentale del
presbiterio, nei piedritti e nei conci di imposta dell’arco di trionfo,
in particolare, venne maldestramente eseguito a mano libera sull’intonaco un
motivo decorativo a triangoli fra filettature rosse e gialle. Un ambiente
attiguo, già parte dell’originario ingrottamento, venne quindi utilizzato,
molto probabilmente, come alloggio-sagrestia e comunque come vano di servizio
della chiesa con nicchie sulla parete di fondo che svolgevano la funzione di repositoria.
Riguardo a
Santa Venera, ancora, una notazione merita la titolatura: secondo Carrafa la
chiesa fu dedicata “a Sant’Anna e Santa Venera o Santa Veneranda”5,
associazione forse nata dalla comune data del giorno festivo fissato al 26
luglio6; la notizia non è altrimenti confermata, ma è certo che nel
1649 si stava per costruire una nuova chiesa dedicata a Sant’Anna “nello
quartiere di Porta d’Anselmo et in contrata di S. Venera”7, della
quale si è però poi persa la memoria.
Anche per San
Nicolò Inferiore - o Santo Nicolella, per distinguerla da San Nicola a
Modica Alta - la prima documentazione certa risale agli inizi del XIV secolo,
ma ci sono valide ragioni per datare il suo impianto originario se non già alla
fine dell’XI secolo, almeno nel XII secolo8.
Quantunque
nel 1577 la Parrocchia, per mancanza di rendite, fosse soppressa ed aggregata a
quella della vicina Chiesa di San Pietro9, l’ambiente, fra il XVI ed
il XVII secolo, subì una serie di interventi radicali che la trasformarono in
una chiesa semirupestre: forse in seguito ad un crollo che interessò la parte
avanzata dell’aggrottamento, soltanto l’area presbiteriale rimase ipogeica; la
parte superstite del soffitto roccioso fu puntellata con due pilastri,
ulteriormente contraffortati in un secondo momento; venne costruita una navata
in muratura le cui pareti parzialmente obliterarono la roccia con le pitture
parietali; ad Est, a fianco dell’abside, venne scavata una nicchia rettangolare
che taglia gli affreschi della seconda fase; sulle pareti furono stesi altri
affreschi: quello di San Giacomo nel presbiterio e delle formelle nel muro di
destra10. Nella quarta fase, si rinuncerà a mantenere qualsiasi
parte scavata nella roccia, e si costruirà, piuttosto, una nuova chiesa in
muratura11. Non risulta altrimenti che, come dice il Belgiorno12,
qui si sia trasferito il culto dello Spirito Santo dopo il 1693; forse la
notizia è nata da un’erronea interpretazione di un altro documento riferito dal
Belgiorno: il testamento di don Giuseppe Grimaldi, del 23 giugno II Ind. 1634
con codicilli del 26 giugno: il testatore fonda messe di lunedi e di giovedi
nella cappella dello Spirito Santo, dove vuole peraltro essere seppellito in
una tomba da poco preparata: ma nella chiesa di Santa Maria del Gesù !13.
Un
documento del 27 maggio 1835, infine, si rivela interessante per la menzione
della grotta attigua alla chiesa in muratura e la conferma della sua
identificazione: è una lettera con la quale il proprietario, Antonino Rizzone,
offre all’Amministratore Generale dell’Opera di San Pietro di "locare
la casalena dell’abolita Chiesa di Santo Nicolella, che confina colla grotta di
essa Chiesa attualmente possessa da Maestro Rajmondo Lorefice, e due pubbliche
vie previa la trasformazione in abitazione: voltarci il dammuso, alzare le
fabbriche per formare una casetta con diverse stanze di sopra, aprire dei
finestroni e farci la porta d’entrata in mezzo la strada che conduce al
Castello, o di rimpetto al portone della casa del Sig. Don Pasquale Denaro,
opure in quel luogo che sarà più commodo per abitare la casetta indipendente al
dammuso"14.
Non
dissimilmente modifiche occorsero anche in una chiesa che dovrebbe, in realtà,
essere inclusa fra quelle di nuovo impianto in quanto le trasformazioni si
verificano a distanza di breve tempo dalla fondazione: si tratta di Santa
Maria della Provvidenza, nella periferia settentrionale dell'attuale
sito urbano: nel 1662 l’Università di Modica decide di impiantare la chiesa in
un antro che faceva da pendant alla vicina chiesa di San Rocco ed in cui
preesisteva una miracolosa raffigurazione della Madonna fra San Filippo e
Sant’Orsola15; in un periodo non molto successivo, che forse si può
riportare a dopo il terremoto del 1693, viene costruita una chiesa mononave, il
cui presbiterio è separato dall’aula con un arco di trionfo che delimita il
precedente antro; quest’ultimo viene foderato da cortine di muratura che però risparmiarono
l’affresco miracoloso di cui si è detto16.
Santa
Venera, San Nicolò Inferiore e Santa Maria della Provvidenza sono tre casi di
trasformazioni: esse sono accomunate dal fatto che le precedenti chiese
rupestri divengono zone presbiteriali, il fulcro di nuove chiese costruite, per
il resto, in muratura; è il caso anche di Santa Maria la Cava e San Sebastiano
a Spaccaforno, di Santa Maria della Rocca a Caltagirone e di Santa Maria Adonai
presso Brucoli17.
Prima di
passare alle chiese rupestri e semirupestri di nuovo impianto, occorre dire di Santa
Alessandra nella vallecola dell’Ufra, della quale qui si
presenta uno schizzo planimetrico (fig. 1): questa, nota per la prima volta
grazie a S. Minardo18, per via della titolatura è stata assegnata al
XVII secolo19, ma per la sua articolazione planimetrica - semplice
aula di m. 4 x 7 circa, con abside rialzata in uno dei lati corti ed ingresso
da uno dei lati lunghi, in prossimità dell’abside - confronti si possono
istituire con quelle di chiese rupestri già assegnate al XIV secolo circa: San
Nicola o Grotta della Madonna a Cava Ispica, la citata Santa Maria la Cava a
Spaccaforno e Santa Febbronia a Palagonia20. A ciò si aggiungano
l’assenza nel novero delle chiese modicane del Carrafa (1653), che però è un argumentum
ex silentio, ed il fatto che la stessa titolatura sia incerta: “detta di
Santa Alessandra”, riferisce il Minardo. La trasformazione in cisterna, così
come nella chiesa di Sant’Elia ad Avola Antica21, ha comportato
l’obliterazione dell’ingresso originario, lo sfondamento del soffitto di roccia
sostituito da una copertura a doppia falda, lo scavo di una rampa di gradini
lungo il lato sud-orientale per assicurare un nuovo accesso e la perdita degli
affreschi, minime tracce dei quali, però, si riscontrano laddove si è scrostato
lo spesso strato dell’impermeabile intonaco idraulico che ha rivestito la
cisterna.
Fra le
chiese rupestri e semirupestri di nuovo impianto ricordiamo
(oltre alla citata Santa Maria della Provvidenza), nella collina di
Monserrato, tre sacelli (fig. 2) disposti, a breve distanza
l’uno dall’altro, lungo il viottolo che dal santuario della Madonna delle
Grazie conduce in cima, a Santa Maria di Monserrato, grosso modo lungo un
tratto del limite della fiera della Madonna delle Grazie22: si
tratta, molto probabilmente, di espressioni di devozione popolare collegati al
miracoloso rinvenimento del quadro della Madonna nel 1615 o
all’itinerario-pellegrinaggio verso Santa Maria di Monserrato.
Il più
alto (fig. 2,3), rovinato dai crolli e da una latomia ed in parte
interrato, ha l’unica parete apprezzabile per intero modulata sull’unità di
misura del palmo siciliano: la parete di fondo è otto palmi, corrispondenti ad
una canna (m. 2,08); l’ingrottamento è fornito, nella parete sinistra, di un
piccolo repositorium (alto m. 0,26, largo m 0,22 e profondo m. 0,14) già
munito di sportello in legno del quale restano gli scassi per i cardini. Nella
parete di fondo è un pannello palinsesto alto m. 1,20 e largo m. 1,34, di cui
si conservano frustuli: lo strato più antico è inquadrato da una fascia rossa e
con ripartizioni interne delimitate da filettature e fasce rosse e gialle e con
motivi fitomorfi in rosso su fondo giallo23, e presenta al centro la
Madonna con il Bambino monocroma in rosso vinaccia; lo strato più recente è
marginato in alto da una fascia di colore nero; del soggetto mariano sono
riconoscibili i nimbi dorati ed alcuni dettagli (incarnato delle labbra) del
volto del Bambino.
Il secondo
sacello (fig. 2,2) è alquanto rovinato: sono crollati il soffitto roccioso
e la parte avanzata, sostituita poi da tampogno in muratura; è stato ampliato
verso Est ed attualmente è in parte interrato; quel che resta dell’impianto
originario è la parete di fondo larga m. 2,50 circa e parte della parete
occidentale conservatasi per una lungheza di m. 1,60 circa. Nella parete
meridionale restano tracce di un grande pannello pittorico, esteso quanto la
parete originaria, ormai pressoché illegibile: si distinguono forse almeno due
nimbi, due mani di cui una stretta a pugno e l’altra che regge un oggetto non
identificabile (rotolo, chiavi ?), tracce di un panneggio verde con
ombreggiature delle pieghe rese con colore nero; il pannello è delimitato a
destra e a sinistra da larghe cornici di colore marrone con motivi vegetali
sovraddipinti in bianco e superiomente è delimitato da una triplice fascia
rossa, bianca e grigia; nella parete occidentale, il pannello pittorico è
caratterizzato come secondario: mancano le complicate cornici sostituite da semplici
filettature rosse ed anche il soggetto è reso in maniera più semplificata; esso
è, però, chiaramente distinguibile: un santo vescovo con il pastorale e con il
pallio decorato con croci sovraddipinte in bianco; restano tracce, inoltre, di
un secondo pannello.
Il terzo
ipogeo (fig. 2,1) si conserva integralmente (m. 4 x 4 circa), e
all’interno, nella parete di fondo, rimangono solo tracce di un pannello
pittorico palinsesto alto m. 1,05 e largo m. 0,90 circa: cornice gialla
marginata da filettature nere su uno strato più antico del quale resta solo
traccia di colore rossastro.
Si
segnalano, ancora, lungo lo stesso percorso, due edicole: una, in alto,
alla fine del viottolo, quasi sul pianoro di Monserrato, è larga m. 1,16, alta
m. 1,10 e profonda m 0,50; la seconda, fra il primo ed il secondo sacello, è
alta m. 0,6, larga m. 0,90 e profonda m. 0,50, e nella parete di fondo ancora
conserva tracce di un pannello pittorico inquadrato da una fascia rossastra
marginata da filettature nere; ai lati dell’edicola sono presenti due canalette
di sgrondo.
Inserita
nel declivio della stessa collina, ma nel versante del torrente San Liberale,
sull’attuale via Nazionale che sale
verso il quartiere Sacro Cuore, è la chiesa rupestre della Madonna delle
Grazie, di cui, nonostante le manipolazioni occorse nel 1921, è
possibile leggere ancora parte dell’originaria articolazione planimetrica (fig.
3): si tratta di un camerone ipogeico a pianta quadrangolare di circa 6,5 m. di
lato, con altare a nicchia - alta m. 1,60, larga m. 1,64 e profonda m. 0,63 -
nella parete di fondo, davanti alla quale dobbiamo supporre addossato un banco
di legno; non si conserva alcuna traccia di affreschi alle pareti.
Risalenti
alla data citata, riportata nel concio di chiave dell’arco di ingresso che
regge al colmo una croce, sono le modifiche apportate successivamente: il
prospetto in muratura in linea con la sistemazione della via Nazionale e
l’ambiente in muratura con l’altare che accoglie il gruppo della Madonna con il
Cristo, forse già collocato nella nicchia parietale, copia ridotta della
versione originale del noto gruppo in cartapesta conservato nel Santuario della
Madonna delle Grazie. Soltanto un angusto ambulacro, in qualche modo illuminato
dalla luce proveniente da due finestre sul prospetto, è stato risparmiato dalla
costruzione realizzata all’interno della grotta24.
Carattere
semirupestre ha anche il Monastero della Raccomandata edificato
nella zona una volta denominata Monte di Pietà, laddove precedentemente
si elevava una delle torri della cinta muraria della città25. Venne istituito dalla nobildonna Margherita
Ferraro26 con atto rogato presso il notaio Francesco Rizzone del 5
gennaio 162827: monasterium in honorem dei construere cum
ecclesia sub titulo Sancte (sic !) Bonaventure et regula Sancte Clare seu
alterius regule, ma cambiò ben presto titolatura se in un documento del 9
ottobre 14a Ind. 1630 si legge “pro ven. eccl. S.te Marie Montis Pietatis sub
titulo della Ricomendata”28 e nel testamento della fondatrice del 23
maggio 1635 si legge: monasterium edificandum in hac civitate Motuce in
dicta ecclesia Sancte Marie Recomandate sub titulo Sancte Terese cum
observantia ven. Sancte Clare, locum per ipsam testatricem electum pro
edificando dicto monasterio vigore potestatis sibi reservate [...] in actis
notarii Francisci de Rizzone die 5 Januarii XIe Ind. 1628”29. Il
monastero risulta ancora da costruire in documenti del 10 e del 12 gennaio XIII
Ind. 164530.
Dietro le
fabbriche, più volte ristrutturate31, vi sono degli ambienti ipogeici
(fig. 4), ai quali si accede dalla lavanderia dell’attuale Istituto di Suore,
in gran parte invasi da detriti, fra i quali si segnalano diverse membrature
architettoniche della chiesa seicentesca. L’ultimo ambiente rupestre, per
quanto foderato da una cortina di muratura (cfr. nn. 6 e 7 in pianta),
costituiva una cappella della chiesa del primo terzo del XVII secolo; si
segnala la presenza di una grande pittura parietale stesa sulla muratura della
prima chiesa seicentesca, purtoppo non completamente visibile per via della
fabbrica dell’attuale chiesa costruita nel 185432.
Un discreto
numero di chiese rupestri e semirupestri sono od erano presenti nel quartiere
Cartellone; queste chiese potrebbero essere state impiantate dopo il 1492,
ovvero dopo l’espulsione degli Ebrei, ma non è esclusa una loro preesistenza a
questa data, tanto più se si considera che il toponimo può essersi esteso con
l’ampliarsi della città, ad includere aree periferiche che verosimilmente non
erano occupate da Ebrei33.
In primo
luogo ricordiamo una chiesa rupestre la cui titolatura è tramandata in diverse
varianti: “Santa Maria della Concezione sotto il titolo dello Xaudo”,
“Sancte Marie Consolationis sub titulo di lo Xaudo”, “Nostra Signora
dell’Audientia”, “Santa Maria Xaudi”, “Esaudiente”, “Exaudi nos”, o,
ancora, "grotta dello ‘Sciauru’ nel versante montagnoso dell’Itria,
assai rinomata per il suo frequentatissimo oratorio detto Exaudi-nos, già da
tempo distrutto"34; da osservare soltanto che
nell’appellativo ‘Sciauru’
(= Xaudo dei documenti d’archivio) deve riconoscersi una
storpiatura volgare di ‘Exaudi nos’.
La prima
menzione della chiesa risale al 1620, allorquando essa rappresenta un punto di
riferimento del perimetro della fiera della Madonna delle Grazie appena istituita:
...da decta chiesa (Nostra Signora dell’Itria) per linea recta per
insino alla Chiesa di Nostra Signora dell’Audientia; e da decta chiesa per
linea recta per insino alla Chiesa del serafico S. Francesco d’Assisi...”35,
ma verosimilmente doveva essere stata impiantata da tempo; infatti abbiamo
notizie di rifacimenti subìti grazie ad un documento del 25 giugno VII Ind.
163936: poiché Ecclesia Divae Mariae Conceptionis... sub titulo
de lo Xaudo his diebus preteritis elapsis cecidit... - tali Blasco Di Fede
e Corrado Di Stefano - ...ad eorum expensas pro anima et eorum devocione
illam fabricari fecerunt plus longitudinis, largitudinis et altitudinis: si
tratta evidentemente di una chiesa semirupestre che viene ampliata con parti in
muratura. All’interno vi era un altare dedicato al SS. Crocifisso37.
Per quanto
riguarda l’esatta ubicazione ricordiamo che in una pianta del 1839 risulta
posizionata fra la fine della via Turbazzo e la chiesa di Santa Maria
dell’Itria38, per quanto indicata come già diroccata. Forse si
trovava nell’ambiente semirupestre con l’attuale n.c. 31 della via Exaudi nos;
qui, sull’architrave dell’ingresso, è stato inserito il busto ad altorilievo di
un San Giuseppe certamente di riutilizzo. Sopralluoghi condotti all’interno,
tuttavia, hanno dato esito negativo. Essa compare nel novero delle chiese
distrutte anche nei documenti dell’archivio dell’abate De Leva39 e
nel Renda40.
Carattere
semirupestre ha la chiesa di San Rocco (prossima a quella di
Santa Maria della Provvidenza), anteriore al 1553, recentemente illustrata,
della quale, però, non conosciamo l’impianto originario.
Non
dissimile era l’impianto di San Filippo extra moenia41,
presso il quartiere Francavilla, ora distrutta.
Alle spalle
del Motel è un complesso rupestre con ampi e numerosi cameroni disposti su due
livelli, di cui quello inferiore è all’altezza del greto dello Janni Mauro;
esso è stato recentemente identificato con Santa Maria della
Purificazione o della Candelora42 menzionato
da Carrafa fra i “religiosi eremitaggi” di cui già al suo tempo si mantenevano
solo vestigi di antichità43. Tale identificazione, però, è
tutt’altro che certa44. In via ipotetica si può proporre che in uno
di questi ambienti, recentemente murato, in cui è stata riconosciuta una
chiesa, vi fosse il culto di Sant’Orsola, sulla base della ubicazione
del culto in questa zona da parte di Belgiorno45, localizzazione
avvalorata dalla tradizione orale, dal soggetto del pannello pittorico della
vicina chiesa di Santa Maria della Provvidenza46 e dal fatto che
nella zona vi fosse la presenza di concerie47.
Procedendo
sul sentiero che s'inerpica nella parte settentrionale della collina
dell’Itria, si trova la chiesa rupestre di San Giuseppe ‘u Timpuni,
sufficientemente nota e spiegata come espressione di devozione popolare del
XVII-XVIII secolo48 (fig. 5). Qui si aggiunge che si riconoscono
almeno due strati di decorazione dipinta lungo i margini dell’edicola: infatti
si riscontra uno strato più antico con fascia rossa delimitate da filettatura
nera. Il motivo a triangoli o a zig-zag della parte alta della nicchia, d’altro
canto, trova confronto in quello analogo presente nelle pareti del presbiterio
e nei conci d’imposta dell’arco di trionfo di Santa Venera.
Ricordiamo,
infine, due chiese rupestri, entrambe nella vallata del Pozzo dei Pruni,
San Silvestro e San Pancrazio, ora distrutte, per le quali non si hanno finora
a disposizione documenti che possano aiutare a risalire alla loro origine, ma
che certamente erano in funzione ancora nel XVII secolo, allorquando vengono
registrate fra le chiese minori ancora in funzione dal Carrafa49.
La grotta
di San Silvestro de Silva, nell’omonima contrada (vanella S.
Silvestro, n.c. 1; proprietà Salvatore Iabichino), sulla via che porta al Mauto,
sorta in un’area cimiteriale tardoromana a giudicare da un arcosolio bisomo
risparmiato dalle successive escavazioni rupestri, è stata recentemente
trasformata in modo deleterio e nulla resta degli affreschi (quadretti nella
parete di fondo, Madonna con Santi) dei quali dà qualche confuso cenno F.L.
Belgiorno50; di essa si può dire soltanto che era aperta ad Oriente.
Non è più nota, invece, l’esatta ubicazione della grotta di San Pancrazio che doveva trovarsi nella zona dell’omonima fontana51. Che la chiesa fosse in una grotta ci viene detto da Padre Agostino da Alimena52.
NOTE
* Esprimiamo i nostri
ringraziamenti al prof. Giuseppe Raniolo per averci agevolato nella lettura di
alcuni documenti di archivio, all’architetto Fortunato Pompei per gli schizzi
planimetrici delle figure 1, 2, 4 e 5, e al geometra Salvatore Rabbito per
quello della fig. 3. (Gli Autori).
(1) A. SCIVOLETTO, Una
questione meridionale. Le grotte abitate di Modica, Milano 1973.
(2) Cfr. G. COLOMBO, Collegium
Mothycense degli Studi Secondari e Superiori (Modica 1630-1767; 1812-1860),
Modica 1993, pagg. 41-46.
(3) A.M. SAMMITO, Una prima
notizia sulla chiesa rupestre di Santa Venera, in Archivum Historicum
Mothycense, 2, 1997, pagg. 41-48.
(4) Relativamente alla chiesa
seicentesca vi è un atto di fondazione di messe rogato presso il notaio Egidio
Ragusa (non Pietro Conte, come indicato da F.L. BELGIORNO, Modica e le sue
chiese, Modica 1953, pag. 198), da parte del canonico Francesco Ciaceri,
per il quale v. Archivio di Stato, Modica (d’ora in poi abbreviato in A.S.M.),
Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II), ff. 861-862; non viene, però,
indicata la data.
(5) P. CARRAFA, Motucae
illustratae descriptio seu delineatio, Panormi 1653, volgarizzato da F.
RENDA, Prospetto corografico istorico di Modica, Modica 1869, rist.
anast. Bologna 1977, pag. 30.
(6) v. R. JANIN, Santa
Parasceve, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, vol. X, Roma 1968, col.
330.
(7) A.S.M., Lettere
Patenti, vol. VII, f. 123/R.
(8) Su San Nicolò Inferiore, v. G.
DI STEFANO, La chiesetta rupestre di San Nicolò Inferiore a Modica,
Modica, 19962; IDEM, L’insediamento rupestre di Modica. Prime
indagini, in Sicilia Archeologica XXIX, 1996, pagg. 182-183, e A.
MESSINA, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo 1994, pagg. 41-46.
(9) P. NIFOSI’, Due chiese
tardobarocche. San Pietro di Modica e San Michele di Scicli, Modica 1979,
pag. 38.
(10) V.G. RIZZONE - A.M. SAMMITO, Notizie
preliminari sulle chiese semirupestri di Santa Maria della Provvidenza e San
Rocco a Modica, in Archivum Historicum Mothycense 3, 1997, pag. 48,
nota n. 8.
(11) Dal testamento di Don Pietro
Rizzone del 30 marzo II Ind. 1709 si è a conoscenza della presenza di un altare
dedicato a San Francesco: A.S.M., notaio Giambattista Giuca (252), vol.
11, ff. 496/R-498/V. Nel testamento di Don Francesco Rizzone del 23 novembre 1a
Ind. 1722 è menzionato un altare del Santissimo Crocifisso della stessa chiesa:
v. A.S.M., notaio Francesco Paolo Lantieri (260), anni 1722-1723, ff.
135/R-138/V e, in particolare, f. 137/R: “missa quotidiana in dicta eccl.
Sancti Nicolai in altare S.mi Crucifixi”. Per altre fondazioni di messe e
benefici dal 1667 a1 1712, v. Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II),
presso A.S.M., ff. 586/R e 587/R-V.
(12) BELGIORNO, Modica e le sue
chiese, cit., pagg. 171-172, da cui dipende G. DI STEFANO, La chiesetta
rupestre..., cit., pagg. 10 e 23.
(13) A.S.M., notaio Giacomo
Radosta (204), vol. 44, ff. 817/R-819/R e ff. 859/R-863/R., atti dei quali si
riportano i passi più significativi per l’argomento: “meum fragile cadaver
sepeliri et humari intus ven. eccl. Sancte Marie Jesus huius predicte civitatis
Motuce in fovea mea noviter facta in una cappella sub titulo Sancti Spiritus”
(f. 859/V); “duas missas singula hebdomada in altare de cappella Sancti
Spiritus unam in die lunis aliam in die iovis” (f. 862/R); “disposuisse et
mandasse quod heres... celebrari facere iure servimenti et non beneficii duas
missas qualibet hebdomada unam in die lunis et aliam in die iovis in altare
cappelle dicte de Grimaldis in Ecclesia Sancte Marie Jesus” (f. 817/V); “corpus
suum... sepeliri et humari velle intus ven. eccl. Sancte Marie Jesus huius
civitatis Motuce in eius cappella sub titulo Sancti Spiritus” (f. 818/V). Quanto all’altro atto menzionato da Belgiorno e
riportato da Di Stefano, si tratta di una fondazione di messe nelle chiese
dello Spirito Santo e di San Nicolò Superiore da parte di donna Antonia
Grimaldi, vedova del predetto Giuseppe, con testamento dell’11 novembre 1644,
per il quale v. A.S.M., notaio Lorenzo Giardina (225), vol. 15, f. 128/R
et seqq.; e Archivio de Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II), f. 836. Anche la
vedova Grimaldi vuole essere seppellita nella cappella della chiesa di Santa
Maria del Gesù.
(14) A.S.M., Archivio de
Leva, parte Vicariato, vol. 40-42 (VII); la chiesa compare anche nella Nota
di tutte le chiese destrutte di questo ambito di S. Pietro dell’Abate De
Leva, per la quale, v. ibidem.
(15) In modo simile la chiesa di
Santa Maria della Pietà a Noto Antica venne impiantata, nel 1498, laddove era
una grotta con le immagini della Vergine, di Cristo, di San Giovanni
Evangelista e di Santa Venera (V. LITTARA, De rebus netinis, Panormi
1593, ed. a cura di F. BALSAMO, Storia di Noto Antica, Roma 1969, pag.
89; v. anche F. BALSAMO, La pittura rupestre della Madonna della Scala alla
luce delle fonti e della critica storica, in Atti e Memorie dell’ISVNA XVI,
1985, pagg. 31-38.
(16) Per i dettagli rinviamo al
citato RIZZONE - SAMMITO, Notizie preliminari... Ai documenti riportati
si aggiunga A.S.M., Archivio De Leva, parte Vicariato, vol. 46 (II),
“Chiese, Cappellanie e Benefici di Modica”, Modica, ff. 494 e 495,
relativamente a fondazioni di messe fino al 1712.
(17) Per Santa Maria la Cava v. M.
TRIGILIA, La Madonna della Cava di Ispica, in Pagine del Sud,
anno X, n. 2, giugno 1994, pagg. 18-21; MESSINA, ...Val di Noto, cit.,
pagg. 80-83; per San Sebastiano, ibidem, pag. 83; per Santa Maria della
Rocca, ibidem, pagg. 131-132; per Santa Maria Adonai v. G. AGNELLO, L’architettura
bizantina in Sicilia, Firenze 1952, pagg. 236-242, figg. 148-151, dis. 48,
e A. MESSINA, Le chiese rupestri del Siracusano, Palermo 1979, pagg.
86-87.
(18) MINARDO, Modica antica...,
pagg. 146-148.
(19) MESSINA, ...Val di Noto,
cit., pagg. 49-50.
(20) Per San Nicola a Cava Ispica
v. MESSINA, ...Val di Noto, cit., pagg. 65-68; per Santa Febbronia, ibidem,
pagg. 117-124.
(21) MESSINA, ...Siracusano,
cit., pag. 147; IDEM, ...Val di Noto, cit., pag. 153.
(22) G. RANIOLO, Introduzione
alle consuetudini ed agli istituti della Contea di Modica, vol. II, Introduzione
agli istituti, Modica 1987, pag. 133.
(23) Per i motivi floreali in
rosso su fondo giallo, cfr. quelli della chiesa semirupestre di San Rocco, per
cui v. RIZZONE-SAMMITO, Notizie preliminari..., cit., pag. 53.
(24) V.G. RIZZONE, Un’anonima
chiesa rupestre nell’agro modicano, Modica 1995, pag. 13.
(25) CARRAFA, Prospetto
corografico..., pag. 30. Nonostante i dubbi espressi da RENDA, ibidem,
pag. 175 nota nr. 36, il toponimo è confermato da un passo del testamento di
Rocco Zacco del 10 novembre 1646: A.S.M., notaio Giacomo Radosta (204),
vol. 53, f. 73/R: “voluit ipse testator et vult quod ... celebrantur tot misse
... intus ven. eccl. Dive Marie Racomandate sub titulo Pontis (sic !) Pietatis
in altare S.ti Antonii de Padua...”, in un documento dell’A.S.M.,
Archivio De Leva, Parte Vicariato, vol. 46 (II), f. 550: “Chiesa della Madonna
della Pietà seu Raccomandata” ed in un terzo citato appresso. Per altre
fondazioni di messe, v. A.S.M., Archivio De Leva, Parte Vicariato, vol.
43-44 (2-3), (1540-1840).
(26) CARRAFA, Prospetto
corografico..., cit., pag. 77.
(27) A.S.M., notaio
Francesco Rizzone (209), vol. 31, ff. 171/V-184/V.
(28) A.S.M., notaio Egidio
Ragusa (223), vol 2, ff. 229/R-230/R.
(29) A.S.M., notaio Lorenzo
Giardina (225), vol. 5, ff. 917/R-923/R; nello stesso volume, sullo stesso
argomento, vv. ff. 905/R et seqq.; 925/R-927/V; 993/V-999/R; v. anche
BELGIORNO, Modica e le sue chiese..., cit., pagg. 157-158.
(30) A.S.M., notaio Lorenzo
Giardina (225), vol. 15, ff. 215/V-216/R e ff. 217/V-218/R; in questi documenti
risulta ‘procurator monasterii construendi’ Giambattista Pullara, in luogo di
Vincenzo Pullara nominato nel 1635 dalla stessa Margherita Ferraro.
(31) Ricordiamo, in particolare,
le trasformazioni su progetto dell’ing. S. Toscano, per cui v. Statuto e
documenti per l’Asilo Infantile di Modica, Modica 1878, pagg. 17-18.
(32) Per la data di costruzione
dell’attuale chiesa vedi V. AMICO, Dizionario Topografico della Sicilia,
tradotto dal latino e continuato sino ai nostri giorni per G. DI MARZO,
vol. II, Palermo 18592, pag. 151.
(33) Per l’estensione del
quartiere Cartellone, v. RIZZONE-SAMMITO, Notizie preliminari..., cit.,
pagg. 47 e 53, nota n. 18.
(34) MINARDO, Modica antica...,
cit., pag. 136, nota 1; v. anche P. REVELLI, Il Comune di Modica,
Palermo 1904, pag. 205, nota 1: “Sciauru: entro la grotta sorgeva una piccola
chiesa, ora rovinata, detta di Exaudi-nos, a cui traevano i fedeli,
specialmente del q.re Cartellone”.
(35) RANIOLO, Introduzione...,
cit., pag. 133.
(36) A.S.M., notaio Egidio
Ragusa (223), vol. 8, ff. 394/R-395/R; per altri documenti relativi alla chiesa
rogati presso lo stesso notaio nel 1644 e 1645, vedi vol. 9, f. 95/V; f.
353/R-V.
(37) BELGIORNO, Modica e le sue
chiese..., cit., pag. 152, e A.S.M., Archivio de Leva, parte
Vicariato, vol. 45 (I), f. 316, citano un atto del 13 dicembre 4a Ind. 1650,
dello stesso Corrado Di Stefano rogato presso il notaio Pietro Calabrese, che
non è stato possibile ritrovare. Per un’altra fondazione di messe, v. il
testamento di don Pietro di Mauro del 25 novembre 1699: A.S.M., notaio
Giambattista Giuca (251), vol. 2, ff. 57/R-74/V; nel documento, peraltro, la
chiesa è menzionata “extra menia” (f. 59/R) e come esistente “in q.ta de lo
Turbazzo” (f. 65/R); tale fondazione di messe venne trasferita, l’11 giugno
1855, dalla “chiesa rovinata sotto il titolo di Sa Maria Esaudiente,
nell’Oratorio, o Chiesetta di queste Carceri di Modica”, per cui v. A.S.M.,
Archivio De Leva, vol. 40-42 (VII), (1665-1860). Su Santa Maria di Exaudinos,
v. ancora A.S.M., notaio Francesco Paolo Lantieri (260), vol. anni
1722-1723, f. 54/V, per un documento del 27 maggio I Ind. 1723.
(38) Pianta topografica della
Città di Modica dell’architetto Salvatore Toscano da Catania, del 21
settembre 1839, conservata presso il Museo Civico “F.L. Belgiorno” di Modica;
v. anche nota precedente.
(39) Oltre al documento citato
alla nota nr. 37, v., inoltre, A.S.M., Archivio De Leva, parte
Vicariato, vol. VII: “Nota delle chiese distrutte dell’ambito di San Pietro”,
s.d., ma anteriore al 1857.
(40) RENDA, Prospetto
corografico..., cit., pag. 177, nota 41.
(41) Per San Filippo, v.
RIZZONE - SAMMITO, Notizie preliminari..., cit., pagg. pag. 47 nota n.
7; per San Rocco, v. ibidem,
pagg. 51-56; ai documenti ivi citati si aggiungono il testamento di don Gaspano
di Fede del 7 luglio XIII Ind. 1645, il quale lascia agli eredi il compito di
far celebrare duas missas die dominico, unam intus ven eccl. Sancti Rocci
prope hanc Civitatem, aliam [...] die dominico in ven. eccl. Sancti
Philippi huius predicte civitatis, per il quale v. A.S.M., notaio
Giacomo Radosta (204), vol. 52, ff. 1217/V-1218/R; ed un documento senza data,
ma verosimilmente di poco o immediatamente successivo al 1830, inerente una
controversia con l’Amministrazione di San Pietro per l’esazione della rendita
di San Rocco, che si intende impiegare per ricostruire la chiesa “quasi
destrutta”; per esso, v. A.S.M., Archivio De Leva, parte Vicariato, vol.
40-42 (VII) (1665-1860).
(42) MESSINA, ...Val di Noto,
cit., pagg. 47-48; Santa Maria della Purificazione era stata ubicata da
Belgiorno (Modica e le sue chiese, cit., pagg. 138-140) nel casolare
Buffa, nel quale gli scriventi hanno invece riconosciuto le chiese di Santa
Maria della Provvidenza e di San Rocco, per cui v. RIZZONE-SAMMITO, Notizie
preliminari..., cit. e supra.
(43) CARRAFA, Prospetto
corografico-istorico..., cit., pag. 75.
(44) RIZZONE - SAMMITO, Notizie
preliminari..., cit., pag. 46, nota nr. 2.
(45) BELGIORNO, Modica e le sue
chiese, cit., pag. 172.
(46) RIZZONE - SAMMITO, Notizie
preliminari..., cit., pagg. 47-48.
(47) La Santa è patrona dei
negozianti di panni: v. J.E. GUGUMUS, Orsola e compagne, s.v., in Bibliotheca
Sanctorum, vol. IX, Roma 1967, col. 1259; cfr. MESSINA, ...Val di Noto,
cit., pag. 48.
(48) G. DI STEFANO, Recenti
indagini sugli insediamenti rupestri nell’area ragusana, in Atti VI Convegno
Internazionale di studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno
d’Italia, Catania - Pantalica - Ispica, 7-12 settembre 1981, a cura di C.D.
FONSECA, Galatina 1986, pag. 265; MESSINA, Val di Noto, cit., pagg.
48-49.
(49) CARRAFA, Prospetto
corografico-istorico..., cit., pagg. 32 e 83.
(50) BELGIORNO, Modica e le sue
chiese, cit., pagg. 191-192.
(51) CARRAFA, Prospetto
corografico-istorico..., cit., pagg. 31, 75 e 83, registra la chiesa
distinguendola dal noto monastero di Cava Ispica ormai non più attivo.
Attribuisce a San Pancrazio di Modica le notizie relative a San Pancrazio di
Cava Ispica, invece, BELGIORNO, Modica e le sue chiese..., cit., pagg.
184-186.
(52) P. AGOSTINO DA ALIMENA, Per la storia municipale della città di Modica: antichità del Cristianesimo, in Siciliana, Siracusa, aprile-maggio 1927, pag. 64; purtroppo non è stato finora possibile trovare l’articolo, citato da AGNELLO, L’architettura bizantina..., cit., pag. 146.