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Il convento di S. Anna dei Minori osservanti riformati

a Modica nel 1650

 

di Giancarlo Poidomani*

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1. Fino al 1866[1] grandi e solenni edifici, oggi sede di istituzioni pubbliche, erano in gran parte complessi edilizi conventuali di Ordini religiosi maschili o femminili. Per Modica potremmo compilare una lista con almeno 10 casi a dimostrazione della rilevanza, in età moderna, di un clero regolare, maschile e femminile, fortemente radicato nel territorio urbano e in quello rurale, nonché del rilievo della stessa Città[2].

Tra questi edifici è il Palazzo S. Anna, che oggi è sede della fondazione culturale ‘Ente Autonomo Liceo Convitto’ (promotrice di questa rivista), oltre ad accogliere nelle sue grandi sale l’Archivio di Stato, con i suoi 17.000 fasci di documenti e due biblioteche, già private. Fino al secolo scorso, era convento francescano dei Minori osservanti riformati.

A Modica, presso il predetto Archivio di Stato (ASM), nel fondo Corporazioni religiose soppresse (CRS) troviamo 13, fra buste e registri, di documenti relativi al convento che vanno dal 1643 al 1873. Si tratta, per lo più, di libri di contabilità interna e di atti e scritture diverse che comprendono testamenti, lasciti e legati in favore del convento francescano.

In una delle prime buste si trova anche una breve storia della fondazione del convento, che ritroviamo – più ampliata – nella relazione scritta, nel febbraio del 1650, dal Padre Guardiano (ossia, ‘Superiore’) fra Crisostomo Colle da Piazza (Armerina), in occasione di una grande inchiesta promossa dal papa Innocenzo X sul clero regolare maschile di quasi tutti gli Stati italiani[3] e conservata oggi a Roma presso l’Archivio segreto vaticano (ASV). A tale ultima relazione faremo prevalente riferimento nel presente studio.

 

2. L’inchiesta innocenziana del 1650. L’indagine mirava a delineare un quadro della consistenza demografica e patrimoniale degli Ordini religiosi maschili e a valutare, per ciascun convento, la disponibilità di risorse sufficienti al mantenimento di una comunità religiosa non troppo esigua (il concilio di Trento aveva stabilito un numero minimo di 6 religiosi) e tale da poter garantire la regolarità delle funzioni di culto e l’osservanza regolare propria di ciascun istituto. Dopo la conclusione del Concilio tridentino si era infatti avuta una massiccia espansione degli Ordini regolari che, nel fervore suscitato dall’azione riformistica, avevano moltiplicato gli insediamenti nella penisola per svolgere la propria attività pastorale anche negli spazi geografici e demografici rimasti inoccupati nel tardo medioevo. L’incremento di conventi e monasteri, però, favoriva il sorgere di comunità lontane dal controllo delle autorità dei rispettivi Ordini e in cui l’esiguo numero di religiosi comportava spesso un rilassamento della vita spirituale[4]. Per evitare simili inconvenienti, sin dalla fine del XVI secolo, la S. Sede cominciò a prendere dei provvedimenti per limitare un proliferare incontrollato di ‘conventini’ (conventi con meno di sei religiosi).

L’inchiesta di Innocenzo X si inseriva in questo processo di riforma del clero regolare: ciascun convento avrebbe dovuto inviare alla Congregazione sopra lo stato dei regolari – istituita nel 1649 per tali scopi di riorganizzazione – una relazione sul proprio stato economico, demografico e patrimoniale. In base a tali relazioni la Congregazione avrebbe provveduto a sopprimere i conventi che non disponessero di risorse tali da garantire il mantenimento di una comunità “giuridicamente formata”, cioè con un minimo di sei religiosi.

 

Al di là dell’effettiva realizzazione degli scopi per i quali era stata promossa (su 6.238 conventi censiti, 1.513 furono soppressi ma, di questi, 362 furono riaperti pochi anni dopo in seguito a “suppliche” che sottolineavano come spesso i ‘conventini’ fossero l’unico punto di riferimento religioso e assistenziale per le popolazioni di zone rurali o impervie), l’inchiesta rappresenta, con la sua documentazione, una fonte preziosa per lo storico che voglia approfondire lo studio del clero regolare maschile in età moderna.

Gli atti dell’indagine ci permettono di delineare la distribuzione del clero regolare al momento del suo massimo sviluppo, di studiarne l’organizzazione materiale e l’assetto economico-patrimoniale, ricavando da ciascuna relazione notizie sulla popolazione dei Religiosi, sulla struttura del complesso edilizio conventuale, sulle entrate e su spese e uscite varie.

 

3. I Minori osservanti ‘riformati ’. Il convento di Modica era uno dei conventi dei Minori[5] osservanti riformati fondati nei primi decenni del Seicento in Sicilia. Il rifiuto assoluto di qualsiasi tipo di proprietà – terriera o edilizia – e di qualunque entrata, anche da censi e legati, per evitare pericoli di mondanizzazione dell’Ordine fondato da S. Francesco, aveva infatti spinto alcuni gruppi di frati ad operare una serie di scissioni all’interno dell’Ordine dei Frati minori, fin dalla prima metà del XIV secolo.

Dalla prima di queste scissioni era nata la Regolare Osservanza: nel 1446 il papa Eugenio IV concesse agli Osservanti l’autonomia, con Costituzioni, vicari generali e maestri provinciali propri. Nel 1517 Leone X, con la Bolla Ite vos, sancì la divisione dell’Ordine francescano in due blocchi autonomi (Conventuali ed Osservanti), riconoscendo il fallimento del tentativo dei movimenti dell’osservanza di realizzare la riforma degli istituti francescani di più antica origine e assegnando il primato giuridico ai Frati minori osservanti, che ricevettero il sigillo dell’Ordine[6].

Mentre nei primi decenni i Frati minori osservanti vissero quasi esclusivamente di elemosine e di cerche, a metà del Seicento la situazione era leggermente mutata: alcuni conventi avevano accettato donazioni di case e terreni, di gelseti e uliveti, di legati e censi in denaro per poter sopravvivere. A Modica il convento dei Minori osservanti era quello di S. Maria del Gesù, fondato dagli stessi Conti nel 1478, a sancire con tale munifica istituzione il matrimonio, ormai prossimo (1481), di Anna Cabrera, erede della Contea, con Federico Henriquez, ammiraglio di Pastiglia[7].

Ben presto anche tra gli Osservanti si affermarono diverse interpretazioni del concetto e dello stato di povertà: da quella più vicina ai Conventuali (più moderati) ad altre più rigide. Il desiderio di attuare la Regola francescana vivendo “in primaeva puritate” spinse alcuni frati a dar vita a un ulteriore movimento di Riforma che, con la bolla In suprema militantis Ecclesiae del 1532, fu approvato come Congregazione degli Osservanti ‘riformati’ da papa Clemente VII.

A differenza degli Osservanti, i Riformati decisero di vivere di pura elemosina, rifiutando di ricevere denaro per le messe e accettando soltanto elemosine di generi alimentari. In molti giorni dell’anno praticavano il digiuno e non possedevano beni immobili di alcun tipo. Nei casi in cui ricevevano un convento fondato precedentemente, rinunciavano, con atto pubblico, a tutte le rendite e ai beni precedentemente dati in dotazione allo stesso.

Nel 1639, Urbano VIII aumentò l’autonomia dei Riformati, elevando a province religiose – tutte con un proprio procuratore generale – le ‘Custodie’ di cui facevano parte almeno 12 conventi[8].

In Sicilia, la riforma fu introdotta verso il 1532 da fra Simone da Calascibetta. Nel 1579 fu eretta, da papa Gregorio XIII, la custodia del val di Mazara dalla quale, nel 1627, furono scorporate le custodie del val Demone e del val di Noto. Tutte e tre furono erette in ‘province’ nel 1639, quando contavano già 42 conventi[9].

Nel 1650 esistevano nell’isola 48 conventi con una popolazione complessiva di 814 frati[10]. Nonostante la maggior parte delle entrate fosse costituita da elemosine in natura e da offerte di generi alimentari, negli stati economici delle relazioni innocenziane tali elemosine venivano monetizzate. E’ possibile, dunque, quantificare in scudi le rendite e le uscite di ciascun convento. Coerentemente con lo spirito della ‘stretta osservanza’ della Regola francescana, i conventi siciliani non possedevano alcuna proprietà terriera (a parte i pochi orti interni che servivano al fabbisogno interno di frutta e verdura).

Le entrate denunciate dai 48 conventi furono di 26.304 scudi, le uscite di 40 conventi di 23.219 scudi (prevalentemente per il vitto e il vestiario dei frati)[11], l’entrata media pro-capite era dunque di 32 scudi[12]. Nei 13 conventi in cui erano presenti altri tipi di spese, il mantenimento dei frati rappresentava solo il 62,4 per cento (2.316 scudi) dell’esito totale, le spese per la fabbrica e per le migliorie degli edifici conventuali il 21 per cento (781 scudi), quelle per la sacrestia il 3 per cento (115 scudi). Le spese varie erano del 2,5 per cento (489 scudi per spese di infermeria, notai, avvocati e procuratori, utensili ecc.).

 

4. Nella Contea di Modica. I quattro conventi della Contea di Modica[13] presentavano complessivamente 1.351 scudi di introito, 558 scudi di uscite (erano dunque in attivo di 793 scudi) e ospitavano una popolazione di 58 frati (con una entrata media di 23 scudi). Tutti e quattro erano stati fondati dai giurati delle rispettive Università [14].

Il primo era stato eretto a Chiaramonte nel 1620. L’Università aveva concesso il sito per l’edificio conventuale e per il giardino e la facoltà di utilizzare una sorgente per irrigarlo; si era inoltre impegnata a fornire ai frati due cantàri[15] di carne e due barili di tonno l’anno e a provvedere alle spese per medici e medicine per i frati ammalati; infine aveva concesso una gabella di 100 scudi e altri 85 scudi annui per la fabbrica del convento (ma non li aveva mai effettivamente corrisposti).

Il convento di Ragusa (fondato nel 1636) riceveva dall’Università 100 scudi per quattro anni per la fabbrica dell’edificio conventuale, annualmente due barili di tonno (del valore di 10 scudi) e il necessario per la pietanza dei giorni di grasso (25 scudi).

Il convento di Monterosso aveva avuto come fondatori i giurati di quella Terra. Una nobildonna aveva lasciato nel suo testamento un legato di 4.000 scudi di capitale consistente in alcune partite di terra per la fabbrica del convento e per il vitto, il vestiario e simili; l’Università, da parte propria, aveva assegnato la somma di 50 scudi annui, garantiti da una gabella, per la provvista dell’olio e della cera per i bisogni della casa[16].

I suddetti conventi, contrariamente a quelli del resto dell’isola, destinavano solo l’8,9 per cento delle uscite al vitto e al vestiario dei frati, il 3,04 per cento alle spese di sacrestia e di infermeria e ben 325 scudi (il 58,24 per cento) per le fabbriche. In tutti erano dunque ancora in corso i lavori di costruzione degli edifici conventuali. L’Ordine, infatti, si era insediato nelle città della Contea da pochi decenni.

 

5. Il convento di S. Anna di Modica. Tra il XVI e il XVII secolo conventi e monasteri, maschili e femminili, furono fondati e dotati con il concorso essenziale di patriziati e ceti dirigenti ai quali occorrevano luoghi dove anche fare studiare i propri figli o dove mantenere more nobilium  le proprie figlie troppo numerose, e strumenti di rendita, quali benefici o pensioni, per i cadetti cui assicurare il mantenimento. Si moltiplicano pertanto conventi e monasteri, collegi o (meno) seminari, donazioni e lasciti, rendite e vitalizi. La partecipazione delle élites alla fondazione poteva avvenire in maniera diretta – come era stato per il convento dei Minori osservanti di Modica (S. Maria del Gesù), voluto, come prima accennato, dal mecenatismo e dagli intenti di promozione della fede e del sapere da parte dei conti Henriquez-Cabrera[17] – oppure indirettamente, attraverso i propri rappresentanti nelle varie istituzioni civili; erano pure le stesse Amministrazioni civiche a promuovere tali fondazioni per il servizio alla Città e ‘pro sua magnificentia’,[18] sollecitando ove occorresse il sostegno dei rispettivi príncipi.

Il convento dei Minori osservanti riformati di Modica, fu fondato dai giurati dell’Università  Pietro Nigro, Marco Antonio Belluardo, Rocco Zacco, Giovanbattista Pollara e dal ‘sindico’ Antonio Giardina (detto ‘Coccio’) il 2 luglio 1639 con atto del notaio Pietro Calabrese, in esecuzione del “conseglio detenuto e conchiuso a 23 di Maggio 1639 si come si vede per atto fatto nella corte dalli suddetti giurati per Gaspare Grana Maestro Notaro e confirmato dal Regal Patrimonio e dall’Eminenza del Signor Cardinale d’Oria[19] luogotenente in questo Regno”. Nello stesso consiglio (comunale) si decise di assegnare la somma di 1.350 scudi per la costruzione del convento (che nel 1650 era giunta a buon punto).

La cerimonia della fondazione avvenne secondo le consuetudini del tempo: dopo una “solenne e pubblica processione”, venne piantata nel posto prescelto una  croce; seguì la posa della prima pietra da parte delle autorità (in questo caso don Bernardo Valseca, governatore della contea di Modica), previo espresso “consenso e voto di tutti i Religiosi, Beneficiati e Clero della detta città” e con “l’autorità dell’Illustrissimo Signor don Francesco d’Elia et Rubeis vescovo della diocesi di Siracusa[20].

Come tutti gli altri conventi dell’Ordine, il luogo dove sorgeva quello modicano era “collaterale alle mura delle case della città” ma allo stesso tempo “ritirato ed isolato da vie pubbliche”. La breve distanza dall’abitato agevolava, da un parte, la condizione per la costruzione di grandi edifici[21] ed il silenzio necessario alla vita conventuale, dall’altra la possibilità di stabilire relazioni, anche di carattere economico – connesse al sostentamento della Comunità nonché agli sviluppi edilizi –, con la popolazione urbana. Peraltro, si tratta non di Ordini monastici, bensì dei nuovi Ordini mendicanti, tendenti istituzionalmente a rapportarsi quotidianamente con la popolazione in funzione dell’attività pastorale e scolastica.[22]

 

Le strutture edilizie rispecchiavano il modulo abitativo conventuale più diffuso, costituito da uno o due chiostri, dai dormitori (di solito al piano superiore), dove si trovavano le celle dei religiosi; da stalle, officine, dispensa, cucina, cantina e magazzini al piano inferiore. Attaccata al convento era ovviamente la chiesa con cappelle, altari e uno o due cori, e la cui decorazione e struttura architettonica variava in relazione ai diversi orientamenti culturali e di visione, austera o più sontuosa, dell’aula chiesastica da parte dei diversi Ordini.

I materiali per la costruzione più usati per i conventi della Contea di Modica erano pietra calcarea, calce, ‘arena’, gesso e canne; per gli stipiti ed architravi di porte e finestre, per i ‘cantoni’ e per le cappelle veniva utilizzata pietra di “intaglio plano”, più facilmente lavorabile; per i basamenti: conci di calcare duro di estrazione locale.

Il convento modicano di S. Anna aveva, nel 1650, 12 tra stanze e officine nella “fabbrica nuova” e altre 12 “tra officine e stanze per l’habbitatione dei frati nella fabbrica vecchia, di modo che detti frati vi stanno comodamente[23]. La relazione non accenna al chiostro e all’orto. La chiesa era “sotto titolo et invocatione della gloriosa S. Anna, [la] quale con un’altra, che prima era dedicata a San Calogero, si è accomodata per adesso un pò piccola se ben commoda perché vi possino officiare li frati, sin che con la Grazia di Dio si fabbricarà la nuova[24].

Non si conosce l’entità dei danni provocati all’edificio dal terremoto del 1693; sappiamo solo che il 6 novembre 1694 la tesoreria dell’Università pagò 50 onze (125 scudi) a don Ignazio Lorefice, Sindaco apostolico (procuratore) del “venerabile convento di S. Anna per l’eretione della chiesa rovinata dal terremoto[25].

Nel 1650 la popolazione religiosa era costituita da 17 frati (7 sacerdoti, 2 chierici e 8 laici) e da un ‘servente’: 7 erano modicani, 3 (il Padre Guardiano, il Lettore e il Confessore) erano originari di Piazza (Armerina), 2 di Sortino, gli altri di Chiaramonte, Siracusa, Palermo[26], Butera, Assaro, Pietraperzia[27]. Meno della metà provenivano dunque dall’area della Contea: gli Ordini religiosi maschili erano, infatti, tra le istituzioni in cui maggiore era la mobilità e l’attitudine agli spostamenti. I frati dovevano essere disponibili a spostarsi da una città all’altra e da una regione all’altra, in qualsiasi momento. Un fenomeno, questo della ‘mobilità’ del clero regolare, che forse non è stato ancora pienamente valutato nella sua importanza con riferimento all’affermazione di una cultura, di una spiritualità e di una religiosità cattolica omogenee nei vari Stati italiani, in età moderna[28].

 

Le entrate del convento, di 567 scudi, erano costituite (nel medesimo anno) per il 65 per cento dalla questua: 367 scudi derivavano dalla ‘cerca’ del pane, del grano, del vino, del cacio, della tela, dell’olio, dell’orzo per la mula del convento, dei legumi “necessarij per la Quaresima”, delle ‘drugarie’ per l’infermeria, della cera e della suppellettile della sacrestia (“giogali [29] e simili, incenso, storace[30] , sapone e simili”), di “frutti, fogliame, aceto, canape per far delle funi per le campane e per servitio della fabrica, legname per far le porte, finestre e simili”. Le elemosine rappresentavano il 14 per cento delle entrate, con 2 barili di ‘tonnina’ per la Quaresima e l’Avvento, la pietanza ordinaria e straordinaria (per Natale) “così di legato come di grasso” e un cero pasquale, per un totale di 80 scudi, concessi dalla Università di Modica[31].

Altri 120 scudi provenivano da legati di messe e da altri legati per la fabbrica.

Il necessario per il mantenimento dei frati (vitto, vestiario e medicine) proveniva dalla questua e dalle elemosine.

Quanto alle uscite, si rileva che 30 scudi venivano spesi per olio, per attrezzi di cucina, “ferramenti necessarij alle porte, finestre, finestroni e simili” e per la manifattura del vestiario.

La maggior parte delle uscite – 280 scudi – era destinata per la costruzione dell’edificio conventuale. Per la fabbrica venivano spesi, infatti, ben 250 scudi l’anno (l’89 per cento dell’esito totale). Anche se particolarmente accentuate nei conventi dei Minori osservanti riformati, le spese per la fabbrica erano una costante in quasi tutti gli Ordini religiosi maschili dell’Isola poiché, nella prima metà del Seicento, la Sicilia, come tutta l’Europa, aveva conosciuto una vera esplosione dell’edilizia ecclesiastica[32]; pertanto, a cominciare già da prima del grande terremoto del 1693, una parte consistente delle rendite del clero secolare e regolare era stata orientata alla costruzione di centinaia di chiese e conventi[33].

 

In Appendice a quanto è stato riferito sul Convento dei Francescani Osservanti ‘Riformati’, accenniamo alla presenza a Modica delle seguenti ‘Famiglie francescane’ (dati desunti, da G. Poidomani, dall’Inchiesta innocenziana):

- Minori Osservanti (dal 1478), a S. Maria del Gesù;

- Minori Conventuali, dalla seconda metà del ’500 (dopo il 1570), nell’area di S. Francesco La Cava (dov’era prima una chiesetta di S. Sebastiano e su cui si sviluppò l’attuale edificio con loggia);

- Minori del Terzo Ordine Regolare (dal 1613), a S. Giuseppe, in prossimità del castello;

- Minori Osservanti ‘Riformati’, nel convento di S. Calogero e S. Anna (di cui si è occupato lo studio qui pubblicato).

Un accenno particolare ai Cappuccini, presenti fin dal 1556, prima in sede diversa (anch’essi nell’area di S. Francesco la Cava) dall’attuale  e, dal 1640, nell’omonimo convento ancora oggi vitale. Essi da Modica diffusero la propria riforma francescana e un’intensa attività missionaria in tutta la vasta diocesi siracusana (di cui la Città a quel tempo faceva parte); retaggio di tale ruolo storico è il possente edificio conventuale, la dotta biblioteca (i cui volumi sono in gran parte conservati presso la biblioteca comunale) e la riunione del Capitolo della provincia religiosa siracusana dell’Ordine, che si effettua costantemente a Modica.

“Hoc Coenobium (di S. Maria del Gesù in Modica) a Friderico Henriquez ac ejus uxore Anna Caprera Comitibus construitur; etsi autem illis temporibus Illustr. Friderici Henriquez ejusque pientissimae coniugis Annae Caprera, Castellae Praefectorum atquae Comitum Motucae, in Deum pietas ac in Franciscanum Ordinem affectus ex quamplurimorum locorum constructione patuerit, maxime tamen in huiusmodi Conventus aedificatione se prodidit; non enim illis satis fuisse videbatur, omnes sumptus aedificio necessarios ministrasse, annuamque elemosynam ad loci reparationem commodioremque Fratrum habitationem a suis successoribus perpetuo pendendam ex testamento legasse, nisi etiam et proprias manus, sive in lateribus caementisque caementariis fabrisque murariis ministrandis, sive in effodienda terra, ad opus admovissent…”.

P. Carrafa, Motucae descriptio seu delineatio, Ed. Vander, Lugduni 1725, coll. 35-36.

 

 

Tale intensa presenza francescana fin dal sec. XV, con prosieguo nei secoli successivi, è indice della continuazione del cospicuo movimento minoritico – anzi dell’ “egemonia… che i Francescani esercitano nel mondo religioso siciliano[34] – avviato nel XIII-XIV secolo, che indurrà, anche in Sicilia, pure ad una “ricodificazione delle dialettiche sociali, economiche e politiche”, come conseguenza di “un complesso di discussioni, di un complesso semantico, mirante alla riformulazione delle regole etico-economiche del mondo a cui si rivolgeva la predicazione riformatrice[35]. Si considerino le “parole-chiave ‘paupertas, divitiae, pecunia, dominium…, thesaurizatio, habundantia, necessarium, emere, vendere, contrahere, redditus, census, elemosinae, legata perpetua…”, ed i rapporti fra evangelizzatori francescani e sovrani allo scopo di una riforma “degli atteggiamenti politico-economici della società cristiana nel suo complesso”, “…dell’organizzazione politica, che dev’essere caratterizzante della communitat dei cristiani” e segnata dalla ricerca del “ ‘bonum commune’ come chiave della prosperità tanto economica quanto morale della res pubblica…[36]. Non si tratta soltanto di appelli morali; va infatti confermandosi un ulteriore sviluppo (dopo quello deli-neato dai Padri della Chiesa e dai teologi medievali) di una sorta di dottrina sociale della Chiesa in funzione, appunto, di un riassetto strutturale della Società. Osserviamo che l’attività dei Francescani non è caratterizzata – come un diffuso immaginario spesso induce a ritenere – dalla predicazione soltanto nelle campagne o al ceto popolare, bensì pure a sovrani ed ai maggiorenti delle città, oltre che da un’opera di studio e di insegnamento. (Tali modalità pastorali non vanno dunque attribuite – com’è luogo comune effettuare – soltanto… ai Gesuiti nei secoli seguenti).

Di tale raccordo-influsso è indicativa – per quanto riguarda i Conti di Modica – la costruzione, a Medina de Rioseco, della chiesa di S. Francesco d’Assisi (chiesa prescelta da Federico Henriquez e Anna Cabrera come luogo di sepoltura proprio e dei loro discendenti), con annesso monastero delle Clarisse, nonché la fondazione, nel 1478/81, del grande convento con Studium – o, secondo l’esatta denominazione: ‘Almum Seraphicum Motucense Generale Gymnasium’ – dei Minori Osservanti a Modica. Merita inoltre di essere riferito, a conferma dell’assunto storiografico prima riferito (che dal Todeschini viene proposto con acutezza e novità interpretativa), un passo del testamento di Federico Henriquez, almirante di Castiglia e conte di Modica: “… la voce dei predicatori che chiamano senza posa…, mettendo in guardia coloro che reggono i maggiori possedimenti, in quanto più grande è lo stato e il potere, più pesante è l’amministrazione e sono più grandi e numerosi i lacci e gli impacci e i pericoli e così deve essere maggior cura, prevedendo e disponendo in tempo…, dando a ciascuno il suo (‘unicuique suum’), secondo Dio e la coscienza, abbandonando l’amore dei beni transitori… per conseguire quelli eterni…[37].

Costante sarà la vicinanza degli Henriquez-Cabrera, anche nei secoli successivi, con l’Ordine ‘serafico’, ossia con i francescani[38].

A tale contestualità francescana, certo segnata da intenti di (ri)evange-lizzazione, ma pure espressione di una interazione tra francescanesimo, sempre da riformare nel riferimento allo ‘stato nascente’, e riorganizzazione politico-istituzionale, e non ad una intenzionalità direttamente antiebraica (di carattere quasi ‘razzistico’…), si può ricondurre la motivazione – talvolta indicata come esclusiva e determinante – in merito alla fondazione del convento di S. Maria del Gesù a Modica (e di altri dell’Ordine degli Osservanti). Infatti “le fondazioni minoritiche in aree urbane di forte significato commerciale (e Modica è una di queste…) tende… ad assumere la forma d’una rinnovata disciplina del rapporto ebraico-cristiano. L’avversione alla ‘conversatio’ fra ebrei e cristiani… si lega… ad una riflessione sui modi della ricchezza… e del suo uso, sulla tipizzazione dei guadagni illeciti... E il sovrano, proprio in quanto protagonista di una trasformazione… del mondo, deve essere il garante”[39]. (Nota del C.).

 

 

 

NOTE

 



*  (Modica, 1969). Laureato in Lettere moderne — indirizzo storico — presso l’Università di Catania con una tesi su ‘Economia e società a Modica nell’Ottocento: il catasto borbonico’ (relatore il prof. Nino Recupero). Nel febbraio del 1999 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia economica presso l’Istituto universitario navale di Napoli (coordinatori i Proff. Luigi De Rosa e Luigi De Matteo) con una tesi su ‘Bilanci e patrimoni del clero regolare maschile in Sicilia alla metà del XVII secolo.

Ha pubblicato: ‘Il primo ceto politico locale repubblicano a Modica’, in Archivum historicum mothycense, n° 1, Modica, 1995; Le elezioni del 1946 a Modica, C.u.e.c.m. Catania, 1995 (prefazione del prof. N. Recupero); Il primo ceto politico repubblicano a Modica, in Atti del convegno su ‘La Provincia iblea nell’Italia repubblicana’, 23-24 novembre 1995, Centro studi ‘F. Rossitto’, Ragusa, 1996; Il catasto borbonico a Modica nel 1846: una analisi, in Annali del Centro studi F. Rossitto’, n° 5, Ragusa, 1996; La Contea di Modica nel periodo del governo sabaudo in Sicilia (1713-1720), in Archivum historicum mothycense, n° 3, 1997; Conventi e monasteri maschili in Sicilia alla metà del ‘600. Il convento di S. Maria del Gesù a Ragusa Ibla, in Pagine dal Sud, anno XIV, n° 4, Ragusa, 1998; Il convento di S. Francesco dei Minori conventuali di Ragusa Ibla nel XVII secolo,  in Pagine dal Sud, anno XV, n° 1, Ragusa, 1999; Il clero regolare maschile della Contea di Modica e degli stati feudali limitrofi in età moderna, in Annali del Centro studi F. Rossitto’, n° 8, Ragusa, 1999.

Risiede a Modica, corso V. Emanuele, 109. Tel. 0932/942166.

 

[1] Con la legge del 7 luglio 1866 venne decisa l’appropriazione diretta, da parte del demanio, dei beni ecclesiastici (compresa la maggior parte dei complessi edilizi conventuali) presenti in Italia.

 

[2] Osserviamo che la presenza in un Comune di numerosi Ordini religiosi, specie dei più rinomati del tempo – oltre che di almeno un Collegio canonicale (a Modica erano 3) –, costituiva indice, non soltanto di lunga ed intensa tradizione religiosa degli abitanti, bensì, specificamente, del carattere di ‘Città’. Cfr. S. Di Bella, relazione al convegno su La Contea di Modica fra Medioevo ed età moderna, promosso dalla Scuola Superiore di Servizio sociale in collaborazione con l’Università degli Studi di Messina, Modica 1989 (Atti non pubblicati).

 

[3] Ne furono interessati il Veneto, la Lombardia, la Toscana, la Liguria, lo Stato pontificio, il Regno di Napoli, il Regno di Sicilia e anche l’isola di Malta. Uniche escluse la Corsica e la Sardegna.

 

[4] Né vanno omessi due movimenti ereticali serpeggianti nella vita della Chiesa del sec. XVII: il Giansenismo (condannato, appunto, da Innocenzo X nel 1653) ed il Quietismo, nonché i connessi dibattiti sulla ‘certezza della norma oggettiva’ (tuziorismo, probabilismo, lassismo…) e discutibili orientamenti misticheggianti.

 

[5] La denominazione ‘Minori’ è propria di tutte le Famiglie francescane perché voluta dallo stesso S. Francesco per caratterizzare i suoi frati come ‘i più piccoli, gli inferiori’, anche rispetto agli altri Religiosi. Cfr. Tommaso da Celano, Vita prima (di S. Francesco), I, cap. XV, n. 38.

 

[6] G. Pelliccia e G. Rocca (a cura di), Dizionario degli istituti di perfezione, Roma 1974, pp. 1022-34.

 

[7] Per la struttura architettonica della chiesa e del convento di S. Maria del Gesù, cfr. M. R. Nobile, Sulla produzione architettonica nella Contea di Modica fra tardogotico e rinascimento, in Archivum Historicum Mothycense, n. 2, Modica 1996, pagg. 19-30; E. Fidone, Note sul restauro di S. Maria del Gesù a Modica, ivi, pagg. 31-39.

 

[8] G. Pelliccia e G. Rocca, op. cit., pp. 1723-48.

 

[9] ASV, Sopra lo Stato dei Regolari, Relationes 42, f. 1r.

 

[10] In proporzione i Riformati erano molto più numerosi degli Osservanti che, in un numero quasi equivalente di conventi, ospitavano 619 religiosi.

 

[11] Degli altri 8 non si conosce l’ammontare dell’esito.

 

[12] ASV, Sopra lo Stato dei Regolari, Relationes 42.

 

[13] Oltre che nel Capoluogo della Contea i Minori osservanti riformati erano presenti a Chiaramonte, Ragusa e Monterosso.

 

[14] Università ’ era il termine che allora indicava l’istituzione comunale; prevalentemente tale denominazione si riferiva a quelle più rilevanti.

Il giurato era una figura simile all’odierno assessore.

 

[15] Cantàru: misura di peso pari a 79,342 kg.

 

[16] Archivio di Stato di Ragusa (ASR), Corpor. religiose soppresse, m. 68, ff. 98-101.

 

[17] Il convento di S. Maria del Gesù fu infatti per secoli sede di uno Studium, che R. Pirro qualifica ‘amplissimum’; Sicilia sacra, Panormi 1641, pag. 255. Cfr. la precedente Nota 7.

Per il coevo contesto storico (fine sec. XV) di area culturale iberica e gli analoghi intenti che avevano mosso i sovrani di Spagna, presso la cui corte Federico Henriquez ed Anna Cabrera avevano familiarità, osserviamo che, ad esempio, è di quei medesimi anni (nell’anno 1500) la fondazione ad Alcalà della famosa Università Complutense, ad opera di Ferdinando II d’Aragona e della moglie Isabella di Castiglia su proposta del dotto francescano Ximenes de Cisneros (N. d. C.).

 

[18] Su tali modalità e propositi nella fondazione del Collegium Mothycense (1629), cfr. G. Colombo, Collegium Mothycense degli Studi Secondari e Superiori (Modica 1630-1767; 1812-1860), Ed. Ente Liceo Convitto, Modica 1993, pagg. 51-59.

 

[19] Cardinale Doria (o d’Oria), luogotenente in Sicilia dal 7 maggio 1639 al 1640; cfr. E. Gaetani, Marchese di Villabianca, Della Sicilia Nobile, Palermo, 1754.

 

[20] ASV, Sopra lo Stato dei Regolari, Relationes 42, f. 47r.

L’atto di fondazione è irreperibile, poiché, come ci informa in un documento del 1843 il notaio Emanuele Medica, conservatore degli atti del notaio Pietro Calabrese, tutti i documenti di quest’ultimo furono distrutti dall’alluvione del 1833, insieme a quelli della Cancelleria comunale (ASM, CRS, S. Anna, b. 306, fasc. 2).

Del convento e della chiesa intitolata a S. Anna e a S. Calogero, ci parla F.L. Belgiorno che, in Modica e le sue chiese, Ed. Poidomani, Modica 1953, pag. 55, riferisce della loro esistenza già nel 1613, senza però indicare la fonte documentale: la documentazione in nostro possesso sul convento inizia infatti dal 1639. Cfr. tuttavia la seg. Nota 23.

 

[21] “… nam nova loca sumendo nulli faciebant iniuriam”, cfr. Chronica fr. Minorum Observantiae (1480 c.), cit. da L. Di Fonzo, Francescani, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, IV, Roma 1977, pag. 486.

 

[22] “Il primato dell’attività pastorale nell’organizzazione ecclesiastica determina l’evoluzione della vita religiosa del cattolicesimo romano. I monasteri tradizionali che vivevano isolati nella prospettiva della liturgia e della contemplazione, sono globalmente in diminuzione; rimangono invece consistenti, o lo diventano… quelli che si trovano nei nuclei urbani e partecipano da vicino alla vita della Chiesa locale o universale”. P. Vallin, I cristiani e la loro storia, Ed. Queriniana, Brescia 1987, pagg. 231-232.

 

[23] Questo accenno ad una “fabbrica vecchia” potrebbe costituire fondata indicazione circa una struttura conventuale preesistente.

 

[24] ASV, Sopra lo Stato dei Regolari, Relationes 42, f. 47r.

 

[25] Archivio di Stato di Siracusa, Senato ed Università, Modica, b. 1435 (anni 1688-1700), f. 75 r. Per ulteriori notizie sul complesso edilizio, rimandiamo allo studio di L. Ammatuna, ‘In luogo cospicuo…’, pubblicato in questo stesso fascicolo, pagg. 19-26.

 

[26] Originario di Palermo era Frate Marcello, “maestro ingegniero della fabbrica di S. Anna”, che dalla relazione innocenziana sappiamo chiamarsi D’Amico. Cfr. anche L. Ammatuna, art. cit.

 

[27] Nel 1737, in occasione dell’inchiesta sulla popolazione ecclesiastica condotta in Sicilia dal duca Notarbartolo di Villarosa, la popolazione del convento modicano sarà di n. 43 Religiosi. F. Notarbartolo di Villarosa, Pianta del numero delle anime…, Biblioteca comunale di Palermo, Ms Qq H 36.

 

[28] La rete del clero regolare era particolarmente efficace ai fini di una duplice esigenza pastorale: l’attività missionaria nei territori non evangelizzati e la ri-evangelizzazione delle popolazioni cristiane, e, a seguito della grande rottura dell’unità della cristianità europea, quella di “consolidare la fedeltà a Roma”. Cfr. M. Morana e I. Andrés-Gallego, Il predicatore; A. Prosperi, Il missionario, in (a cura di) R. Villari, L’uomo barocco, Ed. Laterza, Bari 1998. La bibliografia su tale periodo di vita della Chiesa cattolica è vastissima. (N. d. C.).

 

[29] Oggetti e vasellame sacro.

 

[30] Un tipo di essenza profumata.

 

[31] L’elemosina fu erogata dalle autorità cittadine dal 1640 al 1751, senza interruzione. ASM, CRS, S. Anna, m. 306, fasc. 2.

 

[32] G. Giarrizzo, La Sicilia dal Viceregno al regno, in Storia della Sicilia, vol. VII, Napoli, 1978, p. 112.

 

[33] Sui caratteri e le motivazioni di tale slancio edificatorio, anche a Modica, nel ’600 e’700, cfr. G. Colombo, Collegium Mothycense…, cit., pagg. 40-46.

 

[34] H. Bresc, L’eremitisme franciscain en Sicile, in AA. VV., Francescanesimo e cultura in Sicilia (secc. XIII-XIV), in Schede Medievali, Palermo, nn. 12-13/1987, pagg. 37-44.

 

[35] G. Todeschini, Gli Spirituali e il Regno di Sicilia agli inizi del Trecento, in Archivio Storico Siciliano, serie IV, vol. XXIII/1997, pag. 190.

 

[36] Idem, pagg. 191, 198, 199, 202.

 

[37] Cfr. P. Monello, I Conti di Modica, Anna Cabrera e Federico Enriquez, in Dialogo (periodico), Modica, numeri vari dell’anno 1993.

 

[38] Cfr. P. Monello, Vittoria Colonna Enriquez e i suoi tempi, Utopia Ed., Chiaramonte Gulfi 1990, pagg. 239, 242, 245, 323.

 

[39] G. Todeschini, art. cit., pagg. 195-196.